DUE VOLTE STRANIERI CAPITOLO 5
IL FIORIRE DI UN'AMICIZIA

Quando Elias e Itzhak iniziarono la prima liceo, scelsero di sedere in due banchi vicini in seconda fila. Mentre aspettavano che arrivasse in classe il professore, si raccontarono brevemente come avevano passato le vacanze, tacendo logicamente le esperienze o le aspettative erotiche, in quanto ognuno dei due era convinto che l'altro non fosse gay.

Non è che i due ragazzi fossero improvvisamente diventati amici, ma si consideravano ora alla pari degli altri compagni di classe, senza pregiudizi, e poiché la nuova prima era composta da allievi provenienti da diverse quinte ginnasio, i ragazzi tendevano istintivamente a sedere accanto a compagni che già conoscevano. Elias e Itzhak erano stati messi nella sezione A; Pierfranco, invece era stato messo nella sezione B.

"Hai visto, quest'anno iniziamo a studiare filosofia." disse Itzhak.

"Sì. Ho provato a sfogliare il libro... pare interessante, ma sono più contento che cominciamo a studiare anche storia dell'arte. Peccato che abbiamo solo un'ora alla settimana. Anche scienze naturali è nuova e non abbiamo più geografia. Peccato però che non abbiamo più il professor Mastella." rispose Elias.

"Peccato che Pierfranco l'hanno messo in B, vero?"

"Sì, mi piaceva andare a studiare a casa sua. Da me c'è sempre casino, siamo in troppi e dovevo studiare in cucina... Tu dove studi, Itzhak?"

"Ho la scrivania nella mia camera da letto... io vorrei che da me ci fosse più casino, invece. Il nonno è vecchio, sta spesso poco bene, e la nonna deve occuparsi di tutto, e anche lei non è più così giovane..."

Entrò una professoressa e tutti i ragazzi sedettero ai loro posti.

"Ragazzi, benvenuti in prima liceo. Io sono la vostra insegnante di scienze naturali e come potete vedere dall'orario, dovremo passare quattro ore assieme ogni settimana. Affronteremo assieme lo studio della botanica e della zoologia attraverso analisi descrittive comparative sia di piante e sia di animali, ed eseguiremo le prime elementari indagini di meccanica fisiologica sì da intendere la concezione evolutiva della vita. Quando andremo in laboratorio avrete la possibilità di fare le prime osservazioni al microscopio. Per la chimica vi introdurrò ai problemi della costituzione atomica della materia, delle forme e delle leggi delle combinazioni, e dei simboli e delle equazioni adeguate a significare tali leggi e combinazioni, nonché della classificabilità degli elementi in serie analoghe. Vi fornirò poi nozioni di mineralogia di modo che..."

I ragazzi la studiavano, chiedendosi che tipo fosse. Non era molto alta, doveva avere sui quarantacinque anni, era molto curata e aveva un trucco leggero sul volto rotondetto circondato da una vaporosa messa in piega. Dava l'impressione di essere una persona pignola e parlava in modo ricercato.

Itzhak, con la coda dell'occhio, vide che Elias un po' guardava la professoressa, poi pareva prendere appunti. Si girò a guardare e vide che in realtà il compagno stava facendo un ritratto un po' caricaturale della loro nuova insegnante. Sorrise e tornò a prestare attenzione a quanto questa diceva.

Quando vi fu il cambio degli insegnanti Itzhak chiese al compagno: "Mi fai vedere la caricatura della profe?" Elias gli mostrò il foglio. "Sei in gamba, io non so disegnare così bene."

"Mi è sempre piaciuto scarabocchiare, fin da piccolo. Copiavo i disegni dei fumetti e mi facevo le mie storie."

"Non ti sarebbe piaciuto fare il liceo artistico, allora?"

"No, preferisco il classico. E comunque cominciamo finalmente a studiare storia dell'arte. A me l'arte piace guardarla e capirla, non farla... un po' come la musica."

