DUE VOLTE STRANIERI CAPITOLO 4
CONFRONTI E CONTRADDITTORI

I genitori di Pierfranco furono lieti di accogliere i due ragazzi in casa loro per il "confronto" a cui il professore aveva deciso di dare inizio. E, diversamente da quanto aveva consigliato il professore, dissero a Pierfranco che avrebbe fatto meglio a partecipare ai loro incontri, cercando però di non intervenire a favore di uno o dell'altro ragazzo, ma di aiutarli a capirsi, ad ascoltarsi.

Così prima Elias, poi Itzhak si presentarono a casa Redaelli e Pierfranco li portò in biblioteca, dove sedettero attorno a un tavolo, i due ragazzi uno di fronte all'altro e Pierfranco fra loro. Ognuno dei ragazzi aveva di fronte un blocco di carta bianca e una penna.

Elias, il più estroverso dei due, attaccò subito: "Perché siete venuti in Palestina e ce l'avete tolta?"

"Perché prima di voi c'eravamo noi. Era la nostra terra."

"E prima di Mosé c'eravamo noi! I Filistei erano i palestinesi, no?"

Pierfranco intervenne: "Serve a qualcosa guardare il passato? E che data bisogna scegliere? Quale è quella giusta? Se devo fissarla io, facciamo il 100 dopo Cristo, no?"

"Perché?" gli chiese Itzhak accigliato.

Pierfranco rise: "Perché era la massima espansione dell'impero romano: era tutto nostro, Scozia esclusa e Palestina compresa. No, è ridicolo guardare al passato e dire: prima c'eravamo noi. Come per l'Istria, che ora è slovena e croata, prima era jugoslava, prima ancora era italiana, prima ancora austriaca, prima ancora era veneziana... Oggi non è più italiana. Punto. Dato di fatto. Inutile, stupido discutere di chi era prima."

"E allora di cosa dobbiamo discutere? Il professore non ci ha dato una serie di domande, a noi due. Né i ritagli di giornali." disse Elias.

"Non pensate che due stati separati e sovrani, Israele e Palestina, possono vivere fianco a fianco, in pace?" chiese allora Pierfranco.

Elias si grattò la testa: "E perché non un solo stato dove tutti, cristiani, musulmani, ebrei, arabi, israeliani e palestinesi vivono insieme?"

"Sì, e la maggioranza, arabi e musulmani, ci impongono a tutti la legge del corano. Andrebbe male sia a te che a me, no? Scemo." obiettò Itzhak guardando per storto il compagno.

"E allora noi dobbiamo vivere in uno stato diviso in due pezzi dal vostro, e controllato da voi? Bella libertà! Voi ci dite: siete liberi di vivere come vogliamo noi. Grazie tante! Sei tu scemo, non io."

"Se magari la smettete di darvi dello scemo e ragionate e ascoltate le idee dell'altro..." azzardò Pierfranco con un sorriso.

"Ascoltare cazzate e dire: ma sì, perché no? Tanto vale che non parliamo neanche." disse Itzhak sentendosi di umore nero.

"Saresti contento, tu, Itzhak, se arrivavano a casa tua, e ti cacciavano fuori per abitarci loro? E poi, quando noi ci siamo fatti un'altra casa, arrivavano con i missili e te la buttavano giù lasciandoci tutti in mutande, e per fortuna nessuno di noi era in casa? Voi controllate la Palestina e non ci lasciate vivere. Noi non possiamo neanche andare a Gerusalemme al Monte del Tempio, o alla basilica della Resurrezione! E un palestinese non può neanche studiare se ne ha voglia, le università tecniche sono solo per voi israeliani e ebrei, neanche per gli israeliani arabi, e meno ancora per noi palestinesi. Voi controllate la Palestina come una colonia! E ci mandate via dai terreni migliori per darli ai vostri contadini. E..."

"Noi controlliamo la Palestina e i palestinesi e gli arabi israeliani? Sì, certo, perché siamo stufi di saltare in aria quando prendiamo l'autobus, o andiamo al cinema, o al supermercato, o in discoteca, o al ristorante, saltiamo in aria per una vostra bomba, per un vostro assassino suicida che ammazza gente che non conosce solo perché pensa che sono sporchi ebrei e non hanno diritto a vivere!"

"Io e la mia famiglia non abbiamo mai ammazzato nessuno!" ribatté Elias.

