Gabriele, quando Rinaldo, dopo essere uscito dal lavoro ed essere andato a prendere Marco all'asilo, tornò a casa, gli disse: "Ho ricevuto una telefonata..."
Dall'occhiata di Rinaldo intuì che aveva capito chi gli avesse telefonato. Il ragazzo non disse nulla, continuò a guardarlo in attesa.
"Mi ha chiesto se sapevo dove eri, gli ho detto di no."
"Bene." disse Rinaldo, in tono dimesso.
"Ti sta cercando dappertutto. Ha anche parlato con tua madre e con la tua vecchia vicina di casa."
"Ah. E che vuole?"
"Voi."
"Non siamo roba sua."
"Non posso dire di più." disse Gabriele indicando con gli occhi verso Marco, che s'era seduto in silenzio su una sedia. "Quando dorme, magari..."
"Non mi interessa."
"Bugiardo."
Rinaldo lo guardò con occhi duri, poi però abbassò lo sguardo. "Vado a preparare qualcosa da mangiare." disse a bassa voce.
Gabriele lo guardò andare in cucina, poi guardò Marco. Era restato seduto, immobile. Andò a sedergli accanto, provando una gran pena per il bimbo. In tono allegro, gli chiese: "Che hai fatto di bello oggi all'asilo?"
"Giocato."
"A cosa?"
Il piccolo fece spallucce.
"Scommetto che avete fatto il girotondo, eh?"
Marco scosse la testa.
"Ti piace l'asilo, no?"
Di nuovo Marco fece spallucce.
"Cosa ti piace allora?" gli chiese Gabriele con un sorriso.
"Voglio Leonardo..." rispose il piccolo in tono piagnucoloso.
Alle spalle di Gabriele si udì la voce dal tono gentile ma stanco di Rinaldo: "Leonardo non c'è più, tesoro."
"Perché? Dove è Leonardo?" chiese Marco sull'orlo delle lacrime.
"È... via... lontano."
"Andiamo lontano? Andiamo da Leonardo?" insisté il piccolo.
"Non possiamo, amore." gli rispose il padre in tono triste.
A sera, dopo che Rinaldo ebbe messo a dormire il figlio, andò a rigovernare in cucina. Gabriele lo raggiunse: "Lascia perdere, adesso. Vieni di là e parliamone."
"Di cosa?"
"Lo sai. E non dirmi che non ti interessa. A parte che tu ne sei ancora innamorato, non vedi che Marco ancora sente la sua mancanza? Vieni di là e parliamone, dai."
Andarono a sedere in soggiorno.
"Allora?" chiese Rinaldo senza guardarlo. "Dicevi che ti ha telefonato... Che mi cerca..."
"E ha detto altro. Ha detto che si è accorto che gli mancate troppo tutti e due."
"Non se n'è accorto un po' tardi?" commentò con amara ironia.
"A volte ci accorgiamo del valore delle cose solo quando ci vengono a mancare. Questo vale anche per i sentimenti."
"Ma io non gli credo. Mi fa male vedere Marco così... ma gli passerà... se Leonardo fosse morto, dovrebbe rassegnarsi, no? Per me è morto."
"Rinaldo, io non ho nessun diritto di immischiarmi nella vostra vita, però... anche se immagino che ti costerà, perché non permetti a Leonardo di incontrarti, di parlarti, di dirti quello che ora sente. A me è costato mentirgli quando ho sentito quanto era... disperato nel non sapere come fare per trovarti."
"Mi dispiace di averti messo in questa situazione."
"A me dispiace piuttosto che tu rifiuti di starlo a sentire. Incontralo, ascolta quello che ha da dirti, e se non ti convince... scompari di nuovo dalla sua vita. Mica devi dirgli dove state ora, o dove andrete a vivere quando potrai permetterti di avere un posto tuo, no?"
