DUE VOLTE STRANIERI CAPITOLO 3
SMUOVERE LE ACQUE

Stava frequentando la seconda media, Itzhak Segre, quando iniziò a pensare che molto probabilmente lui era diverso dagli altri ragazzini. Era a casa di Daniele un suo compagno di classe e vicino di casa, per fare i compiti e giocare. O meglio, giocare e fare i compiti. A un certo punto la madre di Daniele disse loro di star buoni, che lei doveva uscire per fare alcuni acquisti.

La madre era appena uscita e loro due erano soli a casa. Allora Daniele aveva tirato fuori da un nascondiglio una rivista porno e gliela mostrò ridacchiando... c'erano uomini e donne che scopavano nelle più incredibili posizioni.

Daniele continuava a commentare le "bellezze" delle donne e quello che a lui sarebbe piaciuto fare con "quelle"... Ma Itzhak si accorse che non solo guardare le nudità delle donne lo infastidiva lievemente, ma che si stava eccitando a guardare gli uomini nudi e che a lui gli sarebbe piaciuto fare cose con "quelli"...

Per sondare l'amico, senza esporsi, gli chiese: "Di', ma è vero che queste cose le fanno anche due uomini, fra loro?"

Daniele fece un ghignetto spregiativo: "Sì, i froci... ma quelli sono bacati nella testa. Guarda... guarda questa troia che lo piglia in culo!" disse poi e rise divertito, massaggiandosi la patta visibilmente gonfia.

Itzhak pensò che, visti di culo, un uomo e una donna non erano poi tanto diversi. Poi si chiese se fosse più bello metterlo o prenderlo... e anche a lui venne un'erezione. Pensando che probabilmente il suo compagno ne sapeva più di lui, Itzhak gli chiese: "Ma perché ai froci gli piace farlo? Magari perché un culo di maschio o di femmina cambia poco?"

"Quelli che lo mettono o che se lo fanno ciucciare, si vogliono solo divertire e se non hanno una donna si contentano di un uomo, come i marinai o in galera. Ma quelli che lo succhiano o lo prendono in culo sono malati, perché fanno le donne senza esserlo, no?"

"Già." disse Itzhak, poco convinto, e pensò che davvero lui era diverso da Daniele, dagli altri, perché a lui sarebbe piaciuto provarci... anche con Daniele... se non fosse stato che l'amico, per quello che aveva detto, non l'avrebbe mai preso nel culetto e se lui se lo faceva mettere, Daniele avrebbe pensato che lui era malato. Ma Itzhak non si sentiva per niente malato.

Così continuarono a guardare le foto: Daniele osservava solo le donne e Itzhak solo gli uomini. Dopo quella volta, Itzhak continuò a pensare a come era lui e al perché. Dunque, lui era omosessuale, gli piacevano gli uomini e non le donne.

Tenedo le orecchie ben ritte, si rese conto che l'opinione corrente era che i gay (parola che gli piaceva più che non froci o omosessuali o altre che i ragazzi o gli adulti usavano) erano tutti uomini adulti e che i ragazzini della sua età erano tutti etero, a meno che venissero "corrotti" dai grandi... e se pensavano ai ragazzi gay li immaginavano tutti che si vendono sui marciapiedi. Pensò che non era vero: lui mica era stato corrotto da nessun grande! Né da un coetaneo: semplicemente aveva cominciato a capire di esserlo, da solo.

In terza media si innamorò di un compagno di classe, un ripetente più maturo e "maschio" dei compagni. Ma quello, che si chiamava Gianni, aveva già la ragazzina, una di un'altra terza, e li aveva visti sbaciucchiarsi... perciò sapeva che non aveva possibilità con Gianni.

Faceva sempre di tutto per stargli vicino, lo guardava di nascosto (anche fra le gambe dove a volte si poteva intravedere un piacevole gonfiore), si faceva bello per lui, anche se sapeva che non gli sarebbe valso a granché. Gianni diceva che Itzhak era il suo migliore amico, a volte gli metteva anche un braccio attorno alle spalle, quando parlavano di sport con gli altri. A Itzhak interessava poco il calcio, ma poiché Gianni era tifoso del Milan, Itzhak aveva imparato tutto su questa squadra e ne era diventato, apparentemente, un grande tifoso, per conquistare l'amicizia di Gianni.