"E allora? E allora chi ha mandato quell'assassino a far saltare in aria l'auto con mio padre, mia madre, e i miei due fratellini? Reis non aveva neanche un anno, ma era già uno sporco ebreo? Chi l'ha mandato quell'assassino, eh? Il vostro capo, Yasser Arafat, che voi avete eletto, vi siete scelto, o i gruppi di terroristi a cui il vostro Arafat passa sotto banco i soldi per comprare le bombe e fare stragi e perciò anche tu hai ammazzato i miei! Anche tu. O tuo padre che ha votato per Arafat e tutti quelli che lo appoggiano." gridò Itzhak rosso in volto, cercando di ricacciare indietro le lacrime.

Per parecchio tempo scese il silenzio nella biblioteca.

Itzhak riprese: "Avrei preferito che mi mandassero via di casa, che buttassero una bomba sulla mia casa, ma avere ancora i miei vivi! Non ci arrivi anche tu?"

Sia Elias che Pierfranco erano terribilmente scossi: sapevano che Itzhak viveva con i nonni, ma questi non aveva mai parlato della sua famiglia, del perché viveva con i nonni.

"Sì, i vostri ammazzano i nostri e i nostri ammazzano i vostri... bel posto, vero, dove siamo nati? E che me ne frega chi ha cominciato e perché! Non finirà mai, mai, c'è troppo odio, troppi morti fra te e me, Elias." aggiunse Itzhak tremando ancora per l'emozione.

"Fra te e me, Itzhak, ci sono solo due cose. I terroristi arabi e gli invasori israeliani che ci opprimono, e ogni gruppo rende più forte e feroce l'altro gruppo. Senza loro, forse, quelli come siamo io e te riuscirebbero anche a vivere in pace. Dopo tutto, Itzhak, non potevo essere nato io in una famiglia di ebrei come te o tu in una di palestinesi come me? Papà dice che dall'odio nasce solo odio, e che i veri eroi sono quelli che prefericono essere uccisi che uccidere. Io, forse, se fossi al posto tuo, odierei i palestinesi che hanno ammazzato i miei, ma non tutti i palestinesi. Non prenderei mai una bomba per ammazzare qualunque palestinese, se fossi al posto tuo, né per ammazzare tutti gli ebrei, visto che sono palestinese. Io... non lo so se puoi credermi, ma mi dispice tantissimo per quello che ti è successo per mano della mia gente."

"Anche se ti credo, i miei non tornano più fuori dalla loro tomba." disse Itzhak tormentandosi le mani. "Magari tu non c'entri, e magari neanche tuo padre, ma per me ormai i plaestinesi sono i miei nemici. Perché vogliono distruggerci tutti e distruggere lo stato di Israele dalla faccia della terra."

"Io non voglio distruggere Israele, vorrei solo distruggere la loro occupazione dei territori che ci restano." disse Elias. "Hai ragione, voi ebrei avete paura quando andate al ristorante, a ballare, al supermeracato... Quasi tutti noi palestinesi non abbiamo neanche un ristorante, una discoteca, un supermercato dove andare. Ma, vedi, Hebron era una città tutta araba, poi sono arrivati quattrocento ebrei israeliani e si sono istallati al centro di Hebron, una città palestinese, mandando via gli abitanti arabi, prendendo le loro case... Che ne diresti, tu, se quattrocento palestinesi arrivassero al centro di Tel Aviv, mandassero via gli ebrei che ci vivono, prendessero le loro case e controllassero la loro città? Li lascereste fare o prendereste le armi per difendere la vostra città?" chiese Elias quasi sottovoce.

"Hebron è la prima città degli ebrei nella Terra Promessa, dove hanno vissuto ininterrottamente dai tempi di Abramo per migliaia di anni." disse Itzhak ritrovando gradualmente la calma.

"Sì, certo, non vedo perché gli ebrei non dovrebbero avere il diritto di vivere in Hebron. Ma senza cacciare gli arabi, e non che solo loro hanno pieni diritti politici e civili, ma io come arabo cristiano, o il mio vicino di casa a Betlemme, che era un arabo musulmano, non abbiamo il diritto di andare liberamente a Gerusalemme che è città sacra anche per noi cristiani e per i musulmani, e che non siamo liberi neanche a casa nostra, sulle nostre terre."

