Taormina era un piccolo villaggio, assai povero, alto su una rupe quasi a strapiombo sul mare. Il carretto di Manuduci e Occhi d'Aremi si fermò su uno slargo di terra battuta, dietro e sotto il convento abbandonato di San Domenico.
Videro un muro interrotto da un cancelletto, a sinistra un grande cartello con lettere cubitali, su cui era scritto "Studio W. V. Gloeden, entrée libre", ma che nessuno dei ragazzi sapeva leggere, e a destra un altro con alcuni esempi di fotografie, per lo più ritratti e paesaggi, ma nessun nudo. Dietro, in un folto di alberi, case s'inerpicavano sulla roccia e ancora alle spalle la punta del monte su uno sfondo d'un azzurro purissimo.
"È qui." annunciò Manuduci, mentre il suo ragazzo saltava a terra.
"Allora, venite? Mica avete cambiato idea, no?" chiese Occhi d'Aremi.
Anche Adduzzu e Attareddu scesero. "No, non abbiamo cambiato idea. E comunque, vedremo, possiamo sempre dire di no, se non ci piace." disse Attareddu.
Mentre Manuduci metteva il freno al carretto, Occhi d'Aremi s'affacciò al cancelletto e chiamò: "Moroooo! Baruuuuniiiii! C'è qualcuno in casa?"
Dopo poco arrivò un ragazzo, a piedi scalzi, dal bel volto con occhi surissimi, capelli neri e lisci, con fattezze che rivelavano sangue arabo nelle sue vene, da cui evidentemente aveva preso il soprannome, e che indossava un camiciotto di tela grezza e un paio di brache. Questi lanciò un'occhiata ai due "forestieri", riconobbe i due taorminesi e li salutò con un sorriso.
"Occhi d'Aremi! Guglielmo sarà contento di vederti. E pure a te, Manuduci, anche se stai diventando un po' vecchio per le sue fotografie. Ma chi sono queste due facce belle che avete portato con voi? Amici vostri sono? Di dove vengono?"
Occhi d'Aremi fece le presentazioni, e spiegò: "Arrivano da Girgenti e sono in cerca di lavoro. Visto che a me paiono due picciotti belli come pochi sono, gli abbiamo detto che magari al barone ci poteva interessare a farli mettere in posa per fargli le fotografie."
Il Moro li studiò: "Sì, a Guglielmo ci dovrebbero piacere assai tutti e due... ma ci spiegaste bene di che fotografie si tratta? Ci diceste che si devono spogliare nudi?"
"Sì, e dissero che magari va pure bene. Per lo meno ci vogliono provare. Solo che, vedi, Moro, loro due sono una coppia che ci va di fare le cose solo fra di loro e non con altri, purtroppo."
"Purtroppo, eh? Che tu magari a te e a Manuduci vi sarebbe pure piaciuto fare con loro!" lo prese un po' in giro il Moro.
"A te no, Moro?" gli chiese Occhi d'Aremi mentre entravano nel giardino della casa-studio del barone, mettendogli un braccio attorno alle spalle in un atteggiamento amichevole.
"Beh, voi due lo sapete che, proprio come voi, io non è che sono come quasi tutti gli altri, che finché sono carusi fanno le cose senza problemi, ma appena diventano grandi e si maritano ci danno un taglio netto e non ne vogliono più sapere."
Il Moro li guidò tutti e quattro su per una scaletta, fino a una stanza arredata in modo elegante dove li fece sedere. "Vado a chiamare Guglielmo. Sta stampando alcune fotografie che deve spedire su in Germania: un buon ordine ricevette. Aspettatemi qui." disse e scomparì da una porta.
"È un bel ragazzo, il Moro... e dite che è il ragazzo del barone?" chiese Attareddu.
"Beh, credo proprio di sì." rispose Manuduci.
"E però il barone fa le cose anche con altri?"
"Questo sì, di sicuro." rispose ridacchiando Occhi d'Aremi.
"Ma se stanno assieme..." obiettò Adduzzu.
"Pure Manuduci e io stiamo assieme, però qualche volta... se capita..." ammise il ragazzo con un sorriso malizioso. Poi chiese: "Voi due, mai? Solo fra voi fate le cose?"