C'era riuscito, ma non aveva ottenuto altro che l'amicizia del suo compagno, un senso di camerateria, di appartenenza... niente più. Itzhak si accontentava, come si accontentava di sognare di poter fare con lui, in segreto, cose proibite. Era sempre più sicuro, convinto, di essere gay, e la cosa non lo disturbava, non lo impensieriva, però si chiedeva se avrebbe mai trovato un giorno un ragazzo che fosse come lui, di cui innamorarsi.

Poi era finito l'anno scolastico, Gianni s'era iscritto all'istituto tecnico e Itzhak al ginnasio-liceo e s'erano persi di vista. L'anno precedente i vicini di pianerottolo dei nonni avevano traslocato e al loro posto era andata ad abitare una famiglia di quattro persone: padre, madre, un figlio di un anno più grande di Itzhak di nome Graziano, e una figlia di due anni più piccola di lui.

Non era bello come Gianni, quel Graziano, ma era simpatico e presto i due ragazzi fecero amicizia. Quando aveva finito a fare i compiti, Itzhak andava spesso a suonare a casa di Graziano per giocare con lui che aveva parecchi bei videogiochi. Gli piacevano poco gli sparatutto, quelli di sport gli piacevano abbastanza, specialmente uno di lotta in cui i protagonisti erano lottatori che indossavano solo calzoncini e la cui grafica era notevolmente realistica. Poi gli piacevano molto quelli di avventura, che però piacevano meno a Graziano.

Per un senso di giustizia, i due ragazzi giocavano ora con gli uni ora con gli altri, alternandoli. Graziano aveva un buon carattere, a Itzhak piaceva passare il suo tempo libero con lui. Era un anno avanti, frequentava la terza allo scientifico, perciò in una scuola diversa da quella di Itzhak che frequentava la quarta ginnasio, corrispondente alla prima nelle altre scuole superiori.

La sorella di Graziano frequentava invece una scuola di danza classica, quindi la mattina aveva le lezioni di cultura generale e il pomeriggio le lezioni di danza. I genitori di Graziano erano un ingegnere aereonautico e una dentista per bambini. Così quando si incontravano per giocare, i due ragazzi erano sempre soli in casa.

Itzhak era già in quinta ginnasio e Graziano in quarta dello scientifico e si conoscevano da un anno, quando una volta, iniziarono a litigare, scherzosamente, a causa del gioco che stavano facendo al computer.

Ridendo, Graziano iniziò a fargli solletico, Itzhak cercò di farlo smettere, e i due continuavano a dire, ridendo: "Ho ragione io!" e "Non è vero, ho ragione io..." sempre più ad alta voce, cercando al tempo stesso di fare solletico all'altro e di immobilizzarlo, quando tutti e due caddero dagli sgabelli sul tappeto.

Graziano gli fu sopra e gli disse: "E non gridare come un'oca spennata!"

"Io grido quanto voglio..." rispose Itzhak ridendo.

"E invece tu adesso la smetti!" replicò l'altro con occhi ridenti.

"Provaci a farmi smettere!" lo sfidò Itzhak.

Allora Graziano lo baciò in bocca con vigore. Itzhak smise di ridere, e si sentì turbato, eccitato, guardò l'altro con occhi profondi, seri e smise di lottare. Graziano si staccò un po' da lui e disse a voce bassa, ora serio anche lui, senza togliersi da sopra all'amico e in tono incerto: "Vedi che sono riuscito a farti smettere?"

Itzhak sentì che anche l'altro si stava eccitando: fra le gambe di Graziano, che con le sue aveva imprigionato quelle dell'amico, qualcosa di duro e caldo premeva ora sulla patta di Itzhak...

Itzhak chiuse gli occhi e in un sussurro, disse: "Fallo di nuovo..."

Graziano allora lo baciò per la seconda volta, ma questa volta con gentilezza, giocando con le labbra e la lingua dell'amico e la loro stretta per lottare diventò un abbraccio. "Ti piace?" gli chiese in un sussurro.

"Sì... mi piace... continua."

