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una storia originale di Andrej Koymasky


IL RAGAZZO PADRE CAPITOLO 11
TEMPI DI MAGRA

Rinaldo si sentiva allegro, tornò al lavoro e gli chiesero se avesse vinto un terno al lotto. Rinaldo rispose: "Meglio! Credevo di avere una brutta malattia, ho visto il medico e mi ha detto di essere sano come un pesce! Mi ha detto che i sintomi che sentivo erano solo mie paranoie stupide."

"Ecco perché eri sempre così... triste. Bene, sono contenta per te." gli disse la moglie del padrone. "Potevi andarci prima, dal dottore, no?"

"Avevo l'appuntamento per stamattina con lo specialista, prima non ha potuto ricevermi." rispose allegramente Rinaldo.

Terminato il lavoro, andò a prendere Marco. Il piccolo gli fece un sorriso. Ora che Rinaldo era felice, si accorse anche più di prima quanto la lontananza da Leonardo avesse intristito anche Marco. Provò la tentazione di dirgli qualcosa, ma pensò che, aspettare ancora un po' e far incontrare direttamente Marco e Leonardo sarebbe stato meglio.

"Contento di tornare a casa di Gabriele con papà?"

"Un po'."

"Allora ti piace di più stare in asilo?"

"Un po'."

"Solo un po'? Ma proprio non ti piace l'asilo?"

"Sì, un po' mi piace."

"Cosa ti piace, lì all'asilo?"

"Gli altri bimbi. Sara, Peppe, Usman, Daniela..."

"E chi è Usman?"

"Un bimbo."

"È straniero?"

"No, non è straniero, è algerino." rispose Marco. Rinaldo sorrise e pensò che aveva ragione il figlio, in fondo era solo nato in un posto un po' più lontano degli altri. "E ti piace Usman?"

"Sì, è gentile e buono e sa parlare anche in un modo tutto suo."

"E ti ha insegnato qualche sua parola?"

"Sì... ma adesso non mi ricordo."

Quando Gabriele tornò a casa, s'accorse subito del cambiamento di umore di Rinaldo. "È andata bene, stamattina." disse.

"Sì... grazie a te. Avevi ragione."

"Non l'hai ancora detto a Marco."

"No, gli faccio la sorpresa. Quando viene ad aiutarmi a tornare da lui, si vedranno e io mi godo la scena dei miei due uomini che si ritrovano. Si vogliono molto bene."

"E sei convinto che ti vuole bene..."

"Più tardi ti racconto."

"Sì, certo, quando dorme. Bene, sono contento, anche se mi mancherete."

"Non sei contento che ce ne andiamo? E poi, fra poco dovrebbe tornare Dario, no?"

"Sì, la settimana prossima. Mi ha telefonato proprio oggi in studio."

"Gli hai detto di noi?"

"No, gliene parlerò di persona. Così torni da lui?"

"Sì. Però tengo il lavoro in tipografia e mi piacerebbe che Marco potesse continuare ad andare in asilo qui, visto che si sta ambientando. Sarà un po' scomodo, devo ancora pensare a come fare. Ma non è facile trovargli un posto in un altro asilo. Dovrò solo farlo alzare prima, portarlo qui con me in tram, portarlo in asilo poi passare a prenderlo e tornare a casa in tram. Ma credo che lo possiamo fare. Almeno ci possiamo provare."

"Sì, credo che tu faccia bene a fargli continuare a frequentare questo asilo, se si sta abituando."

Dopo che Marco si fu addormentato, Rinaldo raccontò a Gabriele come era andata con Leonardo, che cosa si erano detti e le tre telefonate a cui aveva assistito. Gabriele lo ascoltava sorridendo e annuiva.

"Bene. Spero che il peggio sia passato, ora. Sono davvero contento per voi, per te e Marco, ma anche per Leonardo. Ora lo stimo più di prima. Ha avuto il coraggio di prendersi in mano la vita."

