Adduzzu, crescendo, se da una parte sentiva forte il desiderio fisico e la necessità di dargli sfogo, sempre più chiaramente capiva che la cosa che maggiormente gli mancava, era però l'amore.
Aveva, è vero, l'amore di Errigo Miccichè, cioè Cappiddazzu, e gliene era grato, però quello era un amore di padre, prezioso, certo, ma non l'amore di cui sentiva sempre più chiaramente di avere bisogno, non l'amore di un amante con cui divenire una sola cosa.
Il dodici aprile, quell'anno era il Giovedì Santo, a sera Scagghiazza chiuse il laboratorio in cui si stavano finendo di preparare i "picureddi" di Pasqua, pecorelle di pasta reale, sdraiate su un fianco sopra un prato verde disseminato di confettini multicolori, con una banderuola rossa, simile a quella che nell'iconografia sacra è in mano a San Giovanni, infilzata sul dorso.
Tutti s'avviarono subito a "girari i chiesi", cioè a visitare i Sepolcri, e molti immancabilmente passavano a fare visita al Santuario dell'Addolorata, parata a lutto: un grande arazzo nero ricamato in filo oro, chiamato appunto "lutto", pendeva davanti alla facciata del Santuario. La Madonna era già stata sistemata sulla "vara", la portantina, davanti all'altare maggiore, dove assieme ai Confrati di Maria Santissima Dei Sette Dolori, con il Settespade, aspettava la visita della gente, non ultimo l'Arcivescovo con al seguito l'Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso della Cattedrale.
Anche Adduzzu aveva girato "i chiesi", e così era entrato nel Santuario dell'Addolorata e guardava con occhi trasognati i solenni riti che lì si stavano svolgendo, come un po' tutta la povera gente il cui unico lusso era quello fornito dalle sontuose cerimonie religiose. Dopo alcuni momenti di riflessione davanti all'Ostia Santa, le due Arciconfraternite intonarono i loro Canti Devozionali e al termine l'Arcivescovo fece una breve meditazione sul mistero che la Chiesa stava celebrando.
Adduzzu era appoggiato a uno dei muri laterali, un po' sul fondo, sulla destra. A un certo punto gli arrivò accanto un ragazzo appena più giovane di lui, che fece un rapido segno di croce e un accenno di genuflessione poi s'appoggiò alla parete, accanto ad Adduzzu. Questi ebbe l'impressione che il nuovo arrivato lo stesse guardando, così si girò verso di lui.
L'altro ragazzo gli fece un lieve sorriso.
Adduzzu si sentì rimescolare tutto dentro, a quel sorriso, gli sorrise appena, in risposta, poi, sentendosi arrossire, si voltò dall'altra parte cercando di seguire le cerimonie.
L'altro gli sfiorò un braccio. "Tu lavori da Scagghiazza, non è vero?" gli chiese sottovoce.
"Sì... ma noi non ci conosciamo mica." ribatté Adduzzu, pensando che la voce dell'altro pareva la voce di un angelo del cielo.
"No, ma io ti vedo qualche volta quando entri o quando esci dalla bottega di Scagghiazza. Mio padre tiene casa quasi lì di fronte."
"E chi è, tuo padre?"
"Calogero Fiordilino, il carrettiere."
"Chi, Baggianu? Quello col carretto tutto pittato con le storie dei paladini di Francia? E tu come ti chiami?" gli chiese Adduzzu pensando che era un gran bel ragazzo, che aveva occhi assai vivaci e un bel sorriso, e che pareva simpatico e anche troppo attraente.
"Luigi Fiordilino, ma chi chiamano tutti Attareddu, perché quand'ero piccolo non mi vedevi mai in giro senza un gattino in braccio... Il carretto lo pittò tutto mio padre, sai? È bello, vero?" gli disse l'altro. "Ma tu, come ti chiami?"
"Nardu Piazza, ma a me mi dicono Adduzzu... Sì, è bello assai il carretto, e pure il cavallo tutto impennacchiato che pare sempre festa."
"Perché ti chiamano Adduzzu? andavi sempre in giro con un galletto, tu?" chiese l'altro ridacchiando.
Un uomo si girò a guardarli con espressione severa: "Carusi, se avete da cianciare, uscite dalla chiesa; se no state zitti e non mancate di creanza alla Madonna!" li redarguì sottovoce ma in tono seccato.