Mentre si baciavano per la terza volta, le loro mani iniziarono a esplorare il corpo dell'altro, si infilarono sotto gli abiti dell'amico e l'eccitazione era sempre più forte, il desiderio era ora tangibile nella stanza il cui silenzio era turbato solo dai loro respiri sempre più profondi e dai suoni che di tanato in tanto provenivano dal computer.

A poco a poco si tolsero gli abiti l'un l'altro, sempre più eccitati. Itzhak si sentiva la testa e il corpo in fiamme.

"Andiamo sul mio letto." propose Graziano, il volto arrossato per l'eccitazione.

"Sì."

"Cosa ti piace fare?"

"Non lo so... è la prima volta che..." rispose mentre si stendevano, fianco a fianco, sul lettino abbracciandosi di nuovo. "A te cosa piace fare?"

"Tutto."

"E allora... insegnami a fare... tutto."

Graziano gli sorrise, lo baciò di nuovo e, un po' alla volta lo guidò a esplorare i piaceri che due ragazzi possono darsi e ricevere l'un l'altro. Dopo quel giorno ignorarono o quasi il computer e i videogiochi e fecero sesso fino a provare "tutto" come Graziano aveva detto la prima volta.

Con un certo disappunto, però, Itzhak scoprì che Graziano aveva anche una ragazzina, a lui piacevano sia i ragazzi che le ragazze.

"A me attirano solo i ragazzi, invece." gli disse Itzhak.

"Beh... ognuno è fatto a modo suo." gli rispose l'amico.

"Ma, secondo te, è vero che noi gay siamo ammalati?"

"No, cazzate! Gay e bisessuali non sono più ammalati degli etero. Ci sono quelli sani e quelli malati. Chi per esempio fa sesso con bambini piccoli, che siano del proprio o dell'altro sesso, sono malati nella testa. E secondo me anche chi fa sesso sado-maso, che siano due gay o una coppia etero."

"Come faccio a sapere che hai ragione tu e non chi dice che noi gay siamo malati?" chiese Itzhak ancora un po' incerto. "Non che me ne freghi molto, dopo tutto, se avevo avuto la polio, me la tenevo e cercavo di vivere bene lo stesso. Però mi piacerebbe capire."

Graziano lo portò al computer e iniziò a navigare in internet per fargli leggere alcune pagine sull'omosessualità in portali non gay, ma scientifici, che riportavano le dichiarazioni di enti internazionali di studi di sessuologia.

"Vedi, non è né una malattia né una degenerazione, né niente del genere. Ognuno nasce come nasce, un po' come nascere biondi o mori o rossi, neri o gialli o bianchi. Tu sei gay, io bisessuale, altri eterosessuali, perché non ci sono due persone uguali al mondo, ma tutti siamo sani."

"Sono tanti o pochi quelli gay come me?" chiese allora Itzhak.

"Pare che siate un dieci per cento circa, e un altro dieci per cento etero e tutti gli altri come me."

"Ottanta per cento bisessuali? Non ci credo!"

"Non sto parlando che lo fanno davvero con maschi e con femmine, ma che potrebbero farlo. Ma siccome per la nostra società solo gli etero sono a posto, sono giusti, tanti bisessuali lo fanno solo con le femmine. Altri si sposano, fanno figli, poi magari hanno anche l'amico in segreto e nessuno sospetta che sono bisessuali. Chissà, magari anche mio padre, che pare etero dalla testa ai piedi, potrebbe essere un bisessuale come me."

"Se noi gay siamo il dieci per cento, nella mia classe dovrebbe essercene almeno un altro." disse pensieroso Itzhak.

"Probabile. O magari sei l'unico gay nella tua classe e in quella vicina sono in tre, in quattro... Se ognuno potesse essere alla luce del sole quello che è, sarebbe tutto molto più semplice. I miei sono contenti se vado con la mia ragazza, ma gli prenderebbe un colpo se sapessero che lo faccio anche con te." ridacchiò Graziano.

"Ma se tu devi scegliere, sceglieresti lei e non me, no?" gli chiese Itzhak.

"Beh, certo. Con lei non avrei nessun problema a mettere su famiglia, quando sarà ora. Con te sarebbe un problema troppo grande. Anche se oggi è meno difficile di un tempo, per i gay è ancora molto difficile poter vivere assieme."

