Dette un'ultima passata con la cota fine e guardò la lama, saggiandone con prudenza il filo col polpastrello del pollice. Appoggiò la cota sul tavolo e si abbandonò contro lo schienale del sedile. Guardò la madre che spignattava ai fornelli, da cui veniva un forte odore di cavoli e aceto, poi la sorella che tentava di rammendare ancora una volta un paio di braghe del padre.
"E quando ti vedremo di nuovo... ammesso che ti vedremo?" chiese la madre senza guardarlo.
"E chi sa, mamma. La vita del soldato è così... oggi qui, domani chissà dove."
"Sì, magari all'inferno." brontolò la madre. "Non t'ho messo al mondo per una vita come quella, Federigo. Non so che t'ha preso, invece di restare qui ad aiutare tuo padre, un lavoro onesto, senza rischi, che t'avrebbe dato da vivere, a te, a tua moglie e ai tuoi figli. Ma lui no, lui deve correre la ventura... lui! Oste era tuo nonno, oste era il bisnonno... Non c'è mai stata gente d'arme, nella nostra famiglia. E poi tu, con quel corpo esile, delicato... Ancora mi chiedo che t'ha preso!"
"Mamma! Non torniamo su codesto discorso, per favore. Ne abbiamo parlato pure troppo. E all'osteria bastano Leopoldo e Flaviano ad aiutare il babbo. Pare quasi che non siate contenta di avermi qui!" protestò il giovane.
"Contenta! Contenta sarei se tu restassi a casa, se tu non volessi tornare là ad ammazzare la gente o a farti ammazzare. Per cosa, poi, mi chiedo. Tu non diventerai mai qualcuno, mai ricco, là, ché solo i figli dei nobili arrivano a farsi ricchi con la guerra, mai i figli dei poveri." lo rimbrottò la madre.
La sorella sollevò gli occhi dalle braghe che aveva finito di rammendare: "E invece qui, mamma, a sgobbare in osteria, specie lui che è il più piccolo dei vostri figli maschi, può diventare qualcuno? E farsi ricco? Ma via, mamma, lo sapete anche voi che non è così, no?"
"Zitta tu! Che ne sai della pena di una madre che non sa se il figlio le tornerà vivo, o se invece, proprio mentre se lo sta chiedendo, è diventato solo carne buona per i vermi, gli avvoltoi o i lupi! Aspetta di avere figli, e capirai, Firmina! Vammi piuttosto a prendere l'acqua al pozzo, lesta!"
La ragazza uscì con la brocca vuota e passando davanti al fratello gli fece un sorriso d'intesa e di solidarietà. Firmina era l'unica in famiglia a sapere il vero motivo per cui lui aveva deciso di arruolarsi nella compagnia di ventura di Ser Nero l'Alemanno, quando era passato il banditore.
All'inizio era stata dura per Federigo. Ma sottoponendosi a un severo allenamento, s'era fatto più forte e quello che gli difettava in forza era ampiamente rimpiazzato da una notevole agilità e da una pronta intelligenza, sì che presto era diventato un ottimo soldato, rispettato da tutti i compagni d'arme e stimato dai capi. Nei quasi cinque anni da che s'era arruolato, non aveva mai ricevuto brutte ferite, e solo due tenui e corte cicatrici parallele sulla guancia sinistra era quanto gli restava dei pericoli corsi in battaglia.
Armigeri più grossi e forti di lui avevano perso la vita nei molteplici scontri. Quello che aveva salvato Federigo, almeno fino a quel giorno, erano proprio la sua agilità e la sua intelligenza, la sua capacità di saper prevedere da dove e come sarebbe giunto il colpo del nemico, e perciò l'abilità di pararlo o di schivarlo.
Non è che Federigo amasse la guerra, la lotta... ma nell'entrare nella compagnia di ventura aveva individuato l'unico modo per andarsene da casa e diventare così, di fatto, padrone della propria vita... o forse della propria morte.
