Rinaldo era di nuovo sereno ed era contento di non essersene andato: Leonardo pareva davvero cambiato. Aveva ripreso ad avere piccole attenzioni per lui, a volte gli portava un regalino, un pensiero, un fiore.
Ora alternava un week-end a casa dei genitori e uno con Marco e Rinaldo, portandoli in giro per divertirsi tutti e tre assieme. Marco e Leonardo erano sempre più uniti. Qualche volta era Rinaldo a dirgli di non trascurare gli amici, a passare anche qualche week-end con loro.
Leonardo lo aveva finalmente presentato a Gianfranco, Dario e ai loro amanti, dicendo chiaro e tondo che lui e Rinaldo stavano assieme. Qualche volta li avevano invitati a cena e Rinaldo aveva preparato i manicaretti che aveva imparato a fare e li serviva a tavola, lieto e fiero, e mangiava con loro.
"Dio, Leo! Non potevi trovarti una moglie più in gamba, carissimo!" disse una sera Gianfranco dopo la cena.
Leonardo lo fulminò con gli occhi: "Non è mia moglie, è il mio ragazzo!" ribatté immediatamente.
"Oh, tesoro, mica ho detto che è una moglie, ho solo detto che se ti pigliavi una moglie non poteva essere più in gamba del tuo ragazzo." rettificò l'amico. "Anche se, conoscendoti... credo che sei tu a letto che fai il masssschio, no?"
"Quello che facciamo a letto sono cazzi nostri." lo rimbeccò Leonardo.
Rinaldo gli fu grato. Sì, il suo Leo era cambiato. Leonardo gli cinse la vita e lo fece sedere sulle sue gambe. "Marco dorme?" gli chiese.
"Sì, certo."
"Guardali che teneri, i piccioncini. E dimmi un po' Rinaldo, il tuo Marco come la prende ad avere due papà? E neanche una mamma?" gli chiese Dario.
"Bene. Come dovrebbe prenderla? Gli facciamo contemporaneamente da papà e da mamma, tutti e due. Non gli facciamo mancare niente." rispose il ragazzo.
Tullio, il ragazzo di Gianfranco, disse "Sì, eravate belli tutti e tre assieme. Si vede che Marco s'è affezionato a Leo. Che effetto ti fa, eh, Leo, a esserti trovato un figlio, oltre che un ragazzo?"
"Doppia fortuna." gli rispose Leonardo con un ampio sorriso.
"Oh, la fortuna è soprattutto loro, che hanno trovato una bella casa e da mangiare gratis. E..." iniziò a dire Gianfranco. "Ahia! Che, ho detto qualcosa di sbagliato, Tullio? Perché m'hai dato un pizzicotto?"
"Perché te lo sei meritato. Rinaldo fa tutti i lavori di casa, e si guadagna sia da mangiare che da dormire, no? Tu invece non fai mai un cazzo in casa, dovresti imparare."
"Ma Tullio, tesoro, io ti aiuto nello studio, quando non devo essere in facoltà, no? E la notte te lo do il mio culetto, no? Non credo proprio che hai da lamentarti di me. Mica è colpa mia se non sono capace a fare le faccende di casa. D'altronde abbiamo il servo filippino, no? Le faccende le fa lui."
A Rinaldo dava un po' fastidio Gianfranco e il suo modo di scheccare, ma evidentemente a Tullio stava bene così e comunque era un amico di Leonardo. Più di tutti gli piaceva Gabriele, il medico che stava con Dario. Era un tipo di poche parole.
Dario chiese: "E dimmi, Leo... non l'hai mai più incontrato il tuo bel marocchino?"
"Murad? È tunisino, non marocchino. No, non l'ho mai più incontrato, da quando sto con Rinaldo. Non vado più a cercarmi avventure al Valentino." rispose Leonardo, accarezzando lieve Rinaldo.
"Ah, noi ragazze abbiamo la fortuna che i nostri maritini ci sono fedeli, vero Tullio? Ci sono fedeli, sennò gli caviamo gli occhi!" esclamò Gianfranco ridendo in falsetto.