"Non è giusto, però."

"Certo che non è giusto. Ma se noi insegnamo ai nostri figli cosa è giusto, le cose cambieranno."

"Tu potrai insegnarlo ai tuoi, io no, io non avrò figli; le ragazze proprio non mi interessano, da questo punto di vista. Ma se tu avrai un figlio gay?"

"Gli vorrò bene come a un figlio etero o bisessuale e lo aiuterei ad avere una vita serena, felice, con il suo ragazzo."

"Tu conosci altri ragazzi gay come me?"

"Sì, Itzhak, ne conosco tre o quattro. Ti piacerebbe conoscerli? Incontrarli?"

"Non so. Forse sì."

Ma non fu per l'interessamento di Graziano che Itzhak conobbe il primo ragazzo gay come lui. Tre volte alla settimana Itzhak andava alla piscina comunale a nuotare. Un giorno era sotto la doccia e c'era un altro ragazzo, uno di ventidue anni che aveva già intravisto. Si guardarono a lungo, mentre si lavavano, e presto tutti e due avevano una vistosa erezione. L'altro, che si chiamava Italo, gli andò vicino e gli prese il membro in mano, sorridendogli. Itzhak arrossì però non solo non si sottrasse, ma prese in mano il membro eretto e duro dell'altro.

"Ti piacciono i ragazzi, a te?" gli chiese Italo.

"Sì." ammise Itzhak.

"Anche a me, e tu mi piaci un sacco."

Divennero amici. Così si vedevano lì in piscina poi andavano a casa di Italo e facevano l'amore. Italo faceva il meccanico in un'officina di moto, viveva col fratello, aveva la famiglia ancora al paese. Il fratello sapeva di Italo e non faceva una piega quando questi si portava Itzhak in camera da letto per riemergene più tardi, soddisfatti e contenti.

Poi Italo lo invitò ad andare con lui nelle discoteche gay. Itzhak non ebbe difficoltà a convincere i nonni a lasciarlo andare a ballare, logicamente senza dire che andava in discoteche gay. Lì Italo gli presentò alcuni suoi amici, e Itzhak ebbe nuove esperienze. Gli piacevano molto le discoteche. Gli piaceva ballare con altri ragazzi. E poi lì poteva incontrare gente nuova.

Ma le sue storie duravano poco, sia per la difficoltà di avere un posto dove farlo, sia perché sia lui che gli altri erano attratti fisicamente ma nulla più. In alcune discoteche c'erano stanze o angoli semibui in cui si poteva fare qualcosetta, se si vinceva l'imbarazzo di farlo mentre altri lo facevano a due passi. Itzhak però notò che molti gay avevano paura. Non lui, se non un po' dell'Aids. Ma stava attento aveva sempre fatto uso del profilattico, ma perché ce l'avevano gli altri. Lui non non se la sentiva di andare a comprarlo in farmacia. Era timido, si vergognava a chiederlo.

Se l'altro non aveva il profilattico, però, non faceva nulla. Graziano l'aveva già messo in guardia la prima volta che avevano fatto sesso. Anche con Graziano lo faceva più di rado, ora. A volte si divertivano a navigare internet per visitare siti gay. Ma a Graziano interessavano più quelli per bisessuali, con maschi e femmine, invece a lui interessavano quelli con solo maschi.

Chiese a Graziano come fare per comprare i profilattici, dato che si vergognava: "Ho visto che c'è qualche machinetta automatica, ma sono sempre rotte, e una volta una m'ha fregato i soldi senza darmi niente."

"Non devi vergognarti, i goldoni li usano pure gli etero, mica solo i gay. Gli etero per due motivi, per non metterla incinta e non beccarsi l'Aids."

"Anche le donne hanno l'Aids?" chiese stupito Itzhak.

"E come no. Metti che io lo faccio con uno o una che ha l'Aids, poi quella o quello con un altro ragazzo o un'altra ragazza... e siamo tutti infettati, anche la ragazza."

"Allora non è vero che l'Aids è una malattia solo dei gay." disse Itzhak.

