DUE VOLTE STRANIERI | CAPITOLO 2 LE SCOPERTE DI ELIAS |
Elias Bargouti aveva quattro anni quando la sua famiglia s'era trasferita in Italia. Prima che nascesse, gli ebrei avevano espropriato la casa dove era nata sua madre a Gerusalemme, per dare gli alloggi agli immigrati ebrei. Il nonno, Ihad Kalibi con la moglie Debrah, s'erano trasferiti allora a casa di parenti della nonna, la famiglia Jabari, a Bayt Jala. Nel 1971, Hanan, il padre di Elias, che già lavorava per i francescani della custodia di Terrasanta, aveva conosciuto Martha Kalek, la madre di Elias, che con la famiglia era andata a Betlemme per la festa di Natale. Era stato amore a prima vista. I genitori di Hanan erano andati a Bayt Jala a incontrare i genitori di Martha e l'anno seguente i genitori di Elias s'erano sposati e i frati avevano assunto Martha come cuoca. Nel 1973 era nato il loro primo figlio, Franciscus, due anni dopo Kyara, poi Barnabas, nel 1981 Suzannah e infine, tre anni dopo, Elias. Vivevano in una casetta alla periferia nord di Betlemme. Poi, un brutto giorno, i patrioti dell'intifada s'erano asserragliati sul tetto della casa dei Bargouti per sparare sui soldati israeliani, e questi, per reazione, avevano lanciato un missile sulla casa, distruggendola completamente. Non era un caso se i patrioti dell'intifada sceglievano i tetti delle case dei palestinesi cristiani per sparare: in questo modo erano le case di questi e non quelle degli arabi musulmani a venire distrutte. Era dura per i palestinesi cristiani, la vita: avevano come nemici sia gli ebrei che i musulmani. Gli ebrei perché per loro che fossero musulmani o cristiani non faceva nessuna differenza, e i musulmani, perché buona parte degli arabi cristiani non volevano la guerra contro gli ebrei. La famiglia Bargouti, avendo perso tutto, fu alloggiata in una parte del convento dei francescani. Ma il papà di Elias iniziò anche a ricevere minacce, a causa del suo pacifismo, e, temendo per la famiglia, alla fine accettò il suggerimento dei frati di trasferirsi in Italia. I francescani di Madonna di Campagna trovarono loro un alloggetto a due passi dalla loro chiesa, come pure lavoro per il padre e per Franciscus, che allora aveva sedici anni. I Bargouti masticavano già abbastanza italiano, avendo lavorato dai frati di Terrasanta, ed erano cattolici, perciò il loro inserimento non fu eccessivamente difficile, anche se a volte sentivano, da parte di alcuni italiani, un po' di razzismo. Per molti, essendo di sangue arabo, non erano che immigrati "marocchini", "vu cumprà"... Elias aveva frequentato tutte le scuole in Italia, perciò parlava perfettamente l'italiano, senza nessuna cadenza o accento. Non ricordava la Palestina, si sentiva più italiano che palestinese, pur non rinnegando le sue origini. In casa parlavano comunque in arabo, o per meglio dire la sua variante palestinese che aveva assimilato alcune parole ebraiche nel proprio lessico. Elias era cresciuto bene, tutti i membri della sua famiglia erano fisicamente ben fatti, e mentre era in terza media, aveva raggiunto la pubertà e con questa s'erano risvegliati in lui gli stimoli sessuali. Avendo una volta sorpreso suo fratello Barnabas che si mastubava, e avendolo spiato, non visto, finché questi aveva raggiunto l'orgasmo, aveva anche imparato a masturbarsi. Non aveva fantasie sessuali, Elias, mentre lo faceva: era ancora troppo affascinato dall'analizzare quello che suscitava nel proprio corpo quel segreto esercizio, specialmente nel momento dell'orgasmo, e ancor più quando aveva iniziato a eiaculare. Grazie