Dario disse: "Io non ci metterei la mano sul fuoco per la fedeltà del mio Gabriele. È un tale mandrillo, non pare mai averne abbastanza. Per fortuna in studio ha due infermiere e non due infermieri, o mica starei tranquillo. E mi sa che comunque qualche cornetto me lo mette, anche se non troppo spesso. Certe volte mi sbatte anche tre volte, prima di essere soddisfatto!"
Gabriele arrossì, era imbarazzato. Ma non disse niente.
"Ecco, vedete!" disse allora Dario, "È diventato rosso. Quindi è vero che qualche volta mi mette un cornetto."
"Ma no. È che non mi va che metti in piazza quello che facciamo a letto." disse a mezza voce il giovane medico.
"Oh, beh, siamo tutti froci persi e siamo fra amici no? Non facciamo gli innocentini, adesso." ridacchiò Gianfranco.
Come dio volle, la serata finì e gli amici se ne andarono. Rinaldo, mentre riordinava, tirò un silenzioso respiro di sollievo.
Leonardo gli andò alle spalle e lo abbracciò, tirandolo a sé. "Lascia perdere, adesso. Pulisci domani." gli disse baciandolo sul collo.
"Lasciami almeno mettere i piatti a bagno, così domani è più facile lavarli." gli rispose Rinaldo sorridendo.
Mentre li preparava nel lavello pieno d'acqua, Leonardo lo carezzava sulla patta e sul petto, spingendoglisi contro e facendogli sentire la propria eccitazione. "Non vedevo l'ora che se ne andassero... per restare soli tu e io." gli mormorò l'amico, eccitato, infilandogli una mano sotto gli abiti e sfregandogli i capezzoli. Rinaldo fremette e gli si spinse contro. "Hai voglia anche tu..." gli sussurrò Leonardo.
"Sì..." rispose Rinaldo, si asciugò le mani e si girò fra le braccia dell'altro. Si unirono in un lungo, intimo bacio. "lo farei anche qui in cucina... Mi è piaciuto quando m'hai fatto sedere in grembo, davanti ai tuoi amici. Mi piaceva sentire che t'era venuto duro..."
"Sono contento che sei tu il mio ragazzo. Anche se a Gianfranco e Dario gli piace prenderlo, come a te, non mi metterei mai con uno di loro due."
"Non hai mai fatto niente con loro, prima di conoscere me?"
"No, mai. A me piacciono i ragazzi maschi, virili come te."
"Dario non è effeminato."
"Basta Gianfranco per tutti e due."
"E quel Murad, il tunisino, com'era?"
"Bello, maschio e virile, gentile."
"Ti piaceva?"
"Sì, molto, ma non tanto quanto te." gli disse Leonardo cominciando a sbottonargli gli abiti.
"Andiamo di là."
"Non hai detto che ti piacerebbe farlo anche qui in cucina?" gli chiese con un sorrisetto malizioso Leonardo.
"Preferisco farlo su letto. Dio quanto ce l'hai già duro!"
"Anche tu... Ti piace farlo con me?" gli chiese mentre andavano nella camera da letto di Leonardo.
"Non l'ho mai fatto con nessun altro, lo sai."
"Ti piacerebbe farlo anche con qualcun altro? Provarci con un altro?"
"No!" rispose in tono deciso Rinaldo.
Si spogliarono l'un l'altro, baciandosi e carezzandosi per tutto il corpo, salirono sul letto e finalmente si misero a fare l'amore con gioiosa passione.
"No," pensava Rinaldo mentre si dava all'altro, "no che non lo farei con un altro, io sono innamorato di te, stupido!"
Si avvicinavano le vacanze di Pasqua. Una sera Rinaldo sentì Leonardo che parlava al telefono con Gabriele.
"Una baita, dici? Sì, pare interessante. Solo noi? Ah, è tua, pensavo fosse un rifugio aperto al pubblico. Meglio così. Sì... Solo se possono venire anche Rinaldo e Marco, però. Sì... No che non è troppo piccolo, basta che sia ben coperto, no? Si capisce. Aspetta un attimo..." disse al telefono poi chiamò Rinaldo: "Che ne dici se andiamo a passare tutti e tre le vacanze di Pasqua su al Col del Lys con Gabriele e gli altri?"