Attareddu fece cenno ad Adduzzu con gli occhi verso l'uscita, questi annuì e uscirono, facendosi largo fra gli uomini che affollavano il fondo della chiesa.
"No, a me mi chiamano Adduzzu perché quando avevo dodici anni parevo un galletto, tenevo le gambe e il collo troppo lunghi e i capelli sempre spettinati."
"Adesso invece sei proprio ben fatto, assai ben fatto... Quanti anni tieni, adesso, Adduzzu?"
"Diciotto. E tu?"
"Uno in meno di te. Tieni fratelli, sorelle? Dove stai di casa?"
"No, non ho nessuno e sto di casa con uno dei servi del barone, su dietro a San Domenico."
"T'è parente, quel servo?"
"No, ma mi fa come da padre. A lui ci morì la moglie e un figlio, così ora si fa famiglia, lui e io."
"Anche a me mi morì la madre, due anni fa. Ma noi in casa siamo sette fra sorelle e fratelli, oltre a mio padre e alla madre di mio padre. Io sono il mediano. Che lo vuoi un tocco di tumazzu?" chiese il ragazzo tirando fuori dalla sacca che aveva a tracolla un pezzo di formaggio.
"Grazie, no, che tra poco vado a casa e faccio cena."
"Non torni per la fiaccolata?"
"Non lo so, devo chiedere a che ora chiudono il portone, se no resto chiuso fuori."
"E che t'importa, stanotte? Io non vado mai a dormire, la notte fra il giovedì e il venerdì Santo, mi godo tutta la processione 'a piduni'. Per quello mi sono portato qualcosa da mangiare. Vieni anche tu, dai!"
"Mi piacerebbe... Ma prima ci devo chiedere a Cappiddazzu."
"Quello che ti fa da padre?"
"Sì, a lui. Magari pure lui si fa la processione a piedi scalzi; l'anno scorso era uno di quelli che portava la vara con la statua do Signuri ca cruci 'ncapu i spaddi, di Gesù Appassionato."
"E tu vai con lui? Non ci si può vedere di nuovo, io e te?"
"Non lo so ancora, t'ho detto."
"Se puoi venire... io starò dietro a la vara con la Madonna dei Sette Dolori. Mi piacerebbe assai aspettare l'alba con te, e poi andare insieme in cattedrale per vedere il Calvario."
"Anche a me mi piacerebbe assai, Attareddu... Forse Cappiddazzu mi dice che non c'è problema."
I due ragazzi si lasciarono e Adduzzu andò di corsa a casa. Per via ripensava al ragazzo che aveva appena conosciuto: gli piaceva molto, se ne sentiva fortemente attratto. Sperò di poterlo rivedere. Capiddazzu era già in cucina con gli altri servi. Adduzzu andò a sedergli accanto e si salutarono con un sorriso. Mangiarono con gli altri, poi uscirono nella corte di servizio.
"Che fai, stanotte, resti a casa o fai la processione a piduni come l'anno scorso?" gli chiese il ragazzo.
"E chi manca alla processione. Quest'anno è il quinto che ci vado e l'anno a venire mi danno il saio della confraternita, sai? E tu che fai? Stai a casa, vieni con me o hai altri progetti?"
"Mi piacerebbe vedermi stanotte con un ragazzo che conobbi al santuario, poco fa."
"Chi è, lo conosco?"
"Lo chiamano Attareddu, è il figlio mediano di Baggianu."
"Non lo conosco, ma conosco di vista suo padre, che è uno che ci piace di fare cose originali che la gente nota e ammira per lo sfarzo."
"Ha un carretto pittato coi paladini di Francia e il cavallo tutto impennachiato."
"Sì, appunto. E com'è questo Attareddu?"
"Mah... un caruso gradevole, per quel poco che lo conosco..." disse il ragazzo con aria indiferente e restando sul vago.
Cappiddazzu sorrise: ormai lo conosceva abbastanza per sapere che quando Adduzzu faceva l'indifferente e restava sul vago in quel modo significava che era in realtà assai interessato.