ai discorsi fatti con i coetanei e a notizie captate qua e là, mezze frasi dette dai fratelli e altro, non era del tutto digiuno riguardo alle cose del sesso, ma ancora non ne era neppure particolarmente interessato. Per lui, ragazzine e ragazzini, indifferentemente, erano ancora soltanto compagni di classe o di gioco. Era ancora nell'età in cui, più che il suo futuro sessuale, gli interessavano le squadre di calcio, i motori, i telefonini e i computer (anche se non aveva né gli uni né gli altri), i giornaletti di avventure, lo scambio delle figurine. Era l'estate del 1998, aveva superato brillantemente l'esame di terza media ed erano finalmente iniziate le vacanze. La famiglia di un suo compagno di classe, che anche frequentava la chiesa dei francescani come la sua famiglia, aveva invitato Elias a passare un paio di settimane nella loro casa delle vacanze. Suo padre aveva accettato e aveva dato a Elias i soldi per il treno e qualcosa da tenere in tasca. Elias, per avere più soldi in tasca, aveva invece fatto l'autostop, senza dire niente ai genitori. Era arrivato abbastanza in fretta fino alla casa dell'amico. Aveva passato con lui due belle settimane, andando a nuotare, a pescare, a fare bei giri in barca. I genitori del suo compagno l'avevano trattato come uno di famiglia, aveva mangiato molto bene, s'era divertito. Poi, nuovamente in autostop, aveva ripreso la strada per tornare a casa. Il primo passaggio l'aveva avuto da un'anziana signora, molto ciarliera, con l'auto piena di casette di frutta, e gliene aveva anche regalata un po'. La donna gli aveva fatto un sacco di domande: di dove sei, quant'è che sei in Italia, e così via; poi l'aveva lasciato sulla strada statale perché lei doveva andare altrove. Qui, dopo una mezzoretta, s'era fermata una Opel. L'autista era un ragazzo di diciannove anni; dopo avergli chiesto dove voleva andare, l'aveva preso a bordo. "Sei marocchino?" gli aveva chiesto quando era ripartito. "No, sono palestinese." "Immigrato irregolare?" "No, no, regolare. Abbiamo tutti i documenti necessari." "Parli bene italiano." "Quando siamo arrivati in Italia io avevo quattro anni." "E adesso, quanti anni hai?" Non sapeva neanche lui perché, ma aveva mentito: "Quindici." "Quello che pensavo." aveva detto l'altro. Gli aveva fatto altre domande, lui aveva risposto, finché a un certo punto il ragazzo, che aveva detto di chiamarsi Fiorenzo, aveva tolto la mano dal cambio e gliel'aveva posata su una coscia, carezzandola. Elias s'era irrigidito per un attimo. Aveva capito immediatamente perché lo stava toccando in quel modo... e si sentì incuriosito: chissà che cosa avrebbe fatto l'altro? Magari si sarebbero masturbati, mentre la macchina andava? Poteva essere divertente. Si rilassò aspettando l'evolversi degli eventi. Fiorenzo, incoraggiato dall'assenza di reazioni del ragazzo, s'era fatto più audace, e aveva spostato la mano fra le gambe di Elias. Questi pensò che era una sensazione piacevole e si rilassò del tutto, sempre più curioso. Fiorenzo lo palpò lievemente, finché sentì che l'altro stava avendo un'erezione. "L'hai già fatto con un altro ragazzo?" gli chiese Fiorenzo senza guardarlo, continuando a guidare con una mano e a toccarlo con l'altra attraverso la tela dei calzoncini corti che Elias indossava. "No, mai. Sei omosessuale, tu?" "Sì, sono gay. E tu mi piaci. Non ti va di provarci con me?" "M'hai dato un passaggio per questo?" "Sì, sei un bel ragazzo. Allora? Ti va?" "Non lo so, non l'ho mai fatto. Non ho idea se mi piace o no." "Hai solo da provarci, no?" "Mah... forse... Ma