"No, e poi si piglia mica solo a fare sesso, ma anche i drogati che si scambiano le siringhe, e pure gli infermieri per il sangue infetto di un malato, se non stanno attenti. Pensa che pure una suora che lavorava come infermiera, s'è rotto un tubicino del sangue infetto e s'è beccata l'Aids. C'era sui giornali... e poveretta, non se l'è manco presa in cambio di una bella goduta! Che fregatura, no?"

L'idea che nella sua classe, se la media era rispettata, ci sarebbe dovuto essere un altro ragazzo gay come lui (non lo sfiorò neppure l'idea che potesse essere una ragazza...) iniziò a fargli guardare i compagni con un diverso occhio, con una accresciuta attenzione.

Cercava di dividerli nei tre gruppi, i gay, i bisessuali e gli etero... ma più li studiava più gli pareva che dovessero essere tutti nel gruppo degli etero. Forse Uberto Demichele era bisessuale, aveva infatti una "fisicità" sia verso i compagni con le compagne. Ma forse questo dipendeva solo dal fatto che Uberto era di un anno più giovane di loro, era avanti di un anno negli studi.

D'altronde, come fare a capire chi poteva essere gay, se tutti, lui compreso, facevano del proprio meglio per non farlo capire, per nasconderlo? Poteva essere bisessuale magari Giuliano Sorgona che stava sempre con le ragazze, ma aveva un aspetto delicato e gentile. Ma gay no, infatti aveva la ragazza da due anni e coi compagni era più "figaiolo" degli altri.

A lui comunque piacevano i ragazzi alti, robusti, virili. E anche allegri, scherzosi. Pensava anche all'amore e capiva che sarebbe stato importante, nella vita, ma si diceva che era troppo presto per pensarci seriamente. Per il momento si accontentava delle avventurette che riusciva ad avere con qualche ragazzo in discoteca.


Un giorno, era inizio aprile, il professor Mastella arrivò in classe con una serie di ritagli di giornali: dato che non aveva visto nessun avvicinamento fra i suoi allievi Itzhak ed Elias, fra l'israeliano e il palestinese, aveva deciso di entrare in campo con decisione, a costo di far "finalmente" litigare i due ragazzi.

"Sono ormai cinquanta anni che il conflitto israelo-palestinese va avanti e pare non riuscire a trovare una soluzione pacifica, con grandissime sofferenze di etrambe le parti. Ho qui una cinquantina di ritagli di giornali, alcuni più filo-palestinesi, altri più filo-israeliani, altri che cercano di essere equidistanti, o che pretendono di esserlo. Ora darò a ognuno di voi tre ritagli di giornale, dovrete leggerli, poi mettervi a coppie per discuterli, analizzarli e trarne le vostre conclusioni."

Osservò le reazioni dei ragazzi e come immaginava, in molti osservavano l'espressione di Itzhak e Elias. L'israeliano era arrossito e i suoi occhi guardavano nel vuoto. Il palestinese si agitava a disagio sulla sedia, ma cercava di sorridere ai compagni che guardavano verso di lui.

"Formerete le coppie a vostro piacere, con una eccezione..." annunciò il professore e dopo una pausa ad effetto, continuò: "Elias e Itzhak faranno coppia, ma non darò loro nessun ritaglio di giornale. Assieme, dovranno delineare la storia del conflitto che divide i loro popoli e assieme dovranno scrivere le ragioni del proprio popolo e i torti dell'altro, concordando la stesura del testo: nessun dei due dovrà convincere l'altro, ma solamente rispettare il punto di vista dell'altro e affiancarvi il proprio punto di vista."

Ora la classe rumoreggiava, anche se solo in un insieme di bisbigli e sedie smosse. Itzhak era più rosso in viso di prima e guardava il professore con occhi fiammeggianti, quasi a dirgli che era deluso di lui, che non si aspettava un simile "tradimento" da lui. Elias era nervoso, apriva e chiudeva il libro, metteva in ordine gli oggetti che aveva sul banco, si passava i palmi delle mani sui calzoni, si agitava sulla sedia anche più di prima e non guardava più nessuno.

Poi Itzhak alzò la mano, chiedendo la parola.

"Sì, Itzhak?"

Il ragazzo si alzò in piedi. "Io non voglio fare niente, con quello." disse con voce sdegnata, tremante.