"Sì, per me va bene." rispose Rinaldo allegramente. Finalmente una vera vacanza con Leonardo. Peccato che c'erano anche gli altri, pensò, gli sarebbe piaciuto di più essere loro tre soli, però andava bene. Poi si chiese se avrebbero dovuto fare l'amore... nella stessa stanza degli altri. Beh, poco male, anche se non potevano avere una stanza tutta per loro, l'importante era stare assieme.
"Quanti giorni passeremo lassù, nella baita di Gabriele?" gli chiese quando Leonardo ebbe messo giù il telefono.
"Sei giorni pieni. Sei contento?"
"Sì, certo. Dovremo dormire tutti nella stessa stanza?"
"No, dice Gabriele che ci sono due camere da letto e una coppia può dormire nel soggiorno. Noi tre dormiamo nel soggiorno: dice che c'è un divano letto e una poltrona letto, quindi giusto giusto per noi tre."
"Ottimo."
Leonardo volle comprare una tutina imbottita per Marco, rossa con bande bianche di fianco, sulle gambe e sulle braccia. Il venerdì sera si trovarono tutti sotto casa di Tullio e Gianfranco. I tre salironno sull'auto di Tullio, che era più grande, sedendo dietro con Marco in mezzo a loro. Gabriele con la sua utilitaria faceva strada. Salirono fino alla baita. Era ben tenuta, a pian terreno aveva la cucina e il soggiorno, con un caminetto d'angolo, e al primo piano due belle camere da letto con letti matrimoniali e il bagno.
Scaricarono dai bagagliai delle due auto le provviste e le portarono dentro.
"Tu prepari la cena mentre noi sistemiamo le cose." disse Gabriele a Rinaldo. "Tu sai cucinare meglio di tutti noi."
"Sì, va bene."
Tullio accese il caminetto nel soggiorno. Leonardo era seduto in una poltrona con Marco in braccio. Gianfranco e Dario erano al piano di sopra: Rinaldo li sentiva ridere e scherzare. Da fuori veniva il rumore dei colpi dell'accetta con cui Gabriele spaccava la legna.
Rinaldo esplorò la cucina per vedere dove fosse ciò che gli serviva per preparare la cena e si mise all'opera. Gabriele, dopo aver portato dentro un po' di legna per il caminetto, fece vedere a Rinaldo come aprire la bombola del gas per i fornelli.
Sentì Dario e Gianfranco tornare giù. Allora chiese ad alta voce: "Quanta fame avete? Devo preparare porzioni abbondanti?"
"Sì, falle abbondanti, meglio che avanzi piuttosto che restare con la fame." gli rispose Gabriele.
"Io ho fame di maschio!" squittì Gianfranco. "E che ne avanzi, piuttosto che ne manchi!"
Risero tutti.
"Attento a come parli, c'è anche il bambino." lo rimbeccò Gabriele a bassa voce.
"Oh, i bambini di oggi ne sanno più di voi vecchi!" gli rispose Gianfranco. "Vero, Rinalduccio?"
"Credo che ancora non capisce queste cose, comunque." disse Tullio.
"Meglio non esagerare, però." insisté Gabriele.
A Rinaldo, Gabriele piaceva più di tutti gli altri.
"Che stai preparando di buono?" gli chiese Dario entrando in cucina.
"Spaghetti al salmone, scaloppine di vitello e insalata mista, formaggi, macedonia di frutta." rispose Rinaldo.
"Vitello?" esclamò Gianfranco dal soggiorno, "E io che speravo di avere un bel manzo per cena!"
"Quello ce l'avrai dopo cena, vero Tullio?" disse Dario ridendo.
"Oh sì, e mica solo io! Pensate, tre manzi, tre porcellini e un pulcino, Siamo proprio come la vecchia fattoria dello zio Tobia!" rise Gianfranco.
"Tre porcellini!" gridò improvvisamente con allegria la vocetta di Marco, "Tre porcellini e lupo!"