"Io invece sono affascinato dalla filosofia, alle risposte che i filosofi hanno dato ai perché dell'esistenza, della vita."

"Cogito ergo sum? Gnote se auton?" gli chiese Elias sorridendo. "Io ho paura che studiare quelle cose mi farà venire il mal di testa, invece."

"Ma non ti chiedi mai perché sei al mondo?" gli chiese Itzhak.

"Perché dovrei chiedermelo? Lo so già, non te l'hanno ancora spiegato a te? Sono al mondo perché papà e mamma hanno fatto l'amore, no?" gli rispose e rise insieme al compagno.

Man mano che i mesi proseguivano, i due ragazzi imparavano a conoscersi meglio e ad apprezzarsi sempre più, a trovarsi reciprocamente simpatici. Era un cambiamento graduale, a piccoli passi quasi impercettibili. Ma durante gli intervalli Elias andava a cercare il suo amico Pierfranco e li passava con lui, mentre Itzhak di solito restava in classe a chiacchierare con i compagni.

Un giorno, dopo la lezione di religione in cui si era parlato di Gerusalemme come "luogo sacro per le tre religioni monoteiste", Itzhak chiese ad Elias: "Ti va se ne parliamo fra noi due?"

"Di cosa? Di Gerusalemme?"

"Sì. Gli israeliani non rinunceranno mai a Gerusalemme est, al Monte del Tempio con il muro del pianto, ai luoghi sacri della nostra religione e a Gerusalemme come capitale di Israele. E gli arabi e i palestinesi non vogliono rinunciare a Gerusalemme capitale, ai loro luoghi sacri, al Monte del Tempio con la Spianata delle Moschee, eccetera... Tu come la vedi? Ti va di parlarne con me?"

"Beh... sì... E non dimenticare le basiliche cristiane. Un bel casino. Tutti rivendicano i loro diritti e non ci vogliono rinunciare. Se il vostro Barak non faceva la sua provocatoria passeggiata, con una scorta armata, sulla Spianata delle Moschee... e se gli arabi non gli tiravano sassi e la scorta non sparava con i mitra... forse non scoppiava di nuovo l'intifada."

"Non c'è una soluzione, secondo te? Io ne ho pensata una e volevo sapere cosa ne pensi tu..."

"Oh, tutti pensano sempre a tante soluzioni, ma finché non c'è buona volontà... da tutte le parti... Finché ognuno pensa ai suoi diritti e se ne frega di considerare i diritti degli altri... Io sono pessimista."

"Io penso che se tutta l'antica città, con una zona intorno che comprenda il Santo Sepolcro, il Monte di Sion, la Città di David e il monte dgli Olivi non dovrebbe appartenere né a israeliani né a palestinesi, ma a un organismo internazionale formato dai rappresentanti delle tre religioni, essere extraterritoriale un po' come il Vaticano a Roma, sotto la protezione dell'ONU, con la polizia formata da soldati dell'ONU, e essere una città aperta a tutti, senza nessuna restrizione. Il resto della città dovrebbe essere diviso in due, Grusalemme Est come capitale della Palestina e Gerusalemme Ovest come capitale di Israele. Non credi che potrebbe funzionare?"

"Mah... sì... se solo ognuna delle due parti fosse disposta a rinunciare a qualcosa. Ma poi, chi sceglierebbe i rappresentanti delle tre religioni? Sia noi cristiani che voi ebrei che i musulmani siamo divisi in tante sette, chiese, gruppi e osservanze che non è che vadano d'accordo neanche fra loro."

"Tu vedi un'altra possibile soluzione? So che nessuna è perfetta, ma bisogna pur trovarne una che funzioni, no? E poi, che senso ha che per controllare un luogo sacro si sacrifichino tante vite? Non è più sacra una sola vita umana che mille pietre sacre?"