"E allora vai con lui, fra carusi v'intendete meglio e se ti fai un amico è una cosa buona. Quest'anno il barone ha dato ordine di chiudere il portone ma di lasciare aperta la portina, perciò puoi tornare all'ora vuoi... o anche passare invece tutta la notte fuori se t'aggrada. Magari con quel tuo nuovo amico, no? Non fa più troppo freddo, si comincia a stare bene fuori anche di notte... specialmente se si è in buona... e piacevole compagnia." gli disse con un sorrisetto.
Adduzzu arrossì: "Ma lo conosco appena..." sussurrò. "Ci si è scambiati solo poche parole."
"Però scommetto che ti piace... almeno d'aspetto ti piace, no?"
"Sì... e pare anche simpatico. Tiene solo un anno meno di me."
Cappiddazzu gli mise un braccio sulle spalle: "Ehi, Nardu, mica ti vergognerai di me, no? Se quel caruso ti piace, magari ci puoi provare con lui."
Adduzzu notò che l'aveva chiamato per nome e intuì che era un modo per dirgli che stava parlando molto seriamente, ma anche per fargli sentire l'affetto che provava per lui. Appoggiò lievemente la testa sul braccio dell'uomo e lo guardò con un sorriso lieve.
"Io, però, mi vergogno un po' a provarci con lui. E se a lui magari non ci piacciono quelle cose?"
"E tu vacci piano, con prudenza, comincia a prendere la cosa alla larga e vedi come reagisce. Io non credo che troverai problemi, ma tu lasciati sempre aperta una via di fuga; capisci quello che intendo, no?"
"Forse. Magari, dopo che è finita la processione, ci chiedo se vuole venire al tempio dei Dioscuri e lì ci racconto che i due gemelli facevano pure all'amore fra loro."
"Sì, può essere una buona idea. Così vedi come reagisce lui e ti puoi regolare. Anche a un uomo, se ci interessa una donna, mica comincia dicendo: vuoi venire a letto con me? No? Magari ci dice: che occhi belli che tieni... o qualcosa del genere."
"Sì... tiene gli occhi belli assai, Attareddu."
"Solo?" gli chiese l'uomo, con un sorrisetto ammiccante.
"No... pure. Tu, quando conoscesti a Nunziatella, come ci facesti capire che... che ti piaceva?"
"Io ci regalai un fiore. Lei mi sorrise e lo baciò, allora io ci dissi che mi sarebbe piaciuto essere al posto di quel fiore."
"E così lei ti baciò?"
"No, ma diventò rossa rossa e mi guardò negli occhi e mi disse che io ero assai meglio di quel fiore. E così capii che ci interessavo per davvero."
Adduzzu tornò al Santuario e girò fra la gente che si stava radunando, cercando Attareddu. Finalmente lo vide: stava parlando con un ragazzo più grande di lui. I due parevano essere molto in confidenza, l'altro ragazzo aveva un braccio sulle spalle di Attareddu e questi gli sorrideva mentre l'altro parlava.
Un po' irrazionalmente, Adduzzu provò un sentimento di lieve gelosia. Li guardò di lontano, chiedendosi se per caso quei due stavano assieme. Poi il ragazzo più grande si allontanò. Allora Attareddu si guardò intorno e vide Adduzzu. Gli fece un ampio sorriso e gli andò incontro.
"Riuscisti a venire! Sono proprio contento. Puoi stare fuori tutta la notte o devi tornare a casa, dopo la processione?"
"No, posso restare fuori finché voglio, stanotte." rispose. Avrebbe voluto chiedergli chi era l'altro ragazzo, ma non lo fece.
"Anch'io posso restare fuori, stanotte. Vieni, ci facciamo dare due torce: mio fratello è incaricato di distribuirle. Sai, nostro padre è confrate dell'Arciconfraternita."
"Ma la processione, non è domattina?" chiese Adduzzu.
"Domattina c'è la processione grande, quella dell'Incontro. Ma stanotte si fa il giro attorno al santuario e si cantano le litanie della Madonna. Domattina alle nove invece si parte per la processione grande, e si va fino al Calvario, in cattedrale. Quella di stanotte la chiamano la processione piccola. Tu, gli anni passati, non partecipasti mai?"
"No, quello che mi fa da padre segue da anni la confraternita del Crocifisso, e io così andavo sempre con lui."
Quando ottennero le loro torce, Attareddu gli spiegò: "Tenila così e falla girare piano piano in questo modo, quando l'accendiamo, almeno la resina brucia bene e non gocciola, ma se pure ne gocciola un po' non ti va sui vestiti, che poi è quasi impossibile mandarla via."
