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una storia originale di Andrej Koymasky


IL RAGAZZO PADRE CAPITOLO 1
POMERIGGI AL PARCO

Aveva scoperto abbastanza presto che, nel parco dietro la facoltà, lungo il fiume nella parte che va su verso l'Ospedale Maggiore, si potevano fare interessanti incontri. Così aveva cominciato ad andarci, a volte, dopo cena, quando la voglia di "compagnia" si faceva troppo urgente.

Le prime volte si era accontentato di esplorare i vialetti e i folti di cespugli per rendersi conto della "fauna locale", ma presto aveva anche iniziato ad appartarsi con qualche ragazzo affamato di sesso almeno quanto lui. Leonardo era un bel ragazzo, perciò trovava piuttosto facilmente un compagno.

Il suo unico problema era che gli piacevano i tipi giovani e virili, e che al tempo stesso a lui piaceva il cosiddetto "ruolo attivo", gli piaceva cioè molto più scopare che essere scopato. Ma solitamente, se il tipo che lo abbordava o che lui accostava aveva un aspetto maschio, era questi a voler fottere...

Leonardo si sentiva particolrmente attratto dai cosiddetti "marocchini", cioè dai ragazzi di etnia nord-africana. Fra questi era ancora più difficile trovarne uno che si lasciasse fottere... Quando perciò gli riusciva, nonostante fossero di solito ragazzi a pagamento, marchette che giustificavano il fatto di lasciarsi prendere con il loro bisogno di denaro, Leonardo ne provava uno speciale senso di piacere.

Quella sera vide un ragazzo che attirò subito la sua attenzione: doveva avere sui diciotto-venti anni, ed era un nord-africano, molto bello e ben vestito. Quando Leonardo gli passò accanto, quello gli chiese se aveva una sigaretta.

"Non fumo, mi dispiace." gli aveva risposto Leonardo, sapendo bene che quello era solamente un approccio, e pensando che quel ragazzo gli piaceva molto.

"Io fumo poco, solo una sigaretta ogni tanto... così, per avere qualcosa fra le labbra..." aveva risposto il ragazzo con un sorrisetto malizioso.

"Parli molto bene l'italiano. Di dove sei?"

"Tunisia. Ma sono qui in Italia da sei anni. Sono arrivato che avevo tredici anni. Sto per diplomarmi geometra."

"Ah... io studio architettura. Anche tu, dopo, farai architettura?"

"No, mi cerco un lavoro. Voglio andare via da casa prima che posso per farmi la mia vita. Se mio padre e i miei fratelli sapessero che la sera vengo qui... mi ammazzerebbero. Pensano che vado in discoteca a cercare una ragazza, loro."

"E invece... cosa cerchi?" gli aveva chiesto Leonardo con un sorrisetto.

"Beh... uno come te, per esempio... Se anche tu cerchi uno come me."

"Forse. Sei molto bello."

"Anche tu. A te piacerebbe fottere un bel culetto?" gli aveva chiesto il ragazzo guardandolo dritto negli occhi.

"Il tuo? Sì, mi piacerebbe." gli aveva risposto Leonardo, iniziando a eccitarsi.

"Se hai un posto... non mi piace farlo qui fra i cespugli, è pericoloso."

Leonardo raramente portava a casa una conquista occasionale, però... forse valeva la pena di fare un'eccezione. Quel ragazzo, col suo sorriso aperto e un po' birichino, gli stava facendo scatenare gli ormoni.

"Lo fai per soldi?" gli aveva chiesto.

"Sì, ma con uno che mi piace come te, mi accontento di poco. E poi anche tu sei uno studente, e noi studenti siamo sempre al verde. Ce l'hai un posto?"

"Quanto vuoi?"

"Cinquanta? Per fare le cose con calma. Ci stai?"

"Sì, andiamo." s'era risolto Leonardo. "Come ti chiami?" gli aveva chiesto mentre si avviavano.