"Una soluzione come dici tu ha solo due possibilità di funzionare: o palestinesi e israeliani smettono di farsi la guerra e si mettono d'accordo, o viene imposta da una forza esterna, ma in questo caso tutti si sentirebbero derubati... e prima o poi tutto salterebbe nuovamente in aria. Sia gli estremisti ebrei che quelli palestinesi vogliono tutto, non sono disposti a nessun compromesso, non sono disposti a nessuna concessione." disse Elias scuotendo il capo.

"Bisognerebbe costringerli a mettersi intorno a un tavolo, come aveva fatto con noi il professor Mastella... magari all'inizio si rinfaccerebbero i drammi subiti, come è successo fra me e te, ma poi forse comincerebbero a ragionare. Come abbiamo fatto noi due."

I due ragazzi non avevano più problemi a stare assieme. Per entrambi le lezioni di educazione fisica, e specialmente quando, alla fine, facevano la doccia, erano i momenti in cui in segreto si ammiravano l'un l'altro. Elias era più agile e veloce, era un piacere vederlo arrampicarsi sulle pertiche o sulle corde, o saltare gli ostacoli o la cavallina. Itzhak invece aveva più resistenza e un notevole senso dell'equilibrio: primeggiava nell'asse di equilibrio, negli esercizi agli anelli, sulle parallele. Entrambi erano piuttosto in gamba nei giochi di squadra, come pallavolo.

Quando andavano a fare la doccia, infine, si guardavano con ben celato desiderio. Itzhak si sentiva attratto, più di ogni altro, dal corpo di Paolo Bottega, ben sviluppato e forte, e da Leonello Derossi, che stava sviluppando un corpo quasi scultoreo. Ma anche Elias lo attraeva sempre più, sul piano fisico: aveva un corpo snello e flessuoso, dolce e forte a un tempo, e la sua pelle ambrata lo rendeva particolarmente attraente.

Per Elias, nella sua classifica, primo veniva Luciano Monetti, un ragazzo solido e con un membro di buone dimensioni, non troppo grosso, liscio, perfetto nella sua forma e dimensioni. Itzhak veniva buon secondo, a ruota, col suo corpo da nuotatore, ed un culetto delizioso, piccolo e sodo. Per terzo ammirava anche lui Paolo Bottega...

Nessuno dei due ragazzi osava palesare le proprie preferenze, far intuire la pena e delizia nel dover ammirare ma non poter toccare i corpi dei compagni che amiravano fisicamente, che desideravano in segreto.


Un giorno, durante l'ora di religione, qualcuno aveva sollevato il problema dell'omosessualità. S'era innescata un'accesa discussione, molti pregiudizi erano emersi, la classe s'era spaccata in due, alcuni che affermavano che l'omosessualità era normale, altri che dicevano che era una malattia, un'anormalità. Itzhak ed Elias erano fra i pochi che non avevano preso una posizione netta: entrambi avevano paura di esporsi troppo.

Quando furono interrogati direttamente da qualche compagno, durante la discussione, Elias aveva detto: "Secondo me se non fanno male a nessuno, non vedo perché i gay non devono essere lasciati in pace a vivere come vogliono. Anche se uno è diverso da me, non vedo perché lo dovrei disprezzare. E pedofili e omosessuali non sono la stessa cosa: la maggioranza dei pedofili è eterosessuale."

Itzhak invece disse: "Io so che nei lager nazisti non solo milioni di ebrei sono stati ammazzati perché ebrei, ma anche zingari, testimoni di Geova e omosessuali. Il disprezzo, il considerarli esseri inferiori ha portato a questa mostruosità. Io diffido di chiunque cataloga un altro come un essere inferiore, malato, deviato, diverso."

L'insegnante, dopo averli lasciati discutere a lungo fra loro, concluse: "Da più di trenta anni le organizzazioni internazionali di medici e della sanità hanno dicharato che l'omosessualità non è una malattia fisica, quindi non ha senso pretendere di curarla. Da circa venticinque anni le associazioni di psichiatri e psicologi hanno dichiarato che l'omosessualità non è un disordine o una malattia mentale e hanno anche dicharato che le pratiche che pretendono di curarla non solo non hanno effetto, perché è inutile tentare di curare ciò che malattia non è, ma addirittura causano gravi danni alla psiche di una persona omosessuale.