Pierfranco, superato il momento di intensa emozione che li aveva scossi, suggerì: "Perché non cominciate a scrivere su metà foglio, questo che vi state dicendo, le ingiustizie che vedete, e poi vi scambiate i fogli e sull'altra metà ognuno dà il suo punto di vista sullo stesso problema? Il professore voleva che faceste questo, no? E per noi italiani può essere molto utile sapere i due punti di vista di prima mano, più che dai giornali. E scrivete tutto, anche come la tua famiglia ha perso due volte la casa, Elias, e come la tua famiglia è stata distrutta dai terroristi, Itzhak."

I due ragazzi stranieri annuirono e cominciarono a scrivere. Pierfranco tirò un respiro di sollievo: d'ora in poi la strada sarebbe stata tutta in discesa. I tre si ritrovarono altre volte, confrontarono i loro scritti, li chiarirono meglio anche accettando alcuni suggerimenti di Pierfranco.

Quando poi trascrissero "in bella copia" il frutto del loro confronto, in fondo, Itzhak scrisse: "Non volevo fare questo compito. Mi chiedevo: come posso sedere allo stesso tavolo col mio nemico? Come posso lavorare con lui? Ero terribilmente teso, ero anche arrabbiato coi miei nonni che mi hanno detto che lo dovevo fare. Con Elias ci si è subito scontrati. Ma poi abbiamo imparato a conoscerci, ora non ho più problemi con lui. Sono riuscito ad aprire il mio cuore."

Elias a sua volta scrisse: "Non avevo mai incontrato, o meglio conosciuto veramente un israeliano ebreo prima di ora, neanche quando ho trovato Itzhak nella mia classe, e ero piuttosto incavolato di avere un israeliano nella mia classe (che poi, onestamente, era anche la sua classe!) Normalmente arabi e ebrei non vanno a braccetto, ma o si sparano o si evitano. Ma poi ho scoperto che sono come noi, hanno la stessa nostra umanità e la nostra stessa pena. E anche che condividiamo molti valori. Ho scoperto che Itzhak e io siamo molto più simili di quanto potevo pensare. Grazie, professor Mastella."

Non divennero subito amici, ma, tanto per cominciare, chiesero al professore se potevano cambiare i loro posti e sedere in due banchi vicini, come segno concreto che entrambi volevano la pace, che si volevano riconciliare. Il professore accettò più che volentieri e quando cambiarono di posto, molti dei compagni esplosero in un applauso e un hurrà!

Non diventarono amici dall'oggi al domani, ma ora si parlavano. E non sapevano quanto in realtà fossero simili, più di quanto Elias avesse scritto nella sua conclusione.

La cosa curiosa era che entrambi cominciarono a guardarsi l'un l'altro anche sotto il profilo estetico-sessuale e tutti e due ammettevano, nel segreto dei loro pensieri, che l'altro era davvero un bel ragazzo, che avrebbe anche potuto essere interessante provarci, se per caso anche l'altro fosse stato gay...

I nonni di Itzhak, avevano sentimenti contrastanti riguardo al cambiamento avvenuto nel nipote. Da una parte capivano che era un bene che il ragazzo avesse "normalizzato" la sua posizione riguardo al compagno palestinese, ma dall'altra non riuscivano a dimenticare e perdonare l'uccisione dei loro cari per opera di un terrorista palestinese. Razionalmente capivano bene che non si può fare di ogni erba un fascio, dall'altra, istintivamente, non riuscivano ad accettare la frequentazione, e tanto meno l'amicizia, con appartenenti a un popolo che era loro nemico.

I genitori di Elias, invece, erano contenti per l'evoluzione delle cose. "Ci sono israeliani buoni e cattivi, come ci sono palestinesi buoni e cattivi. Se i buoni dalle due parti si unissero, forse riuscirebbero a far trionfare la pace nella nostra terra." disse il padre di Elias, una sera a cena, ai figli.

Più contento di tutti era il professor Mastella: prima di dover lasciare quei ragazzi, quando questi fossero passati in prima liceo, era riuscito a sbloccare la situazione molto meglio di quanto avesse sperato. Vedere i due ragazzi stranieri mescolarsi con gli altri compagni e ridere per le stesse cose, vederli anche semplicemente passarsi una gomma o un foglio, salutarsi quando entravano in aula o ne uscivano, era una grandissima conquista. E un bellissimo esempio per tutti gli altri compagni. Era un bel coronamento della sua carriera di insegnante.