"Murad, che nella mia lingua significa desiderato." rispose con un risolino il ragazzo.

"Io sono Leonardo. Sì, sei davvero desiderabile, tu. Davvero ti piace fartelo mettere?"

"Sì. Se il cliente vuole, lo metto anche, ma preferisco prenderlo. E tu?"

"Io preferisco metterlo, invece."

"Perfetto. Non ce l'hai un ragazzo? Uno fisso?"

"No, per adesso preferisco divertirmi."

"Sì, anche io. Però mi piacerebbbe un giorno stare fisso con uno. Non m'importa se è ricco o bello, basta che mi vuole bene. Forse un giorno lo trovo, chi sa?"

"Tu... quando l'hai fatto la prima volta? In Tunisia o qui in Italia?"

"Qui in Italia. Eravamo arrivati da poco. Un compagno di classe che mi aiutava perché avevo problemi con l'italiano, così andavo a studiare a casa sua... Ma io avevo già capito che a me piacevano i maschi, così, quando lui ci ha provato, io ho subito detto di sì. Prima si scopava poi si studiava." disse il ragazzo con un risolino divertito.

"Non stai più con lui?"

"No, è durata solo poco più di un anno, poi lui ha cambiato casa e così sono rimasto a secco... Ma dopo, per fortuna, mi sono ricordato che lui mi aveva parlato di quel posto là al parco, e così ogni tanto ci vado." disse Murad.

Erano arrivati all'appartamento di Leonardo ed erano entrati.

"Ci vivi da solo, qui?" gli aveva chiesto un po' stupito il ragazzo tunisino, guardandosi attorno.

"No, ma i miei sono via per un paio di giorni." aveva mentito Leonardo, per prudenza.

Aveva portato Murad nella propria camera da letto e il ragazzo l'aveva preso fra le braccia spingendoglisi contro a sentirne l'erezione.

"Ce l'hai già duro..." aveva commentato compiaciuto, "Ti piaccio?"

"Sì, Murad, mi piaci."

"A te piace anche baciare?"

"Sì."

Si erano baciati, stringendosi uno contro l'altro, carezzandosi per tutto il corpo con crescente desiderio. Poi Murad aveva iniziato a sbottonate la camicia del compagno. Leonardo aveva preso il portafogli dalla tasca posteriore dei calzoni, ne aveva estratto cinquantamila lire e le aveva porte al ragazzo tunisino.

Murad le aveva posate sul comodino: "No, dopo... solo se sei veramente contento di me." gli aveva detto con un sorrisetto.

"L'inizio mi piace." aveva detto in un lieve sospiro Leonardo.

Murad aveva ripreso a sbottonare gli abiti dell'altro, e quando finalmente gli aveva fatto calare i calzoni sulle ginocchia, gli s'era accoccolato davanti, gli aveva estratto il membro duro dai boxer e aveva preso a baciarlo e leccarlo con evidente piacere.

"Hai un bel cazzo, abbastanza grande ma non troppo, e abbastanza lungo. Me lo metti tutto dentro?" gli aveva chiesto guardandolo di sotto in su con un sorrisetto. "Ce l'hai un preservativo?"

"Sì, certo. Lì nel cassetto del comodino. C'è anche il lubrificante." gli aveva risposto Leonardo facendolo sollevare di nuovo in piedi e baciandolo in bocca, mentre gli sbottonava e gli toglieva a uno a uno gli abiti.

Dopo poco erano entrambi nudi, accanto al letto a due piazze di Leonardo, in piedi. Murad aveva sospinto il compagno sul letto fino a farvelo stendere sulla schiena, le gambe penzoloni, gli si era accoccolato fra le cosce e aveva ripreso a leccargli il membro ritto e duro, a succhiarlo.

Murad s'era poi rialzato in piedi: "Posso prendere la roba nel cassetto?" gli aveva chiesto.

