Gabriele parcheggiò l'auto. "Venite su." disse a Rinaldo.
"Dove? Dove siamo?" chiese Rinaldo asciugandosi gli occhi e guardandosi attorno per capire in che parte della città erano.
"A casa mia."
"Per fare che?"
"Parlarne. Parlare di quello che m'hai appena detto."
"Cioè?"
"Che sei innamorato di Leo." disse a bassa voce Gabriele.
"E a che serve?"
"Forse a niente. Ma voglio darti una mano."
"Una mano? E come?"
"Non hai detto che vuoi andare via da casa dei tuoi?"
"Sì, devo."
"Bene, per un po' potete stare da me. Ho una camera libera."
"Da te? E Dario?"
"È casa mia, non sua. Non ha niente da dire. Comunque adesso è all'estero per uno stage."
"Magari è geloso, magari pensa che tu e io..." iniziò a dire Rinaldo, poi chiese: "Mica è per quello, no?"
Gabriele sorrise: "No, non ci ho neanche pensato. Davvero. E comunque, se sei innamorato di lui..."
"Sono uno stronzo, vero? Non riesco ancora a cancellarlo."
"Venite su. Ti faccio vedere la stanza, e se ti va, andiamo a prendere le tue cose a casa dei tuoi. E stai tranquillo, non è per quello che ti offro ospitalità. È davvero solo per amicizia, e per Marco."
Rinaldo si trasferì a casa di Gabriele. E si sfogò con lui. Gli fece bene parlare. Gabriele sapeva ascoltare, era buono, gentile, generoso.
"Se vuoi... posso provare a parlare con Leo."
"No! No, per favore. È inutile. È colpa mia che speravo che s'innamorasse anche lui di me. Ma lui è solo un egoista, pensa solo ai suoi comodi. Gli faceva comodo avere per casa un servo e la notte uno che non gli diceva mai di no."
"Che stronzo a lasciarsi scappare uno come te... a non capire. Non l'avevo capito neanche io, a dire il vero, ma io vi vedevo solo ogni tanto. Pensavo che fra voi due fosse come fra Dario e me: ci piace scopare assieme, ma senza legami."
"Non hai mica detto a Leo che sto qui da te, no?"
"No, è un po' che non lo vedo."
"Non gli dire niente, per favore. E neanche agli altri. Dario... lo sa già?"
"Sta facendo uno stage a Londra, come t'ho detto, ma quando torna..."
"Puoi dirgli di non dire niente a nessuno?"
"Certo."
"Ti darà retta?"
"Ci provi a non darmi retta! Ma perché non vuoi vedere più Leo? Magari, se vi chiarite..."
"Non siamo stati assieme due giorni o due mesi. Se non s'è innamorato, se non ha capito in tre anni... No, spero di riuscire a dimenticarlo. È meglio. Passerà anche a Marco, lui è piccolo."
"Erano molto attaccati uno all'altro, Leo e Marco."
"Sì, questo sì, è vero. Ma io non gliela facevo più... neanche per Marco."
"Ti capisco."
Finalmente, verso fine luglio, Rinaldo trovò lavoro in una tipografia sotto casa di Gabriele, e, sempre grazie all'interessamento di questi, ottenne anche un posto per Marco in un asilo gestito dalle suore della parrocchia. All'inizio il piccolo piangeva sempre e chiamava in continuazione Rinaldo e Leonardo, ma poi si abituò all'asilo e cominciò a essere contento di andarci.
"Appena trovo casa, ti lascio libera la stanza, prima che torni Dario." disse a Gabriele.
"Non ti preoccupare di questo, adesso. Non mi date nessun fastidio, voi due."
"Non so come posso ringraziarti, Gabriele. Ero quasi disperato... Non so se me la sarei cavata, senza il tuo aiuto. Secondo te ho fatto uno sbaglio a non restare con lui alle sue condizioni?"
