DUE VOLTE STRANIERI CAPITOLO 9
DUE NIPOTI IN PIÙ

Approfittando del fatto che Paolo e Gino facevano fare il "giro turistico" ai due ragazzi, Antonio e Arnaldo, mentre rigovernavano col l'aiuto di Stefano, avevano parlato fra loro dei due ragazzi. Quando Elias e Itzhak tornarono nella sala e sedettero con loro, facendo loro i complimenti per l'alloggio, Arnaldo chiese. "Paolo vi ha anche fatto vedere le due camere per gli ospiti, no?"

"Sì, molto belle anche quelle, specialmente quella con la carta da parati a righine celeste-grigio, vero Elias?"

"Sì, dalla finestra si vede di scorcio il castello... E i mobili... sono per caso disegnati da Alvar Aalto?" chiese il ragazzo.

"Sì, betulla naturale stratificata e piegata. Sportelli laccati. L'altra camera da letto, invece, è arredata con mobili di Tobia Scarpa. Così, a voi piace di più quella di Aalto."

"Anche quella di Scarpa è bella..." disse Itzhak, "ed è allegra. Ma quella di Aalto mi pare più... essenziale, ha linee più pure. Anche se io non sono un esperto."

"Molto bene. Che ne direste, allora," disse il professor Antonio Mastella con un sorriso, "Di venire a occupare quella stanza, e di continuare gli studi senza che dobbiate trovarvi un lavoro? Arnaldo e io saremmo lieti di darvi una mano, di pagarvi gli studi, e anche di avere due nipoti in più."

Elias e Itzhak li guardarono stupiti, si guardarono, li guardarono di nuovo, poi Itzhak, commosso, disse: "Ma noi... professore... è troppo, siete troppo gentili... È davvero troppo..."

"Ma no che non è troppo, i soldi non ci mancano e so che sarebbero ben spesi per farvi studiare. Arnaldo e io ne abbiamo discusso, siamo in grado di darvi anche un mensile per le vostre spese, vestiti, discoteca... che so io, qualche viaggetto nelle vacanze, quello che volete, in modo che siate economicamente indipendenti. Davvero per noi non sarebbe un peso, assolutamente. Oltretutto avere un po' di compagnia ci ripagherebbe abbondantemente di quello che possiamo fare per voi. Permetteteci di diventare... la vostra famiglia."

Anche Arnaldo insisté: "Fra tutti e due guadagniamo più soldi di quelli che possiamo spendere. So che sarà un ottimo investimento usarli in modo di potervi dare una mano a prendere la lurea triennale, poi anche la biennale se volete e anche oltre, finché non sarete economicamente indipendenti. Se accettate, ragazzi, noi due ve ne saremmo molto grati."

"Grati? Voi a noi?" chiese Elias. "Ma come ci potremmo mai sdebitare per tanta generosità?"

"Studiando e prendendo bei voti come so che avete fatto fino a ora, e poi riuscendo nella vita e facendoci sentire fieri di aver contribuito a farvi giungere dove volete e saprete giungere." rispose Arnaldo.

"Sapete, ragazzi," disse Antonio, "anche se quando ero il vostro professore ho cercato di non fare mai preferenze, ho sempre avuto un debole per voi due, e anche quando avete finito il ginnasio, vi ho seguito, per un paio di anni, nei vostri studi al liceo, finché sono andato in pensione. E se ora vi volete bene, dopo tutto, un po' è anche merito mio che ho fatto del mio meglio per avvicinarvi, no? Vi avevo perso di vista, ma la vita ha voluto farci incontrare di nuovo, e questo in un momento di dificoltà per voi due. Secondo me non è un fatto casuale. Chiamatelo destino, chiamtelo buon dio, provvidenza, come volete, ma... Accettate la nostra offerta, per favore."