così, qui, mentre guidi..." "Ci si può imboscare." "E dove?" "C'è un posto, tra poco, dove qualche volta sono andato con gli amici per fare quelle cose. Un posto tranquillo." "Quali cose? Che posto è?" chiese Elias sempre più incuriosito. "Tutto quello che si fa fra ragazzi, no? Dopo il ponte sul fiume, c'è una strada a destra, poi una strada sterrata che torna indietro, e si va sotto il ponte, e nessuno ci vede. Ti va?" "E se c'è qualcuno?" "Se c'è qualcuno, è lì per fare le stesse cose. Comunque di lì si vede in tempo se arriva gente. Non c'è nessun pericolo. Allora, va bene?" "Non lo so... Mi piacerebbe provare, vedere com'è. Però... sei sicuro che non c'è pericolo?" "Conosco bene il posto, vedrai anche tu." "E se non mi piace?" chiese Elias. "Se non ti piace... torniamo in macchna e ti porto fino a casa come t'avevo promesso e amici come prima. Va bene?" "Sì... va bene." Elias pensava che poteva fidarsi di quel ragzzo: aveva una faccia pulita, simpatica. Dopo meno di un chilometro oltrepassarono il ponte. Fiorenzo girò a destra, poi di nuovo a destra e prese la strada sterrata che scendeva fra gli alberi verso il fiume. Si fermò a pochi metri dal ponte. Non c'era nessuno, nei dintorni. Scesero, Fiorenzo chiuse a chiave l'auto e si addentrò, seguito da Elias fra i cespugli. Arrivarono sotto il ponte: c'era un tratto parzialmente erboso, mezzo metro circa più alto del livello dell'acqua. Sopra si sentivano passare le auto. "Eccoci qui. Spogliamoci, dai..." gli disse Fiorenzo. "Nudi?" chiese Elias sorpreso. "Sì, certo." "Ma se arriva qualcuno?" "Andiamo in acqua, come se eravamo venuti per fare un bagno." "Si tocca? Non è profonda?" "No, non c'è pericolo, qui ci si bagna spesso, con gli amici." "Gay come te?" "Sì, certo." Si spogliarono, guardandosi. Ripiegarono i vestiti deponendoli su un grosso sasso che era incastrato sotto l'arcone del ponte. Elias pensò che Fiorenzo era un bel ragazzo, aveva un corpo asciutto e muscoloso. "Fai palestra?" gli aveva chiesto, mentre lo esaminava da capo a piedi, soffermandosi a guardare il membro ancora morbido dell'altro. "No, faccio nuoto e tuffi, sono campione provinciale." Anche Fiorenzo esaminava il suo corpo, mentre si spogliavano, e il suo membro prese a crescere e rizzarsi. "Sei proprio un bel ragazzo. Sviluppato giusto per i tuoi quindici anni. Ma come mai non sei circonciso se sei arabo?" "I miei non lo fanno... da generazioni." rispose Elias. Fiorenzo gli si avvicinò, lo prese fra le braccia e lo baciò in bocca. Elias si sentì un po' strano a essere baciato, ma cercò di imitare quello che faceva l'altro e rispose al bacio. Una mano di Fiorenzo gli circondò il membro: Elias fremette: gli piaceva. Anche lui prese il membro duro dell'altro in mano e anche questo, notò, era piacevole: era caldo, forte, gradevole al tatto. Gradualmente, Fiorenzo lo coinvolse in giochi erotici sempre più spinti, sempre più eccitanti, e il ragazzo si lasciò guidare senza problemi, anzi, contento di scoprire quello che due ragazzi possono fare assieme. La sua iniziazione sessuale avvenne nell'arco di poco più di mezz'ora. Dopo aver fatto un po' di sesso orale, Fiorenzo prima si fece penetrare dal ragazzo poi a sua volta lo penetrò. Lo seppe fare bene, sì che Elias non provò dolore, ma solo un lieve fastidio iniziale presto sorpassato dal piacere. Mentre si rivestivano, Fiorenzo gli chiese: "Allora, t'è piaciuta la tua prima volta?" "Sì, m'è piaciuta. Questo vuol dire che sono gay anche io?" "Probabilmente sì. Ma magari ti piace anche farlo con una ragazza, chi sa. Mica