Stavano appoggiati con la schiena al muro della casa, seduti a terra, e guardavano la gente passare. Parecchi li guardavano di sottecchi, ma tiravano dritto fingendo di non averli notati. Dopo di loro, non era entrato più nessuno nella farmacia Gallo.
Ma a un certo punto sentirono tintinnare la campanella che era sulla porta della farmacia e si girarono a guardare, pensando che forse fosse il commesso che per qualche motivo ne usciva. Videro invece un uomo alto, segaligno, vestito con una certa eleganza in un completo marrone scuro rigato, con tanto di catena d'oro per l'orologio, al panciotto, che da poco doveva aveva superato i quaranta anni.
L'uomo li guardò e chiese: "Siete voi due che avete da consegnarmi una lettera?"
Il tono di voce era cortese, i suoi occhi scrutavano i due giovani con lieve curiosità ma senza ostilità. I due si alzarono in piedi e Adduzzu, inconsciamente, si passò le mani dietro i calzoni come per togliere la polvere della strada.
"Siete voi don Gallo Alfio?" chiese Attareddu lievemente intimorito.
L'altro sorrise: "Risparmiatemi il don, ma sì, sono io Alfio Gallo. Chi vi manda?"
"Nunzio Musumeci, il maestro."
L'uomo si illuminò: "Ah, conoscete Nunzio? è lui che vi manda? siete amici suoi?"
Attereddu tirò fuori la lettera e la porse all'uomo, dicendogli, "Credo che è tutto spiegato qua dentro. Tenete."
Alfio aprì la busta e lesse la lettera, guardando di tanto in tanto i due ragazzi e annuendo. Poi la ripiegò, se la infilò in tasca e sorrise. "Aspettatemi un attimo, avverto il mio aiutante di chiudere lui la farmacia, più tardi; poi venite con me, a casa mia."
La casa di Alfio, che sorgeva in via Galatea, era un palazzetto del '700, di tre piani, non grande ma con qualche pretesa di eleganza tardo-barocca. Mentre entravano, una voce dall'interno gridò: "Sei tu, Alfiuzzo?"
"Sì Turiddu, e ti ho portato due ospiti." gridò in risposta il padrone di casa poi, giratosi verso i due ragazzi, "Entrate, entrate ragazzi." disse con un sorriso premuroso, facendosi di lato sul vano della porta.
Si trovarono in una stanza di ingresso con alcune porte e una scala con una balaustra di pietra finemente scolpita. In quella, sul pianerottolo della scala che veniva dai piani superiori, comparvero due ragazzine vestite esattamente uguali e davanti a loro un ragazzetto, e in coro i tre dissero un sommesso "buongiorno" a cui i due ragazzi risposero. Poi il ragazzetto chiese: "Chi sono, papà?"
"Sono amici del nostro amico Nunzio, il tuo vecchio maestro, e m'hanno portato una lettera da parte sua." rispose Alfio.
"E com'è che sono vestiti così male?" chiese il ragazzetto. Una delle due ragazzine gli dette uno scappellotto e lo riprese, sottovoce ma con bruschezza e Alfio si girò verso i due ragazzi, dicendo un po' imbarazzato: "Scusatelo, è stato scortese assai, mio figlio... Biagio, vieni giù e chiedi scusa ai nostri ospiti, subito!"
Adduzzu sorrise: "È solo un ragazzino, sono sicuro che non voleva essere scortese... è stato solo sincero, dopotutto."
Il ragazzino, molto imbarazzato, scese l'ultima rampa di scale e, la testa bassa, le mani dietro la schiena, mormorò. "Vi chiedo scusa..."
"Il fatto è, Biagio," disse Adduzzu con un sorriso e a voce bassa e calda, "che non solo siamo vestiti male, ma neppure siamo molto puliti, vedi? Perché facemmo a piedi tutta la strada che da Girgenti arriva fino a qui, e così ci si è coperti di polvere... e l'acqua nei fiumi è fredda assai in questa stagione così non ci è stato possibile lavarci bene... e siamo tutti e due molto poveri, perciò non abbiamo altri abiti per cambiarci."