Leonardo aveva annuito. Il ragazzo tunisino ne aveva estratto la bustina di un preservativo, l'aveva stracciata, aveva srotolato con le labbra la trasparente membrana sul bel membro eretto di Leonardo, poi aveva preso il lubrificante e ne aveva spalmato un po' sul preservativo e un po' fra le proprie chiappette sode.

"Sono pronto. Come mi devo mettere?" gli aveva chiesto con un sorriso, posando il flacone del lubrificnte sul comodino.

"A te come piace farlo, Murad?"

"Mi piace prenderlo alla pecorina... Così puoi spingerlo meglio tutto dentro e sbattermi forte." aveva risposto il ragazzo.

Leonardo era salito in ginocchio sul letto, e Murad gli si era messo di fronte, a quattro zampe. Girando il capo verso il compagno, e sorridendogli invitante, gli aveva detto: "Dai..."

Leonardo gli era scivolato con le ginocchia fra le gambe, l'aveva afferrato per la vita, e gli aveva puntato il membro duro e ritto fra le chiappette. Murad aveva sospinto il bacino indietro per accoglierlo. Leonardo gli era scivolato dentro lentamente, in una spinta continua. Un forte calore aveva subito avvolto il suo membro inguainato, provocandogli un'eccitazione anche maggiore.

"Dai..." aveva di nuovo mormorato Murad.

Leonardo aveva iniziato allora a battergli dentro con gusto. Il ragazzo tunisino faceva palpitare lo sfintere e ondeggiare lievemente il bacino, gradendo e gustando in modo evidente quella virile monta. Leonardo aveva aderito con il petto contro la sua schiena e mentre con una mano stuzzicava i capezzoli del ragazzo, con l'altra gli manipolava e impastava ad arte i genitali, continuando a prenderlo con vigore.

"Sì... sì... dai!" mugolava Murad contento.

A Leonardo piaceva Murad: non solo era un gran bel ragazzo, dall'aspetto virile come piaceva a lui, ma partecipava con evidente gusto a quell'unione. Questo era abbastanza raro fra i ragazzi che facevano marchette. Gli fece girare indietro il capo e, mentre continuava a stantuffargli dentro, lo baciò. Murad rispose quasi con avidità a quel profondo, intimo bacio, mugolando lievemente per il piacere.

"Non venire subito, per favore... abbiamo tutto il tempo che vogliamo, no?" mormorò Murad.

"Come vuoi... per me va bene." rispose Leonardo sfilandosi da lui.

Sedettero sul materasso, le gambe intrecciate, uno di fronte all'altro, carezzandosi l'un l'altro per tutto il corpo e baciandosi. Murad scese a suggergli i capezzoli.

"Ti piace?" gli chiese guardandolo con un sorriso.

"Sì, Murad. E a te?"

"Un sacco. Tu sì che sai fottere bene. E ce l'hai anche delle dimensioni giuste. Anche il mio primo ragazzo ce l'aveva delle dimensioni giuste e ci sapeva fare."

"Non ti aveva fatto male, la prima volta?"

"Solo un pochetto, però mi piaceva. E poi lo desideravo da troppo tempo. Ti piace il mio culetto?"

"Mi piace tutto, di te. Hai un bel corpo, e un bel sorriso... E sei simpatico. Non sei per niente effeminato, anche se ti piace prenderlo. Gli altri ragazzi nord-africani di solito lo vogliono solo mettere."

"Gli altri ragazzi nord-africani gli pare di essere meno maschi se lo prendono. C'è ancora questa mentalità. E disprezzano quelli come me. Se fossi effeminato, forse mi accetterebbero più facilmente, non so. Sai, da noi chi lo mette non è frocio, ma solo chi lo prende. Chi lo mette è uomo... chi lo prende è donna, e se è un maschio, è una mezza donna, non che l'altra metà è mezzo uomo, ma solo mezza donna e basta, meno di una donna, voglio dire. Eppure io mi sento tutto uomo, anche se mi piace prenderlo."

"Tu non sei per niente donna, per questo mi piaci. Non ho mai sopportato i ragazzi effeminati: sono solo caricature di donne."