Rinaldo telefonò a Leonardo e, dato che era già venerdì, decisero di aspettare fino a domenica per fare il trasloco.

"Ti manco?" gli chiese Rinaldo.

"Sì. Ma ora sto bene, stanotte sono riuscito a dormire bene come non riuscivo più a fare da un sacco."

"Presto saremo di nuovo assieme."

"Presto, sì. Ti amo." disse Leonardo.

"Ricordati di dirmelo, ogni tanto. Fa bene al cuore."


Finalmente giunse la domenica mattina. Leonardo aveva detto che sarebbe arrivato a casa di Gabriele verso le dieci. Questi gli disse di fermarsi a pranzo con loro, sarebbero tornati a casa nel pomeriggio.

Quando, alle dieci in punto, il campanello di casa di Gabriele suonò, Rinaldo disse: "Marco, andiamo a vedere chi è?"

Il piccolo lo guardò, prese la mano del padre e assieme andarono ad aprire. Gabriele era alle loro spalle. Quando Rinaldo aprì la porta, c'era Leonardo, con una rosa rossa in mano. Marco urlò con una felicità incontenibile: "Leonardo! Leonardo!" e gli si precipitò addosso, cercando di arrampicarsi su di lui. Leonardo porse la rosa a Rinaldo e aiutò Marco salire su di lui e lo abbracciò. Il piccolo gli coprì di baci tutto il volto, lanciando gridolini di gioia, mentre Leonardo enrtava in casa.

"Sei contento, Marco?" gli chiese. Aveva gli occhi umidi.

"Il mio Leonardo! Dove eri andato?"

"Lontano, tesoro, troppo lontano. Ma sono tornato."

"Papà, Leonardo è tornato. Non vai più lontano, adesso, vero?"

"No, tesoro. E dopo pranzo torniamo tutti a casa."

Marco batté le manine, felice. Rinaldo si accostò e li abbracciò tutti e due, commosso. Andarono a sedere in soggiorno e Marco volle restare sulle gambe di Leonardo, e volle che il padre sedesse "vicino vicino" a loro.

"Grazie, Gabriele, per tutto quello che hai fatto per noi." gli disse Leonardo. "Senza te non so se sarebbe finita bene. Non so come ringraziarti."

"Il più bel grazie, è vedervi tutti e tre assieme." rispose il medico.

"Siamo una bella famiglia, vero?" disse Rinaldo, radioso.

"Sì, davvero, non ho mai visto una famiglia più bella." assentì Gabriele.

Andarono a preparare le valigie, poi si misero a tavola e pranzarono tutti e quattro assieme. Dopo il pranzo Gabriele andò a prendere l'auto e li accompagnò tutti a casa di Leonardo, che era piena di fiori, in tutte le stanze. Gabriele restò un'oretta con loro, poi li salutò e andò via.

"Bentornati a casa vostra, amori miei!" disse Leonardo, poi chiese a Marco, che giocava felice sulla poltrona con i suoi vecchi giocattoli, che aveva trovato sul tavolinetto, in girotondo attorno al vaso pieno di rose bianche ("per Marco" aveva spiegato Leonardo) "Marco, posso dare un bacetto al tuo papà?"

"Sì, dai tanti bacetti al mio papà!" esclamò allegramente Marco.

I due finalmente si baciarono... senza esagerare, dato che c'era il bimbo con loro, ma abbracciandosi stretti per far sentire l'uno all'altro quanto anche i loro corpi erano felici di essersi ritrovati.

Più tardi Rinaldo preparò la cena, mentre Leonardo apprecchiava la tavola e lo aiutava. Poi, messo a letto Marco, quando si addormentò (aveva voluto tutti e due accanto a lui, seduti sul suo lettino, a raccontargli la favola) Rinaldo prese per mano Leonardo e, sorridendogli, lo condusse nella camera da letto.

In silenzio si spogliarono l'un l'altro, si stesero intrecciando le membra e si baciarono, questa volta profondamente, a lungo, con passione.