"Sì, gioia bella. Proprio così, ma invece del lupo cattivo, tre manzi bonazzi!" rispose Gianfranco.
"Mangi bonacci!" esclamò il piccolo.
"E piantala, Gianfri!" gli disse Leonardo seccato.
Cenarono in allegria, di buon appetito. Poi Gabriele aprì la poltrona per mettere a dormire il piccolo. Più tardi Leonardo disse agli altri: "Mentre Rinaldo rigoverna, che ne dite di andare a fare una passeggiata?"
Rinaldo ci rimase un po' male, poi si disse che comunque sarebbe dovuto restare a casa per guardare Marco e non dette troppo peso alla cosa.
Ma nei giorni seguenti, Rinaldo dovette restare quasi tutto il giorno in casa a fare le faccende, mentre gli altri cinque si divertivano. Leonardo portava spesso fuori Marco con loro, Gabriele spaccava la legna e si occupava del caminetto, gli altri non muovevano un dito e anzi gli davano ordini sui lavori da fare... Rinaldo era sempre più nero anche se cercava di non farlo vedere.
"Dio, quanto sono stanco!" esclamò Leonardo l'ultima sera che passarono in baita, quando si stesero sul divano letto.
"Io no, mi sono riposato tutto il giorno in casa." gli disse Rinaldo con un accenno di sarcasmo nella voce.
Leonardo non colse la battuta: "Eh, sai, abbiamo camminato un bel po' e con Marco sulle spalle e in braccio..."
"Potevi lasciarlo qui con me. Lo guardavo io."
"Ma no, sai che mi piace stare con Marco, e lui s'è divertito." gli rispose tranquillo l'altro.
"Almeno lui." ribatté Rinaldo.
"Ma no, anche io, che c'entra. Mica mi stavo lamentando."
"Ah." disse Rinaldo e pensò "E io? Non conto niente io?" ma non disse nulla.
"Vieni qui, dai..." gli disse l'altro carezzandolo intimamente e tirandolo a sé.
"Non eri stanco?" rispose Rinaldo, ma anche a lui era venuta voglia, e iniziò a rendergli le carezze, cercando di non pensare alle cose che non gli erano andate a genio.
"Per queste cose non mi sento mai troppo stanco, Rinaldo, lo sai bene, no?" gli sussurrò andandogli sopra e baciandolo, carezzandolo, sfegandogli i capezzoli, facendolo eccitare sempre più.
Tornati a casa, le cose invece di migliorare, sembrarono peggiorare. Le visite degli amici diventarono per Rinaldo sempre più insopportabili: gli pareva evidente che per tutti lui era più che altro un servo e quando gli amici di Leonardo, specialmente Gianfranco e Tullio, gli davano ordini, questo non diceva nulla, li lasciava fare, quasi fosse normale, logico.
La goccia che fece traboccare il vaso accadde ai primi di luglio.
"Rinaldo, domenica pomeriggio per le quattro ho deciso di dare un party per il compleanno di Gabriele. Verranno anche due ragazzi, amici di Gabriele, un coppia, Carlo è un giornalista e Nicola, il suo ragazzo, fa il disegnatore pubblicitario. Perciò, oltre noi tre, saranno in sei. Vedi di pulire a fondo casa. Qui ti lascio la lista delle cose da comprare e i soldi. Fai la spesa sabato, così domenica mattina puoi preparare tutto, le tartine, i drink..."
"Mi dai una mano tu domenica mattina?"
"Non posso, sabato mattina vado dai miei a Vercelli, torno domenica verso le due, due e mezzo. Pranzo dai miei."
"Ho capito. Niente altro?"
"Ah, sì. Se avanzano un po' di soldi, compra anche dei fiori da mettere in soggiorno."
"Va bene."
Non gli avanzarono soldi: invece dei fiori si comprò un farfallino. Pulì accuratamente tutta la casa, preparò il necessario per il rinfresco e, verso le tre, andò in camera a cambiarsi. Indossò un paio di calzoni neri, una camicia bianca e mise il farfallino. Cominciarono ad arrivare gli amici di Leonardo, andò ad aprire, li fece accomodare in soggiorno dove Leonardo, arrivato da poco, stava controllando che tutto fosse in ordine. Poi cominciò a servire gli ospiti.
