Un giorno Leonardo chiese a Rinaldo: "Tocca sempre a te portare al parco il tuo fratellino?"
Il ragazzo lo guardò lievemente sorpreso: "Marco? Non è il mio fratellino, è mio figlio."
Questa volta fu Leonardo a guardarlo, veramente sorpreso: "Tuo figlio? Ma... quanti anni hai, tu?"
"Ne ho diciotto."
"Diciotto? Perciò... l'hai fatto quando ne avevi sedici?" chiese sempre più sorpreso.
"Sì. L'ho concepito proprio il giorno del mio sedicesimo compleanno... il giorno della mia prima scopata con una ragazza. Era il 16 gennaio... era un giovedì, me lo ricordo bene." disse Rinaldo in tono quieto, con un lieve sorriso sulle labbra.
"Cazzo! La prima volta e... avete subito messo in cantiere lui? Ma non avevate preso nessuna... precauzione?" chiese Leonardo quasi sottovoce.
"E chi ci aveva pensato! Né io né lei. È successo alla fine della mia festa di compleanno... su a casa mia. I miei erano giù in panetteria... i compagni di classe erano andati via... lei si era voluta fermare per aiutarmi a rimettere in ordine, diceva. E così... è successo. L'abbiamo fatto. In piedi, pensa, lì in cucina... come due stupidi."
La prima, istintiva reazione di Leonardo fu pensare con rammarico che, visto che a Rinaldo piaceva farlo con le ragazze, per lui non c'era nessuna speranza. Un vero peccato, perché si sentiva sempre più attratto da quel ragazzo.
Il ragazzo continuò: "Comunque... sono molto contento che è nato Marco. Anche se ha cambiato tutta la mia vita."
"Ma... e lei? Sua madre?"
"Liliana? No, lei non era contenta. Lei, quando ha scoperto che era incinta... Dio, che tragedia ne ha fatto. Lei voleva abortire, e voleva che io le dessi i soldi. Ma io no, io a quel punto, non volevo buttare via il figlio che avevamo fatto, anche se l'avevamo fatto per sbaglio. E comunque i soldi io non ce l'avevo. Però avevo paura che lei faceva qualcosa di brutto per perderlo, magari anche rimettendoci la vita. Dio che giorni! Lei piangeva, e era incazzata con me, anche se dopo tutto era stata lei a cominciare, a farmi venir voglia di scopare con lei."
Rinaldo tacque per qualche minuto. Leonardo avrebbe voluto fargli mille domande, ma sentiva che non era opportuno mettere il naso in cose tanto intime.
Il ragazzo riprese: "Allora io l'ho detto i miei... e i miei sono andati a parlare coi genitori di Liliana. Neanche le nostre famiglie volevano che lei abortiva. Così, in gran fretta, ci hanno fatto sposare. Avevamo tutti e due sedici anni e mezzo, quando ci siamo sposati. Liliana è venuta ad abitare a casa dei miei, in camera mia. Abbiamo mollato la scuola tutti e due. Ci siamo trovati un lavoro: io come lavapiatti in un ristorante, lei invece in un'impresa di trasporti come aiuto in segreteria, almeno finché il pancione gliel'ha permesso."
"È al lavoro, adesso, tua moglie?" gli chiese Leonardo.
"Mia moglie? Non lo so... Non so dov'è. Quando Marco è nato... lei non l'aveva voluto, capisci? E in fondo non aveva voluto neanche me, aveva voluto solo divertirsi una volta. Dopo quella prima volta... non abbiamo neppure mai più scopato, Liliana e io. Non si stava bene insieme, non dovevamo sposarci, è stato tutto uno sbaglio. Lei lavorava lì in quella ditta di trasporti e... lì ha conosciuto un camionista, un padroncino... uno che aveva trentuno anni... un vero uomo, diceva lei. Così... quando Marco aveva sei mesi... Liliana se n'è andata con quello e ci ha mollati."
"Ha mollato anche Marco?" chiese un po' stupito, un po' disturbato Leonardo.