"Quello? Chi è quello? Non ha un nome e un cognome?" chiese tranquillo ma in tono fermo il professore.

"Lo sa chi voglio dire..."

"No. Il pronome dimostrativo maschile singolare quello esclude solamente le tue compagne di classe ma include tutti i tuoi compagni. Ti prego di essere più esplicito."

Quasi con rabbia, Itzhak sibilò: "Con Bargouti Elias."

"Solo negli elenchi si mette prima il cognome e poi il nome. Ho deciso, comunque, che tu e Elias Bargouti farete questo lavoro assieme, perché solo voi due potete dirci quello che i giornali non ci dicono ed esporci le vostre ragioni e i vostri punti di vista. Non intendo recedere da questa decisione, a meno che o tu o Elias mi diate più che valide ragioni, e ben motivate, per farmi cambiare idea."

"I palestinesi odiano noi ebrei." esclamò Itzhak.

"E gli ebrei ci disprezzano e ci derubano!" disse improvvisa la voce di Elias dal fondo dell'aula, mentre anche il ragazzo si alzava in piedi.

"A me risulta che ci sono palestinesi ed ebrei che lottano assieme, in comune accordo e armonia, per far cessare questa guerra e per poter convivere in pace. Sono una minoranza, purtroppo, ma esistono. Perciò la vostra generalizzazione è del tutto inaccettabile. Tu Elias provi odio per Itzhak?"

"Non me ne fre... non mi importa niente di lui, per me è come se non esistesse." dichiarò Elias.

"Ma provi odio per lui?" insité il professore.

"No... lui manco lo conoscevo prima di venire in questo liceo. Ma è un ebreo e un israeliano."

"E dimmi, Itzhak, hai mai sentito diprezzo per Elias, o gli hai mai rubato qualcosa?"

"Io? Non sono un ladro, io, non ho mai rubato niente a nessuno, a nessuno, neanche ai palestinesi, io."

"E disprezzi Elias perché è palestinese?"

"Non so niente di lui e non m'importa. Lo ignoro, non lo disprezzo. A scuola è bravo..."

"E anche più di te!" disse con fierezza Elias.

"E anche più di me, sì. E allora?" gli rispose Itzhak girandosi a guardarlo con aria di sfida.

"Allora niente, volevo solo precisare le cose."

Il professor Mastella, senza darlo a vedere, gongolava: in più di un anno e mezzo era la prima volta che i due ragazzi si parlavano direttamente.

"Essere bravi a scuola, come indubbiamente siete tutti e due, ma non essere degni di essere chiamati uomini, vale ben poco. Un vero uomo è innanzitutto chi sa convivere con gli altri uomini."

Una delle ragazzine alzò la mano e ottenuta la parola, chiese: "Anche con i ladri e gli assassini?"

"Anche, nel senso che un ladro o un assassino deve essere punito, ma dopo essere stato giudicato colpevole oltre ogni dubbio, perciò deve essere ascoltato, deve potersi difendere. Chi esclude all'altro la possibilità di farsi ascoltare e di difendersi, non è un uomo. Comunque, l'esercizio che vi ho assegnato oggi non è per giudicare, ma per ascoltare, per capire, per imparare. E il lavoro che Itzhak ed Elias faranno assieme ci aiuterà a capire. Perciò è fondamentale."

Pierfranco Redaelli alzò la mano: "Professore, non potrebbe ognuno dei miei due compagni fare il suo lavoro senza essere obbligati a farlo assieme?"

"Non sarebbe la stesa cosa, perché ognuno vi esporrebbe le proprie ragioni sui punti che a lui sembrano importanti, senza dire come vede i punti che all'altro sembrano importanti. Non sarebbe un confronto ma un dialogo fra sordi. Solo confrontandosi fra loro sui punti e gli argomenti che ognuno tira fuori avremo un'esposizione utile, valida e anche forse completa. Devono, perciò, lavorare assieme."

"Ma questo lavoro, lo dobbiamo fare in classe o a casa?" chiese un'altra ragazzina.