"Non credo, non potevi sopportare oltre le tue forze. Se uno sbaglio hai fatto, è stato di non pensare a trovarti una sistemazione e un lavoro prima di andartene da casa sua."
"Mi sarei sentito un verme a sfruttarlo senza dirgli che stavo cercando il modo di andarmene. E non potevo dirgli che me ne volevo andare o avremmo sicuramente cominciato a litigare. E poi io non me la sentivo più di andare a letto con lui... e allora magari mi mandava via lui."
"Però ti manca... come manca al piccino."
"Ci passerà."
"Davvero non vuoi che gli parli? Magari senza dirgli che stai qui da me..."
"No, per favore."
"Come vuoi tu, Rinaldo. Ma mi dispiace vedervi star male tutti e due."
"Passerà." ripeté tristemente Rinaldo.
Quando Leonardo era tornato a casa per pranzo, il giorno in cui Rinaldo e Marco se n'erano andati, entrò in casa e li salutò allegramente ad alta voce. Stupito di non ottenere risposta, andò in cucina e, invece della tavola apparecchiata, vide sul tavolo le chiavi di casa, il farfallino, la bustina con il preservativo e il biglietto. Lo lesse. E si incazzò.
"Ma che stronzo! Dio che stronzo, che stronzo!" gridò gettando a terra con rabbia lo zainetto con i libri.
Rilesse il biglietto:
"Cercati un altro servo e scopati quel Murad o chi vuoi tu. Io ne ho le palle piene, mi sono rotto. Non voglio più neanche sentire il tuo nome. Mi sono proprio rotto a essere trattato peggio di un cameriere, e di poterti avere per me, di avere le tue gentilezze solo quando ti tira e hai voglia di scopare. Mi dispiace di essermi illuso che tu potevi capire che non ho bisogno solo di un cazzo e di una casa. Da mangiare ne hai in frigo, e quello che non mi sono portato via lo puoi gettare nella spazzatura."
e la rabbia gli cresceva dentro.
"Ma che cazzo voleva da me? Cristo Madonna! Gli ho dato un lavoro, ho trattato Marco come un principino, aveva tutto qui e gli piaceva farsi scopare da me, cazzo! Che voleva, fare il pascià ed essere servito e riverito? Voleva fare la 'sciura' come quella stronza di mia madre?"
Girava per casa furioso come un leone in gabbia. Ogni tanto dava un calcio a qualcosa, gli era anche passata la fame.
"Un servo! Nessuno tratterebbe un servo bene come l'ho trattato io! Ma che voleva di più, eh? E non gli davo solo il cazzo, che comunque gli piaceva! E dove cazzo se n'è andato, col figlio? Quello aveva già preparato tutto... Ecco perché ieri s'era messo quel farfallino! E io che gli stavo per dire che era elegante! Mi stava prendendo per il culo, con quel suo maledetto farfallino!"
Si sedeva, si alzava, girava pr casa, si sedeva di nuovo.
"Ma vaffanculo, Rinaldo!" gridò alla casa vuota. "Va a vendere il culo e magari capisci cosa ti conviene fare nella vita!"
Ci mise diversi giorni per calmarsi. Neanche quando andava in facoltà riusciva a pensare ad altro e la rabbia gli sbollì lentamente. Ma ogni volta che tornava a casa, trovarla vuota, non vedere Rinaldo e Marco, gli pesava sempre più. E anche la notte, si sentiva solo.
Così una notte uscì per cercarsi un ragazzo. Magari proprio quel Murad, cazzo! Se avesse offerto al tunisino una sistemazione così, magari quello baciava pure la terra dove lui camminava!
Girò per il Valentino. C'erano precchi ragazzi. Non vide Murad. Ne accostò uno che gli piaceva. "Quanto vuoi?" gli chiese quando gli fu vicino.
"Dipende da cosa vuoi fare." rispose il ragazzo.
"Lo prendi in culo? A casa mia, e senza farmi fretta."
"Duecento, ma usi il preservativo se no niente."