"Soprattutto Marco, che lei non aveva voluto. Ma io sono contento che ha lasciato Marco a me. Che lei se n'è andata con quello, proprio non me ne fregava niente, ma se m'avesse portato via Marco, mi sarei incazzato a morte."
"E così, adesso, state dai tuoi?" gli chiese Leonardo.
"No, non più. I miei volevano che io andassi a cercare Liliana e la obbligassi a tornare con me... oppure che mettessi Marco in un istituto, che lo facessi adottare. Ma io non volevo né cercare Liliana, né rinunciare a Marco. Si litigava quasi tutti i giorni, per questo, con i miei. Così, alla fine, dieci mesi fa, io me ne sono andato via da casa con Marco. Tanto, ormai, da quando ci eravamo sposati, per la legge eravamo tutti e due maggiorenni anche prima di compiere diciotto anni, perciò potevamo fare quello che si voleva."
"Ma... e come fai per Marco, ora? Quando lavori, come fai?"
"Io lavoro solo a pranzo e a cena, fino a dopo mezzanotte. La mattina e il pomeriggio sono libero e li passo sempre con Marco. Mentre lavoro, una vicina di casa che ha una bimba di due anni, mi guarda anche Marco assieme alla figlia, per pochi soldi."
"Ma così... adesso tutta la tua vita è solo lavoro e casa, casa e lavoro."
"Non mi lamento. Non ne ho nessun diritto, no? Dovevo pensarci quella volta, il giorno del mio compleanno. O non farlo, o usare il preservativo... ma né lei né io ce l'avevamo, né ci abbiamo minimamente pensato, a dire la verità. Comunque io non mi lamento, perché io sono felice di avere Marco. Non mi pesa questa vita, almeno finché posso stare con lui."
"Non credo che guadagni granché, se fai il lavapiatti."
"Mi basta per le cose essenziali. Ho trovato una stanzetta in una casa a ballatoio, con il cesso fuori. Io mangio là al ristorante e Marco ancora mangia poco. Quando sarà più grande, vedrò se me lo prendono in asilo e vedrò anche di cambiare lavoro, in modo di lavorare mentre lui è in asilo, infatti di notte gli asili mica lo tengono. Mah, vedremo, qualcosa troverò, qualcosa farò. Ma Marco resta con me, costi quel che costi."
"Non pensi di farti un'altra donna?" gli chiese Leonardo.
"No! Nessuna intenzione. Marco e io... noi due e basta. Non è poi così male essere un ragazzo-padre, anzi... Direi che è molto bello. Vedermelo crescere così, giorno dopo giorno, sotto gli occhi... Sai, adesso sta mettendo i canini... per fortuna non gli danno troppo fastidio. E poi, sono diventato un esperto a cambiargli i pannolini. No, Marco e io, da soli, si sta benone. Vero Marco?"
"Non ti chiede mai dov'è la mamma?"
"No, è troppo piccolo, ancora. E anche nei primi mesi, lei non se ne curava più che tanto. Quando capirà, se me lo chiede, glielo spiegherò: la mamma è andata via, non sta più con noi."
"Non si sentirà abbandonato? Specialmente quando vedrà che gli altri bimbi hanno padre e madre?"
"Se saprò dargli abbastanza amore, non si sentirà abbandonato. Gli faccio io da padre e da madre. D'altronde, al giorno d'oggi, fra separati e divorziati eccetera, non è l'unico ad avere un genitore solo, no?"
"Hai un bel coraggio, comunque." commentò Leonardo.
"Ci vuole più coraggio ad abbandonare un bimbo, credo, o a impedirgli di nascere. No... io sono felice così."
"Ma non ti manca la tua libertà? Un ragazzo della tua età... solo lavoro e casa..."
"Io ho la mia libertà: ho scelto io questa vita, dopo tutto. Ho scelto io di averlo, una volta che l'avevamo messo in cantiere. Ho scelto io di non chiuderlo in un istituto. Ho scelto io di andarmene da casa per avere un po' di pace e vivere con lui. Perciò ho la mia libertà."