Elias, per le vacanze e come premio per aver nuovamente vinto la borsa di studio, ottenne dalla famiglia il permesso di andare al campeggio estivo organizzato dalla parrocchia. I frati gli trovarono in prestito il materassino, il sacco a pelo, le gavette e lo zaino. Per la tenda, gli organizzatori gli dissero di non preoccuparsi: parecchi partecipanti andavano al campeggio con una tendina da due posti: gli avrebbero trovato un posto nella tenda di uno di questi.

L'allegra brigata, ventisei ragazzi (fra i quattordici e i diciassette anni) e cinque responsabili adulti (dai venti a quaranta anni), salirono sul pullmann che li condusse sulle prealpi, al luogo del campo. Istallarono le tende,

Elias si chiedeva con chi fra i compagni l'avrebbero messo in tenda e sperava di essere abbastanza fortunato che fosse un tipo simpatico e, magari, un ragazzo gay come lui: in questo caso avrebbero anche potuto divertirsi di notte.

Fu fortunato riguardo alla simpatia del suo compagno di tenda, che oltretutto, avendo partecipato ad altri campeggi era un esperto e gli spiegò un sacco di cose interessanti. Però purtroppo questo gli parlava sempre delle sue ragazze (sì, al plurale) e fece anche un paio di battute pesanti sui "ricchioni".

C'era stato uno dei responsabili, un ragazzo di ventiquattro anni che pareva particolarmente interessato a lui, ma Elias aspettò invano che l'altro facesse il primo passo, così non successe nulla e tornò a casa contento per le mille belle attività che aveva fatto, ma con le pive nel sacco riguardo alle sue speranze segrete.


Itzhak invece dovette andare per quaranta giorni, per le vacanze, con i nonni in un agriturismo nelle valli prealpine gestito da una cooperativa di ebrei e i cui clienti erano in gran maggioranza di religione ebraica. Non poteva dire di annoiarsi, faceva belle e lunghe passeggiate, aiutava i gestori dell'agriturismo a curare gli animali o a fare qualche piccolo lavoro agricolo, imparò ad andare a cavallo, nelle giornate più calde andava a bagnarsi in un torrente poco lontano.

C'erano alcuni bambini, troppo piccoli per lui, o coppie di giovani sposi e gente anziana, ma nessuno più o meno della sua età. Aveva l'impressione che uno degli ospiti gli facesse discretamente il filo, ma fece del tutto per scoraggiarlo: non gli interessava, era troppo vecchio (aveva sui cinquanta anni) e troppo peloso, oltre ad avere una pancetta più che evidente. Inoltre era troppo "sdolcinato".

Si era rassegnato a sfogarsi masturbandosi (aveva una cameretta da solo, per fortuna, molto piccola ma tranquilla) immaginando di poter essere con qualcuno dei suoi amici o compagni di classe. L'immagine di Elias, che aveva visto nudo quando andavano a farsi la doccia dopo le lezioni di educazione fisica e il cui bel corpo lo attraeva molto, s'insinuava spesso nelle sue fantasie erotiche.

Ma verso il decimo giorno di permanenza in quell'agriturismo, un pomeriggio in cui era andato a fare una delle sue lunghe passeggiate esplorative da solo, fece un incontro interessante. S'era fermato all'ombra di un leccio per prendere fiato, quando vide sopraggiungere un ragazzo più o meno della sua età, vestito come lui in jeans e T-shirt, solo che l'altro aveva i jeans sfrangiati e lavati con la pomice e la sua maglietta, invece di essere bianca, era rosso fuoco con al centro del petto, in un cerchio con i colori dell'arcobaleno a fasce orizzontali, una colomba bianca.

Il ragazzo gli si fermò davanti e con un sorriso gli chiese: "Stanco?"

"Un po', sono venuto su quasi di corsa." rispose Itzhak sorridendogli a sua volta e pensando che era un ragazzo decisamente bello, attraente.

"Sai che ora è?" chiese l'altro.

Itzhak prima di rispondere gli guardò il polso e vide che non aveva l'orolgio, ma un braccialetto, anche con i colori dell'arcobaleno. "Sono le tre e quarantasette. Sei un pacifista con quell'arcobaleno... dappertutto?"

"Sì, sono un pacifista, ma questo è l'arcobaleno gay. Il pride rainbow, come dicono in America. L'ho comprati a San Francisco..." rispose l'altro continuando a sorridergli.