siamo tutti uguali." "E a te è piaciuto farlo con me? Anche se credo che ero piuttosto imbranato?" "A me è piaciuto, e non eri mica poi così imbranato. Sei uno che impara in fretta, tu. Davvero non l'avevi mai fatto con un ragazzo?" "Davvero, con nessuno, né ragazzi né ragazze. Ma i miei professori a scuola dicono che io imparo in fretta." Fiorenzo rise: "Anche se quello che ti insegnano a scuola è un po' diverso... Ti piace andare a scuola?" "Sì. Anche tu vai a scuola?" "Sì, mi sono appena iscritto all'università, a fisica teorica. Sai che mi piaci? Altri ragazzi della tua età, specialmente le prime volte, fanno un sacco di storie. Mica come te." "A te piacciono i ragazzi della mia età?" "Sì. Sui quindici, diciassette anni." "Ne hai avuti molti? E molti che era la prima volta?" "E chi li conta più. Io ho cominciato che avevo dodici anni, coi compagni del cortile... si andava in cantina e... anche in tre, in quattro... si faceva di tutto. Però mi piace di più farlo solo in due." "Altri con cui l'hai fatto era la loro prima volta?" chiese di nuovo Elias mentre salivano in macchina. "Tre o quattro. Ma con tutti bisognava insistere per ore e giorni, prima che accettassero di fare tutto." Ripresero la nazionale. "Di', Elias, ti va se ci vediamo di nuovo?" "Non lo so, forse mi piacerebbe, ma..." "Senti, io ti lascio il numero del mio telefonino e se ti andasse, ci possiamo mettere d'accordo. Tu ce l'hai il telefonino?" "No. Costa troppo, non abbiamo molti soldi in casa. E poi, a che mi serve?" Fiorenzo lo lasciò a un paio di isolati da casa. Elias si sentiva allegro. Gli era piaciuta quell'avventura. Si chiedeva se anche lui era gay o no. Doveva provarci con una ragazza, per capirlo? Per la prima volta pensò alle ragazze sotto quel profilo... L'idea non lo attraeva particolarmente. Allora pensò ai suoi compagni di scuola... Forse con qualcuno gli sarebbe piaciuto poterci provare... Mah... sì, probabilmente era gay anche lui. Mentre saliva le scale di casa si chiese come avrebbero reagito in casa sua se lui fosse stato gay. Probabilmente male, secondo i preti era un peccato fare quelle cose. Era un peccato anche masturbarsi, comunque. Chissà perché doveva essere un peccato? Davvero Dio aveva fatto il corpo in modo che provasse piacere a fare quelle cose, ma poi le aveva proibite? Gli sembrava strano, assurdo. Era come se sua madre avesse cucinato uno dei suoi buoni piatti, di quelli che mandano un odore che ti fa venire l'acquolina in bocca, ma poi avesse proibito a tutti di assaggiarne. Ridicolo! A casa non si parlava mai di sesso. Fra compagni non se ne parlava, a parte battutine sceme, barzellette, e dire sottovoce le "parole sporche". Chissà se c'erano libri che spiegavano i perché di quelle cose, se è giusto o sbagliato essere gay, e perché uno è gay e un altro no? Se spiegavano perché secondo i preti fare quelle cose così piacevoli sarebbe stato peccato? Quando Elias iniziò a frequentare il liceo classico, durante un'ora "buca" provò ad andare in biblioteca e cercò negli schedari se c'era qualcosa sul sesso, sui gay. Non osava chiedere alla bibliotecaria, si vergognava. Ma se anche avesse trovato qualcosa, avrebbe dovuto chiedere il libro alla bibliotecaria. "Beh, se c'è in biblioteca, è perché era utile leggerlo, no?" si disse. Stava per rinunciare alla sua ricerca, quando trovò una scheda.