"Ma non ti piacerebbe, qualche volta, andare a ballare, uscire con gli amici, andare alla partita, che so io..."
"Mi piacerebbe anche avere una bella villa e una Ferrari e... ma visto che non si può, è inutile pensarci, no? Ho Marco, che vale più di una villa, di una fuoriserie, di andare a ballare o a sciare o altro, no? Per me, per lo meno, è così."
"Sei ammirevole. Io non so se... se avrei avuto il tuo coraggio."
"Coraggio? Di che coraggio parli? Io non avrei il coraggio di fregarmene del mio Marco, piuttosto." ribatté il ragazzo con un dolce sorriso, abbracciando il piccolo con tenerezza.
Il piccolo gli si accoccolò tutto contro, sorridendo beato.
"Ma se rimanevi a casa con i tuoi, forse..." iniziò a dire pensosamente Leonardo.
"No. Te l'ho detto, i miei non lo potevano guardare, lavorano tutti e due, e volevano farmelo mettere in un istituto o che mi riprendessi Liliana. E non la mollavano di rompere con queste idee. In fondo non mi hanno perdonato di aver messo incinta Liliana."
"Lei... non è più tornata a vedere Marco?"
"Macché. Non lo voleva, no? Per lei era solo un fastidio."
"E poi parlano dell'amore di madre!" commentò Leonardo con amareza, scuotendo il capo.
"Mah, forse non è neanche colpa sua... in fondo aveva solo sedici anni. Non era pronta per... per essere una madre."
"Anche tu però, avevi solo sedici anni."
"Beh, sì... Però ognuno è fatto a modo suo, credo. Io... dopo tutto sono felice di avere Marco, sono felice di essere un ragazzo-padre."
Leonardo si sentiva sempre più attratto da Rinaldo, anche se ormai aveva rinunciato all'idea di provarci con il ragazzo. L'attrazione fisica, che pure era forte, era però anche accompagnata da un crescente senso di ammirazione e di tenerezza.
Ormai si incontravano quasi tutti i giorni. Marco aveva iniziato presto a giocare con Leonardo e anche, qualche volta, ad andargli in braccio e lasciarsi coccolare per un po'. Leonardo aveva notato che il piccolo chiamava il padre quasi sempre per nome "Inaldo" e solo qualche volta "papà". Lui, lo chimava "Leonaddo". La R era ancora troppo difficile da pronunciare per il piccolo.
Marco era vivacissimo, ma anche molto obbediente. Leonardo non aveva mai sentito Rinaldo sgridare il piccolo e si chiedeva come avesse fatto a farlo crescere così obbediente senza mai parlargli con durezza né punirlo.
Gradualmente Leonardo si affezionò sempre più ai due, e ogni giorno non vedeva l'ora di incontrarli e di passare un'oretta con loro. Una cosa che gli faceva piacere era vedere come Rinaldo lo accogliesse sempre con un ampio sorriso e Marco spesso gli correva incontro, caracollando sulle sue gambette, con espressione felice, gridando il suo nome.
Un giorno, poiché pioveva, Leonardo non vide arrivare i due.
Il giorno seguente, Rinaldo gli disse: "Marco ieri era triste, voleva venire qui per incontrarti."
"Anche io ero un po' triste a non vedervi. Se sapevo dove abiti, sarei venuto a salutarvi." gli rispose Leonardo.
"In via Baretti, al numero 7. Sul campanello c'è scritto Beraudo, il nostro cognome. Se capita di nuovo che piove, e se hai voglia di venire, Marco ne sarà felice."
"Promesso, se capitasse. Aspetta, che me lo scrivo... Beraudo, via Baretti 7."
"È un buco, casa nostra, però... Abbiamo solo una stanza, dove c'è il nostro letto e i fornelli e il lavandino. Non è bello..."
"Non importa. Dove c'è Marco, è bello di sicuro, perché è bello lui... e è bello suo padre." disse Leonardo con un sorriso.