La gente iniziò ad accendere le torce, passandosi il fuoco l'un l'altro, con i vicini, e dopo poco tutta la piazza fu piena di fiamme tremule. Quindi la processione ebbe inizio e la gente si snodò cantando le antiche litanie della Madonna in coro e seguendo il simulacro della Vergine Santa. Il serpente di fuoco si snodò per le viuzze e i vicoli, facendo un ampio giro zigzagante fra le case della Rabata, attorno al Santuario.
Quindi il simulacro fu riportato dentro la chiesa e fu posto in fondo alla navata, rivolto verso il portale d'ingresso, pronto per uscirne di nuovo la mattina seguente per la grande processione dell'Incontro. L'Arciprete dette inizio alle letture della passione di Nostro Signore. Infatti, secondo l'antica tradizione, il Venerdì santo iniziava al tramonto del giovedì e durava fino al tramonto del venerdì, quindi, liturgicamene parlando, si era già nel Venerdì Santo. Il tabernacolo sull'altare maggiore era aperto e vuoto, l'altare era spoglio e tutte le effigi dei santi e le croci erano coperte da drappi viola, solo la statua della Madonna dei Sette Dolori non era nascosta agli sguardi dei fedeli.
Adduzzu guardava spesso, con la coda dell'occhio, il suo nuovo compagno, e più lo guardava più lo trovava bello. Si chiese come potesse non aver mai notato prima un ragazzo tanto bello, sensuale e attraente,
Terminate tutte le funzioni, la gente sciamò via dal Santuario, in perfetto silenzio: solo lo scalpiccio di centinaia di piedi rompeva il silenzio della notte. Anche i due ragazzi uscirono dal Santuario.
"Ci vieni con me, adesso?" chiese allora Adduzzu.
"Sì. Dove mi porti?" gli chiese l'altro con un luminoso sorriso.
"Giù nella vallata dei templi. Pensavo che magari si poteva dormire là, il tempo è buono, non fa più freddo."
"Ma sì, perché no? L'idea mi piace. E poi c'è la luna piena, ci si vede abbastanza."
Uscirono dal centro abitato e scesero giù verso sud, seguendo lo stradello che costeggiava il fiume Sant'Anna. Quando il terreno lo permetteva, scendevano fianco a fianco e di tanto in tanto si guardavano e si scambiavano un sorriso. Presto le quattro colonne del tempio dei Dioscuri furono visibili. Lasciarono lo stradello e, passando fra le stoppie e i cespugli, si avvicinarono ai resti del tempio. Adduzzu faceva strada e Attareddu lo seguiva in silenzio.
Adduzzu stava pensando a come affrontare con il nuovo compagno il discorso che gli interessava. Dunque: gli avrebbe chiesto se sapeva a chi era stato dedicato quel tempio, poi se conosceva la leggenda dei Dioscuri, poi avrebbe...
Era giunto davanti alle rovine e fece per girarsi verso l'altro e iniziare il discorsetto che s'era preparato, quando Attareddu, che gli era alle spalle, lo prese fra le braccia e, mentre lo stringeva a sé, gli carezzò lieve il petto e il ventre e gli sussurrò: "Qui siamo soli, nessuno ci vede... hai voglia di fare... di fare con me, Adduzzu?"
Questi si irrigidì per un attimo, per la sorpresa: tutto aveva immaginato, meno che questo approccio così diretto ed esplicito. Ma si rilassò subito, e l'altro, vedendo che il compagno non gli sfuggiva, non si opponeva, sussurrò, eccitato: "Tu mi piaci troppo, Adduzzu! Appena ti vidi desiderai stare solo con te." e una sua mano scese a carezzarlo fra le gambe.
Adduzzu si eccitò subito e frattanto sentì la virilità dell'altro iniziare a inturgidirsi e a premere attraverso i loro panni contro il suo sedere. Anche Attareddu sentì sotto la sua mano il turgore del compagno, e ve la premette contro, mormorandogli con voce calda: "Anche tu tieni voglia almeno quanto me. Non è vero?"
"Sì... è proprio vero." riuscì finalmente a rispondere l'altro e si girò fra le braccia del compagno, guaradandolo negli occhi. "Speravo giusto di arrivare a questo, quando ti chiesi se venivi quaggiù."
