DUE VOLTE STRANIERI | CAPITOLO 7 RIFIUTO DOLOROSO |
Erano quasi stupiti, Elias e Itzhak, che nessuno dei loro compagni di classe si fosse accorto che fra loro due era cambiato qualcosa di molto importante, anche perché, invece, sia i nonni di Itzhak che la famiglia di Elias s'erano accorti di un cambiamento, di una maggiore allegria dei due ragazzi. Ma non vedendoli assieme, non avevano capito da cosa dipendesse. Terminarono l'anno, passarono la maturità classica con il massimo dei voti, e finalmente poterono andare in vacanza, assieme come avevano progettato. Né Elias né Itzhak avevano detto in casa che avrebbero passato le vacanze con l'altro. Avevano semplicemente comunicato che intendevano girare l'Italia in autostop e le loro famiglie pensavano che ognuno andasse da solo. Si trovarono all'imbocco della tangenziale, in direzione di Piacenza. Elias era riuscito ad avere in prestito una superleggera da due posti a igloo, verde e azzurra. Appena si incontrarono, contarono i soldi che avevano in tasca e li misero assieme. "Quando li abbiamo finiti, torniamo indietro, eh?" disse Elias. "Forse è meglio che si torni indietro quando stanno per finire, no?" gli disse Itzhak. "Sei un tipo prudente, tu. Io no. Facciamo così: quando ci restano venti euro, torniamo indietro. Va bene?" Furono fortunati, il primo autista che li prese a bordo andava proprio a prendere l'autostrada per Piacenza e sarebbe uscito ad Asti, dove il tizio abitava. Si informarono da lui su che cosa ci fosse da vedere di bello nella sua città, e chiacchierarono un po'. Elias e Itzhak avevano deciso di farsi passare per italiani, non avevano voglia di spiegare a tutti la loro storia; avrebbero detto che Elia era figlio di siciliani, ma nato nel nord, e Isacco era figlio di gente del nord; erano vicini di casa e compagni di scuola. "Curioso che avete due nomi biblici e non poi così comuni..." osservò l'automobilista, un uomo sui trentacinque anni. "Sì, vero?" disse allegramente Elias. L'uomo disse loro che lavorava come tecnico di laboratorio in un ospedale, era sposato e aveva due figli piccoli, il maggiore di sei anni e il minore di tre. Era un tipo abbastanza gradevole. Chiese loro se fumavano, e quando dissero di no, fece loro i complimenti. "Io ho smesso quando mia moglie aspettava il nostro secondo figlio, e sto molto meglio, ora. Prima, per non avvelenare mia moglie e il nostro primo figlio, andavo a fumare in balcone... ma era una schiavitù e soldi letteralmente mandati in fumo. Avevo cominciato a fumare quando avevo quindici anni... Mi faceva sentire più adulto... che cazzata. Avete la fidanzata, ragazzi?" "No, non ancora." rispose Itzhak. "Ma sì, avete ragione, divertitevi finché siete giovani. Io mi sono sposato che avevo ventisei anni, l'età giusta. Martina, mia moglie, era la sorella minore del mio migliore amico, con cui si andava a saltare a cavallina." "Ci potrebbe dire dove possiamo piazzare la nostra tenda? Pensiamo di fermarci almeno una giornata ad Asti." chiese Elias. "Perché non venite a dormire a casa mia? Mia moglie è al mare con i piccoli, c'è posto." "Non vorremmo disturbare..." disse Itzhak. "Ma no, nessun disturbo. Quando avevo la vostra età anche io andavo in giro in autostop. Ho casa in centro, potete visitare la città a vostro agio. E magari possiamo anche cenare assieme. A pranzo no, perché mangio al lavoro. Sono dovuto andare a comprare alcuni reattivi, devo portarli in ospedale al più presto. Allora, accettate?" "Beh... grazie, è