"Alcune religioni o gruppi religiosi, soprattutto cristiani, ebrei e musulmani, definiscono l'omosessualità un disordine morale, un peccato di fronte a Dio. Questo vincola chi crede in queste fedi e intende seguirle, ma non può vincolare gli altri. Il concetto di peccato non è un concetto universale, riguarda solo le comunità di credenti e non deve essere imposto in chi non condivide quella fede. Per un musulmano o un ebreo è proibito mangiare carne di maiale: deve questo essere imposto anche a chi ebreo o musulmano non è? Per il buddismo, l'induismo e altre religioni, il problema dell'omosessualità o del peccato, non esiste del tutto.

"La religione cattolica proibisce il divorzio, l'aborto, l'uso dei contraccettivi e anche l'omosessualità. La società italiana in forte maggioranza non ha seguito l'insegmanento della chiesa e ha votato a favore di divorzio e aborto, e fa largo uso di contraccettivi. Perché? Perché il cattolicesimo insegna che l'ultimo giudice sul bene o il male di una cosa, sulla necessità o meno di seguire un precetto, è la propria coscienza. Chi crede che il divorzio sia un male, non divorzia. Chi crede che usare un contraccettivo sia un male, non lo usa. Ma non ha nessun diritto di obbligare gli altri a seguire le proprie scelte.

"Un tempo la chiesa cattolica negava i funerali religiosi ai suicidi, in quanto reputati rei di un peccato mortale. Oggi ha cambiato atteggiamento, e anche un suicida può avere un funerale in chiesa. Aveva ragione allora o ha ragione oggi? Le verità immutabili della fede cattolica sono quelle contenute nel Credo: chi non le condivide non può considerarsi parte viva della chiesa. Tutto il resto è soggetto a evoluzione, a cambiare, perché sono solamente interpretazioni, per quanto autorevoli..."

Sia Itzhak che Elias pensavano poco all'aspetto morale-religioso del loro essere gay. Entrambi i ragazzi si erano accettati tranquillamente, senza porsi troppi problemi. Entrambi, in modo e per vie diverse, era giunto alla conclusione che il loro essere gay non danneggiava nessuno, perciò non poteva essere un male. L'unica cosa che pesava un po' a entrambi era la necessità di doverlo tenere segreto, di non poter vivere la propria sessualità apertamente come facevano i loro compagni eterosessuali.

L'insegnante di religione concluse: "Come in ogni classe, è molto probabile che anche fra di voi vi siano alcuni ragazzi che vivono in segreto la propria omosessualità. Ebbene, io voglio che questi vostri compagni e voi tutti sappiate una cosa: io li rispetto e sono pronto a schierarmi dalla loro parte se chiunque altro non li rispettasse. Ricordatevi che Gesù non ha pronunciato una sola parola di condanna nei confronti degli omosessuali, ma è stato assai severo verso chi non rispetta il prossimo."

Prese il vangelo e lo aprì, sfogliò alcune pagine ed iniziò a leggere: "Io vi dico: chiunque si adira contro il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: cretino, sarà sottoposto al supremo tribunale; e chi gli dice: rinnegato, sarà sottoposto al fuoco dell'inferno." chiuse il libro e continuò: "In altre parole, chi non rispetta gli altri è gravemente colpevole. Invece delle parole adirarsi, cretino e rinnegato, mettete le parole: chi disprezza, dà del frocio, condanna una persona perché, per esempio, ha una sessualità diversa dalla sua, o per altre ragioni, è degno di andare all'inferno."

Il campanello di fine ora suonò e, poiché era l'ultima lezione della mattinata, tutti si precipitarono a prendere le loro cose per tornare a casa.