I due ragazzi erano commossi. Anche Stefano, Paolo e Gino li spinsero ad accettare. Così, durante la settimana seguente, lasciarono le loro case e si trasferirono da Arnaldo e Antonio. Sia i nonni di Itzhak che i genitori di Elias non si opposero minimamente: presero semplicemente atto della decisione dei ragazzi.

Solo Barnabas, dopo che Elias fu andato via con le sue cose, disse ai suoi: "Contenti, adesso che l'avete costretto ad andarsene? Bella famiglia, la nostra, eh? Beh, fra poco tolgo il disturbo anche io, appena mi trovo un buco dove andare a vivere. Se non avete saputo accettare Elias, mi chiedo fino a che punto accettate veramente anche me... Appena scoprirete in me qualcosa che non vi va a genio, sarò io a essere rifiutato da tutta la famiglia?"

Padre e madre non avevano ribattuto nulla. Franciscus invece aveva reagito: "Cos'è, sei omosessuale anche tu, per caso?"

"No, mi dispiace per te, Franciscus. Io, per puro caso, sono nato eterosessuale, ma non per merito mio, né tuo, né di nostro padre, né di nostra madre! Pare che l'unica cosa importante in questa casa sia con chi si va a letto, l'unico valore, l'unica cosa che conta. Che Elias sia buono, intelligente più di tutti noi, onesto, gentile, sempre pronto a dare una mano a tutti nonostante fosse il più piccolo... tutta spazzatura, per voi. Mi viene da ridere e da piangere per questo scherzetto che Dio vi ha fatto, proprio a voi che vi credete la famiglia modello, perfetta. Oh, che buoni cristiani siete tutti, eh? Grazie tante, siete troppo perfetti per i miei gusti. Mi siete diventati stretti, come un paio di calzoni di cotone da poco prezzo!"

Dopo poche settimane, anche Barnabas lasciò la famiglia e andò a vivere per conto proprio.

Arnaldo aveva fatto fare due copie delle chiavi di casa, che consegnò ai ragazzi quando arrivarono con le loro cose: "Ecco, tenete, così potete entrare e uscire liberamente, quando volete. L'unica cosa che vi chiedo è di sapere quando ci siete a colazione, pranzo e cena, per regolarmi quando cucino. O di dare un colpo di telefono se all'ultimo momento decidete di mangiare fuori, così non vi aspettiamo. Per il resto, sentitevi compleatamente liberi, è casa vostra, questa."

"E non abbiate paura di fare rumore, in camera vostra: qui le pareti sono molto spesse, non si sente nulla, a meno che vi mettiate a sparare con un bazooka!" aggiunse Antonio.

"Professore, noi..." iniziò a dire Elias.

"Altolà, ragazzi. Ormai entrate a fare parte della famiglia, perciò guai a voi se non ci date del tu." disse Antonio.

"Antonio, Arnaldo, siete due zii meravigliosi." esclamò Elias.

"Basta che non mi dai della vecchia zia..." ridacchiò Arnaldo. "D'accordo che presto compio sessantasei anni, ma... e è anche vero che mi piace molto cucinare, ma non mi sento né vecchio, né zia! Zio sì, e mi piace avere due nipoti belli e in gamba come voi."

"Mi ha detto Stefano che siete insieme da una quarantina d'anni... vi dispiacerebbe raccontarci come vi siete conosciuti, come vi siete messi insieme?" chiese Itzhak.

Un po' Antonio, un po' Arnaldo, alternandosi, raccontarono ai due ragazzi la loro storia.

Si erano conosciuti nel 1964, quando Arnaldo aveva venticinque anni e Antonio ventitré. Entrambi già sapevano da tempo di essere gay e si erano accettati come tali, anche se, specialmente per Arnaldo, l'accettazione della propria sessualità era stata lunga e difficile. A quei tempi non vi erano associazioni gay, né locali o riviste per omosessuali, e tutto doveva avvenire in segreto. Gli unici luoghi d'incontro erano i parchi di notte, che a volte erano pericolosi o i cessi pubblici, che erano sempre squallidi.