davvero gentile." disse Elias dopo aver dato un'occhiata a Itzhak che annuì. "Sentite, non potreste darmi del tu? Io mi chiamo Ugo." Lasciarono gli zaini a casa di Ugo e mentre questi andava al lavoro, cominciarono a girare la città. Come d'accordo, tornarono a casa di Ugo verso le sette e mezzo di sera. Cenarono, poi chiacchierarono un po', mentre guardavano la TV. Sul tardi Ugo mostrò loro la camera in cui potevano dormire. "C'è solo il letto del più grande, quello del piccolo è troppo corto." "Nessun problema. Per una notte si può dormire anche in due su un letto, vero Isacco?" disse Elias e, non visto da Ugo, gli fece l'occhiolino. Dopo essere andati in bagno a turno per fare una doccia, dettero la buonanotte a Ugo, lo ringraziarono di nuovo e andarono a letto nella cameretta dei figli dell'uomo. Spenta la luce, si abbracciarono e si baciarono. "Non dobbiamo farci sentire, la sua camera è dietro quel muro." sussurrò Elias. "La nostra prima volta su un letto! Lo sai quanto ti amo?" mormorò Itzhak carezzando l'amico. "Sì, lo so e anche io ti amo un sacco!" Si sfilarono l'un l'altro le magliette e le mutande, intrecciarono le loro membra, girarono e rigirarono sul lettino, che per fortuna non cigolava, e fecero l'amore a lungo, con abbandono e passione, con tenerezza e vigore, fino a raggiungere la piena soddisfazione dei sensi. Poi infilarono i profilattici in un sacchetto, assieme ai fazzolettini di carta con cui s'erano ripuliti, indossarono di nuovo le mutande, si stesero abbracciandosi e baciandosi, finché scivolarono felici in un buon sonno. La mattina dopo furono svegliati da Ugo che bussava alla porta: "Scusate, ragazzi, ora preparo la colazione, poi devo andare al lavoro. Se vi vestite..." disse l'uomo da dietro la porta. "Sì, grazie. Veniamo subito." rispose Itzhak. Dopo poco lo raggiunsero in cucina. "Avete dormito bene?" chiese loro Ugo con un sorriso. "non siete stati troppo stretti, spero." "No, grazie, abiamo dormito ottimamente. E tu, Ugo?" "Ho tardato un po' ad addormentarmi. Avete appoggiato gli zaini sul lettino del piccolo, vero?" "Sì... non dovevamo?" chiese Elias un po' incerto, chiedendosi come poteva saperlo, dato che non era entrato nella camera dei figli. "Beh... forse..." disse l'uomo guardandoli con un sorriso divertito. "Senza volerlo... avete acceso il baby control... e ho sentito tutto." "Oh dio!" gemette Elias e Itzhak diventò rosso come un peperone. Ugo rise: "Ehi, poco male. Eravate... teneri, ragazzi." "Ci dispiace... noi..." balbettò Itzhak. "Tranquilli, tranquilli. Il mio fratello minore è gay, posso capirvi, perciò. Non avete niente da vergognarvi. E eravate teneri a continuare a dirvi che vi volete bene, davvero. I vostri non sanno niente, vero?" "No, non sanno nemmeno che facciamo le vacanze assieme." ammise Elias ricominciando a respirare. "L'ho immaginato: avete detto che era la prima volta che potevate farlo su un letto. Se avessi saputo, v'avrei fatto dormire sul mio lettone e sarei andato io a dormire in camera dei miei figli." "I tuoi... hanno accettato senza problemi che tuo fratello è gay?" "I miei genitori non lo sanno. Non potrebbero accettarlo mai. Mia moglie sì, senza problemi. Carlo, mio fratello, adesso vive a Genova con Gianni, il suo ragazzo, che è il fratello di mia moglie. Stanno assieme da quattro anni. E voi due, ragazzi?" "Pochi mesi. Ma non abbiamo un posto... e così... è difficile avere un po' di intimità." disse Elias. "Peccato. Se solo la nostra società fosse un po' meno bigotta, ipocrita e puritana." "E tu, come hai scoperto che tuo fratello..." "Lisa, mia moglie, tre anni fa mi ha detto che suo fratello è gay. Quando ha visto che la cosa non mi faceva problema, m'ha detto che aveva un ragazzo, e poi che il ragazzo di Gianni era mio fratello Carlo. Prima che andassero a vivere a Genova, due anni fa, gli facevamo usare la nostra camera, ogni tanto, ché anche loro non avevano un posto."
