Nel settembre del 1985, decisi di comprarmi un buon computer con due scopi in mente: il primo era computerizzare tutta l'amministrazione del mio complesso di appartamenti e l'altro era collegarmi a Internet, di cui in quei tempi si sentiva parlare sempre più spesso.
Mi rivolsi perciò a un rivenditore che, avevo sentito dire, forniva anche un'ottima assistenza "on-site", cioè a domicilio. Non avendo problemi di spesa, volevo il meglio che il mercato avesse da offrire in quel momento.
Il titolare della ditta, dopo aver discusso con me le mie necessità e avermi di conseguenza consigliato una linea di prodotti, chiamò uno dei loro tecnici e mi affidò a lui.
Era un giovane di origine cinese, di terza generazione, che si chiamava Yuwei Fong, ma che era chimato Ken, di venti anni. Quando si pensa a un cinese ci si immagina una persona di bassa statura, invece Ken era più alto di me, poco più di un metro e ottanta, snello, aveva corti capelli neri, un volto rotondo illuminato da un bellissimo sorriso.
Arrivò da me con tutto il necessario per istallare in ufficio il computer, lo scanner, la stampante e il modem, e tornò diverse volte per insegnarmi a usare il tutto. Aveva molta buona grazia e molta pazienza con me che ero un totale illetterato per quanto riguarda il mondo dei computer.
Ken era un ragazzo molto simpatico ed era un vero piacere avere a che fare con lui. Perciò lo invitati un paio di volte a venire al ristorante con me, la sera, quando aveva terminato il suo orario di lavoro per assistermi nei miei primi passi nel mondo dei computer.
Così si cominciò a parlare di noi... Io gli raccontai, senza logicamente specificare che erano entrambi uomini, di come avessi perso due amanti, il primo per un incidente stradale e il secondo per malattia, e di come mi sentissi completamente svuotato e senza un vero interesse, un vero entusiasmo per quanto riguardava il futuro. Gli raccontai di come vivessi giorno per giorno, ormai privo di speranza.
Lui ascoltava, in silenzio, eppure sentivo che mi capiva e che in qualche modo partecipava al mio dolore, ancora presente se pure attutito dal passare del tempo. Sentii la sua simpatia e questo mi fece bene e mi spingeva ad aprirmi sempre più con lui.
Quindi, quando lui ebbe finito il suo lavoro di assistenza per me, gli chiesi se ci si poteva vedere ancora. Accettò immediatamente e sembrò contento per questa mia richiesta.
Cominciammo così a frequentarci, dapprima soprattutto nei week-end, a sentirci per telefono durante la settimana. Poi si cominciò a volte a uscire assieme la sera per andare a vedere qualche spettacolo... Ken fu per me il raggio di luce che fora la nebbia e che la fa, gradualmente, scomparire.
Infine, un giorno, sentii che dovevo dire a Ken tutto di me, veramente tutto, compreso il fatto che i miei due amanti scomparsi erano in realtà uomini, che cioè io sono gay. Non temevo la sua reazione perché sentivo, sapevo che non per questo lui mi avrebbe negato la sua amicizia.
Perciò una domenica sera dopo cena andammo a passeggiare nel parco lungo il fiume Cumberland e finalmente io mi aprii completamente con lui, forse anche facilitato dal fatto che eravamo quasi immersi nel buio e che, camminando fianco a fianco, non ci si guardava negli occhi ma si guardava davanti a noi.
Quando, dopo la mia lunga, pacata, completa confessione io tacqui, anche lui per un po' non disse nulla.
Poi disse: "Se uno perde la sua donna, tutti, amici, parenti, colleghi gli stanno attorno solidali, cercando di consolarlo, di sostenerlo, di fargli sentire la propria partecipazione. Tu invece non hai potuto dirlo a nessuno e ti sei trovato terribilmente solo, tutte e due le volte. Deve essere stato, anzi, deve ancora essere incredibilmente pesante, povero Luca. Hai fatto bene ad aprirti con me... mi dispiace che tu non abbia potuto farlo con nessun altro prima che con me. Perché viviamo in un mondo così assurdamente pieno di pregiudizi, di discriminazioni, di incomprensioni." e di nuovo tacque.
Dopo un tempo lunghissimo, io gli dissi solo: "Grazie, Ken."
"Grazie a te per avermi giudicato degno di ricevere le tue confidenze." rispose lui con un dolce sorriso.
Ci si vedeva e ci si telefonava sempre più spesso. Nei week-end eravamo quasi sempre insieme, a parte le poche volte in cui lui doveva andare nel Kentucky per visitare i suoi genitori.
Si era all'inizio di dicembre nel pomeriggio di un sabato e con Ken si era andati a vedere un film. Poi eravamo usciti dalla sala e si passeggiava assieme.