Rinaldo non rispose subito. Gabriele capiva che il ragazzo era combattuto. Poi Rinaldo disse: "Ci devo pensare su, non so se ho voglia di riverlo, di starlo a sentire. E non posso andarci assieme a Marco... dovrei chiedere un permesso in tipografia, mentre Marco è in asilo."
Dopo alcuni giorni Rinaldo si decise. Chiese mezza giornata di permesso alla tipografia. Non voleva parlare per telefono con Leonardo, voleva averlo davanti, quando avessero parlato. Una voce non dice abbastanza, l'espressione del volto, le movenze del corpo contribuiscono in modo essenziale a dare valore alle parole. Perciò chiese a Gabriele di chiamare Leonardo e di dirgli che la mattina dopo l'avrebbe aspettato al Valentino, dove s'erano conosciuti. Gabriele anuì e chiamò Leonardo.
"Leo? Sono Gabriele... Sì, l'ho incontrato... Sì gliel'ho detto... sì, e dice che ti può incontrare... Domattina alle nove dove vi siete conosciuti... Beh, non so che dirti... No, mi dispiace... Vedi tu... Va bene, ha detto che verrà, quindi credo che ci sarà... D'accordo... Ciao."
"Che ha detto?" gli chiese Rinaldo, che aveva ascoltato quanto l'amico diceva al telefono.
"Che domattina ha un esame proprio alle nove..."
"Ah." commentò con l'aria di dire "che buona scusa!"
"... e che salta l'esame. Verrà all'appuntamento."
"Ah." ripeté a bassa voce.
"Tu ci andrai, no?"
"Sì, certo. Anche se non credo che... che servirà a niente."
Né Rinaldo né Leonardo riuscirono a dormire, quella notte, nessuno dei due riuscì a chiudere occhio. La mattina seguente Rinaldo portò Marco all'asilo, come sempre, poi andò a prendere il tram per recarsi al Valentino.
Alle sette e trenta, Leonardo era già seduto sulla panchina da cui la prima volta aveva visto Rinaldo e Marco. Guardava con espressione desolata il prato vuoto, dove due cartacce e una bottiglietta vuota di Coca-Cola giacevano inutili e abbandonate, proprio nel punto in cui loro tre s'erano incontrati le prime volte. Continuava a guardare l'orologio: il tempo sembrava non passare mai. Non aveva neppure fatto colazione, aveva gli occhi arrossati, era anche un po' spettinato: non s'era guardato allo specchio, quando era ucito per andare all'appuntamento. D'altronde non riusciva più a stare in casa.
Si alzò, prese le due cartacce e la bottiglietta e le gettò nel cestino dei rifiuti, poi tornò a sedere. Stava seduto sulla panchina, le gambe un po' divaricate, le mani sprofondate nelle tasche dei calzoni, semiappoggiato allo schienale ma insaccato su se stesso. Controllava continuamente le direzioni da cui sarebbe potuto arrivare Rinaldo. A volte sussultava, credendo di riconoscerlo da lontano, poi sprofondava ancora di più quando si rendeva conto che non era Rinaldo.
Controllò ancora una volta l'orologio: mancavano diciassette minuti alle nove. Guardò di nuovo attorno, chiedendosi se sarebbe venuto, da che parte sarebbe arrivato... e che cosa gli avrebbe detto. Si sentiva più teso e agitato di quando doveva dare un esame difficile, con un professore maldisposto, su una materia che temeva di non conoscere abbastanza bene. Tremava leggermente e non certo per il freddo: la mattinata preannunciava una calda giornata d'autunno.
Lo vide arrivare: questa volta era lui. Gli sembrò talmente bello da fargli dolere il cuore, da impedirgli di respirare. Si alzò in piedi. Avrebbe voluto corrergli incontro, ma era come se un potente magnete gli tenesse i piedi incollati al terreno. Rinaldo camminava a passo spedito, e guardava verso di lui. La sua espressione parve a Leonardo accigliata, chiusa, e si sentì come una morsa al cuore.