Poi trovarono un passaggio fino a Firenze. Scesero fino a Roma, passarono sulla costa Adriatica, visitarono Pescara, Ancona, Ravenna, poi Bologna, Verona, Brescia, Milano e infine tornarono a casa: quando arrivarono avevano ancora sei euro in tasca. Tutto il tratto della costa Adriatica l'avevano percorso con due ragazzi inglesi, un'altra coppia gay che avevano incontrato a Pescara: anche loro viaggiavano in autostop e dormivano in tenda. Si separavano solo per fare l'autostop, dandosi appuntamento nella seguente città che intendevano visitare. Erano state vacanze splendide, "una vera luna di miele" come disse Elias, sulla via del ritorno. Cominciarono a frequentare l'università. Entrambi avevano ottenuto l'esonero totale dal pagamento delle tasse scolastiche ed Elias anche un assegno per coprire in parte le spese di acquisto dei libri. Poiché avevano deciso di studiare assieme, Itzhak comprò solo i libri che l'assegno di Elias non copriva, in modo che la famiglia del suo ragazzo non dovesse tirar fuori altri soldi. Studiavano anche in facoltà, in un'aula libera. Sia la madre di Elias che la nonna di Itzhak davano loro panini per il pranzo: li mettevano in comune e li mangiavano assieme. L'unico lusso che si concedevano era andare due volte al giorno al bar per prendere un caffè: cercavano di risparmiare al massimo dalle loro paghette, sperando di essere in grado, prima o poi, di trovarsi un posto dove poter stare in intimità. Riuscivano a fare l'amore piuttosto di rado e nei posti più impensabili, a volte anche rischiando di essere sorpresi da qualcuno. Itzhak decise infine di dire ai nonni di essere gay. Una sera, finito di cenare, affrontò l'argomento. "Io devo dirvi una cosa..." esordì, sentendosi teso, nervoso. "Sì, Itzhak?" disse il nonno. "Io... mi sono innamorato." "Bene. Strano che non sia successo prima." gli disse il nonno con un sorriso, e la nonna annuì, anche lei sorridente. "Conosciamo la ragazza? Chi è?" "Ecco... veramente è... Elias Bargouti" I nonni lo guardarono allibiti. Per un po' calò un silenzio irreale. Poi il nonno disse, con voce strana, alterata, ferita: "Ma è... è un palestinese!" Itzhak esclamò: "EH?" poi scoppiò a ridere con una risata nervosa. "Ridi? Che c'è da ridere?" "Credevo... pensavo... che mi diceste che essere omosessuali è un'abominazione... e l'unica cosa che vi preoccupa... è che è palestinese!" "C'è poco da ridere. Se tu sei anormale, non è colpa tua, ma metterti con gli assassini della tua famiglia!" tuonò allora il nonno. "Come puoi farci una cosa simile, Itzhak!" rincarò la dose la nonna. "Elias e la sua famiglia non hanno fatto niente, non hanno mai ammazzato nessuno, loro. Che c'entra che sono palestinesi?" "Se tu sei omosessuale, è una disgrazia, ma sappiamo che non è colpa tua. Però..." disse il nonno accigliato, e la mano posata sul tavolo gli tremava, "Non puoi pretendere che siamo contenti che sia addirittura con un palestinese che fai quelle cose! Non possiamo accettare che nostro nipote..." "Se volete che me ne vada via da