"Bentornato a casa, amore mio!" gli sussurrò Leonardo.

"Dio, quanto ti amo, Leo... E quant'è bello, potertelo dire, finalmente."

Quando, dopo lunghi e piacevoli preliminari, Leonardo si immerse in lui, Rinaldo, accogliendolo in sé con un sorriso radioso, gli sussurrò: "Bentornato a casa, amore mio!"


Il giovedì seguente, Leonardo ricevette una lettera dal padre. La fece leggere a Rinaldo.

"Leonardo,
ho mantenuto tuo fratello e tua sorella agli studi, onoro la mia parola anche con te. Ho dato ordine di fare un versamento unico in banca, sul tuo conto, equivalente a un anno, che copra le tue spese, calcolate sull'ultimo mensile che ti ho dato. Se ti laurei in tempo, poi sei in grado di mantenerti da solo, diversamente, io non ti devo più nulla. Non è necessario che mi ringrazi, sto solo facendo il mio dovere. Comunque, con la presente, ti comunico che tue visite o telefonate non sono più gradite in questa famiglia.
Nicola Saponaro"

"Molto professionale, eh?" commentò Leonardo quando Rinaldo gli rese la lettera. "Professionale e corretto."

"Mi dispiace, Leo."

"No, a me proprio per niente. E pensavo... questo alloggio è troppo grande, e costa caro in questa zona. E per voi due è scomodo andare avanti e dietro, per me è meno scomodo. Che ne dici se chiediamo a Gabriele di cercarci un alloggetto vicino a casa sua?"

"Anche in quella zona le case credo siano care, forse meno di qui, ma care."

"No, ci sono anche gruppi di case popolari, è una zona mista. Se risparmiamo sui soldi che papà si degna di mandarmi, è meglio. Non è detto che appena laureato io trovi subito un lavoro. Comunque farò del tutto per laurearmi entro l'anno, logicamente."

"I mobili sono tuoi, qui?"

"Sì sono miei... di papà, ad essere onesti, ma li ha comprati per me quando ha trovato questo alloggio, perciò sono miei e non credo che li vorrà lui. Specialmente ora che ha rotto i ponti. Nella lettera non ha parlato dei mobili, perciò presumo di poterli considerare miei."

"Se troviamo un alloggio più piccolo, dovrai scegliere quali mobili portare via. E gli altri?"

"Li regaleremo alla parrocchia per chi ha meno di noi."

"Marco è abbastanza grande, può dormire da solo, ormai. E può dormire in soggiorno, perciò rinunciando anche allo studio, basta un appartamento con due stanze in meno. E abbiamo abbastanza abiti per non aver bisogno di comprarci altri vestiti, tu e io, per almeno uno o due anni, a parte per Marco che cresce a vista d'occhio."

"Sì, faremo economie, amore. Vedrai che tutto andrà bene."

"Finché staremo assieme, noi tre, tutto andrà bene di sicuro. E non dimenticare che io ho il mio stipendio, comunque, e non devi più toglierlo dai tuoi soldi."

Gabriele li aiutò a cercare casa. Ebbero fortuna, dopo meno di un mese si liberò un appartamentino al secondo piano di una casetta che aveva un bar a pianterreno e l'alloggio del proprietario-barista al primo. L'asilo di Marco era a due isolati di distanza, e la tipografia dove lavorava Rinaldo altri due isolati più in là. Con un solo tram Leonardo poteva andare in facoltà. Si trasferirono nel nuovo appartamentino.

In facoltà s'era diffusa la "notizia" che Leonardo aveva dichiarato di essere gay. Non pochi compagni raffreddarono notevolmente i loro rapporti con lui. Pochi lo irrisero o iniziarono a fare battutine quando lo incontravano. Altri non cambiarono minimamente atteggiamento e qualcuno anzi dichiarò che "quello che Leonardo fa a letto e con chi sono cazzi suoi".