Ripresero a fare l'amore. Andarono avanti abbastanza a lugo, interrompendo di tanto in tanto per prolungare la loro unione, finché entrambi sentirono che era troppo difficile smettere ancora, e Leonardo si svuotò nelle calde intimità del bel ragazzo tunisino.

Mentre Murad si rivestiva, gli chiese: "Ci possiamo vedere ancora?"

"È possibile. Mi sei piaciuto molto."

"Anche tu. Posso prendere i soldi, adesso?"

"Certo. Ti trovo là al parco, come stasera, di solito?"

"Non ci vado spesso. Ma quando ci vado è più o meno verso le undici, come stasera. Se non ho già combinato con un altro, mi trovi là. Mi piacerebbe incontrarti di nuovo." aveva detto Murad, ed era andato via, dopo un ultimo bacio.

Leonardo si mise a letto, soddisfatto. Era stato fortunato, aveva trovato il ragazzo giusto, questa volta. Sì, sperava davvero di incontrare di nuovo Murad, quando gli fosse venuta voglia di avere un po' di sesso. Dopo tutto, cinquantamila non era una grossa cifra per lui: erano stati soldi molto ben spesi, si disse.


Pochi giorni dopo, Leonardo, uscito dalla facoltà, dopo essere andato a pranzare in un bar-tavola calda, andò a cercare una panchina libera nel parco. Il cielo era lievemente coperto, la giornata mite, benché ancora un po' fresca. Posò la grande cartella che conteneva i suoi disegni sulla panchina e sedette, appoggiandosi allo schienale, le gambe distese e un po' larghe, pensando alle lezioni che avrebbe avuto nel pomeriggio.

Sperava che questa volta il professore sarebbe stato finalmente soddisfatto: aveva disegnato fino alle tre di notte per terminare tutto eseguendo le modifiche che gli aveva detto di apportare. Possibile che non fosse mai contento, quello? Era già la quarta volta che gli faceva modificare il progettino: dopo tutto si trattava solo un'edicola funeraria, mica un grande monumento.

Leonardo si guardò pigramente attorno. Vide due ragazzi arrivare camminando lentamente, impegnati in un'animata discussione. Dalla fisionomia capì che erano due nord-africani, forse tunisini... o algerini... o marocchini, chi sa? Erano entrambi sulla ventina, e uno dei due era decisamente sensuale.

Quando gli passarono davanti, ne sentì la parlata piena di suoni spirati gutturali caratteristica dei dialetti arabi. Quello più carino gli lanciò un'occhiata distratta. Leonardo lo guardò con un lieve sorriso e uno sguardo intenso, pensando che gli sarebbe piaciuto portarselo a letto. Se quel ragazzo fosse stato solo, magari ci avrebbe anche provato. Ripensò a Murad.

A Leonardo piaceva farlo con uno di quei giovani immigrati nord-africani, che per pochi soldi, e purché svolgessero il cosiddetto "ruolo attivo", non era difficile portarsi a letto. Non aveva problema di soldi, e qualche volta se ne era portato qualcuno a letto. Qualche rara volta, come con Murad, era anche riuscito a far accettare il ruolo passivo a un paio di quei ragazzi.

I due proseguirono allontanandosi. Leonardo spaziò attorno con lo sguardo. Su un'altra panchina era seduto un barbone di mezza età immerso in lettura: aveva un voluminoso libro in mano e pareva ne avesse già letto un terzo circa. Si chiese che cosa stesse leggendo con espressione tanto assorta; un barbone letterato... Non pareva un romanzetto, il volume era rilegato in pelle marrone scura e la copertina aveva fregi dorati: qualcosa di "classico" si disse Leonardo.

Una donna che spingeva una carrozzina doppia, con due gemellini sopra, stava arrivando dalla parte opposta. Era piuttosto magra, vestita con molta eleganza, un'espressione seria sul volto non bello ma molto curato. I due piccoli, vestiti nello stesso modo, con costosi abiti da maschietto, erano appisolati, paffutelli, le gote lievemente arrossate. Erano evidentemente gemelli.