"Me l'immaginavo..." disse l'altro e, preso il volto di Adduzzu fra le mani, lo baciò in bocca.
Era la prima volta che qualcuno lo baciava e Adduzzu fu colto di sorpresa, poi, timidamente, rispose al bacio e pensò che era bello baciarsi in quel modo. Sentì il membro duro dell'altro ondeggiare di lato contro il suo sfregandosi e premere attraverso i panni. Adduzzu spinse la lingua nella bocca dell'altro, che la succhiò lieve, muovendoci contro la propria. Le loro lingue giocarono a lungo, rincorrendosi da una bocca all'altra in un crescendo di piacere ed eccitazione.
"Tenevo tanta voglia di baciarti così, fin dal primo momento che ti vidi, Adduzzu!"
"E io non ho fatto che pensare a te e desiderare questo... con te. Sei troppo bello."
Attareddu slegò ai fianchi le barghe del compagno e gliele fece calare sulle ginocchia, poi lo sospinse a sedere su uno dei pietroni del basamento del tempio, gli si inginocchiò fra le gambe, prese il membro e i testicoli del compagno fra le mani, palpandoli, si chinò e depose un bacio sulla punta turgida e parzialmente scoperta. Poi iniziò a lecchettarla.
Adduzzu fremette in preda a uno strano, nuovo, fortissimo piacere: "Ma che fai, Attareddu? Non ti fa brutto?" gli chiese guardandolo, meravigliato.
"No, mi piace, mi piace assai. A te no?" rispose l'altro guardandolo di sotto in su con un sorriso allegro.
"Sì... sì che mi piace, ma... non ti fa brutto leccarmi lì?" chiese di nuovo, totalmente stupefatto, godendo però al tempo stesso quelle impreviste attenzioni e sentendosi incredibilmente eccitato.
Per tutta risposta l'altro si fece scivolare tutto il membro in bocca e iniziò a muovere il capo su e giù, serrandovi attorno le labbra, mentre con la lingua lo stuzzicava torno torno e sulla punta. Adduzzu gemette per l'intensità delle sensazioni e posò una mano sulla testa del compagno, infilandogli le dita fra i capelli in un gesto pieno di tenerezza. Frattanto Attareddu con una mano gli carezzò il ventre contratto, scivolò sotto i panni fino a raggiungere e sfregare i capezzoli di Adduzzu.
"Oh, ma che mi fai? È troppo bello... Oh, sì, è bello assai..." mormorò Adduzzu, rovesciando indietro la testa e guardando la volta del cielo piena di stelle sopra di loro.
Non aveva mai provato un piacere così intenso, fino ad allora, e pensò che l'altro lo stava portando nel paradiso terrestre. Allora Adduzzo pensò che doveva provare anche lui: se al compagno piaceva, forse sarebbe piaciuto anche a lui farlo.
Fece alzare in piedi Attareddu. Gli sfilò la panzera, poi gli sciolse la lunga e larga fascia di cotone verde, e gli carezzò i calzoni di tela fra le gambe, dove erano vistosamente tesi, guardandolo negli occhi. L'altro gli sorrise e sollevò le braccia, allora Adduzzu gli sfilò il camiciotto che posò sulla pietra accanto a sé, poi gli slacciò i legacci delle braghe ai fianchi e queste scivolarono giù fin sulle ginocchia, rivelando il membro ritto e duro del compagno.
Allora lo attirò a sé e si chinò a saggiare, dapprima esitante, la giovane ma turgida virilità del compagno con la lingua, poi, accorgendosi che non gli provocava nessuna brutta sensazione, iniziò a leccarla e a manipolarla con le mani finché sentì che l'altro cominciava a fremere, eccitato. Guardò il corpo fresco e nudo di Attareddu e vi passò le mani in una lunga carezza, pensando che era bello, così dolcemente illuminato dai raggi della luna piena, tutto nudo per lui.
Posò le labbra sulla punta del membro e abbassò il capo facendoselo scivolare in bocca, cercando di prenderlo tutto intero. Dovette tentare un paio di volte, prima di riuscire a farlo bene, ma finalmente il suo naso premette contro il folto e morbido pelo che adornava l'inguine dell'altro. Le mani di Attareddu, posate sul suo capo, lo guidavano ma senza forzarlo, e gli carezzavano i capelli e la nuca. Adduzzu sentì il lieve odore di maschio del compagno, e lo inalò pensando che era un profumo delizioso, erotico, molto eccitante.