"Certo. Vieni." gli disse. Pensò che era caro, però era un bel ragazzo, pulito, giovane. "Sei maggiorenne, no?" gli chiese mentre lo portava a casa.
"Venti anni."
Ne dimostrava di meno. "Fai anche pompini?"
"Senza ingoio, però."
Salirono in casa. Lo portò in camera. Si spogliarono in silenzio.
"Come vuoi incularmi? Alla pecorina?"
"Sì, ma prima me lo succhi..." rispose Leonardo mentre salivano sul letto.
Si sfogò quasi con rabbia, lo pagò, lo accompagnò alla porta e si rimise a letto. Guardò l'orologio a cristalli liquidi: neanche un'ora era passata da quando era uscito a cercarsi un ragazzo.
Durante la notte si svegliò e si chiese come mai Rinaldo fosse tornato a dormire in camera sua... poi si ricordò che erano andati via. Si sentì solo.
"Magari dovevo dire a quella marchetta di passare la notte qui... anche se mi costava di più." ma sapeva che non sarebbe stata la stessa cosa. Gli sarebbe mancato il sorriso di Rinaldo... la gioia di Rinaldo. Quello faceva solo il suo mestiere, non gliene importava un cazzo di lui, ma solo dei soldi che gli dava per scopare.
Nei giorni seguenti, ogni tanto spuntava fuori un giocattolino di Marco. Leonardo lo prendeva e lo rigirava nelle mani... e gli mancava il piccolo, gli mancava più che se fosse stato suo figlio, invece che figlio di quello stronzo di Rinaldo.
Gabriele, che ancora non aveva incontrato Rinaldo, gli telefonò per invitarlo per passare una giornata assieme.
"Dario è partito per uno stage. Ti va di venire a casa mia con Rinaldo e Marco a passare un pomeriggio?"
"Non ci sono più."
"Cosa vuoi dire che non ci sono più?"
"Se ne sono andati." rispose Leonardo a metà arrabbiato a metà abbattuto.
"Avete litigato? Cos'è successo?"
Leonardo gli lesse il biglietto di Rinaldo, che aveva più volte gettato nel cestino della carta straccia e altrettante volte recuperato, senza sapere neanche lui perché.
"Beh... forse non ha tutti i torti." disse Gabriele.
"Ma quando mai! Chi l'ha trattato da servo?"
"Tu... noi... Non ti ricordi domenica pomeriggio, per la mia festa di compleanno? Pareva più un cameriere che il tuo ragazzo. Tutti che ci divertivamo e lui che ci serviva. E anche su in baita..."
"Su in baita io gli tenevo Marco, cazzo, mi sono occupato sempre di lui."
"Certo, così Rinaldo poteva fare tutti i lavori di casa, no?"
"Beh... E tu cos'hai fatto?"
"Niente, d'accordo. Ma era il tuo ragazzo, non il mio, toccava a te pensarci. Io comunque, per lo meno, ho sempre spaccato la legna e curato il caminetto. Voi niente. A parte tu che giocavi con il piccolo. E alla mia festa di compleanno, non potevi essere per una volta tu a servirci? Almeno per una volta. E lasciare Rinaldo a divertirsi come gli altri? Se non c'era Rinaldo, che facevi?"
"Vi dicevo di servirvi da soli."
"Ottimo. E non potevi dircelo, di servirci da soli, e tenerti Rinaldo con te invece di fargli fare il cameriere?"
"Insomma, secondo te è colpa mia. Lo stronzo sono io."
"L'hai detto. Chi è causa del suo mal pianga se stesso."
"Dopo tutto gli ho sempre dato una paga."
"Bene. E allora hai solo perso un cameriere. Proprio come ti ha scritto Rinaldo. Cercatene un altro. Che problema hai, visto che era solo un cameriere, per te."
"Senti, cambiamo discorso o mi fai incazzare di nuovo."
"Come vuoi. Allora, ci vediamo?"