L'unica eccezione erano alcuni "giri bene", cioè gruppi di omosessuali, solitamente persone benestanti, che si erano gradualmente scoperti e che si trovavano ora a casa di uno ora dell'altro per chiacchierare, ballare, divertirsi. Entrare in questi giri segreti era però tutt'altro che facile, solitamente se ne entrava a fare parte per cooptazione.

Il padre di Arnaldo aveva una farmacia in centro e Arnaldo, da poco laureato in farmacia, vi lavorava. Un giorno Antonio era entrato nella farmacia per comprare qualcosa, si erano così visti, i loro occhi s'erano incontrati, era scattato qualcosa e i due s'erano sentiti subito fortemente attratti l'uno dall'altro. Era scoccato il classico colpo di fulmine.

Perciò Antonio aveva cominciato a tornare in farmacia, più o meno un giorno sì e uno no, una volta per comprare cerotti, un'altra un buon dentifricio, un'altra ancora una scatola di aspirine, poi una bottiglietta di alcool disinfettante... e così via, e ogni volta si mangiava con gli occhi Arnaldo, così come Arnaldo si sentiva sempre più attratto da Antonio. Non si erano scambiati che frasi di circostanza, dandosi del lei: un buongiorno, l'ordine, il costo, un grazie, un arrivederla... era tutto.

La cosa andò avanti per diverse settimane, finché Arnaldo fu quasi certo riguardo al motivo di tutte quelle visite con la scusa di comprare ogni volta qualcosa, tutto sommato non essenziale.

Un giorno, mentre Arnaldo stava uscendo dalla farmacia per fare una pausa e andare a prendere un caffè nel bar accanto, vide arrivare Antonio. Lo attese e, quando gli arrivò accanto, gli disse, dandogli per la prima volta direttamene del tu: "Sei uno dei nostri più affezionati cienti... sto andando a prendere un caffè, posso offrirne uno anche a te?"

Antonio accettò. Sedettero a un tavolinetto e allora Arnaldo gli disse: "Scommetto che a casa tua stai mettendo su una succursale della farmacia di mio padre." e Antonio arrossì. Questo confermò ad Arnaldo che aveva intuito correttamente il motivo dei troppo frequenti, piccoli acquisti dell'altro. Allora gli chiese: "Vivi da solo o stai in famiglia?"

"No, i miei stanno a Ivrea, io studio qui all'università e così ho affittato una mansarda in Via Principe Amedeo."

"Con un altro studente?"

"No, da solo. È piccola."

"E piena di medicinali, scommetto!" gli disse sorridendo Arnaldo. Poi disse: "Stasera, dopo che papà chiude la farmacia, ti va se passo a comprare due pizze e due birre e vengo a mangiarle su con te, nella tua mansarda? Mi piacerebbe conoscerti meglio."

Antonio arrossì di nuovo, ma disse di sì e gli scrisse l'indirizzo su un tovagliolino di carta... si dettero appuntamento per le otto. Arnaldo salì con le due pizze, ma le mangiarono molto più tardi e fredde, perché dopo averle posate sul tavolo prese fra le braccia Antonio e lo baciò... e dopo poco erano sul letto dello studente che facevano l'amore.

All'inizio c'era solo piacevole sesso fra i due, che comunque già fin da adolescenti avevano avuto diverse esperienze gay, ma Arnaldo saliva sempre più spesso nella mansarda di Antonio, a volte ci passava anche tutta la notte, e così impararono a conoscersi e gradualmente si innamorarono uno dell'altro.

Frattanto Antonio s'era laureato in lettere e aveva iniziato a ottenere le prime supplenze nei licei. Arnaldo aveva aperto una nuova farmacia in periferia, che gestiva in proprio, mentre il padre restava a gestire la vecchia e gloriosa farmacia di famiglia, che risaliva ai tempi del bisnonno.