Ora, dopo che, al soldo del Granduca, avevano pesantemente sconfitto la soldataglia del confinante Signore, il Capitano ser Nero aveva disciolto la compagnia, pagato il soldo e diviso il bottino, non dopo aver fatto sapere agli armigeri che stimava maggiormente di tornare un mese più tardi, quando avrebbe ricostituito la compagnia. E logicamente Federigo era fra questi.
Sciogliere la compagnia e poi ricostituirla era un mezzo spesso usato per disfarsi degli elementi indesiderati. Mandarli via ne avrebbe fatto nemici pericolosi, avrebbe suscitato rancori. Ricostituita la compagnia con pochi uomini valenti e fidati, si faceva il giro per gli arruolamenti, in modo così di mettere alla prova nuovi giovani. Col passare degli anni la compagnia di ventura acquisiva così una crescente efficienza e una sempre più vasta rinomanza e i signori se ne disputavano i servizi con generosi soldi.
Ser Nero aveva una sua politica: quando si trovava bene al soldo di un Signore, anche se altri gli offrivano più oro, cercava di restare al suo servizio. Ma se proprio non poteva, rifiutava di entrare al servizio di un nemico del suo antico Signore. Questa che economicamente poteva sembrare a volte una politica poco saggia perché meno redditizia, ne faceva invece un capitano di ventura assai stimato, fidato e ricercato. Ora eran già tre lustri che serviva il Granduca. E da quasi un lustro Federigo seguiva ser Nero.
Dall'esterno la sorella lo chiamò: "Fede! Fede! Vieni ad aiutarmi, la carrucola s'è inceppata!"
Il giovane lasciò il sedile e le sue armi e uscì subito. La sorella stava strattonando la catena del pozzo.
"No, Firmina, non così, rischi di perdere il secchio... Lascia fare a me." le disse accostandosi e togliendole dalle mani la catena.
Fece scendere un poco la catena nel pozzo, poi scosse la parte della catena che sostenenva il secchio, attese un poco, quindi lo calò giù per riempirlo e lentamente lo riportò fino alla vera del pozzo, dove lo appoggiò.
"Ecco fatto. Metti qui la brocca, che te la riempio."
"Ma come hai fatto? Buon dio, tu riesci sempre a fare tutto! Mi manchi un po', sai, fratellino."
"Solo un po'?" chiese sorridendo il giovane mentre le riempiva la brocca.
"Sì, solo un po'. Perché so che te ne dovevi andare da qui. Mi manchi, però, perché solo fra me e te c'è sempre stata confidenza. Tu sei diverso da tutti gli altri uomini... tu sei meglio."
"Diverso, sì. Meglio... non so."
"Ti sei deciso?"
"No, Firmina, non ancora."
"Neanche io, sai?"
"Se continui a dire di no a tutti quelli che babbo e mamma ti propongono... va a finire che ti fan fare monaca o che resti zitella."
"Lo sai come la penso, no? Meglio zitella... monaca no, però... meglio zitella che mal maritata. Ma tu, quando ti decidi? Non mi dire che non hai occasioni, tu, bello come sei!"
"Lo sai tu pure come la penso, no? Pure per me, meglio zitello che mal maritato, per così dire." le rispose allegramente il giovane uomo.
"Sarei contenta, però, se tu potessi finalmente trovare."
"Da che pulpito viene la predica! No, dai qua, Firmina, porto io dentro la brocca."
"Guarda che mica sono una femminuccia debole e delicata, eh!?"
"Lo so, ma lasciami fare il cavaliere... almeno con te." rispose ridacchiando il giovane.
"Ma dimmi, Federigo, in tutta onestà... ti piace quella vita?"
"Né sì né no... Non ci sto male, comunque. Ma soprattutto m'ha sollevato da quel problema."