Rinaldo si fermò di fronte a lui, in silenzio.
"Ciao..." mormorò Leonardo guardando negli occhi freddi dell'altro. "grazie d'essere venuto."
"Non ne avevo molta voglia. Credo che perdiamo solo tempo, tu e io." replicò l'altro, ma non v'era aggressività nella sua voce, solo stanchezza.
"Rinaldo... io..." iniziò, poi tacque, come per cercare le parole. Rinaldo s'accorse che Leo stava tremando. Poi questi riprese: "Come sta Marco? Dove l'hai lasciato?"
"Sta... bene. È in asilo, ora. Me l'hanno preso, mentre lavoro."
"Che lavoro fai?"
"Lavoro." tagliò corto Rinaldo.
"E tu come stai?"
"Mi vedi."
"Io... io non posso più vivere senza te... senza voi."
Rinaldo non disse nulla. Si guardavano ancora negli occhi, quelli di Rinaldo, freddi, nascondevano una grande tristezza; quelli di Leonardo, smarriti, celavano a mala pena un profondo senso di sconforto, di paura.
Dopo un altro silenzio, Leonardo riprese: "Sono stato uno stronzo, Rinaldo. Dio, se sono stato uno stronzo... È proprio vero che capiamo il valore delle cose solo quando le perdiamo... Rinaldo... non potremmo... provare a ricominciare tutto da capo? Provarci ancora?"
"Per cosa? Ogni volta che mi sono illuso che... Ogni volta che pareva andasse meglio, poi... era come prima, peggio di prima. A che serve provarci ancora? A farmi ancora del male? A farci ancora del male, a me e Marco?"
"Non ho mai fatto del male a Marco... a te sì, però, ora l'ho capito. E non smetto di darmi dello stronzo."
"Dovevi capirlo prima."
"Se non ero stronzo, lo capivo prima. Dammi ancora una possibilità, ti prego."
"Non me la sento. Davvero. Non me la sento proprio. Ci ho provato per mesi e mesi. Ho esaurito tutte le scorte. Non ci posso fare niente."
"Ti giuro che da oggi in poi sarà tutto diverso. Ti giuro che..."
"Parole. E poi, in cosa sarà diverso?"
"Avevi ragione tu, ti trattavo da servo, anche se non mi pareva, ma avevi ragione tu. Però... però non ti ho mai trattato solo come uno da fottere, questo lo devi riconoscere. Non farai più nessun lavoro in casa, te lo giuro. Non dovrai più servire gli amici... e passerò tutti i week-end e le vacanze con te e Marco, tutte..."
"Pur di continuare a fottere con me? Cavolo! Che ho di tanto speciale per rinunciare al resto pur di portarmi di nuovo a letto?" gli chiese con un tono un po' sarcastico Rinaldo.
"Sì, speciale... sì, sei speciale, perché io ho capito che non so fare a meno di te, ho capito che sono innamorato di te!"
Rinaldo lo guardò stupito. Leonardo sostenne il suo sguardo e ora nei suoi occhi si leggeva un'urgente preghiera.
"Innamorato? E cosa vuol dire per te, essere innamorato? E da quando saresti innamorato? Non me l'hai mai dimostrato, mai, una sola volta. Io ero innamorato di te, altrimenti t'avrei mollato molto, molto prima di quando l'ho fatto. Io ho sopportato il tuo egoismo, la tua disattenzione, la tua superficialità per mesi, perché ero innamorato. E forse avrei continuato a sopportare e a sperare, se almeno di fronte ai tuoi amici... se almeno avessi impedito ai tuoi amici di trattarmi da servo, se vessi preteso da loro che mi rispettassero. Ci hai pure messo un secolo a dire chiaro e tondo che ero il tuo ragazzo. Ma a parte dirlo, non mi hai mai trattato come se fossi stato il tuo ragazzo. E adesso... te ne vieni fuori a piagnucolare, a chiedermi di dimenticare, di riprovarci... e dirmi che ti sei svegliato un giorno e hai capito che sei innamorato di me! Innamorato! Non ti credo. L'unica cosa buona che ho avuto da te, è stato il tuo affetto per Marco. Quello sì, lo ammetto. Ma anche quest'unica cosa buona s'è rivelata per una cosa sbagliata. Marco continua a piangere e a chiedere di te. Non aveva mai pianto, prima di conoscerti, era un bambino sereno, allegro, felice di vivere. Avevamo una vita difficile, ma eravamo contenti, prima di venire a vivere da te."