I due decisero di voler vivere assieme e perciò di cercarsi un appartamentino. Il padre di Arnaldo molto probabilmente aveva immaginato che cosa c'era fra i due, ma non aveva mai detto niente. Quando gli capitava di parlare di Antonio, il padre di Arnaldo lo chiamava "il tuo inquilino".

Poi Antonio aveva ottenuto l'incarico a tempo indeterminato e aveva anche iniziato a pubblicare i suoi libri, integrando abbondantemente così lo stipendio, e più tardi, quando c'erano stati finalmente i concorsi a cattedra, era passato di ruolo.

Arnaldo aveva aperto una terza farmacia, anche lui guadagnava bene e avevano così deciso di cercarsi un appartamento più grande. Dopo diverse ricerche, avevano scovato e deciso di comprare quello in cui ancora abitavano: era in condizioni pietose, composto di tre grandi ambienti, di cui due quasi in rovina, solo quello che ora era il soggiorno era in stato decente, recuperabile.

L'avevano pagato abbastanza poco, soprattutto considerando che era proprio al centro della città, a causa delle condizioni pietose in cui era ridotto. In quegli anni tutta quella zona del centro era talmente degradata che nessuno ci voleva andare ad abitare, perciò i prezzi erano molto bassi, a differenza di ora che erano stati fatte grandi opere di restauro e che il valore era diventato altissimo.

All'inizio avevano vissuto lì, nel soggiorno, facendo solo rifare gli infissi. Un po' per volta, man mano che avevano abbastanza soldi (perché a nessuno dei due piaceva fare debiti), iniziarono a far ristrutturare le altre parti, ricavando due piani nella grande stanza di sinistra, che era stata un magazzino e aveva soffitti alti sei metri, e avevano ricavato il terrazzino sopra la cucina ribassandone il soffitto.

Avevano poi trovato da un antiquario la bella scala di legno del 1700, che proveniva da un convento demolito, per l'ingresso e per ultimo avevano fatto restaurare il soggiorno e la sua parete affrescata, andando poi a comprare i vari pezzi dell'arredamento, dagli antiquari di Via Maria Vittoria, man mano che ne trovavano uno adatto.

Poi, quando la sorella minore di Arnaldo e il marito avevano scoperto che Stefano, il loro figlio minore che aveva allora diciotto anni, era gay, e era scoppiata la tragedia greca in famiglia, Arnaldo e Antonio s'erano preso in casa il ragazzo. Dopo che questi aveva fatto il servizio militare, aveva chiesto loro se poteva portarsi a casa Paolo...

"E il resto della storia, la conoscete, credo." concluse Arnaldo.

"E per quaranta anni... non avete mai litigato? È sempre andato tutto bene?" chiese Itzhak.

"Litigato no, mai. Abbiamo avuto qualche discussione, qualche momento di tensione, abbiamo dovuto imparare ad adattarci l'uno all'altro. Ma, vedete, ragazzi, se ci si vuole veramente bene, si cerca di capire le ragioni dell'altro, più che non di fargli accettare le nostre ragioni. Giusto, Arnaldo?" disse Antonio.

"Sì, certo. Quando sentivamo che c'era un problema fra noi due, invece di chiederci: che cavolo ha l'altro? Ci si chiedeva: cosa sto facendo io che crea un problema? E allora si chiedeva aiuto all'altro per capire e per risolverlo. Ha sempre funzionato. Antonio e io siamo riusciti costruire la nostra vita in comune, in armonia, mattone dopo mattone, qualche volta anche con fatica. E stiamo continuando a costrirla, giorno dopo giorno."

"Mi piacerebbe, fra quaranta anni, se Elias e io potremo dire le stesse cose a qualcuno."

"Non vi è mai capitato di desiderare di fare l'amore con un altro, in tutti questi anni?" chiese loro Itzhak.

"No, non veramente. Vero Arnaldo? Cioè, mi spiego meglio, a volte ci è capitato di pensare che qualcuno fosse particolarmente attraente, è naturale, e anche magari di essere eccitati per la vicinanza o la visione di qualche bel ragazzo. Dopotutto abbiamo gli occhi, e siamo fatti di sangue e di carne. Ma non ci si è mai messi in condizione di doverci controllare o di poter cedere al desiderio, e questo non tanto per un senso di dovere astratto, ma per rispetto verso l'altro, e verso noi stessi."