casa... mi arrangerò in qualche modo..." disse Itzhak a voce bassa, tornando serio. "Non dire sciocchezze, sei nostro nipote. Che fai se te ne vai di casa? Devi studiare, come fai senza il nostro aiuto? No. Però... Però potevi fare a meno di dircelo, no?" disse il nonno in tono sdegnato e addolorato. La nonna scuoteva la testa. "Perché ci hai dato una pena così grande, Itzhak? Che bisogno avevi di dirci una cosa così... così... brutta?" "Non è una cosa brutta, volersi bene, essere innamorati." protestò in tono accorato il ragazzo. "È brutta... sì che è brutta... innamorato di un ragazzo e per di più palestinese! Possibile che non lo capisci da solo?" disse la nonna asciugandosi una lacrima. "Non ha fatto niente di male, Elias... e se è un ragazzo e non una ragazza... non ci posso fare niente, visto che sono fatto così!" "Tua madre... si starà rivoltando nella tomba, povera donna..." disse il nonno in un tono fra il duro e lo sconsolato. "Mia madre invece ora sicuramente capisce meglio di prima." "Non dire mostruosità, ora." lo ammonì il nonno. "Potevi fare a meno di dircelo, se tu avessi avuto rispetto per noi." "Che cosa? Che sono omosessuale o che amo un palestinese? E perché, visto che sono due cose vere? Dovevo continuare a ingannarvi, a farlo dietro le vostre spalle? Magari fare il filo a una ragazza ebrea per farvi contenti e ingannare così anche lei? Sarei stato un uomo migliore se avessi fatto così, secondo voi?" chiese Itzhak in tono sempre più triste ed accorato. "Itzhak, è inutile che continuiamo questo discorso. Credevi che fosse giusto dircelo e ce l'hai detto. Adesso basta. Noi cercheremo di non pensarci più e tu evita di parlarne ancora. Mettiamoci una pietra sopra," disse in tono deciso il nonno. "Sì, una pietra sopra, come si fa con le tombe dei nostri morti, vero?" disse a mezza voce il ragazzo. "Ma che pretendi, Itzhak, che ci mettiamo a cantare e ballare per la felicità, per quello che ci hai detto?" gli chiese la nonna, in tono offeso. Poi aggiunse: "Sei grande, ormai, sei maggiorenne, hai fatto le tue scelte. Possiamo rispettarle, ma non puoi pretendere che le condividiamo. Che il Signore ti perdoni, è tutto quello che possiamo dirti." "Forse è davvero meglio che me ne vado. Vi ho deluso." disse il ragazzo. "Questa è anche casa tua, Itzhak. Te ne andrai, se vorrai, quando sarai in grado di mantenerti, dopo che avrai finito gli studi. Ma è anche casa nostra. Non puoi dettare tu le regole. Perciò, per favore, non torniamo mai più su questo argomento." disse il nonno in tono deciso. "Ma, nonno..." "Non - torniamo - più - su - questo - argomento!" scandì il nonno. "Come volete voi. Va bene." disse Itzhak addolorato. "Vado in camera mia." "Buona notte, caro." gli disse la nonna. Andò in camera, si gettò sul letto prono, la testa fra le braccia. Aveva fatto male a parlare. Sì, sarebbe stato meglio continuare a ingannarli. Aveva sperato che il loro amore per lui fosse abbastanza grande da accettare, da essere contenti per la sua felicità. Forse aveva preteso troppo da loro. Li aveva addolorati di più per essersi innamorato di un palestinese che non per il fatto di essere gay! Questo davvero non l'aveva previsto. Davvero il mondo va alla rovescia, si disse. "Ma perché non posso essere amato per quello che sono? Amato, compreso, accettato per quello che ho nel cuore e non per chi amo?" si chiedeva Itzhak. "Non amano me... amano quello che vorrebbero che io fossi. Non è colpa loro, forse, ma è terribilmente