Poi Attareddu volle scambiare le parti e riprese a succhiare il membro del compagno, e con le mani gli fece capire che doveva muovere avanti e dietro il bacino. Dopo un po', però si staccò da lui e gli disse, in un sussurro eccitato: "Se mi vuoi venire in bocca, per me va bene, però mi piacerebbe che tu mi fottessi anche nel culetto... Tu che peferisci fare?"
"In bocca?" chiese sorpreso Adduzzu. "Ma di che sa?"
"Ha un sapore che mi piace... ma di che sa... è difficile spiegarlo. Un po' come il latte di mandorle ma più denso e meno dolce. Buono, però." gli spiegò il compagno. "Allora, come vuoi venire? Dentro alla mia bocca o dentro al mio culetto?"
"Tutti e due!" esclamò Adduzzu con entusiasmo.
"Se riesci a farlo due volte, per me va bene." rispose l'altro sorridendogli e carezzandogli il corpo seminudo. "Ma finiamo di spogliarci, prima."
Si liberarono completamente degli abiti, quasi di fretta. Attareddu lo carezzò, lieve ma sensuale, per tutto il corpo poi si accoccolò nuovamente davanti ad Adduzzu che gli prese il capo fra le mani e ricominciò a fotterlo in bocca con piacere, mentre l'altro muoveva la lingua ad arte. Improvvisamente Adduzzu esplose in un forte, inatteso orgasmo e si scaricò con cinque o sei getti nella compiacente bocca dell'altro che bevve golosamente tutto il suo seme.
Allora Attareddu si alzò e baciò in bocca il compagno, faendogli sentire il sapore del proprio seme: "Ecco, senti di che sa il tuo?" gli disse poi.
"Sì... Hai ragione tu, fa proprio pensare un po' al latte di mandorle." rispose con aria sognante.
"Solo che questo è buon latte di maschio." gli disse sorridendo il compagno.
Allora Adduzzu fece stendere l'amico sulla pietra, gli si chinò sopra e iniziò a esplorare con i polpastrelli e con la lingua ogni piega del corpo dell'altro. Si soffermò sui capezzoli, quando si rese conto che questo dava piacere al compagno, poi scese fino al suo membro che svettava ritto e duro, in paziente attesa. Lo leccò a lungo, su e giù per tutta la lunghezza, soffermandosi a volte sul glande liscio come seta, poi giù fino ai testicoli contratti, godendosi i fremiti e i bassi mugolii di piacere del compagno.
Poi gli fece sollevare le gambe e leccò la zona fra i testicoli e l'ano, e finalmente leccò il forellino così rivelato, su e giù, su e giù e a volte forzandolo con la punta della lingua. Nessuno l'aveva mai fatto a lui, prima, ma Adduzzu era molto eccitato e perciò lo fece, d'istinto. Anche per Attareddu era la prima volta che riceveva un simile trattamento e gemeva in preda a un sempre più forte piacere.
"Oh, Adduzzu, tu mi fai morire... che mi fai? È troppo bello... Oh... oh, Adduzzu! Fottimi... fottimi, dai!"
Nonostante il ragazzo fosse venuto pochi minuti prima nella bocca dell'amico, il suo membro era nuovamente duro come granito, eretto. Adduzzu prese un po' di saliva e si lubrificò il membro, poi si mise in posizione e lo puntò sul foro dell'amico: "Sì, eccomi, ora fotto il tuo bel culetto, Attareddu."
Glielo sospinse dentro lentamente, spiando l'espressione del volto dell'amico man mano che lo penetrava. Attareddu gli sorrideva beato e sussurrò: "Sì, Adduzzu, così! Riempimi... mettimelo tutto! È troppo bello... Sì, Adduzzu... sì... tutto lo voglio! Oh che bello, Adduzzu... oh, quanto mi piace!"
Quando sentì i testicoli premuti contro le piccole e sode natiche dell'amico, Adduzzu ripresse fiato, poi iniziò a pompargli dentro con virile gentilezza. L'altro lo incoraggiava con un luminoso sorriso. Adduzzu dapprima si mosse in lenti e lunghi va e vieni, e l'altro poteva così gustarsi a pieno ogni centimetro del forte e giovane membro che gli scivolava dentro e fuori dallo stretto e caldo canale.