Man mano che l'anno scolastico progrediva, i due ragazzi si sentivano sempre più vicini, si stimavano e rispettavano sempre più, avevano un crescente piacere nello stare assieme: in una parola, si stava gradualmente sviluppando fra i due una vera amicizia.

Questo li portava anche a sentirsi sempre più attratti uno verso l'altro anche fisicamente. Se anche ognuno dei due non corrispondeva al cento per cento all'ideale fisico che aveva, pur piacendosi a vicenda, l'amicizia crescente li fece guardare all'altro con occhi diversi, sì che presto sia Itzhak per Elias, sia Elias per Itzhak, conquistarono il primo posto sia nella segreta ammirazione nelle doccie, sia nelle loro fantasie erotiche.

Di questo si accorsero entrambi i ragazzi, anche se in modo diverso.

Nonostante il vicino di casa di Itzhak avesse la ragazza, di tanto in tanto ancora lo invitava a casa sua per "divertirsi" assieme. Come altre volte, prima di andare a giocare con i videogiochi di Graziano, andavano sul suo letto e si davano reciproco piacere, prendendosi a turno.

Una volta, mentre Itzhak lo prendeva alla pecorina, quando al culmine del piacere, chiudendo gli occhi e rovesciando indietro il capo lo tirò a sé e gli si scaricò dentro, esclamò con voce bassa e roca: "Elias... oh, Elias..."

Quando sciolsero la loro stretta connessione, Graziano gli chiese: "E chi sarebbe questo Elias? Uno con cui fai queste cose?"

Itzhak arrossì: "No... è un mio compagno di classe, il mio vicino di banco, ma lui non è gay."

"Ma ti piacerebbe, eh? Sai che potrei offendermi che mentre fottevi me pensavi a lui?" quando vide che Itzhak arrossiva di nuovo, gli disse ridendo: "Ma no, scherzavo. È bello, questo Elias?"

"Sì, mi piace molto, ma mica solo di corpo. Stiamo diventando sempre più amici."

"E perché non ci provi? Magari è gay pure lui, o bisessuale come me, e magari ci sta a farlo con te."

"No, non mi va di rischiare. E poi credo proprio che non gli interessino i ragazzi. E poi lui un giorno ha detto che anche se i gay sono diversi da lui non li disprezza, perciò lui non è gay."

"Vai ancora nella discoteca gay, tu? Io no, adesso vado nelle discoteche etero con la mia ragazza."

"Sì, qualche volta ci vado."

"E lì, azzecchi qualche bel ragazzo?"

"Di rado. Forse sono troppo timido. Però mi è capitato di fare qualche sveltina nella dark room. C'è anche chi lo va a fare nei cessi, ma a me non piace."

"Beh, a letto è meglio, si capisce."

"Non l'hai mai portata qui la tua ragazza?"

"Non ci viene, non vuole ancora fare tutto... ci si tocca, ci si pastrocchia, al massimo lei mi fa una sega e io le faccio un ditalino, ma niente di più. Dice che non si fida a venire qui, perché sa cosa vorrei fare se ci venisse."

"Per quello lo fai ancora con me?

"Quello che facciamo io e te, la mia ragazza non lo può fare." gli disse allegramente l'amico. "Cioè, io potrò metterlo a lei, davanti o di dietro o in bocca se le piace, ma lei a me non può mettermelo di dietro. Ma quell'Elias, è straniero come te?"

"Sì, anche Elias è straniero come me. Ma credo che forse, come ho intenzione di fare io, a diciotto anni avrà la cittadinanza italiana."

Così Itzhak si rese conto quanto desiderasse sempre più il suo vicino di banco.


Elias invece se ne accorse in un altro modo. Quando andava in discoteca con gli amici, o quando andava a cercare un'avventura alla fermata della Ciriè-Lanzo, si accorse gradualmente che tanto più i ragazzi con cui ci provava assomigliavano fisicamente ad Itzhak, tanto più se ne sentiva attratto. Ma anche che, dopo averli eventualmente agganciati, paragonandoli ad Itzhak, come carattere gli piaceva di più il suo amico.