A un certo punto Ken mi disse, a voce bassa: "Luca... io mi sto innamorando di te."
Mi fermai e lo guardai stupito: "Ma... ma sei anche tu gay, Ken?" gli chiesi.
"Non lo so, non ci ho mai pensato. Ma ha importanza?" chiese lui con un sorriso schivo.
"Ken, come sai, io sono gay. Tu mi piaci molto e mi sento sempre più attratto da te, però..."
"Sì, me ne sono accorto, l'ho sentito. Anche io mi sento sempre più attratto da te. Io... io non ci avevo mai pensato prima, ma dopo che tu m'hai detto... m'hai messo a parte della tua vita, degli amori sfortunati che hai avuto, ho sentito sempre più forte il desiderio, il bisogno di... di offrirti il mio amore."
"Ma Ken, tu sei gay?" gli chiesi di nuovo.
"Non lo so, te l'ho detto. Io, fino a oggi non ho mai avuto nessuna esperienza sessuale, se non qualche lieve e breve flirt ai tempi dell'high school con qualche compagna... cose da ragazzi, sai come è... tutti lo fanno e così anche tu segui la corrente..."
"Ma hai mai desiderato un uomo, tu?"
"No, mai. Ma mai neppure una ragazza, non veramente... non sessualmente, voglio dire. Ma ora... ora sogno di poter stare fra le tue braccia, sogno di poter essere il tuo ragazzo per poterti dare la felicità di cui hai bisogno e a cui hai diritto."
"Ken, sei molto caro e dolce... ma forse confondi amicizia e affetto con amore e con desiderio fisico, non credi?"
"No, Luca. È molto che ci penso e che analizzo quello che provo per te e ne sono sempre più sicuro. Certo, se tu non te la senti di accettare la mia offerta di amore, non ci posso fare nulla... ma io so di amarti e che continuerò ad amarti qualunque sarà la tua reazione, la tua risposta."
Da una parte mi sentivo commosso ma dall'altra mi sembrava sbagliato accettare quella che, secondo me, poteva essere un'offerta fatta certamente in buona fede ma non sufficientemente maturata.
"Ken, io ho il doppio della tua età... e tu non ti rendi conto veramente di che cosa significhi essere gay e vivere una relazione che la società, specialmente qui negli stati del sud, non capisce e non accetta."
"Luca, io certamente non posso obbligarti ad accettare il mio amore. Ma, credimi, anche se ho solo venti anni, io so di amarti per davvero, altrimenti non te lo avrei mai detto. Non abbiamo nessuna fretta, Luca... Pensaci e sappi che io ti amo per davvero."
Ero turbato, certamente contento ma mi sentivo incerto. Da una parte avrei voluto accettare la sua offerta... in fondo Ken mi stava ridando la vita, mi stava offrendo la possibilità di ricominciare a vivere... Ma dall'altra temevo seriamente che il ragazzo confondesse affetto, simpatia e amicizia, con amore.
Iniziò così uno strano periodo in cui Ken mi corteggiava e io, pur godendo in fondo per quelle sue attenzioni, cercavo di far raffreddare la cosa, di tenere in qualche modo le distanze.
A Natale mi regalò un bell'orologio di marca Regency e un delizioso orsacchiotto di peluche con un cappello a cilindro che, premendogli una zampetta, danzava e cantava "I love you"...
Io mi sentivo letteralmente diviso in due. Una parte di me lo desiderava e lo voleva accanto, voleva accettare il suo amore; ma una parte di me cercava di restare razionale e mi spingeva a mantenere una distanda di "sicurezza" con lui. Quello che mi bloccava più di ogni altra cosa era il fatto che Ken non aveva mai avuto, prima di conoscere me, né pulsioni, né desideri e tanto meno esperienze gay.
D'altra parte, quando ci si incontrava, leggevo nei suoi occhi l'amore, il desiderio e questo, oltre a essere piacevole, non faceva che indebolire le mie difese, la mia resistenza nei suoi confronti. Il suo sorriso dolce, pulito e tenero mi faceva letteralmente sciogliere e bastava che Ken semplicemente sfiorasse una mia mano per farmi sentire turbato e acuire il mio desiderio per lui.
Ricordo che una sera, seduto da solo sul muretto che limita il bosco a est del complesso, chiesi mentalmente ai miei Mauro e Alex di illuminarmi, di aiutarmi a capire che cosa fosse giusto che io facessi.
"Voi che mi conoscete bene, che mi avete amato, restatemi vicini, adesso. Fatemi capire che cosa devo fare. Non voglio fare passi falsi né in un senso continuando a respingere Ken e il suo amore, ma neanche nell'altro dicendogli di sì e rischiare di illudermi e di deluderlo. Vi prego, per l'amore che ancora ho per voi e che non finirà mai, aiutatemi a prendere la decisione più giusta."