"Dammi almeno la possibilità di dimostrarti che ora sono cambiato, per favore..."
"Non posso, lo capisci? Non posso perché io non ti credo e non posso perché per Marco sarebbe ancora peggio rivederti e poi perderti di nuovo. È facile dirmi che sei innamorato, ora. Sì, è troppo facile, ma come posso crederti?"
"Ma che posso fare, come te lo posso dimostrare, se tu non vuoi provarci di nuovo, se tu non mi dai la possibilità di ricominciare tutto da capo?"
"No, il rischio è troppo grande, sia per me che, soprattutto, per Marco. E lo sai bene che non puoi riprovarci con me senza coinvolgere Marco, perché lui e io non ci separeremo mai, almeno finché non sarà abbastanza grande per decidere di farsi la sua vita. Quando avrà diciotto anni, e se sarà e vorrà essere indipendente, allora rischierò solo del mio. Sei disposto di aspettare una quindicina di anni? Io no. Perciò è finita. Devi rassegnarti, come sto cercando di rassegnarmi io."
"Stai cercando di rassegnarti... Perciò... tu sei ancora innamorato di me." mormorò Leonardo.
"Purtroppo sì, ma spero che mi passerà... come spero che si rassegnerà anche il mio Marco ad averti perso... e allora torneremo finalmente a essere sereni di nuovo, felici, tutti e due."
"Cosa devo fare per convincerti che sono davvero innamorato di te? Cosa posso fare? Dio, se fosse possibile, ti sposerei..."
Rinaldo fece una risatina amara: "Quanti si sposano senza essere innamorati!"
"E che posso fare, allora? Come posso dimostrartelo? Per te rinuncerei a qualsiasi cosa..."
"Bum! Per avermi? Per portarmi a letto? Ma come pretendi che possa crederti?"
"No, per farti felice, per fare felice te assieme a Marco."
"Lasciamo da parte Marco, per il momento. Non credere che puoi usare lui per far cambiare idea a me. Una delle cose per cui m'ero innamorato di te era proprio il tuo rapporto con Marco. È stato il tuo cavallo di Troia... non succederà la seconda volta. Lascia fuori Marco da tutto questo."
"Non ho usato Marco per raggiungere te. All'inizio credevo che, proprio perché avevi un figlio, non potevo illudermi che io e te ci si sarebbe potuti mettere assieme. No, Marco non è stato il mio cavallo di Troia. È piuttosto la tua tenerezza, il tuo amore per Marco che mi ha fatto apprezzare quello che sei, oltre alla tua bellezza. Se non avevi Marco, sicuramente ci provavo con te, la prima volta che t'avevo visto, e molto probabilmente tu saresti stato solo uno fra i tanti ragazzi con cui mi sono divertito. Comunque, d'accordo, lasciamo da parte Marco, ora. Ma che vuoi che faccia per dimostrarti che ti amo, che ti amo davvero? Che posso fare per convincerti a riprovare?"
"Niente. Non siamo in una favola in cui il principe deve superare tre prove per avere la mano della principessa."
"Ma se tu sei ancora innamorato di me, ora, perché rifiuti il mio amore? Ci ho pensato ogni giorno, sai, da quando ho capito che anche io ti amo, e sono sicuro di non sbagliarmi. Dammi la possibilità di dimostrartelo."