"Piergiorgio Paterlini, Ragazzi che amano ragazzi, Ed. Feltrinelli - Universale economica, 1991 Si segnò il numero di codice e i dati, poi andò dalla bibliotecaria. "Vorrei questo libro, signora." "In prestito o in visione?" chiese la donna dando un'occhiata al foglietto su cui il ragazzo aveva preso nota dei dati. "In visione, per ora." "Un attimo." La donna non aveva fatto una piega, non l'aveva guardato in modo strano, non aveva fatto né sorrisetti né battutine. Arrivò con il libro e glielo porse. "Puoi sedere lì per guardarlo." gli disse. Elias sedette e lo sfogliò. Lesse qua e là. Pareva interessante. Guardò il prezzo: non costava molto, magari se lo poteva comprare. Però a casa non poteva farlo vedere, doveva trovare un nascondiglio... Impresa non facile. Continuò a leggiucchiare a caso, soffermandosi su alcune frasi. Pensò che non c'erano risposte, ma domande. Ragazzi come lui che raccontavano la loro storia. Molte tristi, difficili, qualcuna allegra, tranquilla. Pareva interessante, ma lui sentiva il bisogno di trovare altro. No, forse era inutile comprarlo. Andò a renderlo alla bibliotecaria. "Grazie." le disse porgendoglielo. "Non lo vuoi in prestito?" "No, signora, non mi interessa." In classe aveva fatto amicizia con alcuni compagni. In particolare con Pierfranco Redaelli, un ragazzo molto bravo, allegro, intelligente. Era il figlio minore di un dirigente della Rai-TV e di una professoressa, di origine irlandese, che insegnava letteratura inglese all'università. In casa avevano una ricca libreria, che comprendeva i circa sessanta volumi della Treccani. Pierfranco l'aveva invitato più volte ad andare a studiare a casa sua, Elias ne aveva parlato con il padre e questi, dopo una lunga telefonata con i genitori di Pierfranco, aveva acconsentito. Per andare a casa di Pierfranco, Elias doveva andare a piedi fino a Via Stradella e qui prendere l'autobus. Studiavano molto bene assieme, il tempo che perdeva per andare a casa del compagno e per tornare a casa, era abbondantemente compensato dalle ore di studio comune. A volte la madre di Pierfranco o anche il fratello e la sorella maggiori li aiutavano negli studi. Elias era stato accolto con semplicità e simpatia da tutta la famiglia Redaelli. Qualche volta, dopo che la madre di Pierfranco aveva telefonato a casa Bargouti, Elias si era anche fermato a cena con loro. Così una sera, quando subito dopo la cena, prese l'autobus per tornare a casa, all'altezza di Via Chiesa della Salute, l'autobus ebbe un guasto e tutti dovettero scendere. Elias attese l'autobus seguente. Mentre lo attendeva notò, al di là della strada, un ragazzo che si guardava attorno, e poi scomparire scendendo per una scaletta che, Elias lo sapeva, portava al binario della ferrovia Ciriè-Lanzo, dove il trenino faceva una fermata. Elias sapeva che non c'era una vera stazione, ma solo una tettoia. Sapeva pure che a quell'ora non passavano più treni e si chiese che cosa il ragazzo andasse a fare laggiù. Incuriosito, traversò la strada e andò a guardare. Inravide il ragazzo e notò che non era solo. Dopo poco vide i due appartarsi... ed ebbe l'impressione che, allontanandosi, si toccassero! Scese alcuni scalini finché vide le due ombre addossate... che si muovevano in modo inequivocabile, come lui, pochi mesi prima, aveva fatto con quel Fiorenzo, a cui non aveva mai telefonato. Tornò su ad aspettare l'autobus, chiedendosi se quello era un posto in cui si incontravano quelli a cui piace farlo con gente del proprio sesso. Poco prima che arrivasse l'altro autobus, vide il ragazzo di prima e un uomo spuntare dalla scala, dove i due si divisero e si incamminarono in opposte direzioni, senza salutarsi. Continuò a pensare a quanto aveva intuito finché arrivò a casa e decise che, la prossima