Itzhak lo guardò stupito. Il ragazzo, vedendo la sua espressione, gli chiese: "Ti stanno mica sulle palle, i gay, no?"

"No... no è che... non m'aspettavo che me lo dicevi così chiaro e tondo."

"E perché no? Tu m'hai chiesto se sono un pacifista per via dell'arcobaleno e io t'ho risposto. Qualche problema?"

"No, no, nessun problema. Anche perché... sono gay anche io."

"Cazzo, questo sì che è culo! Pensavo giusto che mi piacerebbe fare un giro con uno come te! Posso sedere con te?"

"Certo."

Il ragazzo gli tese la mano: "Io mi chiamo Gip, che sta per Gianpaolo. E tu?"

"Itzhak."

"Non sei italiano?"

"Per metà, l'altra metà sono israeliano."

Questa volta fu Gip a guardarlo sorpreso.

"Che è, ti stanno mica sulle palle, gli ebrei, no?" gli chiese Itzhak.

L'altro rise: "No, no, per niente, ma è che tu non hai la faccia da ebreo."

"Perché, che faccia hanno gli ebrei?"

"Mah... il naso camuso, per esempio. Come i semiti, no?"

"Ah, ma fisicamente noi siamo un popolo piuttosto misto, fra noi ci sono facce di tutti i tipi."

"Allora, sei dell'agriturismo giù a valle, quello gestito dagli ebrei."

"Sì, sono lì in vacanza coi miei nonni. Lo conosci?"

"Lo conosciamo tutti qui in valle."

"Sei di qui, tu?"

"Originario di queste parti. Ma adesso vivo a Milano. Torno qui solo per le ferie."

"Lavori o studi?"

"Lavoro. Faccio il fonico per un gruppo rock, per questo viaggio molto. E tu?"

"L'anno prossimo la prima liceo classico."

"Uau! Un genio, allora!" disse Gip, poi chiese: "E ti andrebbe, Itzhak, di fare un giro con me?"

"Un giro, dove?"

"No, è un modo di dire. Volevo sapere se ti piacerebbe scopare con me. A me piacerebbe."

"Sì... ma dove? Fra i cespugli?"

"Perché no? Si potrebbe anche, ma io ho un posto miglire, una baita abbandonata, quasi in rovina, dove una volta vivevano i miei nonni. Io so come entrarci... È a due passi da qui. Ti va?"

"Sì."

"Tu sei un top o un bottom o tutti e due?"

Quata volta Itzhak sapeva che cosa volesse sapere l'altro: "Tutti e due. E tu?"

"Pure. Andiamo?" si alzarono e si avviarono. "Ce l'hai il ragazzo, tu?"

"Io no, e tu?"

"Io sì, a Milano. Per meglio dire io sono il suo ragazzo, perché lui ha sei anni più di me. Io non gli sono molto fedele, ogni tanto mi piace variare il menù. Lui lo sa e non gli importa."

"Allora non siete innamorati." commentò Itzhak.

"No, anche se stiamo molto bene insieme. Se ero innamorato, col cavolo che gli mettevo un cornetto. No, siamo solo molto amici. Il mio uomo è il batterista del gruppo rock, m'ha fatto dare lui il lavoro."

"Ma sono tutti gay?"

"No, solo Luca, il mio uomo. Gli altri hanno tutti la donna. Sanno di noi due e gli va bene. Quando giriamo, prendiamo sempre una camera assieme, io e lui. Qualche volta gli altri sono un po' invidiosi, perché possono portarsi molto di rado le loro donne appresso. Però ne trovano fra le fans e si consolano. Oh, ecco, quella è la baita dei miei nonni. Vieni. La chiave è in quel buco nel muro, messa in modo che se uno ci infila la mano e non sa dove cercare non la trova. Aspetta un momento..."

Gip vi infilò la mano e metà braccio, lo mosse un po' e tirò fuori una grossa chiave di ferro. Girò attorno alla baita e armeggiò nella serratura di una piccola ma massiccia porta di legno che dopo poco si aprì con un forte cigolio. Entrarono e Gip chiuse la porta sbarrandola dall'interno. Erano in una stanza che una volta doveva essere stata una cucina. Al fondo v'era una scala di pietra che saliva al primo piano. La presero, si trovarono in una stanza con parte del tetto scoperto e attraverso una porta senza battente entrarono in una stanza quasi intatta.