"Tutto il lavoro preparatorio lo farete a casa. In classe faremo solo il lavoro finale. Io farò fotocopie del testo preparato da Elias e Itzhak e ne darò una a ognuno di voi. La lezione seguente faremo una discussione in classe, in cui io fungerò solo da moderatore. In base a quello che avete letto sui ritagli di giornale che vi darò, e sul testo preparato da Itzhak ed Elias, voi potrete fare loro domande di chiarificazione. Quando la discussione sarà finita, la lezione seguente, vi darò un tema in classe in cui ognuno di voi scriverà la proprie riflessioni."

Itzhak guardò trionfante il professore: "I miei nonni non lasceranno mai entrare un palestinese in casa loro!"

"E neanche i miei genitori farebbero entrare un israeliano a casa nostra!" ribatté prontamente Elias.

"Perciò non possiamo lavorare assieme." concluse Itzhak.

"Non è proprio possibile." confermò Elias.

"Vedo che almeno su un punto voi due andate perfettamente d'accordo. E sono certo che se continuaste a parlare come avete cominciato a fare oggi, potreste trovare altri punti in comune. Comunque, se il problema è dove trovarvi per lavorare assieme... potreste venire a lavorare a casa mia. Vi darò una stanza in cui voi due da soli, purché non rompiate niente, potete anche litigare in santa pace."

Pierfranco Redaelli chiese di nuovo la parola: "Sono sicuro che i mei genitori non avrebbero niente in contrario se venissero tutti e due a casa mia."

"Ottimo. Vedete, avete due scelte..."

"Bisogna vedere se i miei mi lasciano andare dove c'è anche lui." disse incerto Elias.

"Come pure i miei nonni." aggiuse subito Itzhak.

"Vi lasciano venire qui, no?" disse il professore. "Comunque, telefonerò io alle vostre famiglie e se si oppongono, troveremo un'altra soluzione... come fermarvi un'ora in più il lunedì, mercoledì e venerdì, quando terminate e lezioni a mezzogiorno invece che alle tredici."

Appena il professore terminò la lezione, telefonò subito ai nonni di Itzhak. Ebbe con loro una lunga conversazione in cui spiegò il senso della sua iniziativa, e alla fine ottenne il loro permesso di far lavorare Itzhak con Elias a quel progetto, a casa del professore, o del compagno o in classe, come avrebbe deciso lui.

"Noi, professore, nonostante tutto quello che abbiamo sofferto sia come popolo che come famiglia, o forse proprio per quello, non possiamo che amare la pace. Sappiamo che quanto lei propone farà sanguinare il cuore di nostro nipote, ma se questo, come lei pensa, potrà aiutarlo a rimarginare le ferite... non possiamo che pregare l'Altissimo che sia un'esperienza utile al nostro Itzhak." concluse il nonno. "Anche se... temiamo che non sarà così."

"Io, al contrario, sono ottimista, signor Segre. Sono convinto che il novanta per cento delle inimicizie e delle incomprensioni proviene dall'egoismo e dal non saper ascoltare le ragioni degli altri. Grazie comunque, per la vostra autorizzazione, nonostante i vostri comprensibili dubbi."

Telefonò al padre di Elias più tardi, sapendo che l'uomo era al lavoro a quell'ora.

"Professore," gli disse il padre di Elias, "noi siamo dovuti andar via dalla Palestina proprio perché eravamo gente di pace, perché volevamo che i nostri figli non crescessero in un'atmosfera di odio, nonostante quello che gli israeliani ci hanno fatto. Se quanto vuole fare lei può aiutare il nostro Elias a diventare veramente un uomo di pace, non posso che esserle grato."

"Quindi lei mi autorizza?"

"Sì, certo, professore e con gli auguri di riuscire. Se mi posso permettere di dare un consiglio, se i genitori di Pierfranco sono d'accordo, credo che sarebbe bene che i due ragazzi si incontrino a casa sua. Così non sono di disturbo a lei, Elias conosce bene i Radaelli, e i due ragazzi sarebbero in un ambiente più familiare e intimo che in un'aula vuota in cui potrebbe sembrare che sono in castigo."

"Apprezzo molto il suo suggerimento, signor Bargouti, la ringrazio per la sua collaborazione. Mi creda, se mi sono deciso a muovere le acque calme, quasi morte, fra i vostri ragazzi, è solamente per il loro bene."

"Ne sono convinto e sono io a ringraziare lei, professore. Che Dio vi assista."


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