volta che si fermava a cena da Pierfranco, doveva fermarsi lì e andare a esplorare. Lo fece per due volte, scese fino alla fermata del trenino, ma non c'era nessuno. La terza volta, stava per tornare su deluso, quando vide che qualcuno stava scendendo. Si fermò nell'ombra della tettoia senza luci. Quello che era sceso doveva avere sui venti anni, era alto, vestito con jeans e T-shirt molto atilati che ne mettevano in risalto il corpo. Il nuovo arrivato si diresse verso di lui e lo vide. Gli passò davanti guardandolo da capo a piedi e andò fino al fondo della tettoia, poi tornò indietro. Quando gli arrivò davanti gli chiese: "Lo fai per soldi?" La domanda sorprese Elias: "No..." "Ti va di farlo con me?" Elias annuì. "Qui?" chiese poi. "Vieni là in fondo, fra i cespugli, che lì stiamo tranquilli e vediamo in tempo se arriva qualcuno." Il ragazzo lo seguì. Lo fecero in piedi, calandosi i calzoni solo lo stretto necessario. L'altro, notò Elias, aveva un gradevole profumo di dopobarba. A differenza che con Fiorenzo, era stata una cosa veloce, senza preliminari, si erano presi a vicenda, era stato abbastanza piacevole. Mentre si rimettevano a posto gli abiti, Elias disse: "Non c'è quasi mai nessuno, qui." "Di solito arrivano intorno a mezzanotte." rispose l'altro. "Per me è troppo tardi. A casa mi aspettano già, mica posso stare fuori così tardi." "Beh, è un problema, allora. A quest'ora... neanche io pensavo di trovare qualcuno. Fotti bene, tu. Mi piacerebbe rivederti. In che giorni puoi venire?" "Non lo so, non dipende da me. Circa una volta alla settimana, ma non sempre lo stesso giorno." "Io solo il mercoledì, come oggi." "Ci sono altri posti qui vicino dove si fanno incontri, ma verso quest'ora?" chiese Elias. "No, che io sappia." Si lasciarono ed Elias tornò a casa. Aveva sempre più voglia di trovare qualcuno con cui farlo, ed era sempre più convinto di essere gay. Anche a scuola, quando facevano la doccia dopo la lezione di Educazione Fisica, gli piaceva guardare i corpi nudi dei compagni e qualche volta aveva anche una vistosa erezione. All'inizio se ne vergognava, ma notò che capitava spesso anche ad altri compagni e che questi non se ne curavano o facevano battute scherzose, così non se ne curò neppure lui e anzi iniziò a fare le battute come gli altri. Si chiese se qualcuno dei suoi compagni poteva essere come lui, ma tutti non facevano che parlare di ragazze, perciò pensò di essere l'unico. Peccato, con alcuni compagni l'avrebbe anche fatto volentieri. Specialmente con Pierfranco, che però filava con Marzia Calcaterra, e anche con Itzhak Segre, se non fosse stato un israeliano, un ebreo. Peccato, però, perché Itzhak aveva un bel corpo ed era anche ben fornito, fra le gambe, come lui, d'altronde. Gli piaceva anche Michele Melloni, fisicamente, ma gli era cordialmente antipatico. Si divertiva a prendere in giro tutti e a fare stupidi scherzi. E oltretutto non brillava per intelligenza. Poi Luca Lazzari, il ripetente, che era il più sviluppato di tutti e era pure abbastanza simpatico, ma quello era sicuramente off-limits: non faceva che parlare di "fighette", di "poppe grosse così" e cose del genere... Quando a casa, in gabinetto, si masturbava, chiudeva gli occhi e pensava alle due sole volte che l'aveva fatto, e immaginava di farlo con uno o l'altro dei suoi compagni. Con Itzhak Segre si erano sempre accuratamente ignorati. Osservandolo di lontano, non gli era sembrato un tipo antipatico, nonostante fosse un nemico israeliano. Era sempre gentile con tutti, ed era anche bravo a scuola, anche se