triste. Non mi hanno cacciato di casa, ma mi hanno cacciato dal tempio del loro cuore." La mattina seguente i nonni erano come sempre, come se nulla fosse accaduto: avevano davvero deposto una pietra su una tomba... purché Itzhak non resuscitasse mai quello che vi avevano sepolto. Quando andò a prendere l'autobus per andare a lezione e incontrò Elias, questi s'accorse subito che era accaduto qualcosa. Itzhak glielo raccontò. "Povero Itzhak... se me ne parlavi prima, t'avrei sconsigliato dal farlo, povero amore mio. Dio, quanto mi dispiace!" "M'ero illuso che... che mi volessero bene per quello che sono, che ho nel cuore, e non per quello che faccio." "Ma, vedi, tu fai quello che hai nel cuore, e loro non sanno fare una differenza. Io sono convinto che ti vogliono bene davvero, a modo loro." "Sì, a modo loro." "E non è così per ognuno di noi? Non siamo anche noi, tu e io, a voler bene a modo nostro?" gli disse con dolcezza Elias. "Sono delusi di me." "E non sei anche tu deluso di loro?" insisté Elias. "Sì. Sì, capisco cosa vuoi dirmi." "Senti, stamattina invece di andare a lezione, perché non andiamo al cinema? Ho visto che il Massimo è aperto anche di mattina..." "Qualcosa di interessante? Una retrospettiva?" chiese Itzhak un po' stupito dalla proposta. "Non lo so, non ho visto." "Allora?" "Almeno ti posso abbracciare, coccolare un po', al buio... tanto, triste come sei, non seguiresti neanche la lezione." Itzhak sorrise al ragazzo che amava: "Non c'è bisogno, grazie. Mi passerà. Se avessimo potuto fare l'amore, magari ti avrei detto di sì." Scesero dall'autobus e andarono in facoltà. Gino, un loro compagno di corso, gli si affiancò e li salutò. "Sempre assieme voi due, non una volta che vi abbia visti separati. Se non foste così diversi fisicamente, direi che siete due gemelli siamesi!" disse il compagno. "Abitiamo a due passi e siamo compagni dalla quarta ginnasio." disse Itzhak. "Bah, anche io e Paolo siamo stati compagni di liceo e abitiamo vicino e siamo amici, ma mica siamo sempre appiccicati come voi due. Parete piuttosto una coppietta di sposini freschi!" disse allegramente il compagno. "Eh... e magari lo siamo. Sai, di questi tempi si parla tanto delle coppie di fatto." rispose Elias col tono di chi fa una battutta. "No, è che vi invidio... è bello vedervi sempre assieme. Piacerebbe anche a me poter stare così col mio ragazzo, e invece ci si vede sì e no un paio di volte la settimana. Lui lavora fuori e torna solo per i week end..." "Il tuo ragazzo?" chiese Elias stupito. "Sì, io sono gay. Non lo sapevi? Sono io che metto sempre i manifestini dell'Arci Gay in bacheca. Lo sanno tutti che sono gay." "Beh, noi non lo sapevamo. Ma lo sanno anche i tuoi a casa?" chiese Itzhak. "Sì, lo sanno da quando avevo quattordici anni. All'inizio non l'hanno presa tanto male, ma neanche troppo bene, specialmente mio padre. Ma poi hanno voluto capire, si sono documentati e tre anni fa si sono anche iscritti all'Agedo." "L'Agedo? Cos'è l'Agedo?" "Un'associazione fondata da una decina di anni. È l'Associazione Genitori, parenti e amici di Omosessuali. Ma, scusate, siete una coppia gay anche voi due no?" "Sì. E ieri il mio Itzhak l'ha detto ai nonni, coi quale vive, che non l'hanno presa per niente bene." "E quello che è buffo," aggiunse Itzhak, "dato che noi siamo una famiglia di ebrei praticanti e io sono nato in Israele, quello che li ha contrariati più ancora che non scoprire che io sono gay, è che il mio Elias, qui, è un