"Rinaldo, porta un po' di cubetti di ghiaccio."
"Rinaldo, scalda i salatini al microonde e portali di qua."
"Rinaldo, puoi vuotare il portacenere, per favore?"
"Rinaldo..."
Lui trottava, sorrideva, serviva. Imperturbabile. Passava con i vassoi a servire gli ospiti, mentre questi, comodamente seduti, chiacchieravano, bevevano, mangiavano. Dallo stereo veniva musica ad alto volume. Marco un po' stava sulle gambe di Leonardo, un po' scorazzava fra gli invitati e si divertiva... almeno lui.
A sera se ne andarono, invitando Leonardo ad andare a farsi una pizza con loro.
"Vieni anche tu, no?" gli disse Gabriele.
"Non posso, devo mettere a letto Marco e riordinare." rispose Rinaldo.
"Già, capisco. Ti limita molto il piccolo, purtroppo."
"L'ho voluto io, sono contento di averlo, sto bene con lui."
"Sei un ragazzo in gamba... Ti ammiro." gli disse Gabriele stringendogli amichevolmente un braccio.
"Grazie." rispose Rinaldo: sentiva che Gabriele era sincero.
Mise a letto il figlio, riordinò il casino lasciato dagli altri, poi andò a dormire nella sua camera.
Fu svegliato da Leonardo: era l'una e mezzo di notte.
"Vieni di là, ho voglia di fare l'amore." gli disse Leonardo.
"Non mi sento stasera. Non mi sento proprio."
"Stai male?" gli chiese l'altro.
"Un po'."
"Cosa hai?"
"Niente di grave. Per domattina starò meglio. Lasciami dormire, ora."
"Beh... buona notte, allora. Se ti senti peggio, chiamami." gli disse Leonardo e se ne andò.
La mattina seguente Rinaldo preparò la colazione per tutti e tre. Durante la colazione Leonardo gli chiese: "Stai meglio, stamattina?"
"Sì, mi è passato tutto."
"Ottimo." disse allegramente Leonardo, si alzò dal tavolo, andò a prendere le sue cose per andare in facoltà. "Ci vediamo per pranzo." gli disse e uscì.
Appena fu uscito, Rinaldo andò in camera, preparò le valigie con lo stretto indispensabile, vestì Marco, sedette e scrisse un biglietto a Leonardo:
"Cercati un altro servo e scopati quel Murad o chi vuoi tu. Io ne ho le palle piene, mi sono rotto. Non voglio più neanche sentire il tuo nome. Mi sono proprio rotto a essere trattato peggio di un cameriere, e di poterti avere per me, di avere le tue gentilezze solo quando ti tira e hai voglia di scopare. Mi dispiace di essermi illuso che tu potevi capire che non ho bisogno solo di una casa e di un cazzo. Da mangiare ne hai in frigo, e quello che non mi sono portato via lo puoi gettare nella spazzatura."
Posò il biglietto sul tavolo della cucina, con il mazzo di chavi e il farfallino da cameriere. Poi andò in camera di Leonardo, prese una bustina di preservativi dal cassetto del comodino e lo depose accanto al biglietto.
Prese Marco per mano, le due valigie nell'altra, uscì, si tirò dietro la porta e andò a piedi fino alla panetteria dei genitori. Per via Marco gli chiese: "Leonardo?"
"Leonardo non può venire, tesoro. Scordatelo."
"Perché?"
"Perché dobbiamo arrangiarci da soli, tu e io."
"Facciamo il viaggio?"
"Non proprio, Marco."
"Leonardo viene dopo?"
"Non viene più. Io e tu da soli. Non sei contento di stare con papà?"
"Sì, Marco è contento di papà." gli disse il piccolo e gli sorrise.
Si presentarono in panetteria. Non c'erano clienti. La madre lo guardò accigliata. "Che ci fai qui, con le valigie?"
"Mi sono licenziato dal lavoro. Possiamo stare su a casa per qualche giorno, finché non mi trovo un lavoro, una sistemazione?"