Una delle due gemelle esclamò: "Oh, meschinelli! E tutta quella strada a piedi faceste? Da Girgenti fin qui? Allora sarete stanchi assai!" E l'altra soggiunse, rivolta alla gemella: "E magari c'avranno pure un po' fame, i due poverelli, non è vero, Sara?" "Eh, sì, Netta. Papà, li possiamo invitare a cena?"
Alfio sorrise: "Certo che sì, Sara, per questo li portai in casa con me. E sono i nostri ospiti graditi."
Attareddu, un po' imbarazzato, disse: "Ma davvero sporchi, siamo... ci si vergogna a stare a tavola con voi. Siete troppo gentili..."
"Se vi volete rinfrescare, Netta e io possiamo prepararvi un poco d'acqua calda, un catino, un sapone, non è vero papà?" chiese una delle due gemelle.
"Ottima idea. Turi," disse poi l'uomo al giovanotto che frattanto era arrivato anche lui all'ingresso, "puoi preparare due posti in più? E aspettare a mettere in tavola che i nostri due ospiti abbiano avuto il tempo per rinfrescarsi un poco?"
"Certamente, nessun problema..." rispose il giovane uomo con un lieve sorriso, mentre prendeva la lettera che Alfio gli porgeva. "Datevi da fare, portate nello stanzino del retro il necessario per lavarsi, Biagio e Netta, e prendete l'acqua calda in cucina, dal paiolo. Tu invece, Sara, vieni ad aiutare me in cucina."
I due ragazzi furono accompagnati in uno stanzino e lasciati soli, con un grande bacile di rame, un paio di secchi d'acqua calda, un pezzo di sapone e due grandi asciugamani di lino freschi di bucato. Si tolsero di dosso i loro poveri abiti, li batterono con forza per toglierne la polvere, quindi iniziarono a lavarsi il meglio possibile, aiutandosi, guardandosi di tanto in tanto e sorridendosi l'un l'altro.
"Sembrano tutti gentili..." notò sottovoce Attareddu.
"Sì, fu una fortuna che incontramo il maestro, a Catenanuova. Notasti che occhi belli tiene Turi Calò? Scuri e profondi... e assai gentili."
"Sì, gli stessi occhi di Biagio. Però il piccolo ha preso i tratti del volto dal padre. Dio, quant'era mortificato, dopo che sorelle e padre l'avevano sgridato. Hai notato che non aveva più coraggio di guardarci negli occhi?"
"I piccoli dicono semplicemente la verità." disse Adduzzu. Poi, mentre si rivestivano, notò, "Certo che, paragonati a loro, siamo vestiti proprio male."
"Eh, loro tengono soldi, mica sono spiantati come noi."
"Dici che ci aiuteranno a trovare un lavoro?"
"Se possono, penso di sì. Guarda quant'è sporca l'acqua, ne avevamo addosso di lordume, eh? Chissà dove possiamo vuotare l'acqua sporca del bacile?"
"Lo chiediamo a loro, Attareddu. Andiamo?"
Quando uscirono dallo stanzino, trovarono Biagio, seduto su uno sgabello, che li attendeva. Gli chiesero dove potevano vuotare il catino.
"Venite, qui fuori nel giardino c'è uno scolo." disse il ragazzino e li guidò. Poi chiese loro: "M'avete perdonato, per quello che vi dissi?"
"Certo, Biagio, non ti preoccupare." gli rispose Adduzzu con un sorriso. "Lo sappiamo che non volevi mancarci di rispetto."
"Grazie. Voi sapete il nome mio, ma io ancora non so il vostro..." disse il piccolo con un sorriso schivo, guardandoli per la prima volta di nuovo negli occhi.