palestinese!" "Oh, cavolo, sarebbe da farci un articolo da pubblicare su tutti i giornali!" esclamò Gino. "No, la famiglia di Elias non sa niente di lui, e temo che reagirebbero peggio dei miei. E poi, vedi, se i miei nonni non riescono proprio a digerire che io mi sono innamorato di Elias, è perché i miei genitori e due fratellini sono stati ammazzati da un terrorista palestinese... e a me non va di mettere in piazza la mia storia." "Cavolo! Beh, sì, capisco." "Tu, col tuo... Paolo, si chiama, no? Vi vedete a casa tua?" chiese Elias. "Beh, i miei lo invitano qualche volta a pranzo o a cena da noi, hanno accettao anche lui come uno di famiglia." "Sì, è bello, ma voglio dire... fate anche l'amore a casa tua?" "No, quello no. Abbiamo però un monolocale che abbiamo preso in affitto io e Paolo e quando lui viene stiamo lì. I miei lo sanno, mamma ci ha anche cucito le tende e il copriletto... Quando lui non c'è, sto a casa coi miei." "Siete fortunati, voi. Noi non si ha un posto... e non abbiamo i soldi per affittarne uno. Certe volte andiamo nella sauna gay o in discoteca per fare l'amore nelle dark room... o nei parchi, fra i cespugli..." disse Elias. "Sì, come i primi tempi Paolo e io. Ma anche i ragazzi e le ragazze etero hanno lo stesso problema, spesso. Però è diverso quando si vole solo scopare e quando invece si è innamorati e si vuole fare l'amore." Entrarono in aula, seguirono le lezioni. Poi, mentre Itzhak ed Elias facevano pranzo con i loro panini, Gino si appartò un attimo per fare una chiamata col telefonino. Parlò a lungo, poi tornò dai due amici. "Ho parlato con Paolo, ci si sente o ci si manda messaggini un paio di volte al giorno... Gli ho parlato di voi, dice che se domenica siete liberi, gli piacerebbe conoscervi. Vi andrebbe di venire da noi?" Accettarono. Il monolocale di Gino e Paolo era quasi in riva al fiume, a due passi dall'Università. Pranzarono assieme e chiacchierarono a lungo. A Elias e Itzhak piaceva poter parlare con un'altra coppia affiatata come loro, scambiare idee, esperienze. Paolo aveva ventotto anni e lavorava nel laboratorio di ricerca della Ferrero d'Alba. "Gino mi ha detto che non avete un posto, ragazzi. Noi, qui, ci veniamo solo nei week end o nei giorni di festa, quando non lavoro. Così si pensava, con Gino, che vi potremmo dare una copia delle chiavi in modo che possiate venire qui, qualche volta. Che ne dite?" Elias guardò Itzhak, radioso: "Dio, sarebbe fantastico. Siamo a due passi dalla facoltà e quando abbiamo ore buche... che ne dici?" "Ma tu, Gino, non ne hai mai bisogno durante la settimana? Non sarebbe meglio che qualche volta, se mai, ci presti tu la chiave..." ciese Itzhak. "No, io durante la settimana non la uso mai. Che ci vengo a fare, qui, da solo? E poi io e voi due abbiamo solo due o tre materie in comune, certi giorni neanche ci si vede. Paolo voleva conoscervi prima di decidere. Evidentemente gli piacete, come piacete a me." Discussero un po' la cosa, Itzhak ed Elias volevano per lo meno contribuire alle spese, ma Paolo e Gino rifiutrono. Infine i due ragazzi accettarono, grati. Il monolocale era al sesto piano ed era ben organizzato: si entrava direttamente nel soggiorno, che si apriva su un terazzino che dava sul fiume. A destra, dietro una tramezza di mattoni di gres smaltati di bianco e traforati, c'era il letto matrimoniale, un piccolo armadio e un comodino. A sinistra una porta dava su un minuscolo cesso con doccia, poi un'altra parete di gres traforato