"In un certo senso, ricordando che nessun paragone è mai perfetto, è un po' come quando si è capito che esiste l'Aids. Se non si è del tutto incoscienti, non si accetta di avere sesso con un altro senza un'adeguata protezione, per non rischiare di prendere l'infezione, no? Così, quando si è veramente innamorati, non si accetta di avere un rapporto con un altro, per non rischiare di mettere in crisi la propria relazione innamorandosi dell'altro." disse Arnaldo. "Non so se mi sono saputo spiegare chiaramente..."

"Non l'avevo mai vista in questo modo, ma credo che sia un paragone efficace. Chi dice: mica sarò così sfigato di beccarmi l'Aids solo per una volta che non uso il preservativo, rischia di prenderselo davvero. Così, chi dice: non rischio di rovinare la mia relazione con il mio partner solo per mettergli un cornetto, rischia di rovinarla davvero." disse Itzhak.

"Proprio così." assentirono i due uomini.

"Inoltre, vedete, ogni essere umano tende a presentare agli altri l'aspetto migliore di sé e a nascondere i propri difetti. È naturale, è umano, ed è anche facile se ci si vede ogni tanto. Quando però si convive questo diventa impossibile, i lati meno piacevoli del carattere, della personalità e delle piccole abitudini quotidiane vengono alla luce." disse Antonio. "Allora è facile vedere in un altro, che si vede di tanto in tanto, una persona più piacevole, giusta, perfetta del proprio partner... e avere la tentazione di lasciare il compagno per mettersi con qualcuno che ci sembra migliore."

"Per poi accorgersi," proseguì Arnaldo, "che sì, forse il nuovo compagno è migliore per qualcosa, ma peggiore per altre, che anche il nuovo partner ha i suoi difetti, che se anche non peggiori, richiedono un nuovo sforzo di adattamento, a meno di cambiare un partner dopo l'altro."

"Nessuno di noi è perfetto. La cosa migliore è perciò non correre dietro a chimere e restare con il primo partner, se c'è amore, accettarlo con tutti i suoi difetti e cercare di adattarsi l'uno all'altro e di costruire un qualcosa di stabile assieme." concluse Antonio.


Quando passarono la prima notte nella loro nuova casa e, dopo essersi spogliati l'un l'altro stavano abbracciati sul letto matrimoniale, si carezzavano e baciavano teneramente, costruendo a poco a poco il reciproco piacere, a un certo punto Itzhak disse: "Siamo stati molto fortunati, vero, amore, a ritrovare Antonio e a conoscere Arnaldo?"

"Sì, ma la vera, prima fortuna per me è stata incontrare te."

"Ci siamo conosciuti che eravamo due volte stranieri, stranieri perché in Italia, stranieri perché uno palestinese e uno israeliano. E con che cura ci si evitava a vicenda... ricordi? E ora siamo tutti e due cittadini italiani e siamo uniti dall'amore. Non è fantastico, questo?"

Elias disse: "E se anche abbiamo dovuto lasciare le nostre famiglie, ne abbiamo trovata una che ci accetta, ci sostiene e ci vuole bene."

"Secondo te, Elias, Antonio e Arnaldo fanno ancora l'amore?"

"Credo proprio di sì, non sono poi così vecchi. Comunque è evidente che si vogliono veramente bene e questa è la cosa più importante."

"Allora..." disse Itzhak con un sorrisetto malizioso, "a te basta che io ti voglio bene, anche se non facciamo l'amore?"

Elias gli salì sopra e lo strinse fra le braccia e le gambe: "Ehi, giovanotto, niente scherzi! Lo sai che io non sono uno che si accontenta di parole, io voglio fatti! Sarà meglio che ti dai subito da fare, sennò..."