Il ragazzo rispose con un sorriso, senza dire nulla. Poi disse: "Allora, d'accordo così: se piove, ci vieni a trovare tu, il pomeriggio. Va bene?"
"Certo, promesso. Comunque è qui vicino, e è anche abbastanza vicino a casa mia. Io abito in via Fratelli Calandra al 16, sai dove è?"
"Sì, più o meno."
"E sulla campanelliera c'è il mio cognome: Saponaro. Leonardo Saponaro. Ormai è un mese e mezzo che ci si conosce e solo ora ci siamo detti il cognome..." notò Leonardo.
Accarezzò i soffici capelli del piccolo, e pensò che gli sarebbe anche piaciuto poter accarezzare, anche se in modo decisamente diverso, il padre.
"Avete gli stessi capelli... e lo stesso sorriso." notò Leonardo.
"Sì." disse con fierezza il ragazzo, "Assomiglia più a me che alla madre. Sai, quando veniamo al parco, Marco ogni volta mi chiede se andiamo da Leonardo... Sei diventato importante, per lui."
"Anche voi due, per me." disse a mezza voce Leonardo, con un sorriso.
"Il mercoledì il ristorante dove lavoro ha il giorno di chiusura. Che ne diresti di venire a pranzo a casa nostra? Non sono un gran cuoco, preparo qualcosa di semplice. Marco ne sarebbe contento, vero, Marco?"
"Questo mercoledì? Perché no? Il pomeriggio non ho lezione. Ci troviamo qui al parco, poi vengo su a casa con voi. Che ne dici?"
"Ottimo. Se piovesse, fai che venire tu direttamente a casa nostra."
"D'accordo."
Quella sera stessa Leonardo, sentendo nuovamente voglia di sesso, dopo cena uscì e andò al parco. Superò il punto in cui solitamente incontrava Rinaldo e Marco, passò oltre la facoltà di architettura, scese giù verso la riva del fiume oltrepassando anche il borgo medievale, fino a raggiungere il punto in cui di solito c'erano ragazzi in cerca di avventure o marchette in cerca di clienti.
Non aveva più rivisto Murad, dopo quella volta, nonostante fosse andato per diverse sere a passeggiare in quella parte del parco, e sperò di incontarlo. Era ancora presto, i vialetti erano praticamente deserti. Ma arrivando presto era più facile che potesse incontrare Murad prima che questi trovasse un altro cliente.
In un certo senso il crescente desiderio, senza speranza, di poter combinare con Rinaldo, gli acuiva la voglia di sfogarsi finalmente con un bel ragazzo. Si chiese chi fosse più bello, Murad o Rinaldo...
Erano due bellezze diverse. Entrambi i ragazzi erano molto belli, pensò, ma ora nei confronti di Rinaldo, forse perché lo stava conoscendo sempre meglio, oltre al desiderio fisico, c'era altro: un crescente senso di tenerezza. Peccato, si disse, che Rinaldo fosse eterosessuale.
Guardò l'orologio: erano le dieci e tre quarti. Murad aveva detto che, quando andava a battere in quel punto, solitamente arrivava dopo le undici. Avrebbe aspettato un'oretta, poi se non arrivava Murad, avrebbe cercato qualcun altro con cui scopare. Ne aveva proprio bisogno.
Arrivato accanto al sottopasso di Ponte Isabella, andò a sedere su una panchina fra gli alberi. Di lì vedeva bene la strada e poteva vedere chiunque fosse arrivato dalle diverse direzioni. Le fronde degli alberi schermavano la luce dei lampioni, sì che Leonardo era difficilmente visibile dal viale.
Vide due arrivare dalla strada che passa davanti alla fontana dei Dodici Mesi. Nessuno dei due era Murad, eppure uno dei due aveva un'aria familiare. Li guardò avvicinarsi. Ora ne sentiva le risate e le voci, anche se non ne distingueva le parole. Riconobbe un dei due: era un suo compagno di corso, Gianfranco Scolari.