Stavo pregando i miei due amanti in questo modo, con accorata intensità, guardando e scrutando il cielo stellato quasi potessi leggervi una risposta, quando mi sentii chiamare. Abbassai lo sguardo e mi trovai di fronte Ken. Non l'avevo sentito arrivare, forse perché ero troppo immerso nei miei pensieri.
Lo vedevo in controluce, la sua figura si stagliava contro il chiarore dei lampioni che rischiaravano la via d'accesso alle palazzine e il parcheggio degli inquilini.
"Ken, che ci fai, qui?" gli chiesi stupito ed emozionato.
"Ho sentito il bisogno di venire... Ti disturbo?" chiese timidamente.
"No, no, affatto. Siedi qui."
Ken sedette accanto a me e la sua vicinanza mi dette un gran senso di calma e di calore.
"Sono contento di vederti." gli dissi.
"Ho bisogno di te, Luca, di starti almeno vicino... Anche solo poter stare accanto a te è una sensazione... bellissima."
"Anche per me, Ken. Stavo pensando proprio a te... a noi."
"A noi..." fece eco Ken e i suoi occhi brillarono.
Provai fortissimo l'impulso di abbracciarlo, di baciarlo. Gli inquilini degli alloggi però avrebbero potuto vederci, non era certo il luogo né il caso di farlo, ma il desiderio era divampato in me fortissimo e improvviso.
"Ken... io ti voglio bene... ti desidero... ti amo..." gli dissi d'impulso, sentendomi incredibilmente emozionato.
"Mi ami?"
"Sì, ti amo."
"Davvero?"
"Ho cercato di negarlo a me stesso, di essere... razionale, ma non gliela faccio più. Io ho bisogno di te, Ken, del tuo amore."
"Anche io ho bisogno di te... e del tuo amore, Luca. Ti prego... ti prego... non dirmi di no ancora una volta."
"No, mi arrendo. Mi hai sedotto, conquistato. Voglio essere il tuo uomo, Ken, voglio che tu sia il mio ragazzo. Lo voglio davvero, con tutto me stesso."
"Non chiedo di meglio..." disse lui e vidi una lacrima brillare nell'angolo dei suoi begli occhi neri.
"Perché piangi?" chiesi commosso, conoscendo già la risposta.
"Per la gioia. Perché ti amo. Perché tu finalmente mi hai detto di amarmi, di volermi."
"Vieni?" gli chiesi alzandomi in piedi.
"Certo." disse lui alzandosi a sua volta.
Camminammo lentamente, girammo di fronte alla palazzina A e salimmo le scale. Aprii la porta del mio alloggio e lo feci entrare. Richiusi la porta e al buio, rotto solo dal riflesso dei lampioni esterni che filtrava attraverso le finestre, lo abbracciai.
Si strinse a me e le nostre labbra, per la prima volta, si incontrarono. Le nostre lingue si affacciarono e giocarono lievi l'una con l'altra. Mi sentii l'uomo più felice della terra!
Sentii la sua eccitazione e lui sentì la mia. Lo guidai gentilmente fino alla mia camera da letto, accanto al mio grande letto e qui cominciai a spogliarlo, mentre lui, con mani febbrili, spogliava me. A poco a poco fummo nudi ed eravamo entrambi fortemente eccitati. Lui mi guardò da capo a piedi più volte, con un bellissimo sorriso sul suo giovane volto.
"Sei bellissimo, Luca." sussurrò e mi sfiorò il petto con la mano.
"Tu sei bellissimo, Ken!" gli dissi ammirando il suo corpo snello e glabro, dolce, virile e forte.
"Davvero mi trovi bello?" mi chiese lui, quasi stupito.
"Incredibilmente bello. Vieni..." disi e lo attirai sul letto con me.
Ci stendemmo sul fianco e ci abbracciammo stretti, ci baciammo.
"Mi prenderai, stanotte? Mi farai tuo?" mi chiese Ken in un sussurro pieno di speranza e di desiderio.
"Non ho né i preservativi né il gel. Non pensavo che..."
"Domani li compreremo, vero?"
"Certo."
"Ma è già bello poter stare finalmente così, fra le tue braccia. Poter sentire il tuo desiderio e farti sentire il mio. Mi pare un sogno. Stanotte posso fermarmi a dormire qui con te?"
"Sicuro!"
"Sei contento che io sia qui?"
"Sono felice. Sì, Ken, io ti amo. È inutile che continui a cercare di nasconderlo a me stesso, a te."
"Dio, quanto ho sognato di sentiri dire queste parole! Quanto ho sognato questo momento... e anche il momento in cui finalmente ti sentirò dentro di me. Mentre guidavo per venire qui da te ho pregato Dio che... che facesse questo miracolo."