"Sennò? Che fai, mi ripudi?"

"No, sennò mi do da fare io e voglio vedere... Non lo sai, Itzhak, che sono irresistibile, io?"

"Sì che lo so!" mormorò l'altro carezzandolo più intimamente.

Lo tirò a sé, le loro lingue giocarono a rimpiattino, e Itzhak dopo poco si offrì al suo amante, che accettò l'offerta con grato piacere, godendo il sorriso luminoso che fioriva sul volto del suo bel ragazzo man mano che si immergeva in lui.

"Sei davvero irresistibile, amato mio!" sussurrò Itzhak felice, mentre l'altro iniziava a muoversi dentro di lui.

"Dio, quanto ti amo, Itzhak!" mormorò Elias sentendosi incredibilemente emozionato.

Si scambiarono le parti, fecero all'amore a lungo, con calma urgenza, con vigorosa dolcezza, gustandosi l'un l'altro, donandosi l'uno all'altro, vincitori e vinti al tempo stesso, assaporando a fondo il mistero dell'amore che solo i loro corpi sapevano esprimere oltre quello che le parole possono fare.


Conobbero Vadim, il ragazzo rumeno che andava a fare pulizie nella casa. Un po' alla volta, sia da questi che dai loro "zii", vennero a sapere la sua storia e quanto Arnaldo e Antonio avevano fatto anche per Vadim.

Vadim Ducaru era rimasto orfano quando aveva dodici anni ed era stato preso in casa da uno zio di secondo grado, il cugino della madre, che aveva un altro figlio maschio di un paio di anni più grande di lui. Grazie a questo cugino, Vadim aveva capito di essere gay: da quando aveva quattordici anni e l'altro sedici, ogni volta che erano in casa da soli, facevano l'amore in gran segreto. In Romania l'omosessualità era illegale e severamente punita.

Vadim fin da ragazzino era stato un bravo giocatore di palla-nuoto, ed era entrato a fare parte della squadra nazionale di palla-nuoto romena. Quando aveva diciotto anni aveva scoperto che un suo compagno di squadra, Corneliu, era gay come lui e i due ragazzi s'erano innamorati. Erano riusciti a vivere la loro storia d'amore per tre anni, in gran segreto, sia pure attraverso mille difficoltà.

Nel 2002 erano venuti in Italia per una amichevole con la nazionale italiana. Avevano deciso di non tornare in Romania con la squadra ma di restare in Italia. Ma il giorno della partenza, quando si era trattato di scomparire e nascondersi, Corneliu non se l'era sentita di rischiare ed era così tornato indietro con la squadra lasciando Vadim.

Questi era invece restato in Italia, deluso, quasi senza soldi in tasca, ma deciso a non tornare indietro. Aveva ventuno anni. Facendo l'autostop, era riuscito ad allontanarsi da Roma, viaggiando verso il nord. Uno dei passaggi gli era stato dato da un uomo che parlava un po' di romeno, perché per lavoro andava spesso in Romania, e questi aveva capito che Vadim era un clandestino. L'uomo l'aveva ospitato a casa sua, a Firenze, e già la prima notte aveva riscosso dazio, dicendogli che o si lasciava fottere o lo denunciava alla polizia.

Vadim aveva ceduto: non voleva assolutamente essere rimandato in patria, e dopo tutto quell'uomo gli dava un tetto e da mangiare, anche se fare sesso con lui non era che un atto fisico. Ma poi quell'uomo cominciò a portargli a casa i suoi "amici", da cui doveva anche lasciarsi fottere, finché un giorno aveva scoperto che il tizio in realtà si faceva pagare da quegli uomini per lasciargli usare il ragazzo.

Così era scappato da quella casa: se doveva lasciarsi fottere da uomini sconosciuti, che pagassero lui, non che ci guadagnasse quel "buon samaritano"! Quindi entrò nel giro della prostituzione maschile. Cambiò città andando ancora più a nord e si mise a battere il marciapiede, andando a vivere con altri ragazzi extracomunitari che si prostituivano come lui.