"Non me la sento. Non ho tempo. Devo cercarmi un altro cameriere, no?" gli disse con sarcasmo.
"Come vuoi, Leo. Fatti vivo tu, quando ti passa. Ciao." gli disse Gabriele e agganciò.
Ma quel colloquio, anche se lì per lì l'aveva irritato, lo fece anche riflettere. E più passavano i giorni, più gli mancavano sia Rinaldo che Marco. Non gli mancavano solo le belle scopate con Rinaldo. Gli mancava la sua bellezza solare, il suo sorriso caldo e luminoso, la sua voce, le chiacchierate che facevano insieme.
Cercò altri ragazzi da portarsi a casa la notte, ma ogni volta era più scontento: quelli gli davano solo il sollievo di una serata, niente di più. Anche quelli che andavano con lui non per soldi, gli interessava solo farsi una goduta e tutto finiva lì, anche quelli non gli davano niente altro.
Tornare a casa e trovarla vuota gli dava sempre più tristezza, e invece di attenuarsi col passare dei giorni, la tristezza pareva aumentare.
E finalmente, una notte, mentre stentava a prendere sonno, nel dormiveglia, capì. Si alzò a sedere di colpo sul letto, improvvisamente del tutto sveglio. Aveva capito perché non riusciva a rassegnarsi ad aver perso Marco, ma specialmene il papà di Marco: era innamorato di Rinaldo!
"Oh cazzo! Cazzo, come ho fatto a non capirlo prima? E mi ci gioco le palle... Rinaldo era innamorato di me... o non se ne andava via così... Dio che stronzo sono stato!"
Si sentiva completamente attonito e scombussolato. Rendersi conto di essere innamorato e aver perso Rinaldo era... non sapeva neanche lui come qualificarlo, come qualificarsi.
E adesso? Doveva cercarlo... doveva parlargli... doveva sperare di rimediare, di rimettere insieme i cocci rotti, se non era troppo tardi.
Si alzò: il sonno era svanito, si sentiva come ubriaco, teso, si malediceva, si insultava. Ripensò e si ricordò di tutte le volte che Rinaldo aveva cercato di farglielo capire e lui... niente: più sordo e cieco di una statua.
"Ma perché non me l'ha mai detto?" si chiese. Poi si disse: "Non l'avrei capito neanche se me lo scriveva su tutti i muri, forse. Cristo Madonna, che stronzo sono stato!"
E capì quanto Rinaldo doveva aver sopportato, patito, sofferto e si sarebbe preso a pugni. "Avevo trovato un ragazzo d'oro e non me ne sono neanche accorto. Cazzo!" disse ad alta voce.
Aveva voglia di uscire per andarlo a cercare, ma capì che non era il caso, in piena notte. E poi, non sarebbe stato troppo tardi? Magari ora Rinaldo lo odiava, no? Si versò un bicchierino di vodka. Dopo un po' si fece un caffè. Poi bevette un bicchierone d'acqua fresca. Si rimise a letto, ma dopo pochi minuti era di nuovo in piedi.
Passò tutta la notte in bianco, agitato, irrequieto. Si sentiva sempre più sicuro di essere innamorato di Rinaldo... e se pure in modo totalmente diverso, di Marco.
Verso le sette si appisolò sul divano del soggiorno. Si svegliò di colpo sentendo scattare la serratura, ma si rese conto che doveva essere il vicino che usciva di casa. Erano le otto meno dieci. Andò in bagno a farsi una doccia, sperando di rinvigorisrsi un po'. Si rasò, si lavò i denti, si vesti ed uscì senza fare colazione. Doveva assolutamente trovare Rinaldo.
Andò al suo vecchio indirizzo e salì fino all'appartamento in cui aveva abitato Rinaldo. C'era un altro cognome sulla porta, logicamente. Allora suonò alla vicina.
"Scusi se la disturbo, ma... lei è la signora Anna, penso."
"Sì. Che vuole?"