"Peccato," pensava Elias, "che non sia gay anche Itzhak. Mi piacerebbe un sacco poterlo fare con lui, e magari essere il suo ragazzo e lui il mio. Ma quello è etero dalla testa ai piedi. Dice troppo spesso: io a mio figlio direi... io a mia moglie la tratterei... quella ragazzina sarebbe da sposare..."

Non sapeva, Elias, che questi discorsi di Itzhak erano sempre stati fatti su un piano puramente teorico, perché il compagno aveva già deciso che non si sarebbe mai sposato, e tanto meno immaginava che non solo Itzhak era gay, ma che a sua volta si sentiva attratto da lui.

A fine anno scolastico, Itzhak chiese all'altro: "Che fai per le vacanze? Vai da qualche parte?"

"Torno al campeggio della parrocchia come l'anno scorso, mi sono divertito. E tu?"

"Io credo che i nonni vorranno tornare all'agriturismo."

"Perché non gli chiedi di lasciarti venire al campeggio con me?" gli propose Elias sperando che accettasse.

"No, è un campeggio organizzato dai preti, ai nonni non gli andrebbe giù, sono ebrei osservanti, loro. E l'agriturismo dove andiamo è gestito da una cooperativa di ebrei. Io le trovo stupide queste divisioni." gli disse Itzhak, ma in realtà sperava anche di poter incontrare di nuovo Gip e andare a fare sesso con lui nella baita abbandonata.

Ma questa volta andò esattamente al contrario dell'anno precedente. Gip non andò al paese, perché era in tournée con la banda rock e con il suo uomo, e Itzhak si annoiò abbastanza.

Invece ad Elias capitò di essere messo in tenda con un ragazzo abbastanza caruccio che, già la prima notte, mentre in tenda i due si spogliavano per infilarsi nei rispettivi sacchi a pelo, notando che Elias aveva le mutande gonfie per un'incipiente erezione, lo toccò e gli chiese se gli andava di masturbarsi assieme.

Già da quella prima notte non si limitarono a una reciproca masturbazione, ma l'altro a un certo punto gli chiese se gli piaceva metterlo in culo.

"Sì, mi piace. Perché?"

"A me piace prenderlo e se ti va... Mi piacerebbe se tu mi fotti."

"A te non piace metterlo?"

"No, a me piace solo prenderlo. Me lo metti, allora?"

"Solo per farti un piacere." rispose scherzosamente Elias.

"Ohe, mica vai a dirlo agli altri che sono gay, no?"

"Certo che no. E poi sono gay io pure. Ma a te, come piace venire?"

"Se me lo succhi... a me piace così."

"Ma ce l'hai i preservativi, tu?" gli chiese Elias.

"Sì, ne ho portati... speravo di essere fortunato anche quest'anno."

Così ogni notte, in tenda, prima di addormentarsi, Elias e il compagno davano sfogo alle loro voglie con reciproca soddisfazione, anche se Elias spesso pensava che avrebbe preferito avere Itzhak in tenda con lui...


Finite le vacanze, Elias andò a comprare i libri per la seconda liceo. Le lezioni sarebbero iniziate il tredici settembre, di giovedì. Era martedì, avevano pranzato da poco ed Elias, in tinello, stava sfogliando i libri nuovi con curiosità, mentre la madre nel cucinino, rigovernava. Il televisore era acceso anche se in quel momento nessuno lo stava guardando.

L'attenzione di Elias fu attratta da una voce che diceva: "Interrompiamo i nostri programmi..." e guardò il piccolo schermo.

In un primo momento pensò che fosse il trailer di uno dei film catastrofici come "Inferno di cristallo". Ma la voce proseguiva: "Alle ore 8,46 di New York, cioè alle 14,46 ora italiana, un aereo di linea si è schiantato contro una delle due torri gemelle del World Trade Center a Manhattan..."