Due ragazze sui venticinque anni arrivarono dalla parte opposta. Indossavano entrambe un grembiule celeste con colletto bianco: dovevano essere due impiegate in pausa pranzo. Parlavano sottovoce, ridacchiando. Una delle due lo guardava con evidente interesse: Leonardo pensò, divertito "Niente da fare, bella mia, a me piacciono solo i maschietti. Quell'arabo di poco fa non era niente male... tu non hai nessuna speranza con me, è inutile che continui a spogliarmi con gli occhi."

Lo sguardo della ragazza si muoveva su e giù per il suo corpo, dal volto al lieve rigonfio fra le sue gambe lievemente aperte, in un messaggio muto ma eloquente, esplicitamente erotico. Le due passarono oltre. Leonardo le seguì con lo sguardo, ma quella non si voltò indietro.

Guardò l'orologio: aveva ancora un'oretta da spendere prima di dover rientrare nell'università per la lezione di "progettazione 1". Il barbone continuava a leggere e di tanto in tanto annuiva... Leonardo era incuriosito: chissà che cosa stava leggendo di così interessante. Non aveva voglia di andare a vedere, né di chiederglielo, nonostante gli sarebbe piaciuto farlo; si sentiva un po' impigrito dall'inizio della digestione.

Un ragazzo che teneva un bimbetto per mano, arrivò camminando lentamente, attraversando il prato, adeguando il suo passo a quello del piccino. Il ragazzo doveva avere sui diciassette, diciotto anni, il bimbetto meno di due. Il ragazzo parlava con il piccolo, che di tanto in tanto guardava in su verso di lui con un volto sorridente e rispondeva qualcosa. Si fermarono in mezzo al prato, al di là del vialetto, davanti a Leonardo. Il ragazzo si chinò e prese una primula, e la porse al piccolo che la mise contro il nasino annusandola.

Ne sentiva il timbro delle voci, anche se non ne distingueva le parole. Il ragazzo sedette sull'erba e il piccolo gli sedette sulle gambe, poi gli dette un bacio sul naso. Il ragazzo rise e gli rese il bacio sulla punta del nasino. Era una scena tenera. Leonardo sorrise. Si chiese se fossero fratelli, o forse zio e nipote... o magari un baby-sitter... benché l'affetto che evidentemente legava i due lo faceva più protendere per le prime due ipotesi.

Leonardo pensò che il ragazzo era davvero molto bello. Era vestito in modo semplice, un paio di jeans, scarpe da tennis, una T-shirt celeste sotto una giacca imbottita, verde con due bande bianche sul petto, aperta. Ora il ragazzo s'era steso sulla schiena e il piccolo gli si era seduto sul ventre, mentre il ragazzo lo sosteneva per la vita facendolo ballonzolare lievemente su e giù, canticchiandogli qulcosa che pareva essere una filastrocca.

Il volto aperto, sorridente, pulito del ragazzo era davvero attraente: veniva voglia di baciarlo, pensò Leonardo, sentendosi lievemente eccitato. Li guardava giocare. Di tanto in tanto la risatina squillante, argentina del piccolo rompeva la quiete del primo pomeriggio.

Leonardo notò che il barbone aveva smesso di leggere, aveva richiuso il volume lasciandoci dentro un dito a mo' di segnalibro e guardava il ragazzo e il bimbetto con un lieve sorriso. Il piccolo guardò verso il barbone e gli fece "ciao" con la manina. Il barbone accentuò il suo sorriso e rispose agitando a sua volta la mano.

"Come ti chiami?" chiese il barbone.

Il bimbo rispose con un suono in cui si capirono solo una "a" ed una "o"...

"Non ho capito. Com'è che ti chiami?" insisté il barbone.