Aveva sospettato che anche Gianfranco fosse gay, ma non aveva mai avuto modo, o voglia, di approfondire la cosa. Ora, vederlo lì, a quell'ora, gli fece pensare di non essersi sbagliato. Guardò i due avvicinarsi. Si chiese se farsi vedere o se andarsene discretamente, prima che arrivassero troppo vicini. Restò seduto.
L'amico di Gianfranco si accorse di lui, e guidò il compagno verso la panchina. Leonardo sorrise: presto anche il suo compagno l'avrebbe riconosciuto.
Infatti Gianfranco, arrivato a pochi passi dalla panchina, si fermò un attimo, guardandolo: pareva avesse un'espressione sorpresa. Leonardo gli fece un cenno di saluto.
"Lo conosci?" sentì che l'altro chiedeva.
"Sì... è un mio compagno di corso." disse Gianfranco accostandosi alla panchina. "Ciao, Leonardo."
"Ciao, Gianfranco."
"Aspetti qualcuno?" gli chiese il compagno in tono incerto, studiandone l'espressione.
"Sì, un amico tunisino, ma non so se viene. Siedi, sedete qui, così chiacchieriamo un po'. Mi presenti il tuo... amico?"
"Ah, lui è Dario, e lui è Leonardo." disse l'altro facendo brevemente le presentazioni e sedendogli accanto. Sembrava imbarazzato.
Leonardo decise di vederci chiaro: "È il tuo... ragazzo, Dario?"
"No, siamo solo amici, e a tutti e due ci piace prenderlo, perciò... E il tuo tunisino, è il tuo ragazzo?" gli chiese un po' più disteso il compagno, ora che le cose erano chiare.
"No, solo un bel ragazzo con cui mi piace fare un giro, ogni tanto. Venite spesso qui?" chiese Leonardo.
"No, non spesso. Solo quando abbiamo voglia di trovare un'avventura. Ci piace anche farlo in tre, qualche volta, se troviamo solo un bel manzo. Ma Dario ha due stanze da letto, così di solito ognuno si trova il suo manzo e va a farsi scopare in una delle due camere. Io non me li posso portare a casa, i miei non sanno niente di me."
"E dire che siamo nello stesso corso da quasi un anno e non sapevamo niente uno dell'altro!" disse ridacchiando Leonardo.
"Non l'avrei mai detto di te. Se vieni anche tu qui, non ce l'hai il ragazzo, penso."
"No, e non ci penso a farmelo. Preferisco un'avventura ogni tanto."
"Sì, carne sempre fresca." ridacchiò Dario.
"Vi conoscete da tanto, voi due?" chiese Leonardo.
"Abbiamo fatto tutto il liceo assieme. Poi io ho scelto architettura, lui invece fa legge. In quarta ginnasio ci avevamo provato, Dario e io, ma poi abbiamo visto che noi due si poteva solo fare l'uncinetto assieme, visto che a tutti e due piace prenderlo, e così... siamo rimasti buoni amici, ma ognuno si cerca il suo maschione per farsi scopare. Per fortuna da tre anni lui ha casa sua, e tutto è diventato più semplice."
Stavano chiacchierando da un po', quando Leonardo riconobbe da lontano Murad che stava lentamente camminando, guardandosi attorno.
"Oh, è arrivato il ragazzo che aspettavo. Scusatemi, vado da lui."
"Non ce lo presenti?" gli chiese Gianfranco.
"Forse un'altra volta. Ciao, ragazzi e auguri." disse Leonardo, e si alzò andando velocemente ad intercettare il bel tunisino.
Quando questi lo riconobbe, lo salutò con un sorriso: "Leonardo! Credevo di non vederti più." gli disse andandogli incontro e tendendogli la mano.
"Speravo di rivederti. Come stai? Hai tempo, stanotte?"
"Sì, certo. Sono proprio contento che ci si è incontrati di nuovo." gli disse il bel ragazzo stringendogli la mano.