Quando Leonardo lo raccontò a Rinaldo, questi disse: "Mi dispiace. Potevi non dire niente a quel tuo compagno, quando t'aveva chiesto perché non eri andato a fare l'esame..."

"No, al contrario, sono contento che s'è sparsa la voce: adesso so chi sono i miei veri amici. E anzi, due o tre m'hanno detto: tu conosci già la mia ragazza, mi farai conoscere il tuo ragazzo, no? E ti giuro, mi sento meglio, adesso che non devo nascondere una parte di me."

Leonardo era veramente cambiato. Pur studiando, forse anche più di prima, e aver mantenuto la media del 29 e mezzo negli esami, faceva i lavori di casa, dividendoli con Rinaldo. E una volta che, a casa di Tullio, s'erano trovati tutti, e Gianfranco aveva detto: "Oh, tesoro, ho visto che ti sei messo di nuovo con la tua cameriera!" Leonardo, d'impulso, gli aveva mollato un ceffone.

Quando Gianfranco aveva protestato, Tullio, il suo uomo, l'aveva messo a tacere: "Te lo sei meritato pienamente a essere così stronzo. Non hai proprio rispetto di niente, tu! Mi chiedo perché non ti ho ancora mandato a quel paese."

"Perché ti piace troppo il mio culetto, tesoro!" aveva risposto inviperito Gianfranco. Ma dopo quel giorno non s'azzardò più a fare battutine su Rinaldo.

Il dodici ottobre festeggiarono il quinto compleanno di Marco. Poiché l'alloggio era veramente minuscolo, chiesero alle suore dell'asilo se potevano fare la festa in un'aula, in modo di invitare gli amichetti e le amichette del piccolo. Le suore dettero il permesso. Alla festicciola invitarono anche Gabriele e Dario che, sapendo che i loro amici stavano tirando la cinghia, regalarono a Marco un bell'assortimento di vestitini e anche le scarpette. Marco aveva cominciato, senza che nessuno glielo chiedesse, a chiamare Gabriele e Dario "zio".

Una delle suore, che aveva sentito il piccolo chiamare "zio" i due, chiese a Marco: "Anche quel signore lì è tuo zio?" e indicò Leonardo.

"No, lui è il mio papà." rispose il piccolo con un grande sorriso.

"Ma no, caro, il tuo papà e lui." gli disse la suora indicando Rinaldo.

"Sì, lui è papà Rinaldo e lui è papà Leonardo." spiegò pazientemente il piccolo alla suora.

La suora fece un risolino e non insistette, pensando che a volte i bimbi sono davvero buffi: chissà cosa voleva dire, in realtà il piccolo...

Rinaldo e Leonardo non avevano sentito questo scambio di battute fra la suora e il piccolo, perciò non si posero nessun problema.

L'anno seguente Leonardo si laureò a pieni voti con una tesi sull'architettura di Gaudí. Rinaldo aveva chiesto una giornata di permesso al lavoro e non aveva portato Marco all'asilo, per assistere alla laurea. Seduto nell'aula magna, fra gli altri parenti dei vari laureandi, Rinaldo aveva Marco sulle gambe. Quando, alla fine della discussione della sua tesi Leonardo ricevette il tradizionale applauso, Marco batté le mani gridando felice: "Leonardo!, Leonardo!" sì che molti si girarono sorridenti a guardarlo.

Una signora seduta accanto a loro, chiese a Rinaldo con un sorriso: "È il papà del bimbo, quello che si è laureato adesso?"

Rinaldo stava per risondere che era un amico, che il papà era lui, ma Marco lo precedette: "Sì, è papà Leonardo!" e Rinaldo tacque.

"Così giovane, e ha già un bel bambino come te!" disse la donna. "E la mamma? Non c'è la mamma?"

"No, io la mamma non ce l'ho." disse tranquillo il piccolo.

"Oh povero caro..." esclamò la donna.

Marco iniziò a dire: "Io però ho due..." però Rinaldo si alzò in fretta interrompendolo: "Andiamo fuori ad aspettare Leonardo, eh, Marco?" e uscì dall'aula magna.