"Devi chiederlo a papà. Per me, quello che decide lui, va bene."
Il padre gli disse che casa sua non era un albergo, ma che se era solo per qualche giorno, poteva fermarsi con loro. La sua cameretta era diventata una specie di magazzino. Sgombrò il letto, lasciò la sua roba nelle valigie. Poi, preso Marco con sé, cominciò a girare per cercarsi un lavoro.
Marco era serio. Continuava a chiedere di Leonardo. Man mano che passavano i giorni, senza ancora trovare lavoro, Rinaldo era sempre più depresso, specialmente perché Marco era diventato triste e spesso piangeva dicendo che voleva Leonardo. "Gli passerà..." si diceva Rinaldo. Ma gli dispiaceva vedere il piccolo così triste, vederlo piangere così spesso.
In casa con i genitori le cose andavano peggio di prima. Avevano ricominciato a insistere che doveva mettere Marco in un istituto, darlo in affidamento. Rinaldo non controbatteva, sapeva che era inutile, li lasciava parlare, ma si sentiva sempre più a terra.
Stava camminando con Marco in braccio, dopo l'ennesimo buco nell'acqua nella sua ricerca di un lavoro, chiedendosi che fare: non voleva restare più a lungo a casa dei suoi, ma non sapeva dove battere la testa. Pensò che, con i soldi che aveva messo da parte durante il periodo in cui era stato con Leonardo, doveva trovarsi un buco dove andare ad abitare, il lavoro l'avrebbe cercato poi.
Una macchina si fermò accanto a lui. Rinaldo non ci fece caso, pensò che fosse semplicemente qualcuno che parcheggiava. Ma si sentì chiamare. Si girò: era Gabriele, stava uscendo dall'auto, andando verso lui.
"Rinaldo... Ho saputo che te ne sei andato da casa di Leo."
"Ah."
"Che fai, ora?"
"Niente. Sto girando per cercarmi una casa, un lavoro."
"Ti va di salire in macchina con me, di parlarne un po'?"
"Perché?"
"Per... amicizia."
Rinaldo pensò che Gabriele era sempre stato gentile con lui. Perciò, dopo una breve esitazione, accettò.
"Leonardo... è incazzato con te." disse Gabriele rimettendo in moto e inserendosi nel traffico.
"Peggio per lui."
"Perché l'hai fatto? Ti va di parlarmene?"
"No..." rispose Rinaldo. Ma dopo un po' disse: "M'ero stufato di essere solo un servo per lui e per i suoi amici."
"Non hai tutti i torti... Gliel'ho detto anche io a Leo quando m'ha mostrato il biglietto che gli hai lasciato."
"Ah si?"
"Mi dispiace."
"A me no."
"Dove stai, ora? Di casa."
"Dai miei, ma devo togliermi dalle palle prima che posso."
"E perché?"
"Vogliono che do Marco in affidamento. Non l'hanno mai accettato. Ma io piuttosto mi ammazzo."
"Ma dai! Se vuoi bene a tuo figlio, non puoi farlo!"
"Lo so. Ma in affidamento non lo do. Piuttosto chiedo l'elemosina."
"Era così difficile restare con Leo?"
"Sì. Ormai sopportavo da troppo tempo."
"E non gliel'hai detto? Magari capiva, magari cambiava atteggiamento."
"Gliel'ho detto, anche più di una volta. Lì per lì pareva che... ma poi andava anche peggio."
"Andamo da Leonardo?" interloquì Marco.
"No, amore, te l'ho detto che Leonardo non c'è più." gli rispose Rinaldo, accarezzandolo.
"Io voglio Leonardo... Io voglio bene a Leonardo..." disse il piccolo fra i singhiozzi.
"Anche io ne sono innamorato come un cretino, amore, però..." mormorò Rinaldo e cominciò a piangere silenziosamente, tenendosi stretto al petto il piccolo.
Gabriele guidava in silenzio, girando a caso. L'inattesa confessione di Rinaldo gli fece capire molte cose e provò pena per i due che aveva in macchina, sia per il padre che che il piccolo.