"Da quando s'è deciso di metterci assieme, sì, solo fra noi. Ce lo promettemmo, vero Attareddu?"
"Sì, perché Adduzzu e io siamo innamorati, non è che lo facciamo solo per divertirci, come si faceva prima."
"Vedi!" esclamò Manuduci, "Che ti dicevo io, Occhi d'Aremi? Vedi che ci si può innammorare anche fra uomini?"
In quella entrò un uomo snello, con un bel paio di baffi, una corta barba ben curata, capelli folti, ben vestito e con un volto gradevolemente sorridente, seguito dal Moro.
Con un lieve accento tedesco, ma in buon dialetto siciliano, salutò. "Occhi d'Aremi! Sono davvero lieto di rivederti. Ho in mente altre pose in cui ho bisogno di te, ci si deve mettere d'accordo..." poi osservò i due ragazzi nuovi. "Piacere di incontrarvi, io mi chiamo Guglielmo von Gloeden. E voi? Mi diceva Moro che venite da Girgenti?"
"Buongiorno, signor barone. Sì, siamo di Girgenti. Io mi chiamo Nardu Piazza, però mi chiamano Adduzzu, e il mio ragazzo si chiama Luigi Fiordilino ma a lui lo chiamano tutti Attareddu e io pure."
"Bene, Adduzzu e Attareddu... due bei soprannomi... benvenuti in casa mia. Da quello che vedo siete due ragazzi assai piacenti e se siete disposti a stare in posa per me, mi piacerebbe molto farvi alcune fotografie."
"Scusate, signor barone, ma credete che ci possiamo guadagnare di che vivere, lavorando per voi? Noi due ci si accontenta di poco..." chiese Attareddu, "però dobbiamo trovare di che campare."
"In qualche modo, vedrò di aiutarvi perché abbiate quanto vi necessita. Certo è che più fotografie posso farvi e vendere più sono in grado di darvi una mano. Ma, finché lavorerete per me, non vi mancherà mai il necessario. Vi dispiace raccontarmi perché avete lasciato Girgenti e come siete arrivati fin qui?"
Adduzzu e Attareddu raccontarono tutta la loro storia all'uomo, compreso il motivo per cui erano dovuti fuggire lontano. Il barone li ascoltò con attenzione, annuendo spesso.
Alla fine disse: "Siete stati sfortunati, ragazzi miei... Comunque... stai tranquillo, Attareddu, qui da me non avete bisogno di usare il coltello. Ma adesso, per vedere se si può concludere, prima vi faccio vedere che genere di foto io sono solito fare, poi ne riparliamo. Moro, vai per favore a prendere il catalogo nell'altra stanza."
"Quello per i clienti stranieri, no?" chiese il ragazzo.
"Sì, chiaro, quello."
Il Moro tornò con un voluminoso album fra le mani e lo pose su un tavolino. Mentre il barone mostrava le fotografie ai due ragazzi, le commentava, spiegando che o si ispirava alle leggende della mitologia greca, o a scene dell'antica Roma e Grecia, oppure anche a scene nella natura, di ispirazione pastorale. I due ragazzi ammiravano affascinati le belle fotografie: non avevano mai visto, e tanto meno pensato, che si potessero fare fotografie come quelle.
Quando il barone richiuse l'album, chiese: "Allora? Che ne dite, ragazzi?"
"Sono molto belle..." disse Adduzzu, "alcune mi ricordano le leggende che spesso mi raccontava Cappiddazzu, l'uomo che mi fece da padre, cioè. Quelle del tempo degli dei e degli eroi. Ne conosceva molte e mi piaceva assai, quando me le raccontava. Se voi pensate che anche il mio Attareddu e io siamo adatti... credo che a me piacerebbe stare in posa così, per voi."
"Sì, anche a me piacerebbe, se come dite, tutto quello che ci chiedete è di spogliarci e di stare in posa per voi, barone... e niente altro." precisò Attareddu.
"Sì, ve l'ho detto, ragazzi. Rispetto il vostro rapporto e il vostro amore, non dubitate."
"Allora... ci prendete per questo lavoro?" chiese Adduzzu con uno sguardo pieno di speranza.
"Vorrei prima vedervi senza nulla indosso." disse il barone.