Quando uscì anche Leonardo con gli altri che s'erano laureati nel suo stesso giorno, questi disse a Rinaldo: "Ti va se andiamo a festeggiare con gli amici al bar qui vicino? Loro hanno già prenotato per un rinfresco, e hanno invitato anche noi tre."

"Sì, va bene, tanto ho preso tutta la giornata libera, non c'è nessun problema."

Arrivati al bar, dove avevano prenotato una saletta, i neo-laureati si presentarono a vicenda le loro famiglie. Leonardo disse: "E questo è il mio caro amico Rinaldo con suo figlio Marco."

Uno dei compagni, gli chiese sottovoce: "È il tuo ragazzo, Rinaldo, vero?"

"Sì." gli rispose con un sorriso fiero.

Allora quello strinse la mano a Rinaldo: "Finalmente ti conosco. Leonardo ci ha parlato tanto di te e del piccolo. Sono proprio contento di conoscervi, e adesso capisco perché parlava sempre di voi due. Congratulazioni."

"Grazie. Non ti fa... strano?"

"Anzi! Siete proprio una bella coppia, voi due, e il piccolo è splendido. Davvero Leonardo non esagerava... e è fortunato. Vieni, ti presento la mia ragazza... Lidia, questo è Rinaldo, il ragazzo di Leonardo, e questo è Marco, il figlio di Rinaldo."

La ragazza sorrise ai due e chiese: "Quanti anni hai, Marco?"

"Quasi sei!" esclamò il piccolo, mostrando cinque dita.

"Sai che sei proprio bello? E anche il tuo papà è bello."

"Quale? Rinaldo o Leonardo?" chiese Marco.

La ragazza gli sorrise: "Tutti e due, Marco, sono proprio belli tutti e due, anzi, siete proprio belli tutti e tre!" Poi, rivolta a Rinaldo, gli disse: "Sì, siete una bella famigliola. Complimenti. Non mi hai mai parlato di loro, Giulio."

"Ho conosciuto solo oggi Marco e Rinaldo. Anche se Leonardo mi parlava spesso di loro."

Rinaldo era stupito, ma contento, per la semplicità con cui Giulio e Lidia avevano accettato la loro relazione.

Finito il rinfresco, i tre presero il tram e tornarono a casa. Prima di entrare, Rinaldo disse a Leonardo: "Tu mi hai detto che non volevi nessun regalo per la laurea, perché dobbiamo risparmiare i soldi, ma io ti ho disubbidito, ti ho fatto un piccolo regalo..."

"Cosa?"

"Guarda!" gli disse ed indicò il campanello di casa loro. Sulla targhetta di plastica, invece che "Beraudo - Saponaro" era scritto: "Arch. Saponaro - Beraudo".

"Avevamo deciso che dovevano essere in ordine alfabetico, no?" gli disse Leonardo, sorridendogli.

"Sì, certo, la A viene prima della B, no?"

Erano da poco entrati in casa, quando il telefonino di Leonardo suonò.

"Pronto? Sì sono io... Oh, Tullio, non t'avevo riconosciuto, scusa. Sì, mi sono laureato, siamo appena rientrati... centodieci, ma senza lode... Grazie. Se potevo andare a Barcellona e fare foto originali, forse arrivava anche la lode, ma non importa, va benissimo anche così... Sì, certo che mi piacerebbe, ma... E Gianfranco? ... Ah, non lo sapevo, mi dispiace... Sì, volentieri, sei gentile... Certo, anche dopodomani va bene... Sì, grazie..."

"Cos'è?" gli chiese Rinaldo incuriosito.

"Mi ha offerto di andare a lavorare nel suo studio, almeno finché non mi faccio un nome e posso mettermi in proprio..."

"Fantastico! Ma che c'entra Gianfranco, si sono lasciati?"