come quella di destra, celava un minuscolo cucinino completo di frigo, lavatrice e microonde. Il tutto, compreso il terrazzino a L, occupava poco meno di 40 metri quadri. Era arredato con mobili semplici e funzionali, comprati alla Ikea. Alle pareti tre grandi quadri con foto erotiche di nudi maschili, non pornografiche. Il tutto era molto gradevole. "Quanto pagate, qui?" chiese Itzhak. "Cinquecento euro, comprese le spese, escluso il riscaldamento." rispose Paolo. "Siete davvero gentili a lasciarci usare il vostro monolocale. Siamo fortunati, vero Elias?" "Sì, molto." Così finalmente i due ragazzi poterono concedersi abbastanza spesso i tanto desiderati momenti di intimità, e su un ampio e comodo letto. Erano felici. Per ringraziare gli amici, tenevano pulito come uno specchio il monolocale, e ogni venerdì passavano dal fioraio che c'era accanto alla casa per comprare fiori freschi che mettevano sul tavolo tondo del soggiorno e sul comodino accanto al letto. Stavano abbracciati, nudi e felici, sul grande letto, dopo aver fatto a lungo e con calma l'amore, e chiacchieravano semiabbracciati, quando qualcuno suonò alla porta. Itzhak si infilò in fretta i jeans e andò ad aprire, mentre Elias si rivestiva. Alla porta c'era un giovanotto. "Scusa, non c'è il dottor Battaglia?" "Paolo? No, è ad Alba." rispose Itzhak. "Sei Gino, tu? Il suo ragazzo?" chiese l'altro. "No... sono un amico." rispose incerto Itzhak. "Ah, scusa. Io mi chiamo Stefano Quaranta. Sono un vecchio amico di Paolo, avevamo fatto il militare assieme. Siamo stati un po' assieme, prima che si mettesse con Gino. Hai il numero di telefono di Paolo? Mi piacerebbe, adesso che sono tornato in Italia, mettermi in contatto con lui. Il numero di telefono che avevo non funziona più..." Itzhak aveva il numero del telefonino di Paolo, ma non sapeva se poteva darglielo. "Non l'ho, ma se vuoi, quando lo sento, posso dirgli che sei venuto a cercarlo. Se hai tu un numero di telefono, magari glielo do." "Sì, grazie. Posso entrare un attimo? Se mi dai un pezzo di carta, ti scrivo il mio indirizzo e il mio numero di telefono." "Sì, prego, entra." gli disse, lo fece sedere e gli diede una biro e un foglio. Il giovanotto scrisse sul foglio, poi disse a Itzhak: "Sei un gran bel ragazzo... Mica sei... libero, per caso?" "No, di là c'è il mio ragazzo." gli disse, poi chiamò: "Elias!" Questi comparve, completamente vestito. "Ecco, lui è il mio ragazzo. E lui è un amico di Paolo." "Sì, ho sentito. Volete un caffè?" chiese Elias. "No, grazie, ora vado." disse il giovanotto e andò via. "Hai fatto bene a non dargli il numero di Paolo. Anche se ha detto che una volta stavano insieme." disse Elias. Itzhak prese il telefonino, chiamò Paolo e gli disse chi era andato a cercarlo. "Ah, sì, Stefano! È un caro amico, siamo anche stati insieme un paio di anni, poi lui è andato a lavorare a Francoforte. Scommetto che ci ha provato con te o con Elias!" "Con me, sì, ma non ha insistito quando ha visto che ero con Elias." Paolo ridacchiò: "Ci provava sempre con tutti, il lupo perde il pelo ma non il vizio. Anche per quello fra noi è finita, non è capace di essere fedele. Ma è un bravo ragazzo, buono, non farebbe male a una mosca. Sono contento che sia tornato. Adesso lo chiamo. Grazie Itzhak. Ah, e grazie per tenere così pulito il monolocale e per i fiori. Siete impagabili, tu e Elias!" "È il minimo che possiamo fare per voi." gli rispose Itzhak.
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