"Lui si chiama Leonardo Piazza, Nardu, ma tutti lo chiamano Adduzzu, e io mi chiamo Luigi Fiordilino ma tutti mi chiamano Attareddu."
"E io... come vi devo chiamare?" chiese il piccolo mentre li guidava dentro la casa.
"Come più ti piace." rispose Adduzzu.
"Adduzzu e Attareddu mi piace assai... Posso?"
"Certo che puoi. E tu? Ti chiamano tutti Biagio, o c'hai tu pure un soprannome?" gli chiese Attareddu.
"No, purtroppo io non ce l'ho un soprannome." disse il ragazzino con una buffa aria desolata.
"E ti piacerebbe averlo?"
"Eccome!"
"E che ne dici di... Occhiniuri? Perché tu tieni occhi belli e neri proprio come quelli di tuo zio Turi."
"E come quelli che aveva la mamma mia... Sì, mi piace assai, è proprio un bel soprannome!" rispose il ragazzino, radioso.
"Allora, Occhiniuri, che si fa, ora?" gli chiese
"Mi disse mio padre di portarvi da lui in salotto, una volta che v'eravate rinfrescati. Venite. Occhiniuri... sì, mi piace assai." disse Biagio, contento d'avere finalmente un soprannome.
Dopo la cena, durante la quale specialmente i tre piccoli coprirono di domande i due giovani ospiti, Turi e Alfio si appartarono con loro nel salotto per parlare un po'.
"Cerchermo di trovarvi un qualche lavoro, però vi avverto, in questo momento non è che sia molto facile, qui da queste parti. Sono anche troppi quelli che non riescono a trovare un lavoro, anche perché dopo il maremoto di Messina parecchi di quelli che avevano perso tutto si sono trasferiti fin qui nella speranza di poter ricominciare una vita." disse Alfio, "Comunque, almeno per un poco, vi possiamo sistemare qui a casa nostra. Purtroppo non abbiamo una camera da letto libera da darvi, ma vi si può mettere un materasso qui da basso, se vi accontentate."
"Non vogliamo darvi troppo disturbo, siete gentili assai... però..." disse Adduzzu.
"Non è affatto un disturbo." lo interruppe Turi. "E se non vi offendete... saremmo anche felici, il mio Alfiuzzo e io, di regalarvi qualcuno dei nostri abiti perché vi possiate cambiare."
"Oh dio, è troppo assai... e poi, la vostra è roba fina, pure troppo bella per noi due... due ragazzi senza studi, senza soldi e senza arte né parte." disse Attareddu un po' imbarazzato.
"Non è mai troppo, quello che si può fare, e senza sacrifici, per dare una mano al prossimo nostro. È piccola cosa davvero." rispose Alfio. "Se la vita a Turiddu e a me ci ha benedetti con soldi e averi, e non per merito nostro, abbiamo il dovere di non chiudere mai la porta a chi è stato meno fortunato di noi."
Ma le settimane passavano e, a parte qualche lavoretto estemporaneo, nulla veniva fuori per i due ragazzi. Cercavano di rendersi utili in qualche modo alla coppia che li ospitava, ma si sentivano sempre più a disagio, nonostante sia Alfio che Turi insistevano che non erano di alcun peso e che "dividere quel che si mangia in cinque con due persone in più, non fa una grossa differenza."
Finalmente, a metà febbraio, Alfio a tavola comunicò ai due ragazzi che aveva trovato qualcosa per loro.
"Oggi in farmacia venne un mio vecchio conoscente, Pietro Vasta, che abita su a una quarantina di chilometri a nord di qui, a Riposto. Pietro ha una friggitoria sulla via principale, quella che a Riposto chiamano u stratuni [= Lo stradone]. Pare che gli affari non gli vanno male, e dice che sarebbe disposto a prendervi a bottega come garzoni, come apprendisti, e che è disposto anche a insegnarvi il mestiere, se ci saprete fare... Che ne dite, ragazzi?"