"Ora? Qui? Nudi?" chiese Attareddu.
"Sì, certo." rispose l'uomo.
I due ragazzi si guardarono, Attareddu fece spallucce, poi si spogliarono nudi, vincendo il lieve senso di vergogna.
Il barone si alzò e fece un lento giro attorno ai due ragazzi, studiandone i corpi con occhio professionale, mentre gli altri tre ragazzi li guardavano con non celato piacere, quindi tornò a sedere.
"Sì, siete davvero perfetti, come soggetti. Credo che potrò fare belle fotografie, con voi, e che avranno successo. Tu che ne dici, Moro?"
"Che tu, Guglielmo, sai far sembrare bello pure chi bello non è, e che perciò con questi due farai davvero belle pose. Hai già in mente qualcosa?"
"Sì, una serie di foto su al chiostro di San Domenico, tanto per cominciare." rispose l'uomo, poi, rivolto ai due ragazzi, disse: "Dato che non siete di qui, non avete un posto dove dormire, per ora, immagino."
"Eh, è così." confermò Attareddu, "Ma finché il tempo è buono, si può anche dormire sotto il cielo."
"No, no. Moro vi troverà un posto, almeno per ora, qui da me. Poi, magari con l'aiuto degli amici che abbiamo a Taormina, vi si potrà trovare qualcosa di meglio, di definitivo, se pensate di fermarvi qui."
"E, magari, ci potreste aiutare a trovare anche un altro lavoro, oltre che a fare le pose per voi?" azzardò Attareddu.
"Sì, ci stavo proprio pensando. Ah, scusate, potete rivestirvi, ora," aggiunse poi con un sorriso, "anche se è bello potervi guardare così."
"Eh, Guglielmo, te li potrai guardare con comodo e a piacere quando gli farai le fotografie." gli disse il Moro con un sorrisetto. "A che lavoro stavi pensando?" gli chiese poi.
"Spesso arrivano turisti, ora che si sta spargendo la voce di quanto è bella e accogliente Taormina... e i suoi ragazzi." disse l'uomo. "Ma qui da noi, a Taormina, non c'è un posto dove possono mangiare, riposarsi. Visto che i nostri due nuovi amici hanno anche lavorato in quella friggitoria che andò a fuoco, e se imparano a preparare anche qualche altro piatto, magari possono aprire una locanda, col nostro aiuto, e forse anche con qualche stanza da affittare per la notte, se si trova il posto adatto. Che ne direste, ragazzi? Ve la sentireste di fare un lavoro così?"
"Sì, potrebbe essere una idea buona." disse Manuduci. "L'importante è trovare il posto adatto. Magari vicino alla chiesa, sulla via grande. Se non mi sbaglio la casa di Cangemi è vuota da un paio d'anni. Si potrebbe chiedere quanto vogliono per l'uso. Tu, Occhi d'Aremi, li conosci bene, i Cangemi, no?"
"Sì, posso provare a parlarne con loro, ma se ci mettesse una buona parola pure il barone, forse sarebbe più semplice. Capisci che non so se si fidano a darla a due forestieri e solo perché gliene parlo io."
"Noi abbiamo messo da parte un po' di soldi..." disse Adduzzu e, frugando nel borsone in cui avevano i loro pochi abiti di ricambio, tirò fuori un involto di carta di giornale, l'aprì e lo mostrò al barone.
L'uomo li contò e li rese al ragazzo: "Sì, fra questi e un po' d'aiuto... Beh, nei prossimi giorni vedremo cosa si può fare. Senza fretta, che qui la gente più gli metti fretta e meno è disponibile e più diventa difficile. Bene, io adesso devo tornare nel mio laboratorio a stampare altre foto. Tu, Moro, vedi di trovare un posto dove possono dormire, questi due ragazzi. E tu, Occhi d'Aremi, vedi di tornare dopodomani, che dobbiamo combinare per qualche nuova posa. A presto, ragazzi."
Così Adduzzu e Attareddu iniziarono a lavorare per il barone. Riuscirono a vincere abbastanza in fretta l'imbarazzo per le lunghe sedute in cui dovevano posare nudi o quasi nudi, a volte anche in presenza o con altri ragazzi, e presto non solo si abituarono, ma iniziarono a fare amicizia con i ragazzi del posto, soprattutto con Manuduci e Occhi d'Aremi.