Tutti e due i ragazzi erano in estasi e Attareddu muoveva il culetto lievemente per aumentare il reciproco piacere. Adduzzu iniziò a prenderlo con spinte più forti e veloci, estraendo quasi completamente il membro e sospingendolo nuovamente dentro con forza, e ancora, e ancora. Entrambi gemevano sempre più forte, in preda a un crescente piacere.
"Sì... sì... sì..." mugolava Attareddu e Adduzzu gli faceva eco, "Ah... ah... ah..." e gli batteva dentro sempre più vigorosamente, e a ogni spinta il suo membro sfregava contro la prostata dell'altro, procurando ad Attareddu un sempre più forte, quasi insostenibile piacere.
Improvvisamente Attareddu venne, schizzando tutto il suo seme sul petto dell'amico e qualche getto raggiunse anche il viso dell'altro. Il suo ano palpitò con forza a ogni getto e questo scatenò anche l'orgasmo di Adduzzu che a sua volta si scaricò, per la seconda volta, dentro l'amico con una serie di forti spinte poi, esausto, si afflosciò sul corpo dell'altro, ansimando fortemente.
"Oh, Attareddu! Non ho mai goduto così tanto!" mormorò emozionato il ragazzo, il volto arrossato, fremendo ancora a tratti.
"Neanche io. È stato davvero speciale, con te! Troppo bello, davvero."
Si baciarono. Lentamente il membro di Adduzzu si ammorbidì nel canale dell'altro e si ritirò, finché scivolò fuori. Attareddu allungò le gambe e abbracciò l'amico.
"Adduzzu?"
"Sì?"
"Sei un sogno, tu! Vuoi prendermi come tuo ragazzo? Vuoi farlo solo con me? Se mi dici di sì, anche io lo farò solo con te... Per favore... dimmi di sì!"
"Attareddu, anche a me è piaciuto più che con tutti gli altri. Davvero. Però..." rispose incerto l'altro.
"Però?" gli chiese l'amico quasi trattenendo il fiato. "Hai già un altro, per caso?"
"No, nessuno. Però per dire che sei il mio ragazzo e io il tuo, dovremmo essere anche innamorati, oltre che a piacerci di farlo assieme... e ancora ci conosciamo appena, ci conosciamo troppo poco."
"Mènnula 'n ciuri porta primavera [= Il mandorlo in fiore annuncia la primavera], dicono, no? Io sono sicuro che l'amore pure verrà. Perché poco fa la mènnula fiorì, quindi verrà pure la primavera. Io lo feci anche con qualche altro ragazzo, ma mai con nessuno fu bello come adesso con te."
"Bello sì, fu bello davvero, ma l'amore è cosa seria. Non è solo fottere bene, Attareddu mio."
"Ma tu... non ci vuoi provare, con me? A vedere se possiamo davvero diventare uno il ragazzo dell'altro? E finché non lo sappiamo per sicuro... ci stai che lo facciamo solo io con te e tu con me?" gli chiese il ragazzo con una intensa luce di preghiera negli occhi.
"Beh... sì... sì che ci possiamo provare. Ma se ci mettiamo assieme, tu e io... come facciamo, che tu stai con la tua famiglia e io a casa del barone? Io qualche volta, basta che avverto Cappiddazzu, e posso passare la notte fuori, ma tu, a parte stanotte, i tuoi ti lasciano passare la notte fuori?"
"No... credo di no. Non è mai successo, a parte in queste notti della settimana santa. Magari però lo possiamo fare di giorno, dopo, no?"
"E dove? A parte che di giorno io lavoro... Come possiamo? Non vedi che è difficile assai?"
"Non ti vuoi mettere con me, allora?"
"Non è quello, io ci proverei pure, ché tu mi piaci troppo, è bello troppo assai con te, Attareddu."
Si rivestirono in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Sedettero fianco a fianco, appoggiati a una delle colonne, guardando entrambi nel nulla. Attareddu prese una mano di Adduzzu fra le sue.
"Ci dobbiamo provare, Adduzzu, se sei sincero quando mi dici che tu ci proveresti, con me." disse sottovoce, in tono di preghiera, il ragazzo.