"Ah, una bella notizia ci portate. Quando disse che ci dobbiamo presentare, questo vostro amico?" disse subito Adduzzu.
"Non è veramente un amico, è solo un conoscente; ma per quanto lo conosco, dovrebbe essere una brava persona. Credo che prima andate su a Riposto, meglio è. Magari domani stesso."
"È uno... come noi?" chiese Attareddu.
"No, non è come noi, e per questo io gli dissi che siete due cugini, per spianarvi un poco le cose... non mi sbugiardate. Pietro Vasta è sposato con una di qui, di Aci Reale, e hanno tre figli più o meno della vostra età, tre maschi, e il più grande è già sposato e non lavora più coi genitori. Gli ho pure chiesto se vi può trovare un posto per dormire, e dice che, almeno provvisoriamente, vi può far stare in una specie di magazzino che ha dietro a casa sua. La paga non sarà alta, come garzoni di bottega, ma dato che potete mangiare quello che si vende in friggitoria senza pagare, e che non spendete neanche per dormire..."
"Sì, va benissimo, grazie mille. Domani mattina di buon'ora ci si mette in strada, in modo di arrivare prima che faccia buio." disse Adduzzu.
Così, il mattino seguente, messi gli abiti usati ma in buono stato che Alfio e Turi avevano regalato loro in una vecchia sacca di tela che Turi gli aveva procurato, salutata tutta la famiglia e dopo aver ringraziato di cuore, i due ragazzi si misero in strada di buon passo.
Per via, Attareddu chiese al suo innamorato: "Che dici, ci andrà bene, questa volta?"
"Spero di sì. Se Alfio dice che è una brava persona, quel Pietro Vasta, magari andrà tutto per il meglio"
"Mi piaceva come Turi e Alfio stavano assieme, e pure che i figli sapevano di loro. È bello vedere una coppia che è come noi e che sta bene insieme da tanti anni... dà fiducia per il futuro. Anche Vito e Cicciu erano una gran bella coppia, non è vero?"
"Sì, è proprio così. Ma anche noi siamo una gran bella coppia, Attareddu mio. Anche se ora dobbiamo fingere di essere cugini. Che dici, se ci chiedono, possiamo dire che tua madre e mia madre erano sorelle... visto che tu e io abbiamo cognomi diversi."
Chiacchierando così, accordandosi sulla storia che avrebbero dovuto raccontare se qualcuno avesse posto loro domande, i due ragazzi proseguivano il loro cammino verso nord, lungo la via che costeggiava il mare Jonio.
Giunsero a Riposto e trovarono facilmente la bottega su cui era posta in bella evidenza la targa "Premiata friggitoria Vasta - dal 1863". Entrarono. Un uomo non molto alto e un po' corpulento, abbondantemente stempiato, dal volto sereno e pacioso, con un grembiulone unto, li accolse con un sorriso: "In che vi posso servire, bei giovanotti?" chiese.
"Ci manda Alfio Gallo, il farmacista di..."
"Ah, siete voi quelli di cui mi parlò. Molto bene." disse l'uomo, senza perdere il suo sorriso. Aspettate un attimo solo." aggiunse e, giratosi verso la porta che dava sul retro, chiamò: "Vicenzino! Vicenzino! Vieni in bottega!"
Arrivò, dopo poco, un ragazzo più o meno coetaneo di Adduzzu e Attareddu.
"Questi sono i due garzoni di cui parlai ier sera a cena. Portali dentro e comincia a spiegare loro quel che hanno a fare. Ah, e dopo accompagnali a casa, al magazzino e aiutali a portar giù un paio di pagliericci, e dagli la chiave della porta del giardino, che così possono entrare e uscire senza problemi."