In questa stanza c'era un vecchio pagliericcio appoggiato a terra con sopra un paio di coperte militari ripiegate. Gip le stese sul pagliericcio. "Eccoci qui. Possiamo spogliarci e farlo lì sopra."

"Ci porti spesso qualcuno, qui?"

"Quando vengo su per le ferie, se trovo qualche amico da portarci. Un paio di ragazzi al paese ci stanno, anche se uno è sposato e ha un figlio. Ha dovuto sposarsi l'anno scorso anche se aveva solo ventuno anni, perché aveva messo incinta la figlia del vicino di casa. Sai, lui è uno di quelli che gli piace inzuppare il biscotto sia nel latte che nella cioccolata."

"E l'altro?" chiese Itzhak mentre si stavano spogliando e ammirava il corpo dell'imprevisto compagno.

"L'altro? Gay dalla testa ai piedi come me. Ma lui non ha una vita facile, è complicato essere gay in un paesino di mezza montagna. Io gli dico sempre di scendere a Torino o a Milano. Vieni qui, dai..." gli disse stendendosi sul pagliericcio, appoggiando accanto a sé una manciata di bustine di profilattici, poi tendendogli le braccia in un gesto di invito. "Sai che ti trovo incredibilmente sexy? Appena t'ho visto ho pensato che dovevo provarci con te. E nudo mi piaci molto più che vestito."

Itzhak ridacchiò, compiaciuto: "Anche tu stai molto meglio nudo... Cavolo che voglia, è un secolo che non lo faccio!"

Gip lo tirò a sé e le loro labbra si incontrarono, suggendosi l'un altro lievi e giocherellando con le punte delle lingue, finché Gip lo baciò a fondo, mentre gli carezzava la nuca e il sedere e i loro membri duellavano giocosamente.

Un dito di Gip gli stuzzicò il buco fra le natiche. Itzhak si sollevò un po' e lo guardò sorridendogli, eccitato: "Vuoi mettermelo prima tu?"

"Mhmh!" fece l'altro, "ma non subito. Prima giochiamo un po'. Mica hai fretta, no? Possiamo godercela con calma."

"Sì, certo."

Si baciarono di nuovo, rotolandosi sul pagliericcio finché Gip gli fu sopra.

"Ti va di fare un bel sessantanove prima di passare a cose più serie?"

"Sì, mi piace. Tu ne hai avuti tanti, di ragazzi?"

"Beh, sì... ho cominciato che avevo dodici anni... e tu?"

"Pochi. Io ho cominciato solo un paio di anni fa. Ma a dodici anni tu già venivi?"

"Sì. La prima volta l'ho fatto con quello che ti ho detto che ha dovuto sposarsi. Lui aveva quattordici anni. M'ha insegnato lui a scopare."

Fecero l'amore con calma, abbastanza a lungo, finché entrambi furono soddisfatti. E dopo restarono semiabbracciati a chiacchierare. A Itzhak piaceva quell'intimità dopo aver raggiunto l'orgasmo. Gip era simpatico, aveva la battuta pronta e un sorriso contagioso.

Dopo quella prima volta si videro piuttosto spesso. Gip a volte lo andava a chiamare all'agriturismo.

La nonna chiese a Itzhak: "Come hai conoscito quel ragazzo?"

"Facendo una passeggiata. Ci si è incontrati e ci si è messi a chiacchierare. È simpatico..."

"È un turista?"

"No, è un ragazzo di qui, nonna, ma è in ferie, lui lavora a Milano ma i suoi vivono ancora giù al paese. Fa il fonico."

"Cos'è un fonico? Quelli che fanno i rumori a teatro come la tempesta o..."

"Quello è un rumorista. Un fonico è uno che controlla i microfoni per avere un buon suono, quando si fa musica."

"E vive da solo, a Milano? Così giovane? Quanti anni ha?"

"Diciotto. È già maggiorenne."

"Bah, secondo me hanno fatto male a farvi maggiorenni già a diciotto anni. Noi si diventava maggiorenni a ventuno anni."

"Nonna, i tempi cambiano. Oggi i ragazzi sono maturi prima."

"Solo perché hanno il telefonino? O la patente? O perché guardano la TV? Tu, comunque, a diciotto anni dovrai scegliere se essere cittadino israeliano o italiano. Ci hai già pensato?"

"Credo che sceglierò di essere italiano, come era mamma, come siete voi. Ormai la mia vita è qui, no? Mi sto facendo amici qui. E se devo fare il servizio militare, preferisco farlo qui in Italia, non in Israele."