"Impossibile, senza ricominciare a vivere assieme. Ma è impossibile vivere assieme, finché non sono convinto che sei onesto."
Erano ancora in piedi, ritti uno di fronte all'altro. Leonardo abbassò lo sguardo, sembrò incurvarsi lentamente, poi però si erse di nuovo, guardò di nuovo Rinaldo negli occhi e gli disse, con un tono fermo, anche se ancora di preghiera: "Sediamoci un attimo su quella panchina. Devo fare una telefonata urgente, poi ne riparliamo, se vuoi."
Rinaldo lo guardò un po' sorpreso, ma andò a sedere sulla panchina a fianco a Leonardo. Questi estrasse il telefonino dalla tasca e compose un numero. Sedeva eretto, guardava davanti a sé il punto del prato su cui tante volte aveva visto Rinaldo e Marco giocare, su cui tante volte s'era unito a loro a parlare e a giocare col piccolo.
"Sì, Marta, sono Leonardo. È in studio mio padre? Bene, me lo passi per cortesia. Sì, grazie... Papà? No, non sono andato a dare l'esame... No... avevo qualcosa di più importante da fare... Ti ho chiamato proprio per questo... Sì, certo che è una cosa seria... Mi sono innamorato di un ragazzo e... Un ragazzo, sì, un maschio e... Gli insulti lasciali per dopo, e stammi a sentire... Mi stai a sentire? Bene. Sto cercando di convincerlo a mettersi con me... sì, a venire a vivere a casa mia... D'accordo, l'affitto lo paghi tu, lo so... Se devo lasciare casa, la lascio, ma voglio vivere con lui... E anche se devo lasciare gli studi, non me ne frega un cazzo, capito? Sono maggiorenne, papà, so quello che faccio... No... No, so quello che faccio, se lui mi vuole, tutto il resto non mi importa... Fai quello che ti pare... Dovevo dirtelo, non volevo farlo alle tue spalle... Ma no, sono anni che sono gay, papà, non m'ha dato di volta il cervello all'improvviso... Le ragazze non me lo fanno rizzare, chiaro? E... Va bene papà. Ne parli tu in famiglia o vuoi che telefono io? Va bene. Ciao."
Rinaldo lo guardava con occhi sgranati. "Era davvero tuo padre?" gli chiese quasi sottovoce.
"Vuoi controllare?" gli chiese porgendogli il telefonino.
"No... no... ti credo... perché l'hai fatto?"
"Non avevo nessun altro modo per dimostrarti che ti amo, che ti amo più di ogni cosa. Che per me sei più importante della mia casa, dei miei studi... della mia famiglia... di tutto!"
"Ma... e se io ti dico ancora di no, hai perso tutto senza avere me. Ne valeva la pena? Tu sei pazzo..."
"Chi è innamorato, non è forse pazzo?" chiese Leonardo sottovoce.
"Non lo so... Ma tu di sicuro sei pazzo." ripeté Rinaldo in tono sommesso, scuotendo il capo.
"E tu non vorresti provarci di nuovo con uno pazzo come me?"
"Leonardo..." iniziò a dire. Era la prima volta che pronunciava il suo nome. "non so che dirti... M'hai... scombussolato. Tu che pareva che ti vergognavi di dire agli amici, persino a quelli gay, che ero il tuo ragazzo..."
"Ci credi, adesso, che sono innamorato di te?"
"Io... io, Leo..."
Il telefonino, che Leonardo aveva ancora in mano, suonò la sua musichetta. Leonardo guardò il display. "È mia madre. Scommetto che papà le ha già detto..." disse e portò il telefonino all'orecchio.