"Io sono un amico di Rinaldo Beraudo e di su figlio Marco, li sto cercando... Non saprebbe mica dirmi dove abita, adesso?"
"Rinaldo? No, sono almeno tre anni che non abita più qui. Non l'ho più visto... Forse i genitori ne sanno qualcosa."
"Saprebbe darmi l'indirizzo dei genitori, per cortesia?"
"Non ce l'ho, ma hanno una panetteria poco lontano da qui, se non mi sbaglio. Se cerca la panetteria Beraudo sulla guida del telefono..."
"Sì, certo, grazie." disse Leonardo e si precipitò giù per le scale.
Entrò in un bar, ordinò un cappuccino e chiese la guida del telefono.
"Non funziona, il telefono."
"Devo solo cercare un indirizzo."
Cercò sotto panetteria, ma non c'era. Allora sotto Beraudo e lo trovò. Si segnò l'indirizzo, bevette il cappuccino e pagò. Non era lontano. A passo svelto si avviò verso la panetteria. Si ricordò che sarebbe dovuto andare a lezione... "E chi se ne frega!" esclamò ad alta voce. Una donna che lo stava incrociando lo guardò stupita, ma Leonardo neppure se ne accorse.
Arrivò alla panetteria. C'erano tre donne e un uomo anziano che facevano la coda. Andò alla cassa: "Scusi, dovrei parlare con la signora Beraudo..."
"Sono io. Che vuole?"
"Mi scusi, signora, io sono Leonardo Saponaro, un amico di Rinaldo e di Marco..."
"E allora?"
"Sono qui da lei? Posso vederli?"
"Se ne sono andati l'altro ieri."
"Sa dove sono andati?"
"Non ce l'ha detto. Ha detto solo che andava da un amico. Quello va e viene come se casa nostra fosse un albergo."
"Ha idea di chi è questo amico?"
"Cos'è, Rinaldo le deve dei soldi?" chiese la donna con aria sospettosa.
"No. Devo io qualcosa a lui. Non sa chi è quest'amico?"
"Sarà uno spostato come lui, che ne so io." disse brusca. Poi sfoderò un sorriso a trentasei denti: "Dica, signora Suardi, quanto paga, oggi?"
Leonardo uscì senza salutare, urtato dall'atteggiamento della donna.
Si allontanò e si fermò: dove poteva cercarlo, ora? Rinaldo non gli aveva mai parlato di un amico. Pensò che poteva chiedere l'indirizzo all'anagrafe... ma si disse che probabilmente Rinaldo figurava ancora residente con lui. E poi, come poteva giustificare la sua ricerca, dato che non erano parenti?
Si sentì perso. Allora decise di tornare a casa. Per strada pensò di provare a chiamare Gianfranco. Tirò fuori il telefonino e lo chiamò. Dopo un po' il suo compagno di corso rispose.
"Leonardo, ti sei scordato che avevamo l'ultima riunione per la ricerca? Manchi solo tu..."
"Dove sei, in aula?"
"No, sai he ci sparano a vista se lo facciamo suonare in aula, no? Sono in corridoio. E tu dove sei?"
"Qui vicino alla facoltà. Puoi venir fuori un attimo? Ti devo parlare."
"Che c'è?"
"E vieni fuori, no? Non mi va di entrare, ti devo parlare a quattr'occhi."
"Ah, il misterioso! Vengo, vengo... Oh, sto venendo!" ridacchiò per il gioco di parole. Dopo poco stava uscendo.
"Allora?" gli chiese. "Cazzo che faccia hai? Grane?"
"Sai dov'è Rinaldo?"
"Dovresti saperlo tu, caro, dov'è il tuo belloccio! Non è a casa a fare la casalinga?"
"No, è andato via, col figlio e la sua roba. Da quasi un mese."
"Oh, povero caro! T'ha mollato? E tu cercatene un altro, no? La piazza è piena di spiantati che per farsi mantenere danno via il culo, no?"
Leonardo fu urtato da quelle parole: "Rinaldo non è né uno spiantato né un mantenuto."