Si avviarono verso casa di Leonardo. Camminavano a passo svelto. Tutti e due avevano voglia.
"Davvero sei contento di rivedermi?" gli chiese Leonardo.
"Sì, certo, te l'ho detto. Sono pochi quelli che scopano bene come te. E sei anche un bel ragazzo."
"Non puoi fermarti tutta la notte, fino a domattina?"
"No che non posso. I miei fratelli sanno che vado a ballare e a una certa ora le discoteche chiudono, e così... devo tornare a casa."
"Sì, ma non pensano che se tu in discoteca ti trovassi una ragazza, magari potresti aver voglia di fermarti da lei?"
"Non lo so, non ci ho mai pensato... Magari posso provare a dirlo a casa... Sì, potrebbe essere una buona idea, forse. Ma non questa volta. Però mi piacerebbe fermarmi da te, qualche volta, sì."
"Non ti dicono mai di voler venire in discoteca con te, i tuoi fratelli?"
"No, per fortuna. Io sono il più giovane. Il grande è sposato, è qui con la moglie. Il secondo è fidanzato con un'italiana e va a ballare con lei, e il terzo non gli piace di andare a ballare... per fortuna."
"Tutti e tre sono qui in città? Vivete assieme?"
"Sì. E c'è anche mio padre. Mia madre e le due mie sorelle sono rimaste a Kebili, in Tunsia."
"Sei il più piccolo, tu?"
"Il penultimo, una sorella è più grande di me e una più piccola. E tu? Sei figlio unico o hai fratelli e sorelle?"
"Sono il terzo, il più piccolo. Ho una sorella e un fratello maggiori. Mia sorella è sposata, mio fratello è ancora fidanzato."
Arrivarono a casa. Mentre si spogliavano l'un l'altro, inginocchiati sul grande letto, dopo essersi baciati a lungo, Murad gli chiese: "Posso farti una domanda?"
"Sì, certo."
"Tu, Leonardo, quando è stata la tua prima volta? Com'è successo?"
"Avevo tredici anni. Un nostro vicino di casa da cui andavo spesso per vedere i film che comprava, un giorno mi ha chiesto se mi andava di vedete un film un po' diverso dagli altri, un film spinto, che aveva comprato in Danimarca. Non era niente di speciale, non era un vero film porno, si intravedeva appena qualcosa... però era eccitante e... Lui mi chiedeva se mi piaceva e mi toccava, sempre più intimamente. Questo m'aveva fatto eccitare anche più del film. Un po' avevo paura, un po' avevo voglia. Io avevo capito cosa voleva da me. Gli dicevo di no, ma lo lasciavo fare... e così, lì sul divano, dopo un po' eravamo tutti e due nudi."
"E l'avete fatto?"
"Quella volta ce lo siamo solo preso in bocca a turno, poi abbiamo fatto un sessantanove. Mi piaceva molto, anche se ero terribilmente imbarazzato. Poi mi ha chiesto se tornavo da lui per fare di nuovo quelle cose. Io prima gli ho detto di no, ma poi invece... avevo voglia di fare quelle cose di nuovo, così ci sono tornato. Poi lui un pomeriggio è riuscito a convincermi a provare altro e così me l'ha messo dentro, di dietro."
"Siete rimasti assieme per tanto tempo?"
"Poco meno di un anno. Solo che io per lui io ero solo uno sfogo, mi usava per godere ma se ne fregava di farmi godere. Cioè, certo che anche io godevo, perché mentre me lo metteva, io me lo menavo, però... Una volta che lui era venuto, praticamente mi sbatteva fuori di casa. Di me gli interessava solo mettermelo dentro per godere lui, usarmi. Così alla fine l'ho mollato, ho smesso di andare a casa sua. Anche perché avevo trovato un compagno di scuola con cui mi divertivo di più."
"Sei mai stato innamorato, tu?"
"Solo una volta, ma è finita male. E tu, Murad?"