"Sì, mamma? Sì... Ti puoi immaginare se scherzavo su una cosa così... Un maschio, sì, è qui vicino a me... Ma no, siamo in un parco... No mamma, sono innamorato di lui, non voglio fare porcate con lui... certo che ci voglio andare anche a letto, tu non ci vai con papà anche se non siete innamorati? Tu... Ma, mamma, e che me ne frega di cosa possono dire le tue amiche! Non è colpa mia se sono gay... Da sempre mamma, si nasce gay, non si diventa gay... No, è più giovane di me... No, non mi ha sedotto, mamma... E va be', quando volete lascio l'appartamento e... Meglio barbone che falso, mamma. Comunque un lavoro lo troverò... Anche i lavacessi sono utili, mamma... Non ci potete fare niente... Non è una malattia, mamma... E pensala come ti pare, comunque sono maggiorenne, non ci potete fare niente... Sì, vuoi anche sapere cosa abbiamo fatto a letto? Se vuoi... Ma no, sei tu che fai certi discorsi... Sei tu che m'hai chiamato... Certo che ho deciso, non torno indietro... Meglio, così passo più tempo con lui, se lui vuole... No, mamma, non sono ingrato... Che c'entra? Non vi sto rinfacciando niente, mi pare... No, mamma, nessuna intenzione di provarci con una ragazza, non servirebbe a niente... No, mamma... Va bene, fatemi sapere cosa avete deciso... magari per lettera, se vi dà tanto fastidio parlare con me... Ciao."
"E adesso?" gli chiese Rinaldo con un filo di voce, sconvolto dall'evolversi degli eventi.
"E adesso... dipende solo da te. Se ci vuoi pensare ancora... il mio numero di telefono lo sai, il mio indirizzo lo sai... almeno finché papà mi paga l'affitto. Adesso non posso che aspettare e sperare."
"E se il mio fosse ancora un no?"
"Avrò imparato a essere più onesto e riflessivo, se in futuro mi dovessi trovare di nuovo di fronte a un ragazzo che amo e che mi ama... Sarà stata una lezione che mi sono meritato... Che altro, se no? E poi... no, sai? Non sono pazzo adesso, sono stato stronzo prima. Sto solo rimettendo le cose a posto. Sperando che non sia troppo tardi, per aggiustare le cose fra te e me."
Il telefonino suonò di nuovo. Leonardo guardò il display.
"Ancora i tuoi?" chiese Rinaldo.
"No, un mio compagno di corso... Ti dispiace se sento che vuole?"
Rinaldo scosse la testa. Leonardo rispose.
"Sergio? Sì... Non che non sto male, sto benissimo... Lo darò alla prossima sessione... No, ho preferito passare la mattinata col mio ragazzo che non vedevo da un pezzo... Sì, hai capito bene... Sì, sono frocio, e allora? Ti sconvolge tanto scoprire che... No che non ti prendo per il culo, Sergio... E va be', fatevi due risate alle mie spalle, no? Sai che me ne... Stai tranquillo, finché ho il mio ragazzo non serve che ti metti le mutande di latta, e comunque non sei il mio tipo... Sono frooociooo, la vuoi capire? Sono... Oh, finalmente! E che cazzo me ne frega? Certo che lo puoi dire, puoi anche mettere i manifesti oppure fare volantinaggio in facoltà, per quello che me ne frega. Anzi, almeno mi risparmi la fatica di... Oh, finalmente! Certo che sono cazzi miei... Ciao Sergio, ci vediamo, se non ti disturba troppo avere un amico frocio. Ciao."
Rinaldo scuoteva di nuovo la testa, quasi incredulo: "E adesso? Hai solo da mettere un avviso sulla bacheca a pianterreno di casa tua..."
"Forse dovevo farlo molto prima, Rinaldo. Non mi vergognavo di te, ma ero così cieco da non capire che non potevo... non dovevo vergognarmi di quello che gli altri potevano pensare di me. Sono stato una testa di cazzo, te l'ho detto. Ma adesso mi sento un po' meglio, mi sono tolto un peso dallo stomaco. E se tu... se te la senti di rischiare ancora una volta con questa testa di cazzo..."