A volte andavano a fare fotografie giù in riva al mare, a volte su per i monti, altre volte nelle rovine del teatro greco o nel chiostro dell'ex convento di San Domenico, oppure anche in vari angoli del vasto e bel giardino della casa-studio del barone.
Frattanto Occhi d'Aremi e il barone trattavano con i Cangemi, e finalmente, dopo un paio di mesi, i due ragazzi poterono prendere in affitto la casetta. A pianterreno c'era la cucina e un paio di stanze comunicanti in cui mettere i tavoli e le sedie per i clienti. Al piano superiore c'erano cinque stanzette, non molto grandi. Una ne usarono per loro e le altre quattro le prepararono per alloggiare eventuali ospiti di passaggio.
Quando arrivavano i turisti stranieri, soprattutto per comperare le fotografie del barone, questi li invitava a fermarsi a mangiare e dormire da Attareddu e Adduzzu, che avevano chiamato la piccola locanda "Da Gigi e Nardu". A volte uno degli ospiti si portava uno dei ragazzi del luogo su nella camera in cui stava, senza nessun problema. Gli abitanti del posto, così come conoscevano bene i "gusti" del barone e li accettavano senza pregiudizi, altrettanto sapevano che a volte i loro ragazzi (che ufficialmente fungevano da "guide turistiche") concedevano, in cambio di qualche regalo, le proprie grazie ad alcuni dei ricchi turisti che si fermavano per qualche giorno in paese.
Adduzzu e Attareddu, fra il denaro che guadagnavano posando per il barone e quello che ricavavano dalla piccola locanda, riuscivano ad avere una vita quasi agiata, comunque migliore di quanto avrebbero potuto sperare. Erano contenti della loro sistemazione.
Una sera Surciddu, un ragazzo di diciassette anni di nome Alfio Zambuto, dopo essere sceso dalla camera di uno dei ricchi clienti, si fermò a chiacchierare con Attareddu e Adduzzu, come spesso facevano i ragazzi del paese.
"Posso farvi una domanda?" chiese il ragazzo a un certo punto.
"Certo, Surciddu." rispose Attareddu.
"Mi diceva Ciuriddu che a voi due... non vi interessa proprio per niente le ragazze e che state insieme e non vi volete sposare." esordì, un po' esitante.
"Perché ce lo chiedi?"
"È che... anche a Ciuriddu e a me... non ci interessa proprio per niente a fare le cose con le ragazze e ci piacerebbe... stare insieme, proprio come Ciuriddu dice di voi due. Però, mica lo so se fra due maschi si sta bene."
"Noi due stiamo benissimo, anzi, non potremmo manco stare uno senza l'altro, ormai. Perché, vedi, a noi non solo ci piace fare le cose coi ragazzi, ma sopra a tutto, noi due siamo innamorati. Capisci? Tu e Ciuriddu, vi piace solo fare le cose fra voi, oppure..."
"A noi due ci piace anche farle con qualcuno altro, per ora, quando capita l'occasione. Però ci vogliamo bene assai, e pensiamo che ci piacerebbe poter stare assieme come voi due, o come il Moro col Barone, o pure anche come Occhi d'Aremi con Manuduci."
"E non ne avete parlato con il Moro o con gli altri?"
"Sì, certo. Ma mi piace sentire pure come la vedete voi."
"Vedi, Surciddu, per quello che ne sappiamo, noi due siamo un po' diversi dagli altri che mi dicevi, perché noi due non lo vogliamo fare mai con nessun altro. Quando oltre a stare bene insieme, e oltre a volersi pure bene, c'è pure l'amore, non si può più fare le cose con altri."
"Un po' come marito e moglie, come due sposati in chiesa?" chiese il ragazzo.
"Sì, proprio così. Ma non perché è proibito. Solo perché proprio non ci viene neppure voglia, finché si è innamorati."
"Ecco, Ciuriddu e io non lo sappiamo se siamo innamorati o no. Però siamo amici davvero, anzi, pure più che amici."
"Ne avete parlato, fra voi?"
"Sì, qualche volta. Però ancor non riusciamo a capire se..."