"Sollevato... Ci crederò quando mi dirai che ti sei finalmente deciso. E non mi dire, al tuo solito, da che pulpito viene la predica. Lo sai che ti voglio bene e che perciò mi piacerebbe saperti sistemato."
"Peggio di nostra madre, mi stai diventando?" le chiese il giovane con affettuosa ironia. "Prima o poi mi sistemerò. Come spero di te, comunque. Per una donna è anche più importante che per un uomo, lo sai."
Rientrarono in casa. Dalla porta che dava verso i locali dell'osteria, entrò Flaviano.
"Due cotiche e fagioli, mamma." disse il giovane uomo, poi, rivoltosi al fratello, chiese: "Quand'è che te ne vai?"
"Che, hai fretta di farlo andare via?" gli chiese Firmina accigliata.
"Ma no. Volevo sapere se ha il tempo per aiutarmi a riparare il pergolato, tonta!" la rimbeccò il fratello.
"Non credo che potrò: dopo pranzo penso di partire. Ho parecchia strada da fare, e non voglio tardare all'adunata. Dovrò già passare una notte fuori..."
"E ti pareva. Viene qui solo per farsi rammendare le pezze, scroccare qualche pasto, poi è di nuovo uccel di bosco!" disse Flaviano, ma senza cattiveria.
Ciò non impedì alla madre di reagire: "Non siete certo voi che potete lamentarvi o invidiarlo, bischeri! Vi manca niente, qui in casa? E lui non srocca proprio niente: questa è e resta casa sua."
Flaviano sorrise, fece spallucce e tornò nell'osteria.
In quella entrò Ultimina, la sorella minore. L'avevano chiamata così perché dopo di lei non volevano altri figli, e così era stato. La ragazza posò accanto alla madia il cesto pieno di verdure che aveva raccolto nel loro orto. Guardò Federigo e gli tirò fuori la lingua, scherzosamente. Il giovane fece il cenno di sfilarsi il pugnaletto dal fodero e le sussurrò: "Un giorno o l'altro te la taglio, quella linguaccia!"
"E io ti taglio... qualcosa d'altro!" rispose la ragazza e, a scanso di equivoci, indicò verso la brachetta del fratello e aggiunse: "Lì!"
Federigo si guardò fra le gambe la brachetta, che era anche scherzosamente chiamata "ponte levatoio", quasi ad assicurarsi che le fettucce ai lati fossero ben annodate.
La sorella minore ridacchiò: "Che è, ti assicuri di averlo ancora? O hai paura che si capisca che è tutto imbottimento e poca sostanza?"
"Basta con questi discorsi sporchi, Ultimina! Non ti vergogni?" la rimbeccò la madre che, pur senza guardare, aveva intuito l'argomento delle parole di figli.
Ultimina sollevò gli occhi al cielo in una buffa mossa di sopportazione, e andò ad aiutare la madre ai fornelli, mentre Firmina si metteva a rammendare il farsetto di uno dei fratelli e tratteneva la risatina che le stava venendo alle labbra.
Più tardi, dovo aver pranzato, salutata tutta la famiglia e prese le proprie armi, Federigo si mise in strada. Firmina lo accompagnò per un tratto, silenziosa.
"A che stai pensando?" le chiese il fratello.
"A te. E a quel discorso che s'era fatto prima."
"Se la mia brachetta è imbottita, o se è davvero tutta sostanza?" la stuzzicò il fratello.
"Ma no, finto tonto! Che spero che trovi presto, senza sprecare tutta la tua giovinezza... come sto rischiando di fare io. Mi sa che mi dovrò accontentare a restare davero zitella."
"Ma davvero non c'è nessuno che ti piace?"
"L'unico che m'interessa..." iniziò a dire la ragazza, guardando a terra.
"Ah, ma allora c'è. E chi è? Non ti va di dirmelo?"
"Jacopo del mugnaio..."
"Un bel ragazzo... e pure buono, mi pare. Qual è il problema?"
"Suo padre vuole che lui sposi la figlia dello speziale... e Jacopo non gli sa dire di no."