Fece per due anni quella vita, finché una sera incontrò Stefano che se lo portò a casa sua. Stefano era diverso dagli altri clienti. Si videro alcune volte. Oltre a scopare i due parlarono e Stefano, quando seppe la sua storia, provò pietà per Vadim. Così un giorno parlò con lo zio e gli chiese se poteva aiutare il ragazzo. Arnaldo e Antonio, che avevano a servizio un filippino di cui non erano affatto contenti, e che avevano già deciso di licenziare, vollero conoscere Vadim e ne ebbero un'ottima impressione. Si dettero quindi da fare per fargli ottenere il permesso di soggiorno e lo assunsero.

Dopo un anno e mezzo che lavorava per gli zii, e che viveva a casa loro, un giorno Vadim aveva conosciuto al supermercato, dove era andato a fare provviste per la casa, un ragazzo di tre anni più grande di lui, che faceva il cameriere in un ristorante. S'erano guardati in un modo piuttosto eloquente, avavano attaccato bottone, l'altro l'aveva invitato da lui e avevano fatto l'amore. Si erano piaciuti, avevano preso a frequentarsi, s'erano innamorati, così Vadim, pur continuando a lavorare per gli zii, era andato a vivere con Tony, il cameriere.

Vadim era un ragazzo piacente, gentile, allegro, discreto. Era molto ligio al dovere: se parlava per deci minuti con i ragazzi, smetteva dieci minuti più tardi di lavorare. Arrivava in casa, per fare i lavori la mattina verso le dieci e restava fino alle sedici, tutti i giorni esclusa la domenica.


Itzhak ed Elias continuarono a frequentare l'università, a dare gli esami superandoli con ottimi voti e quando dovettero presentare la tesina per la laurea triennale, chiesero e ottennero di farla assieme, facendo una comparazione fra la poesia omoerotica degli autori arabi ed ebraici del medio evo con quella degli antichi greci.

Quindi si iscrissero alla laurea di specializzazione biennnale.

Entrambi avrebbero voluto diventare ricercatori in facoltà, ma questo non avrebbe assicurato loro di guadagnare abbastanza per mantenersi, sarebbero stati precari e sotto-pagati per molti anni. Forse avrebbero fatto meglio a trovarsi un lavoro, magari meno gratificante ma sicuro, come l'insegnamento, o lavorare per una casa editrice, o altro.

Dopo averne dicusso fra di loro, decisero che era bene chiedere il parere dei loro zii adottivi, così ne parlarono a lungo con Antonio e Arnaldo.

I due dissero ai ragazzi: "Siete tutti e due molto intelligenti, capaci, dotati di buona volontà. Sarebbe un peccato che rinunciaste alla ricerca e alla carriera universitaria solo per un problema economico. Se non vi pesa troppo restare con noi e permetterci di continuare ad aiutarvi, noi saremmo molto lieti che vi dedicaste a quello che maggiormente desiderate."

"Avete già fatto tanto, per noi, che ci pare ingiusto continuare ad approfittare della vostra generosità e del vostro affetto. Anche se, onestamente, la tentazione di accettare è forte, vero, Elias?" disse Itzhak.

"Non mi pare che ne approfittiate, ragazzi. Non comunque del nostro affetto, ché ce ne date almeno quanto noi sappiamo darne a voi." disse Antonio, "E poi... la nostra è forse anche un po' una forma di egoismo... finché avete bisogno di noi, vi abbiamo qui con noi... È molto bello avervi per casa, la vostra freschezza e gioventù ci aiuta a invecchiare più lentamente, più dolcemente."

I due vecchi e i due giovani si unirono in un affettuoso abbraccio, sentendo in cuor loro che erano un'unica, bella famiglia, più forte e vera di quella puramente genetica, che dopo aver dato loro la vita, era stata così avara di accettazione e di affetto...


F I N E


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