"Ciuriddu c'ha sedici anni, non è vero?"
"Sì, li ha fatti da cinque mesi e mezzo."
"E tu? Sedici?"
"No, diciassette, fatti da nove mesi."
"Avete tempo, perciò, per capire. Non avete nessuna fretta, no? L'unico problema potrebbe essere cosa direbbero le vostre famiglie. Vedi, Attareddu non avrebbe mai potuto vivere con me, evitare di sposarsi, se non andavamo via da Girgenti. Suo padre non glielo avrebbe mai permesso. E Manuduci può stare con Occhi d'Aremi, da quello che mi disse, solo perché è il settimo figlio maschio e a suo padre pare che poco ci importa se lui non si sposa, e Occhi d'Aremi non c'ha più i genitori e siccome Manuduci è suo cugino secondo... Perciò sono fortunati, loro due. E pure il barone può stare col Moro, perché lui pure è andato via dal suo paese, lontano dalla sua gente."
"Gli altri, prima o poi, si sposano tutti. Prima di sposarsi, nessuno ci fa caso se un caruso fa quelle cose con un altro caruso o con un uomo, ma dopo, per quello che ne so io, devono smettere. Perché quelli come noi, una volta che siamo diventati grandi, dobbiamo invece farlo di nascosto, oppure andare via, come avete fatto voi due? Non mi piace. Uno, mica è che si può fare piacere le femmine se proprio non gli piacciono, no?" disse Surciddu con aria afflitta.
"Per ora non ce l'avete ancora il problema. E dopo... quando arriverà il momento che le vostre famiglie vi vogliono far maritare, se volete stare assieme, deciderete. E se è il caso, andrete via da qui, dove nessuno vi conosce, e farvi passare per cugini come facciamo noi due."
"Sì, ma di nascosto, e raccontando bugie... come se fossimo fuorilegge. Anche se, mi disse il barone, qui da noi la legge non dice niente contro due maschi che ci piace di fare le cose fra loro. Ci vogliono far sentire sporchi, sbagliati, ci buttano addosso una colpa che mica c'abbiamo, perché mica è una cosa questa che si può scegliere. Gli altri ragazzi mica è che scelgono. Da carusi lo fanno fra loro perché si divertono e ci piace, ma in fondo non fanno che sperare di trovare prima o poi una ragazza."
"Magari, crescendo, anche a voi vi interesseranno le ragazze, no?"
"No! Uno di queste cose se n'accorge, quando comincia a svilupparsi... anche lì. E a Ciuriddu e a me, proprio non ci interessano manco un poco. Tu ci hai mai provato, con una ragazza?"
"No, mai."
"Io... io sì, una volta... e manco mi s'è arrizzato. Invece con un ragazzo mi si sveglia appena lo tocco o mi tocca, e con Ciuriddu pure solo a pensarci!"
"Una volta, tanto tanto tempo fa, ai tempi di quando avevano costruito il teatro greco, e quando c'erano tanti dei e eroi come raccontano le leggende, chi era come noi poteva fare le cose tranquillo, senza problemi. Ah, erano bei tempi, quelli, almeno per questo problema. Sai, mi raccontava un uomo che mi fece da padre che capitava abbastanza spesso. E mica solo gli dei dell'Olimpo coi carusi, come Giove che si rapì Ganimede, o come Apollo che gli piaceva Giacinto, ma pure uomini fatti, come Castore e Polluce, Achille e Patroclo, Alessandro e Efestione... E tanti altri."
"Torneranno mai tempi così belli, che ognuno può vivere come è e non come vogliono gli altri? Che uno non deve andare lontano come voi due o farlo di nascosto? Magari maritarsi ma poi mettere le corna alla moglie con un altro, che non è nemmeno giusto né per la povera moglie né per il povero marito?"
"E chi lo sa, Surciddu mio? Chi lo conosce, il futuro? Possiamo solo cercare di vivere il presente meglio che possiamo."
"Ma tu e Attareddu... siete davvero contenti di stare insieme?"
"Sì, non è vero Attareddu? Siamo contenti e siamo fortunati che, nonostante tutte le difficoltà e i problemi che la vita ci ha dato, possiamo stare assieme. E se pure è bello assai poter fare l'amore fra noi, la cosa più bella è stare assieme anche solo come ora, sapere che lui c'è per me, sempre, e io ci sono per lui, sempre. E, se siamo fortunati, per sempre."