"Oh, ecco il tuo amico fonico. Perché non lo inviti una volta a pranzo o a cena? Basta che avverto in tempo la Rachele e possiamo avere un ospite..."

"Grazie, nonna, glielo chiederò. Ciao Gip. Andiamo a fare una passeggiata?" gli chiese Itzhak con allegria.

"Permette, signora, che le porti via suo nipote?" chese Gip alla nonna.

"Sì, è sempre così contento di vederti. Ma siate prudenti, non fate cose pericolose."

"Certo che siamo prudenti, signora, prendiamo tutte le precauzioni quando facciamo un giro assieme!"

Itzhak capì il doppio senso dell'altro e ridacchiò. Gip lo guardò facendo un'espressione seria: "Lo sai anche tu che prendo sempre le necessarie precauzioni per non correre rischi, no? E che le faccio prendere anche a te."

"Sì, sì. Hai ragione. Andiamo."

Appena furono soli, anche Gip scoppiò a ridere: "Cosa direbbe tua nonna se sapesse che le protezioni ce le infiliamo quando scopiamo?"

"Credo che le prenderebbe un infarto. Non pensano mai che un loro figlio, il nipote, il figlio di un amico, un compagno di classe... o un amico incontrato salendo su per i boschi possa essere un ragazzo gay."

"Se mio padre scoprisse mai che io sono gay, sono sicuro che mi inseguirebbe a calci in culo e cinghiate fino in Sicilia. Io, per farlo stare tranquillo, gli ho detto che a Milano ho la ragazza. Gli ho anche fatto vedere la foto..."

"Di chi?"

"Di una fan diciottenne che l'aveva mandata al mio uomo, e dietro ci aveva scritto: ti amo alla follia! Lui la voleva buttare via, ma io l'ho presa e l'ho messa nel portafogli."

"Per farla vedere a tuo padre?"

"No, così, per ridere... ma poi mi è venuta comoda. È il mio paravento con i miei. Le ho messo nome Gaia." disse ridacchiando, "Cioè Gay di serie A!"

"Mia nonna mi ha detto di invitarti a pranzo o a cena uno di questi giorni."

"Beh, perché no? In fondo se vengo a letto con te, posso anche venire a tavola, no? Ma se vengo a tavola e fa la chiazza sulla mia patta, magari i tuoi nonni si scandalizzano!" concluse ridendo.

"Stupido! Possibile che non puoi mai parlare seriamente?" gli chiese Itzhak ridendo.

"Come posso essere serio se sono gay? Non lo sai che gay significa felice? Frocio e felice, cioè. Ma dimmi, i tuoi? Lavorano, non hanno le ferie?"

"I miei... li ha ammazzati un terrorista sucida, un arabo... assieme ai miei due fratellini."

Gip si fermò di botto: "Oh cazzo, scusami, non immaginavo... Dio, non sapevo... Perdonami, Itzhak."

"Mica è colpa tua." disse con un mesto sorriso Itzhak.

"Dio mio... che cosa orribile. Uno lo sente all TV, e mica pensa che... Dio se mi dispiace, Itzhak."

"Grazie. Sono cose che non si dimenticano, neanche dopo quasi otto anni. Io mi sono salvato solo perché ero a scuola. Ho odiato gli arabi, i palestinesi..."

"Eh, cazzo, ci credo!"

"Adesso non odio più i palestinesi, ma solo i terroristi palestinesi, che non è la stessa cosa. Ho un compagno di classe palestinese..."

"E non gli hai spaccato il muso?"

"No, che c'entrava lui? I nazisti hanno ammazzato milioni di noi ebrei, ma io non devo odiare tutti i tedeschi. Ci ho messo un po' a capirlo."

"Itzhak... io... dopo questo che m'hai detto... non lo so mica se oggi... mi pare brutto andare in baita. Ti va se passeggiamo soltanto, oggi?"

"Come vuoi tu, Gip. Io... ho dovuto imparare a convivere con quello che mi è successo. E poi, sai, ho capito un'altra cosa: che odiare fa solo del male a me, perciò è una cosa sbagliata. Sto imparando a non odiare. Anche se non è sempre facile."

"Sei un giusto, come dicono a Milano, Itzhak. Se prima m'eri simpatico, adesso ti ammiro. Sei grande, Itzhak!" gli disse e lo abbracciò stretto stretto.


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