Elias guardava la cima della torre bruciare, con occhi sgranati. "Mamma... mamma... vieni..." gemette con voce alterata, non credendo ai propri occhi.

La madre, pensando che Elias si sentisse male, ché non aveva ascoltato la voce dell'annunciatore alla TV, lo guardò, vide che aveva un'espressione sconvolta e guardava fisso il televisore; si girò a guardarlo e finalmente sentì la voce dell'annunciatore. Andò a sedere accanto ad Elias, gli pose un braccio sulle spalle, e mormorò: "Dio mio che disgrazia..."

Videro oggetti volare fuori dalle finestre della torre che bruciava, poi la telecamera fece uno zoom e videro che era gente che si gettava nel vuoto... "Oh dio... dio..." gemette la donna stringendo a sé il figlio in un gesto istintivo di protezione. Non riuscivano a staccare gli occhi dallo schermo, ascoltavano le voci concitate dei giornalisti...

Diciannove minuti più tardi, videro sullo schermo un secondo aereo infilarsi nell'altra torre e la sfera di fuoco che ne seguiva. "No..." gridò Elias. "Mamma, ma che succede? Non è un incidente allora... Che sta succedendo?"

Neanche quaranta minuti più tardi, l'annunciatore comunicò: "L'emittente televisiva di Abu Dahbi ha appena attribuito l'attentato contro le torri Gemelle di New York al Fronte Democratico per la liberazione della Palestina..."

Elias piangeva, sconvolto. "No, mamma, non possono essere stati i palestinesi. Dimmi che non sono i nostri che hanno fatto una cosa così orribile..."

Poi giunse la notizia che un terzo aereo passeggeri si era schiantato sul Pentagono...

Alle 16,00 ora italiana vi fu una seconda enorme esplosione su una delle due torri, e sette minuti più tardi la torre colpita per prima crollò. Dalla televisione provenivano le grida della gente di Manhattan.

Pochi minuti dopo il cronista annunciò che il Fronte democratico per la liberazione della Palestina aveva categoricamente smentito di essere responsabile degli attentati. Qesta notizia era appena stata trasmessa, quando anche la seconda torre crollò.

Poi venne la notizia che un quarto aereo dirottato si era schiantato in un campo in Pennsylvania, quasi certamente perché i passeggeri avevano assalito i dirottatori.

Elias tremava come una foglia e singhiozzava. "È la terza guerra mondiale, mamma?" chiese disperato. "Quanta gente è morta in quei grattacieli? Migliaia... Siamo noi palestinesi che abbiamo fatto scoppiare la guerra, mamma?"

"Non lo so, Elias... Il Fronte democratico dice che non siamo stati noi palestinesi... Povera gente, morire in quel modo... Che cosa orrible..."

Non erano stati i plestinesi, ma i terroristi erano comunque arabi. Spuntò il nome di un certo Bin Laden, un miliardario saudita, della sua organizzazione di terroristi, Al Qaeda, cioè La Base...

Quando tornarono a casa il padre e i fratelli, commentarono l'accaduto, mentre la TV continuava a trasmettere e ritrasmettere le orribili immagini, le urla, i pianti. In casa Bargouti erano tutti profondamente scossi.

Barnabas disse: "Se sono stati davvero gli arabi... io mi vergogno di essere un arabo!"

"Io no," replicò Franciscus, "non è colpa mia se anche fra la nostra gente ci sono dei criminali. Quello che però mi preoccupa, è che la gente ora penserà che ogni arabo è automaticamente un terrorista, così come pensava che tedesco fosse uguale e dire nazista."

"Papà, è la terza guerra mondiale?" chiese Elias, ancora sotto shock.