"Io ancora mai. Voglio dire, proprio innamorato, no. Chissà, forse un giorno... Mi piacerebbe trovare un uomo che mi vuole bene davvero e che mi tiene con lui, a casa sua, voglio dire."
Quando furono nudi, Murad lo sospinse sul letto, gli si stese sopra e lo baciò intimamente in bocca, poi scivolò giù baciandolo e suggendolo per tutto il corpo, finché gli si accoccolò fra le cosce e prese a dargli piacere con le labbra e la lingua sul membro turgido, prendendoglielo in bocca fino a farglielo venire ben duro. Poi, senza dire niente, si alzò sorridendo, soddisfatto, prese dal comodino un preservativo e il lubrificante, preparò Leonardo, e gli si offrì, mettendosi a quattro zampe, come piaceva a lui.
Leonardo gli si inginocchiò dietro e lo prese con gusto. Mentre gli si immergeva dentro, Murad emise un lungo mugolio di piacere.
"Oh, Leonardo... sì... così... mettimelo tutto... tutto dentro... sì, così!" mormorò eccitato il ragazzo.
Mentre si riposavano un poco, per non venire troppo in fretta, Murad gli disse con un sorriso: "Tu sì che mi sai fottere bene. Mi piace molto farlo con te. A te piace farlo con me?"
"Certo che mi piace. Stasera ero venuto apposta sperando di trovare te. Sei molto bello, Murad, desiderabile, e... desiderato."
"Ti ricordi ancora cosa significa il mio nome!" notò con un sorriso il ragazzo. "Tu sei il mio cliente preferito, perché oltre che sei molto bello, sai fottere proprio come piace a me. E poi ti piace anche parlare, non solo fottere."
Leonardo gli si stese sopra, e dopo averlo baciato a lungo, tenendogli il volto fra le mani, scese a dargli piacere con la bocca. Murad gemeva sempre più forte, scuotendo il capo a destra e sinistra.
"Oh... è troppo bello... oh... no... fermati... sto per... sto per... no..." gemette tendendosi e cercando di allontanare da sé l'altro.
Ma Leonardo lo tenne fermo, con le mani sulle piccole natiche sode, e continuò a succhiarlo finché Murad venne, gemendo ad alta voce, e Leonardo bevve tutto. Poi, mentre il ragazzo tunisino ansimava con forza, sconvolto per il piacere, Leonardo gli sospinse le gambe di fianco al petto, e lo penetrò con una forte e lunga spinta, prendendolo poi con forti colpi rapidi e decisi da davanti.
Murad gli sorrise incoraggiante. Solo il lieve battito del pube di Leonardo contro le piccole natiche del ragazzo sottolineava la vigorosa monta. Murad carezzava i muscoli guizzanti dell'altro e si godeva quella virile cavalcata con evidente piacere.
Quando infine Leonardo si scaricò in lui, i due ragazzi si rilassarono ansimando lievemente, soddisfatti.
"È stato anche più bello dell'altra volta. Grazie..." sussurrò il bel ragazzo tunisino. "Ma non ti ha dato fastidio, quando ti sono venuto in bocca? Ho cercato di avvertirti che stavo per venire..."
"Grazie a te. Mi piace farlo con te. E mi piace berlo, hai un buon sapore."
"Io non l'ho mai fatto, non l'ho mai bevuto. Davvero ha un buon sapore? Non fa una brutta impressione?"
"No, anzi..."
"Allora una volta ci voglio provare... ma con te, non con un altro. Tu sei un cliente speciale, tu sei gentile."
"Se tu puoi fermarti qui una notte intera, magari una volta lo bevi e una volta lo prendi nel tuo bel culetto, che ne dici?"
"Puoi farlo due volte? Beh, sì, può essere un'idea... sì. Penso che mi piacerebbe. Con te, mi piacerebbe. Mi dispiace, ma adesso devo proprio andare. Sto troppo bene con te, peccato che devo andare."
Si rivestì, prese le cinquantamila lire dal comodino, gli scoccò un sorrriso e se ne andò.