Il ragazzo, che era il figlio minore di Pietro, li guidò nel retro, li presentò alla madre e all'altro fratello, fece vedere loro come era organizzato il lavoro, spiegò le imcombenze che avrebbero avuto, poi li guidò fino in casa, che era sula piazzetta della Madonna della Lettera, e li condusse nel magazzino.
"Ecco, papà disse che dormirete qui. Per il cesso, potete usare il gabbiotto che c'è laggiù, per lavarvi c'è lì una tina, e dietro a quella porta c'è la cucina, dove potete prendere l'acqua..." e continuò spiegando loro ogni cosa, mentre li studiava con aperta curiosità.
Poi li riaccompagnò fino alla bottega. Quando i genitori la chiusero, Vicenzino restò con i due nuovi garzoni per ripulire tutto, e prima di tornare a casa disse loro di prendersi qualcosa da portarsi via per cena.
Si separarono davanti alla casa, e mentre Vicenzino entrava dalla porta principale, Attareddu e Adduzzu girarono sul retro e, attraverso la porta del giardino, andarono nel magazzino, la loro nuova "residenza".
Così iniziarono il nuovo lavoro. La famiglia Vasta li trattava con semplicità, senza dare loro troppa confidenza, ma non trattandoli neppure con freddezza. I due, pieni di buona volontà, si impratichirono presto del lavoro, che consisteva principalmente nel tenere tutto pulito, dagli attrezzi da cucina ai locali, ma anche nell'affiancare la madre nei momenti di punta, quando i due figli stavano in bottega per servire i clienti. Impararono così, a poco a poco, anche a cucinare i cibi, iniziando dai più semplici, a friggere nella sugna, poi a togliere l'eccesso di unto sulla carta, prima di portare i cibi pronti di là in bottega.
A sera, dopo che i due ragazzi s'erano assicurati che tutte le luci nella casa dei Vasta fossero state spente, segno che tutti erano andati a letto, chiusi nel magazzino e stesi sul pagliericcio che era stato dato loro, potevano finalmente mettersi a fare l'amore. Era quello il momento più bello e importante della giornata, in cui ognuno dei due amanti si poteva rigenerare fra le accoglienti braccia dell'amato. Come piaceva loro, iniziavano con lunghi e calmi preliminari e, dopo aver raggiunto il sommo del piacere, concludevano scambiandosi lunghe tenerezze e coccole, attendendo che giungesse il sonno.
Venne l'estate, iniziò a fiorire la plumeria, e i balconi delle piccole case ammassate l'una sull'altra si incendiarono di moltitudini di fiori. La plumeria, chimata altrove frangipani, è una pianta tropicale che si dice fosse stata importata a Riposto da un marinaio del luogo, al ritorno da uno dei suoi lunghi viaggi in giro per il mondo. La plumeria aveva rossi fiori a cinque petali inclinati quasi a formare una girandola, profumatissimi e soavi, che inondavano di dolci effluvi le notti dell'estate ripostese.
Attareddu e Adduzzu erano felici. Stavano anche riuscendo a mettere gradualmente da parte un gruzzoletto, e iniziavano a pensare che un giorno sarebbero forse stati in grado di prendersi in affitto una stanzetta tutta per loro. Lì nel magazzino di padron Vasta, fra casse, damigiane, vecchi mobili sgangherati e polverosi, s'erano ricavati un angolino appartato, ma non era certo un luogo degno di essere chiamato casa, e non lo sentivano come tale.
Quando perciò la friggitoria chiudeva i battenti, preferivano andare a zonzo e ritirarsi nel magazzino solo per andare a dormire dopo aver, logicamente, fatto l'amore. Anche se molti, incrociando i loro passi, ora li salutavano con un cenno, non s'erano ancora fatti amici a Riposto. La gente del luogo, pur apparentemente gentile, era piuttosto chiusa nei confronti dei "forestieri" come erano i due ragazzi. Anche il loro dialetto, pur essendo compreso e comprensibile, era diverso.