"Speriamo di no, figlio mio, speriamo di no. Ma certo oggi non è una bella giornata. Migliai di morti, gente comune come noi che era andata tranquillamente al lavoro. Quando capiranno, gli uomini, che con la violenza non si ottiene che violenza, che l'odio può solo suscitare l'odio?"

"E come si può ammazzare degli innocenti in nome di dio?" disse la madre.

"Oh, Martha, chi giustifica il proprio odio con il nome di dio non è mai qualcuno che davvero crede in dio. Usa dio per coprire la propria inumanità."

Quella notte Elias dormì molto male ed ebbe incubi.

Quando, due giorni dopo, Elias andò a scuola per il primo giorno di lezione, parecchi compagni lo assalirono verbalmente. Qualcuno iniziò a spintonarlo, nessuno si mosse in sua difesa.

Itzhak arrivò e si rese conto di cosa stava succedendo. Immediatamente intervenne.

"Lasciatelo in pace, cosa c'entra Elias? Che cavolo volete da lui? È stato un gruppo di terroristi arabi, ma questo non significa che tutti gli arabi sono terroristi."

"Non tutti gli arabi saranno terroristi, ma tutti i terroristi sono arabi." disse uno.

"Ah sì? Le brigate rosse erano tutti arabi? E quelli dell'Eta basca sono pure tutti arabi? E quelli dell'Ira in Inghilterra sono pure tutti arabi? Ma fammi piacere! È proprio vero che la madre dei cretini è sempre incinta!"

"Ma che cazzo, tu, un ebreo, difendi gli arabi? Cos'è sei alleato dei terroristi o ti pagano?" gridò uno dei ragazzi.

Itzhak lo prese per il bavero e gli gridò: "Mio padre, mia madre, mia sorella di cinque anni e il mio fratellino di undici mesi sono stati ammazzati dai terroristi. Che cazzo ne sai tu? Chi t'hanno ammazzato a te? Io sarei pagato dagli arabi, stronzo? Io sarei alleato di chi m'ha ammazzato tutta la famiglia? Se fossero state le brigate rosse ad ammazzarmi la famiglia, io dovrei odiare anche te? Elias è palestinese, e allora? Che cazzo vuol dire questo? Che c'entra lui con le Torri Gemelle? Perché ve la prendete con lui? Siete esseri umani o bestie? Ragionate col cervello o con il buco del culo? Ma andate a cagare tutti!"

Nessuno sapeva il motivo per cui Itzhak era orfano, e tutti rimasero molto scossi da quanto il ragazzo aveva urlato. Qualcuno disse : "Ha ragione Itzhak." Altri si allontanarono mogi. Nessuno s'era accorto che sentendo gridare era arrivato il professore di matematica e che s'era fermato sulla porta. Entrò in classe, ma invece di salire in cattedra, vi si mise davanti e disse:

"Segre ha perfettamente ragione. E chi di voi ha innescato la sua reazione, attaccando Bargouti, dovrebbe ora essere abbastanza uomo da alzarsi in piedi e chiedere scusa sia a Bargouti che a Segre."

Uno dopo l'altro, la testa bassa, diversi ragazzi s'alzarono in piedi e chiesero scusa.

Itzhak guardò il professore e disse, ora con voce calma: "Posso dire ancora qualcosa, professore?" Questi annuì. Allora Itzhak si girò verso i compagni e disse: "Se vengono dal cuore, se avete capito qualcosa, le vostre scuse sono accettate, vero, Elias? Ma se vengono solo dalle labbra... beh... peggio per voi, vi compiango, siete fatti della stessa pasta di quei terroristi che hanno ammazzato la mia famiglia e quelle migliaia di persone attaccando le Torri Gemelle." e sedette.

Mentre il professore approvava e sottolineava anche queste ultime parole di Itzhak, Elias mise una mano su quella di Itzhak e gli mormorò: "Grazie. Tu sei il mio unico amico, l'unico che mi ha difeso..."

Itzhak sorrise, girò la mano e strinse quella del suo amico.


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