"Sì, m'ha detto che ne aveva le scatole piene del suo modo di fare, anche in studio. Dice che l'ha scaricato il mese scorso, anche perché, oltretutto, non è che si stia impegnando nei suoi studi, gli manca un anno di esami e pare che se ne freghi. E dire che abbiamo cominciato architettura assieme, io e Gianfranco."

"Sei contento di andare a lavorare da Tullio?"

"Sì, certo. Il suo studio è un po' scomodo, da qui, ma poco male. E ha lavori interessanti per le mani."

"Non potremmo comprare un'utilitaria? Abbiamo ancora qualcosa in banca e se tu cominci subito a guadagnare, non dovremmo avere problemi."

"Mah, fammi cominciare ad andare a lavorare da Tullio, poi vedremo. I primi tempi posso anche prendere il tram poi l'autobus. Pare che le cose comincino ad andare bene."

"Continuano ad andare bene, amore." lo corresse Rinaldo. "Da quando ci siamo messi davvero assieme, va tutto bene, no?"

"Sì, hai ragione. Da quando mi hai perdonato, la vita è veramente bella."

"Chi non è capace a perdonare, fa solo male a se stesso."

Dopo che Leonardo ebbe dato anche l'esame di stato, Tullio lo assunse regolarmente nel suo studio, come collaboratore. Gli piaceva lavorare con Tullio, e questi era contento di come lavorava Leonardo. La paga era buona, poterono comprarsi un'utilitaria e anche il televisore.

Si trovavano spesso con Gabriele, Dario, che frattanto s'era laureato e che ora lavorava come avvocato in una compagnia internazionale di assicurazioni, e che si era trasferito definitivamente a casa di Gabriele, e con Tullio, che era ancora senza ragazzo. Anche alcuni ex compagni di corso di Leonardo, con le loro ragazze o mogli facevano parte del giro di amici che frequentavano.

Una sera, dopo aver fatto l'amore, Leonardo disse a Rinaldo: "Che ne dici se ci troviamo un appartamento più grande e comodo, ora che ci sono più soldi in casa?"

"Secondo me, per ora, stiamo ancora bene qua e possiamo mettere da parte un po' di soldi. Quando potrai aprire il tuo studio, possiamo prendere qualcosa di più grande, magari studio e appartamento assieme o vicini."

"Io sto molto bene con Tullio, e pensavo che, se lui, come mi ha già accennato, mi propone di diventare soci, mi piacerebbe continuare a lavorare con lui."

"Allora, aspettiamo che sia ora che Marco vada alle elementari. L'anno prossimo è già ora. Che ne dici?"

"Sì, hai ragione, è meglio lasciargli finire l'asilo dove è ora, almeno fa un solo cambiamento e non due."

"Non m'avevi detto che Tullio t'aveva proposto di diventare soci."

"Non me l'ha veramene proposto, ha solo fatto un accenno. Pochi giorni fa ha detto che se continuo a lavorare così, o mi metto in proprio o potremmo diventare soci. Poi però non è più tornato sull'argomento. Non credo che l'abbia detto così, tanto per dire; non è il tipo."

"Peccato, però, che è solo, adesso. Nel giro di amici siamo tutti appaiati, solo lui è single. È un tipo in gamba, Tullio."

"Credo che ora che è di nuovo libero gli piaccia un po' saltare la cavallina. Certo che è rimasto molto deluso da Gianfranco, sia sul piano professionale che sul piano personale. Un giorno m'ha detto che ormai fra loro due c'era solo sesso e neanche poi eccezionale: Gianfranco stava diventando sempre più effeminato, scheccava coma una matta isterica anche in studio, davanti a clienti e impiegati... Così alla fine gli ha dato il benservito." disse Leonardo.


Per Natale Tullio dette un party nel suo studio: erano invitate una ventina di persone. Leonardo e Rinaldo l'avevano aiutato a far spazio e a decorare. Fra gli invitati c'erano anche Lidia e Giulio che frattanto s'erano sposati. Entrambi fecero molte feste a Rinaldo, Marco e Leonardo, e dissero loro che una domenica dovevano andare tutti e tre a pranzo a casa loro.