"Si chiama Marco." rispose il ragazzo ad alta voce, girando il volto verso di lui con un sorriso.

"Ah, un bel nome! E quanti hanni ha, il piccolo?"

"Un anno e sette mesi." disse il ragazzo sollevandosi a sedere. Poi aggiunse, "Compiuti da otto giorni."

Leonardo vide che il ragazzo, parlando con l'uomo, non aveva affatto cambiato la sua espressione vedendo che l'interlocutore era un barbone: continuava a sorridere lieve. Notò anche che aveva una bella voce, calda, ancora molto giovane ma con una bella inflessione bassa e virile. Sentì di desiderarlo, si stava eccitando lievemente. Comunque non avrebbe avuto tempo per tentare un approccio, infatti mancava poco all'inizio delle lezioni pomeridiane.

Dopo un poco Leonardo si alzò, prese la propria grande cartella e lo zainetto e si avviò verso l'università a passo lento. Mentre camminava, pensava che la stessa tenerezza della scena del ragazzo e del bambino rendeva il ragazzo anche più desiderabile. Come pure il suo sorriso aperto, le belle labbra morbide e ben disegnate, gli occhi limpidi e chiari.

Entrato nel recinto dell'università, incontrò due compagni di corso che stavano andando alla sua stessa lezione e si mise a chiacchierare con loro, dimenticando il ragazzo e il bimbo. Quando mostrò al professore la quarta versione del proprio progettino, finalmente questi gli disse che ora andava bene, e Leonardo emise un silenzioso sospiro di sollievo.


Due giorni dopo, durante l'intervallo dopo il pranzo, seduto sulla sua solita panchina, Leonardo vide arrivare nuovamente il ragazzo con Marco, mano nella mano. Il ragazzo camminava a piccoli passi, adeguando come la volta precedente la propria andatura a quella del piccolo, e lo guardava con un sorriso dolcissimo. Leonardo notò che i due avevano lo stesso colore di capelli, un bel castano scuro con lievi riflessi biondi. Si disse perciò che era probabile che i due fossero fratelli, nonostante la differenza di età.

Quando Marco con il ragazzo gli passarono davanti, il piccino fece "ciao" con la manina verso Leonardo.

"Ciao, Marco." lo salutò allora lo studente di architettura.

Il piccolo gli sorrise. Leonardo guardò il ragazzo e vide che anche questi gli stava sorridendo. Allora gli fece un cenno di saluto e l'altro rispose anche con un cenno. I due salirono sul prato e nuovamente sedettero sull'erba e si misero a giocare. Erano, come due giorni prima, proprio davanti a Leonardo, al di là del vialetto di terra battuta, perciò questi li poteva osservare agevolmente senza sembrare sfacciato.

Leonardo pensò che i due erano deliziosi... ma anche che gli sarebbe veramente piaciuto provarci con quel ragazzo. I jeans leggermente attillati lasciavano intravedere un piacevole rigonfio sotto la patta. Leonardo si sentì nuovamente un po' eccitato nel guardarlo. Aveva una crescente voglia di attaccare bottone con il ragazzo, e stava cercando una scusa per farlo. Si disse che forse, con la scusa di interessarsi al piccolo... ma come fare?

Quando il ragazzo guardò verso di lui, Leonardo gli sorrise e, prontamente, chiese: "Abitate qui vicino?"

Il ragazzo rispose: "Sì, in via Baretti."

"Venite spesso qui?"

"Adesso che il tempo è buono, sì." rispose il ragazzo.

"Per questo nei giorni scorsi non vi avevo mai visto." disse Leonardo, cercando di prolungare in qualche modo quella conversazione.

"Sì, era troppo freddo per portarlo fuori. Speriamo solo che non ricominci a piovere." disse il ragazzo.

Il piccolo mise le manine sul volto del ragazzo, infilandogli le dita in bocca. Il ragazzo rise e girò un po' di lato il capo: "No, Marco, fermo. Non vedi che sto parlando con il signore?" gli disse con dolcezza.