Era una domenica mattina. Erano usciti da messa dalla bella Chiesa Madre, dedicata a San Pietro, e stavano andando a zonzo, quando si sentì una campana battere a martello e presto corse una notizia di bocca in bocca: c'era un incendio in alcune case su "u stratuni". Molti correvano, chi a vedere, chi pensando di poter dare una mano, sì che anche Adduzzu e Attareddu si avviarono di corsa... Videro che erano tre le case da cui si levavano dense volute di fumo nero e alte fiamme, e una delle tre era quella al cui piano terra sorgeva la friggitoria dei Vasta.
C'era già una piccola folla assiepata a guardare l'opera dei vigili del fuoco di Riposto. I due ragazzi individuarono Pietro Vasta che, pallido come un cero, assieme alla sua famiglia, si affannava a cercare di aiutare i vigili, più intralciandoli, forse, che veramente aiutandoli.
Andarono subito a offrire la loro opera, a dare una mano. Pietro fece loro un segno di riconoscimento ma non disse nulla. Ma ad un certo punto l'uomo chiamò i suoi e si allontanò andando sull'altro lato della strada, poiché s'era reso conto che non sarebbero riusciti a porre in salvo nulla.
"Com'è successo?" chiese Attareddu, sottovoce, a Vincenzino, il figlio minore di Pietro.
"E chi lo sa? Ci chiamarono poco fa e quando arrivammo qui... era già troppo tardi. Pare che le fiamme cominciarono nella casa lì a sinistra... Ma come e perché, chi lo sa? Dio santo, tutto abbiamo perso, tutto!"
In quella il padre, Pietro, si girò a guardarli: "Ah, pure voi due ci siete, picciotti."
"Ci dispiace assai, padrone. Se possiamo esservi utili in qualcosa..." gli disse Adduzzu.
"È inutile, tutto inutile... Che potete fare, voi due? Anzi, a questo punto, è meglio se vi trovate un altro lavoro, io non ho più niente da darvi, in queste condizioni, mi dispiace. Non so nemmeno se riuscirò a mettere di nuovo in piedi qualcosa... È tutto perso... tutto perso..."
I due ragazzi erano più addolorati per l'angoscia che sentivano nell'uomo e nella sua famiglia che non per trovarsi ancora una volta in mezzo a una strada. Allora salutarono tutta la famiglia, tornarono nel magazzino, raccolsero le loro poche cose, i loro risparmi che avevano nascosto sotto un mattone, restituirono la chiave del giardino e, dopo aver ringraziato e salutato, se ne andarono. Sapevano che lì a Riposto difficilmente avrebbero trovato un altro lavoro, perciò avevano deciso di salire più a nord, magari fino a Messina, per cercare di andare in Continente secondo il loro primo progetto.
"Pietro Vasta era un buon padrone, non si meritava questa disgrazia." disse Adduzzu mentre lasciavano Mascali alle spalle. "Chissà com'è che andò tutto a fuoco?"
"E chi lo sa? Mi dispiace per lui, per loro. Ma in qualche modo si rimetteranno in piedi, guadagnavano bene, i soldi non gli mancano." gli fece notare Attareddu.
"Ricominciare tutto quando hai quasi sessant'anni... non è facile."
"Ma ha due figli giovanotti e pieni di forze. Hanno ancora la casa, che per fortuna è da un'altra parte. Pensa se abitavano lì, dov'è andato tutto in fiamme... perdevano pure la casa. Almeno quella, gli è andata bene. Secondo me se la caveranno."
Lungo la via a volte si fermavano per chiedere se c'era lavoro, ma ogni volta la risposta era negativa. Traversato l'Alcantara, si fermarono a Schisò, si procurarono qualcosa da mangiare e, andando a sedere sulla riva del mare, cercarono un punto appartato, lontano dalla strada, e si misero a mangiare, seduti fianco e a fianco. Poiché faceva molto caldo, s'erno tolti gli abiti, restando con le sole braghe indosso.