Quando tornarono a casa, Marco era carico di regali. Ognuno degli invitati, avendo saputo che c'erano anche tre bambini fra cui Marco, avevano portato regali per i piccoli.

Marco allineò tutti i regali sul tavolo della cucina e cominciò a dividerli in due gruppi. Poi li guardò, spostò e scambiò di posto alcuni regali, osservò di nuovo attentamente i due gruppi, poi chiamò: "Rinaldo, Leonardo!"

I due, che stavano guardando la TV nell'altra stanza, andarono in cucina.

"Quale è più bello, tutti questi o tutti quelli?" chiese il bambino.

I due guardarono la divisione che aveva fatto Marco, poi Leonardo disse: "Mah, è difficile dire quale è più bello, sono belli tutti e due. Vero, Rinaldo?"

"Sì, sono d'accordo. Perché, Marco?"

"Usman ha detto che a lui non fanno i regali di Natale, perché da lui non va Gesù Bambino. Allora, io ne ho tanti e volevo darne metà a Usman..."

"Sei un tesoro, Marco. Credo che Usman sarà molto contento." gli disse Rinaldo.

"Ma perché da Usman non va Gesù Bambino e neanche Babbo Natale? È buono, Usman."

"Vedi, Marco, la famiglia di Usman non va in chiesa, ha un'altra religione, un dio un po' diverso dal nostro. E perciò non fanno neanche festa per Natale. Però fanno festa per il nuovo anno come noi, perciò glieli puoi regalare per il nuovo anno, se vuoi." spiegò Leonardo.

"E quale dei due gruppi gli vuoi dare?" gli chiese Rinaldo.

"Uno dei due, se sono belli uguali. Gli do questo, a lui piacciono le astronavi."

Rinaldo e Leonardo abbracciarono Marco. "Sai che ti vogliamo tanto bene, ometto?" gli disse Leonardo.

"Sì che lo so." ripose Marco e dette un bacione con lo schiocco a ognuno dei due, sulla punta del naso, come non aveva perso l'abitudine di fare, poi rise felice, cercando di abbracciarli tutti e due con le sue piccole braccia.

Andarono tutti e tre a trovare Usman e a portargli i regali. I due bimbi erano felici. Il padre e la madre di Usman li fecero accomodare in cucina e vollero offrire loro un caffè arabo.

"Siete stati molto gentili, noi non abbiamo abbastanza soldi per comprare anche giocattoli ai nostri figli." disse il papà di Usman.

"L'idea è stata di Marco: aveva ricevuto molti regali e ne ha voluto dare la metà al suo compagno d'asilo. Ha fatto tutto lui. E noi siamo contenti."

"Ma... non ho capito, chi di voi due è il papà di Marco?" chiese l'uomo.

"Lui." rispose Leonardo. "Io sono solo un caro amico di famiglia e una specie di vice-padre di Marco."

L'uomo annuì: "Ecco perché Usman continuava a dire che Marco ha due papà e non ha la mamma. È morta?"

"No, ma è come se lo fosse: se n'è andata di casa quando Marco aveva sei mesi, non le interessava niente del figlio." spiegò Rinaldo.

Il papà di Usman scosse il capo: "Di solito sono i padri mascalzoni che lasciano i figli, non le madri. Ma lei... non pensa a trovare un'altra mamma per suo figlio?"

"No, mi basta Leonardo." rispose Rinaldo.

L'uomo ebbe come un lampo di comprensione negli occhi, ma non disse niente, né il suo sorriso si spense o cambiò. Poi, a confermare che aveva capito, disse: "Voi, qui in Italia siete più liberi. Da noi non potrebbe succedere. Qui in Italia si sta bene. All'inizio pensavo di fare un po' di soldi e poi tornare, ma credo che resteremo, i nostri figli crescono meglio come italiani che come algerini."


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