"Dopo che la mènnula fiorisce, ci passano mesi, prima che dia frutto." mormorò Adduzzu.
"E mesi aspetteremo, quanti ce ne vuole, e se tutti e due ci si mette d'impegno, potremo anche gustare il frutto dolce. Io lo sento, io lo so che finalmente ho trovato quello giusto. Quando ti vidi di nuovo, là nel santuario, provai come un colpo al cuore, e mica solo perché sei bello più d'un sogno."
"Forse è destino che la nostra prima volta l'abbiamo fatto proprio qui." mormorò Adduzzu, pensieroso.
"Perché dici che è destino?"
Adduzzu allora gli raccontò la storia di Castore e Polluce.
Attareddu alla fine disse: "E questo allora significa che passeremo sei mesi la notte in paradiso il giorno in inferno e poi sei mesi la notte in inferno e il giorno in paradiso come quei due gemelli? Se questo è l'unico modo che ho per stare con te... io ci sto."
"Sempre che fra te e me un giorno ci sarà pure l'amore, oltre che il piacere di farlo insieme."
"A me, dopo che lo facevo con gli altri, era tutto finito, e invece con te è tutto diverso. Io tengo ancora voglia di abbracciarti, o anche solo di starti anche più vicino di così come stiamo adesso."
"Sì, ti capisco, pure per me è così." disse Adduzzu tirandolo a sé, finché l'amico gli poggiò il capo in grembo, e lo carezzò lievemente sul volto. "E poi... e poi mi piacerebbe pure che anche tu me lo metti a me. Ma mica solo quello, sai? Anche stare così, per me pure, è cosa bella assai."
"Magari prima di domattina lo possiamo fare ancora una volta, no? Adduzzu, io non ti voglio perdere appena t'ho trovato. Non è giusto, però: se io ero una femmina ci si poteva sposare e stare assieme tutta la vita."
"Che dici, vorresti essere una femmina, tu, Attareddu?" gli chiese Adduzzu, un po' stupito.
"No, non mi capitò mai di pensarlo, però ora... Perché due carusi non si possono maritare fra loro? Tu non ti mariteresti con me, se era possibile?"
"Se ero innamorato di te, certo che ti sposerei pure."
"Cosa devo fare per farti innamorare di me, Adduzzu? Dimmelo, per favore. Io non ti voglio perdere, ora che ti trovai."
"Forse niente. Forse ci si innamora per davvero, tu e io. Cappiddazzu mi spiegò un giorno come si fa per non perdere l'amore, ma non come si fa a innamorarsi."
"Ma tu, con Cappiddazzu, ci parli d'ogni cosa? Anche di queste cose?"
"Certo, ti dissi che è come un padre per me, anzi, pure più d'un padre."
"E ci dicesti pure... di me? Di te e me?" gli chiese il ragazzo guardandolo con espressione meravigliata.
"Sì, certo. E lui mi disse di offrirti magari un fiore." gli disse sorridendo Adduzzu.
"E non ti disse niente? Non ti cazziò? Che è, pure a lui ci piacciono i maschi come a noi due?"
"No, a lui no, però dice che è naturale e che a certi ci capita, come a noi due. Lui una volta mi vide che stavo con un ragazzo. Oh, mica mentre facevamo, però stavamo nudi a dormire assieme dopo che l'avevamo fatto. Mi disse solo di stare accorto, che tanti lo fanno, ma non si deve far sapere in giro."
"Mio padre, se ci vedesse anche solo adesso, così, prenderebbe la frusta del cavallo e mi scorticherebbe vivo. Ma, senti, Adduzzu, se Cappiddazzu lo sa che sei venuto qui con me, e per fare proprio quello che s'è fatto tu e io, allora magari ci puoi chiedere consiglio e aiuto a lui, no? Magari lui ti sa dire cosa possiamo fare."
"Eh, magari. Sai che tengo di nuovo una gran voglia di baciarti, adesso che m'hai insegnato come si fa?" gli disse Adduzzu con un dolce sorriso, sottolinenandogli lieve le labbra con un polpastrello.
"E che aspetti, allora?" gli mormorò l'altro con occhi luminosi, attirandolo giù a sé, e le loro bocche s'unirono con rinnovata passione.