Adduzzu guardava l'amico. I loro occhi si incontrarono e si scambiarono un sorriso.
"Mi guardi?" chiese Attareddu.
"Sì, certo. Ti stai facendo uomo..."
"E ti piaccio sempre?"
"Sempre di più."
"Anche tu. E poi, con te, sto troppo bene. Ma se continui a guardarmi così, mi viene voglia."
"A me pure. Qui, magari... siamo soli, nessuno ci vede..." suggerì Adduzzu.
"Non ti stancherai mai di me?"
"E tu, ti stancherai mai di mangiare ogni santo giorno?"
Attareddu ridacchiò e scosse la testa. Con i polpastrelli sfiorò il petto dell'amante. Questi gli prese la mano, la portò alle labbra e la baciò. Poi citò, sottovoce, un vecchio detto: "Manciannu manciannu veni u pitittu [= L'appetito viene mangiando]." e fece un sorriso maliziosetto e ammiccante all'altro.
Attareddu lo attirò a sé, le loro labbra si incontrarono mentre si abbracciavano e le loro lingue iniziarono a giocherellare l'una con l'altra.
"No, non mi stancherò mai di mangiare..." sospirò Attareddu, sentendosi felice nonostante fossero nuovamente senza lavoro né casa, scendendo con una mano a carezzare tra le gambe Adduzzu e saggiandone con piacere l'incipiente erezione.
Stavano per lasciarsi andare al reciproco desiderio, quando una voce li sorprese e si staccarono velocemente. Si girarono a guardare, un po' preoccupati e videro un giovanotto e un ragazzo che li stavano guardando con un sorrisetto. Non li avevano sentiti o visti giungere.
Il giovanotto fece loro un cenno di saluto e disse, col tono di chi si giustifica: "Ci dispiace avervi disturbato... lui e io si pensava di fare un bagno, prima di tornare su a casa nostra."
I due ragazzi non sapevano che dire, erano imbarazzati, sapendo di essere stati sorpresi in atteggiamento intimo.
Il giovanotto continuò: "Noi due si viene a volte a bagnarci qui, che non c'è quasi mai nessuno, così si può anche stare nudi come mamma ci fece, vero Occhi d'Aremi mio?"
Adduzzu notò che il ragazzo che aveva per soprannome Occhi d'Aremi, e che doveva essere sui diciotto anni, aveva davvero incredibili e bellissimi occhi dorati, che facevano un gradevolissimo contrasto con i suoi ricci capelli neri. L'altro era più alto, anche fisicamente più virile, nonostante avesse un volto dolce e dalle fattezze delicate e doveva essere sui venticinque anni.
"Spero che non v'abbiamo disturbato... eravate così tenerelli, a baciarvi in quel modo!" disse Occhi d'Aremi con un sorriso lieve.
I due ragazzi arrossirono, specialmente Adduzzu.
Allora Occhi d'Aremi disse: "Non v'avete a preoccupare, anche Manuduci e io ci piace fare le cose fra noi due... e non con le ragazze. Perché pure voi due siete come noi, no?"
Attareddu annuì: "Sì, a noi due ci piace fare le cose fra noi due, è vero... e solo fra noi due."
I due nuovi venuti sedettero davanti alla coppia e Adduzzu fece il gesto di offrire loro il poco cibo che era rimasto, ma Manuduci fece un gesto di diniego.
"Come vi chiamate? Di dove siete, voi due?" chiese Occhi d'Aremi.
"Io mi chiamo Luigi Fiordilino, ma tutti mi chiamano Attareddu, e lui è Nardu Piazza, e lo chiamano Adduzzu. Veniamo da Girgenti... in cerca di un lavoro per campare, per campare assieme senza storie. E voi?"