"Io mi chiamo Leonardo..." disse allora lo studente.

"Ah, ciao. Io sono Rinaldo." rispose il ragazzo. Poi chiese: "E tu, vieni spesso qui al parco?"

"Abbastanza. Faccio architettura là, al castello, e nell'intervallo di pranzo, dopo aver mangiato qualcosa alla tavola calda, solitamente vengo qui a rilassarmi per un po'."

"Uau! Architettura! Allora tu sei un artista!"

Leonardo rise: "Molti miei compagni si credono artisti solo perché sono iscritti ad architettura. A me basterebbe diventare un buon tecnico. Pochi architetti diventano veramente artisti. Molto pochi. Anche tu studi?"

"No, io lavoro. Ho dovuto smettere di studiare."

"Cosa studiavi?"

"Facevo il professionale. Ho frequentato solo fino al terzo anno, però." rispose il ragazzo.

Poi si mise a fare solletico al piccolo, che gli si torceva in grembo ridendo felice, un po' cercando di difendersi, un po' cercando di fare solletico a sua volta a Rinaldo.

Nei giorni seguenti si videro ancora. Una volta Leonardo aveva portato una piccola palla di gomma multicolore che era andato a comprare appositamente in una farmacia, chiedendo alla commessa un qualcosa che fosse adatto a un bimbo fra uno e due anni di età.

L'aveva data al piccolo: "Tieni, Marco, questa è per te."

"Come si dice?" gli aveva chiesto Rinaldo.

"Gaazzie." aveva detto il piccolo prendendola con entrambe le manine.

Leonardo s'era seduto accanto a loro, sull'erba.

"Non sa ancora dire la R. Me, mi chiama Inaddo..."

"Allora a me mi chiamerebbe Eonaddo..." notò lo studente con un sorriso.

"Qualche volta pronuncia già la L, ma non sempre." disse il ragazzo. "Ogni giorno parla un po' più e un po' meglio. Cresce a vista d'occhio."

"Sembra un bimbo molto buono, di buon carattere."

"Sì, non fa mai capricci, per fortuna. È sempre molto allegro. Ma è anche obbediente." disse Rinaldo con aria fiera.

"A sentire i miei, io invece dovevo essere piuttosto capriccioso, se non pestifero." disse Leonardo con un sorrisetto, "Una ne facevo e cento ne pensavo, pare."

"Anche io, ai miei, ho sempre e solo creato grattacapi." commentò con un sorrisetto Rinaldo. "Sono sempre stato un casinista. Almeno fino a quando non ho dovuto mettere la testa a posto."

"Non sembri proprio per niente un casinista, tu."

"Mah... a parte che, come si dice, l'apparenza inganna... Ma no, adesso non credo proprio di essere ancora un casinista. Come t'ho detto, ho dovuto mettere la testa a posto, molto prima di quello che pensavo."

Leonardo dovette tornare a lezione. Nei giorni seguenti si rividero, quasi ogni giorno, a parte nei week-end, perché Leonardo tornava a Vercelli dai suoi, e a parte nei giorni di pioggia o di cattivo tempo.

Quando si vedevano, ora anche Leonardo giocava a volte con il piccolo Marco, e chiacchierava con Rinaldo. Si sentiva sempre più attratto dal bel ragazzo e cercava di capire se anche questi fosse in qualche modo interessato a lui, come sperava sempe più fortemente.

Rinaldo era amichevole, simpatico, ma non aveva ancora fatto nulla che potesse far pensare a Leonardo che fosse interessato a lui nel senso che lo studente di architettura sempre più ardentemente sperava. A volte aveva pensato di tentare una qualche forma di approccio, ma la presenza del piccolo in qualche modo lo frenava. Non che il bimbetto fosse in grado di capire, se lo avesse fatto, ma forse era l'innocenza di Marco che gli impediva di provarci con quello che, ne era sempre più convinto, doveva essere il suo fratello maggiore.


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