"E l'ha fatto. Un attimo prima di vederti io mi sentivo ancora incerto, confuso. Io ho pregato invece Mauro e Alex di aiutarmi a capire che cosa dovessi fare... e sei comparso tu, lì davanti a me... come una visione... all'improvviso. E all'improvviso si è squarciato un velo nel mio cuore e ho capito di amarti, di aver bisogno del tuo amore."
"E l'avrai per sempre, il mio amore, qualunque cosa succeda. Per sempre, anche al di là della vita. Io ho giurato a me stesso che sarò tuo e solo tuo, qualunque cosa tu avessi deciso. Io sono tuo, ti appartengo... da sempre. Sento, so che il buon Dio mi ha fatto nascere per te, così come ha fatto nascere te per me. E che al momento giusto ci ha fatti incontrare. Sì, era destino che noi ci incontrassimo, Luca. Lo so!"
"E io che per tanto tempo ti ho detto di no!"
"Dovei solo capire anche tu che siamo nati l'uno per l'altro."
"E finalmente l'ho capito. Meglio tardi che mai, no?"
"Doveva solo squarciarsi quel velo che oscurava il tuo cuore."
"Il tuo amore ha fatto questo miracolo."
"L'amore vero, sincero, onesto... fa miracoli."
"È vero."
Quella prima sera ci abbracciammo, ci baciammo, ci carezzammo senza fare altro, trattenendo il nostro reciproco desiderio. Imparammo a conoscere l'uno il corpo dell'altro con le nostre mani, con le nostre labbra. Parlammo anche a lungo, finché ci addormentammo l'uno nelle braccia dell'altro, e mi sentii incredibilmente felice.
Il mattino seguente, quando mi svegliai, lui era lì, accucciato contro di me, il volto bello e sereno. Di nuovo sentii quell'intensa emozione e felicità avvolgermi e sanare finalmente le mie ferite. Era davvero come rinascere, per me. In cuor mio ringraziai Mauro e Alex per avermi aiutato a uscire finalmente dal guscio in cui mi ero rinchiuso, dal bozzolo di dolore che mi ero tessuto attorno.
Ken era finalmente lì, fra le mie braccia e il suo dolce tepore non era solo qualcosa di fisico, ma era il calore del suo amore, forte, sano, pulito... incantevole.
Lo contemplai a lungo, aspettando che si svegliasse. Avevo sempre pensato che Ken fosse bello, ma ora mi pareva la bellezza personificata e mi sentivo grato e commosso per il suo amore, per la sua donazione totale, anche se non si era ancora espressa nell'unione fisica completa.
I raggi del sole attraverso le veneziane disegnavano contro la parete un rettangolo di sottili linee parallele che, man mano che il sole saliva nel cielo, scendevano lentamente divenendo più sottili ma più luminose.
Mio dio, quant'era bello Ken! Come avevo potuto resistergli tanto a lungo? Provavo il desiderio di stringerlo a me, di baciarlo, ma non lo volevo svegliare, non ancora. Volevo ancora contemplarlo, ammirarlo, godere della sua bellezza.
Era sabato, quindi lui non doveva andare al lavoro, poteva restare lì con me. Perciò, restando immobile, continuai a contemplarlo sentendomi così pieno di felicità che riuscivo a stento a trattenerla dentro di me. "Il mio Ken!" mi ripetevo dentro la mente come in una dolcissima litania, come in un canto pieno d'amore.
Finalmente aprì gli occhi. Quando vide che lo stavo guardando, si aprì in un luminosissimo sorriso.
"È tanto che sei sveglio, amore?"
Amore! Quant'è bello sentirsi chiamare così!
"No, poco meno di un'ora."
"Perché non mi hai svegliato?"
"Perché mi piaceva troppo poterti ammirare."
"Luca, dobbiamo andare a comprare i preservativi e il gel."
"Sì, più tardi. Adesso vado a preparare la colazione. Cosa ti piace avere, per colazione?"
"Quello che tu mangi di solito, per me andrà bene."
"Io di solito prendo fiocchi di mais con yogurt e latte, mangio un frutto e mi faccio un caffè espresso all'italiana, con un cioccolatino."
"Perfetto. E dopo... facciamo la doccia assieme?"
"Certo. Vado a preparare."
"Vengo anche io."
Gli detti una delle mie vestaglie, ce le infilammo e andammo in cucina. Lui sedette al tavolo mentre io prepravo, e chiacchierammo. A volte mi giravo a guardarlo e godevo del suo sorriso.
Dio, quant'era bello!
Misi in tavola e mangiammo la colazione. Di tanto in tanto lui mi carezzava una mano. Rigovernammo, poi ci facemmo la doccia, lavandoci l'uno l'altro, trattenendo a stento le nostre rispettive eccitazioni, ci vestimmo e uscimmo.