lui, come s'era ripromesso, riusciva spesso a prendere voti un po' più alti dell'israeliano, di mezzo punto o anche di un punto. Male che andasse prendevano lo stesso voto. Fu sorpreso di vedere che frequentava anche quel Segre le lezioni di religione, anche se aveva chiarito, fin dal primo giorno, che lui era di religione ebraica. Gli altri compagni si dividevano in tre gruppi, anzi in quattro: alcuni erano amici di Elias, altri di Segre, altri ancora di tutti e due e, pochi, di nessuno dei due. Quelli che rano amici di tutti e due avevano anche cercato, specialmente i primi tempi, di coinvolgerli nelle loro attività, ma sia il ragazzo palestinese che quello israeliano avevano sempre trovato il modo di evitarlo, di evitarsi. Il professor Mastella s'era accorto di questa situazione, ma aveva deciso di non intervenire, di non fare pressioni. Si limitava a lanciare loro messaggi subliminali, parlando d'altro, sperando che prima o poi i due ragazzi riuscissero a vivere in pace non solo evitandosi, ma collaborando. Quello che lo faceva sperare per il meglio era che entrambi parevano apprezzare la pace e non la soluzione dei problemi tramite la guerra, la violenza. Ma capiva il professore, anche senza conoscere il vissuto dei due ragazzi e delle loro famiglie, che i troppi dolori, le troppe uccisioni, lo stato di continua guerra che dividevano i due popoli, avevano eretto un muro fra i due ragazzi. Gli dispiaceva, perché entrambi erano fa i suoi migliori allievi, entrambi erano intelligenti e, a giudicare dai loro occhi, anche buoni. Il tempo, sperava l'anziano professore, avrebbe forse compiuto la sua opera, con qualche aiuto, e sgretolato il muro di diffidenza, se non di odio, che ancora li divideva. Dopotutto era stato lui che, quando con due colleghi era stato incaricato dal preside di formare le nuove quarte ginnasio, avendo notato che erano entrambi nati nella terra martoriata di Israele-Palestina, aveva deciso di metterli assieme nella sua classe. Aveva previsto la possibilità che i due ragazzi, messi nella stessa classe, si affrontasero, si scontrassero. Non era ancora accaduto e si chiedeva se questo fosse un bene o un male. A volte uno scontro-confronto poteva creare un solco più profondo, un muro più spesso e alto, ma a volte poteva invece portare a una qualche forma di riconciliazione. Ignorare l'altro era escluderlo del tutto dalla propria vita, senza speranza. Confrontarsi, e magari litigare, era riconoscerne l'esistenza, perciò il primo passo per accettare l'altro. A questo pensava l'anziano professore, continuando a seguire i due ragazzi con speciale attenzione. Sapeva anche che sia Itzhak che Elias lo stimavano, lo rispettavano, lo ascoltavano e lo ammiravano, perciò aspettava l'occasione giusta per usare questo suo poker d'assi per aiutarli ad accettarsi l'un l'altro. Non aveva fretta: aveva due anni da passare con loro. Logicamente i due ragazzi ignoravano tutto questo. Se l'avessero saputo, questo li avrebbe quasi sicuramente fatti irrigidire ancora di più sulle loro posizioni. Pensò che i due ragazzi si assomigliavano: non fisicamente, che anzi erano piuttosti diversi, ma come carattere, come reazioni, come personalità. Elias era forse un po' più estroverso, ma entrambi erano riflessivi, entrambi affrontavano gli studi, e perciò anche la vita, con curiosità e voglia di capire. Anche questo dava seperanza al professor Mastella di riuscire a far avvicinare i due ragazzi prima che passassero alla prima liceo e li perdesse di vista.
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