Per tutta risposta Rinaldo si girò verso di lui, lo abbracciò e lo baciò... e lacrime gli scendevano lentamente.
Due ragazzi che passavano poco lontani gridarono: "A ricchioni!"
Leonardo si staccò da Rinaldo, li guardò e gridò di rimando, ridendo: "Sì, ricchioni, felici e contenti. Vi rode?"
Uno dei ragazzi si fermò e gli gridò: "Ma non vi vergognate a farlo in pubblico?"
"No, perché, tu lo fai in privato?"
L'altro ragazzo strattonò via l'amico, mentre Rinaldo gli diceva: "Adesso non esagerare... amore."
Leonardo tolse dalla tasca il fazzoletto e gli asciugò le lacrime. Il telefonino trillò di nuovo. Leonardo lo spense, mormorando: "Per oggi ho già dato... Torni a casa con me?"
"Adesso?"
"Quando vuoi."
"Marco sarà felice..."
"E tu?"
"Non mi pare ancora vero... Non ci credevo... Non ci speravo... Dio, Leonardo, quanto ti amo! Tu sei tutto pazzo... e io pure, perché ti amo."
"Dio li fa e poi li accoppia, no?"
"Marco sarà felice, finalmente."
"E non mettere in mezzo Marco..." lo celiò Leonardo.
"Sai che sarà sempre in mezzo, pagi uno e porti a casa due, no?"
"Davvero conveniente. Mi è mancato tanto anche lui..."
"Grazie, Leonardo. Ma devi anche dire grazie a Gabriele, è lui che mi ha convinto a venire qui, oggi. E, solo perché gliel'ho chiesto io, non t'ha potuto dire che mi ha ospitato lui in questo periodo, m'ha aiutato a trovare un lavoro, ha convinto le suore dell'asilo parrocchiale a tenermi Marco mentre lavoro. Spero che non ce l'hai con lui se ti ha dovuto mentire..."
"No, al contrario, gli sono molto grato."
"E non c'è stato niente fra lui e me..."
"Non l'ho pensato... e ti credo. Allora, che pensi di fare, ora?"
"Devo andare a casa e dirlo a Gabriele, quando torna dal suo studio... A Marco non dico ancora niente, voglio fargli una sorpresa: quando siamo pronti, ci vieni a prendere tu, d'accordo? Però voglio tenere il lavoro che ho adesso. Sarà un po' scomodo andarci da casa tua, ma preferisco così, anche se avrò meno tempo per fare i lavori di casa..."
"Sarebbe ora che ce li dividiamo in parti uguali, no? E per Marco? Come fai? L'asilo è vicino a casa di Gabriele, immagino, perciò è scomodo, da qui."
"Vedremo... una cosa per volta... E poi, se i tuoi non vorranno più pagarti l'affitto, magari ci troviamo un appartamentino dalle parti di casa di Gabriele. Vedremo. E io che non volevo più vederti! Meno male che Gabriele ha insistito, mi ha convinto."
"E meno male che tu ancora mi volevi bene, non hai avuto tempo di cancellarmi dalla tua vita. Ho rischiato grosso, stronzo che sono!"
"Ehi, giovanotto, non ti permettere di insultare il ragazzo che amo e che mi ama, capito?" lo rimbeccò scherzosamente Rinaldo, guardandolo con occhi innamorati.
"Riusciremo a farla andare bene, questa volta, vero?"
"Credo di sì. L'importante è che ci diciamo tutto prima che diventi troppo pesante e che stiamo a sentire, che cerchiamo di capire, quando l'altro ci parla. Secondo me, amarsi vuol dire innanzitutto capire che cosa possiamo fare per far stare bene, per far essere felice l'altro."
"E non chiederci che cosa l'altro dovrebbe fare per farci star bene, per farci felici. Credo di aver imparato la lezione. Ma come tutte le lezioni, non basta averle capite, bisogna ripassarle spesso per non dimenticarle."
"In due è più facile, ci si può aiutare a vicenda."