"Mi piacciono i vostri soprannomi... Io mi chiamo Sebastiano Indelicato e lui Sebastiano Casesa, per questo usiamo i soprannomi, visto che ci chiamiamo uguale. Così a me mi chiamano Manuduci e a lui Occhi d'Aremi. È tanto che state assieme, voi due?"
"Più di tre anni, quasi quattro, ormai. E voi due? Abitate da queste parti?"
"Solo due anni. Abitiamo lassù, vedete, a Taormina, dove siamo nati. Io facevo il marinaio... Adesso invece, per stare con lui, facciamo i carrettieri, abbiamo un carretto tutto nostro e lavoriamo per chi ha bisogno di un trasporto. Cercate lavoro, avete detto? Che sapete fare?" chiese Manuduci.
"Poco o niente. Lui sa lavorare la pasta di mandorle, io so fare un po' il contadino, tutti e due abbiamo prima lavorato in un frantoio, poi in una friggitoria... Però non ci spaventa nessun lavoro, se ci permette di campare e di stare assieme, Adduzzu e io."
Occhi d'Aremi disse al suo compagno: "Sono fatti bene tutti e due, e di faccia e di corpo... Che dici, non potrebbero andare su, dal barone Guglielmo? Lui poi magari li aiuterebbe, come ha aiutato noi due e tanti altri."
"Bisogna vedere se non hanno problemi a lasciarsi fare quelle pose come gli altri carusi e picciotti..." obiettò Manuduci. "Certo che al barone ci picerebbero tutti e due... Sono belli davvero."
"Di che lavoro si tratta?" chiese Adduzzu, interessato.
"Il barone è un forestiero ma abita lassù da più di venti anni, ormai parla quasi come uno di noi, anche se ancora ha un buffo accento tedesco. Lui ha certe macchine che fanno come dei ritratti ma che si chiamano fotografie, e gli piace farle a bei ragazzi come voi." spiegò Manuduci.
"E paga, per fare le fotografie?" chiese un po' stupito Adduzzu. "A Girgenti doveva pagare chi si faceva fare una fotografia, invece."
"Ma lui poi le vende a certi ricconi stranieri che ci piace troppo guardare bei ragazzi nudi o mezzi nudi." spiegò Occhi d'Aremi.
"Ah, ma allora... bisogna spogliarsi nudi? Io non lo so, credo che mi vergogno." disse Adduzzu.
"Io e lui ne facemmo tante, anche tutti nudi come mamma ci fece, c'è solo da vincersi un po' all'inizio..." spiegò Manuduci.
"C'è poi un'altra cosa, però, che dovete sapere. Al barone... ci piace di portarsi a letto i ragazzi che ci fa le foto." aggiunse Occhi d'Aremi.
"Be, no, mica a tutti, e se uno ci dice di no, mica lo forza." aggiunse Manuduci. "A lui ci interessa soprattutto fare il suo lavoro, e mica aiuta solo quelli che vanno a letto con lui."
"Anche se magari aiuta più volentieri quelli che non fanno storie, come te e me..." disse ridacchiando l'altro. "Ma è vero, è generoso e aiuta a tutti."
"Ma a noi... ammesso pure che ci si lascia fotografare tutti nudi, noi due non è che ci va di farlo con nessun altro."
"E se ci prova, basta che ci dite di no. Comunque non ci mancano mai le occasioni, al barone. E poi adesso s'è preso in casa il Moro, un ragazzo che ci sta insieme da cinque anni e che gli fa da aiutante, che adesso ne ha diciannove. Allora, vi va di provare? Se volete, noi due si fa un bagno in mare e dopo si va su col nostro carretto, e vi portiamo dal barone. Che ne dite?"
"Mah..." rispose Adduzzu un po' esitante, "ci si può provare. Tu che ne dici, Attareddu?"
"Per me... se è solo da spogliarsi nudi, non mi vergogno mica troppo. Basta che tiene le mani a posto con me e, più ancora, con te."