"Io a Ciuriddu ci voglio bene assai... e so che senza lui la vita sarebbe bruttissima. E lui pure mi disse che anche per lui è proprio così. Sentite, se ci viene voglia di parlare di queste cose, a Ciuriddu e a me, possiamo venire a parlarne con voi?"
"Certo, Surciddu, ogni volta che volete o ne avete bisogno."
"Grazie. È bello avere almeno qualcuno con cui si può parlare di queste cose!" disse il ragazzo e, salutatili, corse via.
Chiusa la locanda e fatte le pulizie, i due amanti salirono nella loro camera e si spogliarono.
"Stanco?" chiese Adduzzu mentre si infilavano nel letto, prendendolo fra le braccia.
"Mai abbastanza da dirti che non mi va di farlo." gli rispose l'altro baciandolo e stringendosi a lui.
"M'ha fatto tenerezza, Surciddu."
"Sì, a me pure. Speriamo che abbiano almeno la nostra fortuna."
"Siamo stati davvero fortunati, io e tu. Prima di tutto a incontrarci. Ma poi, perché abbiamo pure incontrato gente buona, gentile, che ci ha aiutato."
"A volte... mi chiedo..."
"Cosa, amore?" chiese Adduzzu.
"Vedi, ci pareva di stare bene, là al frantoio... e invece siamo dovuti scappare. E poi ci pareva di stare di nuovo bene, là a Riposto, e invece quell'incendio ci ha costretto a andare via. Riusciremo, almeno qui, a non avere problemi?"
"Come io ci dissi a Surciddu, chi lo conosce, il futuro? Possiamo cercare solo di vivere il presente meglio che possiamo. Se ci andrà bene, rimarremo qui e invecchieremo qui e moriremo qui... se no... vedremo. E come ti dissi più di una volta, finché ho te non mi fa paura niente."
"Sì, è così pure per me." commentò Attareddu, salendo col corpo su quello dell'amante e baciandolo profondamente in bocca. "Ma adesso... tengo tanta voglia di te."
"Prendimi, amore..."
"Tengo tanta voglia di te, di averti dentro di me, volevo dire..." ridacchiò l'altro.
"Oh... e io che speravo..." scherzò Adduzzu, come spesso facevano, "che delusione!"
"Se ti comporti bene, più tardi ti do quello che vorresti. Promesso! Te lo do tutto."
Si rigirarono sul letto, Adduzzu preparò a lungo l'amante e finalmente lo fece suo. Attareddu lo accolse in sé con un sorriso beato pieno di gratitudine, carezzandogli il petto, stuzzicandogli i capezzoli ad arte, sfiorandogli il ventre teso, le cosce guizzanti ad ogni affondo.
"Mi piace tanto, quando mi prendi..." mormorò.
"Più che prendere me?"
"No, amore mio, altrettanto. È diverso, ma non saprei dirti cosa mi piace di più. Come a te, non è vero? Dai, dai amore... Sei tutto mio... e io sono tutto tuo!"
Adduzzu su chinò su di lui e, continuando a muoverglisi dentro, lo baciò con passione. Attareddu mugolò in preda a un forte, crescente piacere. I loro occhi brillavano come stelle nel firmamento, alla lieve luce della candela che ardeva, tremula, sul tavolo da notte e la cui soffice luce lambiva i loro freschi e giovani corpi allacciati nella dolce danza della reciproca donazione, del reciproco amore.
Sul piccolo tavolo da notte, assieme alla candela, in una cornicetta da due soldi, c'era una delle prime fotografie che il barone aveva scattato loro nel chiostro del convento abbandonato, e di cui avevano chiesto una copia che l'uomo aveva stampato volentieri, donandogliela.
Non sapevano, i due ragazzi innamorati, che molti occhi avrebbero ammirato, per decine e decine di anni, le loro gradevoli fattezze, chiedendosi chi potessero essere quei due ragazzi siciliani che, sospesi fra il cielo dell'amore e il mare della passione, senza falsi pudori, offrivano così ai posteri la loro bella nudità, ultima eco del tempo degli dei.