"Comunque ti dava il culo e ti faceva da servo in cambio di vitto, alloggio e una paga, sì o no?"
"Dio, se sei stronzo! Faceva l'amore con me, non dava via il culo in cambio di niente."
"Comunque ti faceva da servo, questo non puoi negarlo, lo sanno tutti. No, mi dispiace, non ho idea dove sia andato, mi dispiace per te. Ma che te ne frega, cercatene un altro, no? E magari uno del nostro livello, non uno che non ha manco preso un diplomino! Dai retta a me, tesoro."
"Rinaldo era dieci spanne sopra al tuo livello, tesoro!" gi disse irato Leonardo e se ne andò.
"Ohi, bella, hai le mestruazioni, oggi?" gli gridò dietro Gianfranco.
"Già," pensò Leonardo, "anche lui dice che lo trattavo da servo..." e si chiese se telefonare a Dario, poi ricordò che forse era ancora all'estero. Allora chiamò Gabriele.
"Sono Leonardo. Sto cercando Rinaldo, ma non è né a casa dai suoi né al vecchio indirizzo. Hai mica idea dove può essere, per caso?"
Gabriele esitò un attimo, ma aveva promesso a Rinaldo di non dire niente. "No, non lo so. Perché lo cerchi?"
"Perché sono uno stronzo, un emerito stronzo a essermelo lasciato scappare."
"Ti manca di più il servo o un ragazzo a letto?" gli chiese l'altro.
"Gabriele... non girare il coltello nella piaga, per favore. Mi manca, mi mancano tutti e due, padre e figlio. Dio santo, non so più che fare, dove cercarlo. La madre m'ha detto che è andato a casa di un amico, ma io non mi ricordo che m'ha mai parlato di un amico. La madre dice che lei non ne sa niente. Dove abitava prima non ne sanno niente, da quando era venuto a casa mia non l'hanno più visto."
"Ma che puoi dirgli, per farlo tornare da te?"
"Che sono uno stronzo."
"L'hai già detto ma non mi pare un argomento convincente."
"Che sono innamorato di lui." gemette allora Leonardo.
"Ripeti? Cosa hai detto?"
"Hai sentito bene: sono innamorato di lui!" gridò quasi Leonardo.
"E da quando, questa novità? Non mi è mai sembrato che tu lo trattavi come uno di cui sei innamorato."
"L'ho capito solo ieri notte."
"Ah. Beh, meglio tardi che mai."
"Ho paura che sia troppo tardi. Cazzo, non hai qualche idea? Io non so più dove battere la testa!"
"Mi dispiace, Leo, non sono in grado di aiutarti. Forse te ne dovevi accorgere prima, se davvero ne sei innamorato. Forse avresti dovuto..."
"Sì, sì, lo so. Se per caso... se ti capitasse di vederlo, di incontrarlo... gli puoi dire che... che si faccia vivo con me?"
"Sì, certo, se lo vedo glielo dico, ma se fossi in te non ci spererei troppo."
"Hai per caso il numero di telefono di Tullio?"
"Chi, il ragazzo di Gianfranco? Sì, aspetta, lo cerco. Ma non credo che ne sappia più di me. Hai parlato con Gianfranco?"
"Sì, non sapeva manco che se n'era andato e comunque non gliene fregava proprio niente."
Chiamò Tullio, ma anche con lui fece un altro buco nell'acqua: non aveva la più pallida idea di dove potesse essere Rinaldo. Frattanto era arrivato a casa. Salì, si gettò a sedere nella poltrona in soggiorno. Sul tavolinetto di cristallo, allineati a fomare una specie di girotondo, aveva posto i giocattolini di Marco man mano che li aveva trovati qua e là per casa. "Dio, Marco, quanto mi manchi anche tu!" disse e due lacrime gli rigarono le guance. "Dove siete, adesso? Oh, Marco, perché non l'ho capito prima quanto siete diventati importanti per me?"