"Ma Jacopo... ti fa gli occhi dolci, o no?"
"Sì che me li fa, altro che! E cerca pure di allungare le mani, quando siamo soli! Però... che me ne faccio io di un uomo che non sa nemmanco difendere le sue scelte? Che marito sarebbe, uno così?"
"Non peggio del babbo, che la mamma gli ha messo la cavezza e lo conduce dove vuole. Il babbo è buono, anche se gli manca un po' di spina dorsale, ma la mamma ne ha per due. E tu pure ne hai per due."
"No... non riuscirei a stare con uno che stimo poco come carattere. Proprio perché sono forte, ho bisogno di un uomo forte almeno quanto me. Sì, è buono e gentile e caruccio... ma o si decide o preferisco che si mariti a un'altra."
Si separarono con un breve ma forte abbraccio. Firmina restò sul bordo della strada finché lo vide scomparire lontano, poi tornò indietro.
Federigo camminò di buona lena, regolando il passo in modo di giungere per l'ora di cena alla locanda in cui aveva già pernottato quand'era tornato a casa. Lungo la via gli si affiancò un contadino.
"Ohilà, soldato, e dove te ne vai, così tutto soletto?" gli chiese l'uomo, che portava la zappa a spalla nella stessa posa in cui Federigo portava l'alabarda lucente. "Che, vai alla guerra?"
"No, vado a raggiungere i compagni d'arme. Una guerra l'abbiamo appena vinta e per ora non ce n'è un'altra in vista."
"Da queste parti, ringraziando la Vergine Santa, non abbiam più guerre da che ho l'età di ragione. E spero di non vederne finché il Signore mi chiamerà a sé. Ma a te, piace fare la guerra?"
"È un mestiere come un altro, come il tuo. Tu fatichi sulla terra per mangiare e per far stare nel lusso il tuo signore, io combatto per mangiare e fare in modo che nessuno tolga, al signore che mi paga, il lusso che tu gli dai."
"Io mi spezzo la schiena sui solchi, è vero, però non rischio la vita come te."
"Ma tu ne ricavi appena quel tanto per sfamare le bocche della tua famiglia, io ne ricavo buone monete sonanti con cui un giorno mi posso magari comprare un podere e non stare sotto padrone, anzi avere contadini che lavorano per me."
"Sì, ma solo se quel giorno ti vedrà ancora vivo, se non t'ammazzano prima sul campo di battaglia."
"Proprio perché io rischio più di te, guadagno di più. D'altronde, che ne sappiamo, sia io che tu, quando verrà la nostra ora? Potrei cadere stecchito qui, adesso, davanti a te, qualunque sia il mio mestiere, o potrei vivere quanto Matusalemme... e così è per te."
"Forse hai ragione tu, soldato. Gli è che... contadini erano i miei antichi, contadini i miei padri e contadino sono io. I tuoi, che fanno?"
"Hanno un'osteria."
"Un'osteria? Al posto tuo, io, avrei preferito la vita da oste a quella da soldato! Che t'ha fatto fare una scelta così? Non ti capisco."
Federigo fece spallucce e sorrise fra sé e sé. "Avevo bisogno di... cambiare aria, tutto qui. Una domenica, dopo messa, venne davanti alla chiesa un soldato ad arruolare nuovi ragazzi per la sua compagnia di ventura... così lo seguii. E non me ne pento."
"E il tuo babbo? Non si oppose?"
"Ci provò... ma senza riuscire a imperdirmi di partire. Gli restano due miei fratelli per aiutarlo, più grandi di me, e gli bastano quelli. Non aveva davvero bisogno anche di me."
Il contadino scosse il capo. Per un tratto non parlò. Poi chiese: "E che avevi fatto, per aver bisogno di cambiare aria?"
"Fatto? Niente. Solo che non m'andava di maritarmi, tutto qui. E invece il mio babbo e la mia mamma prima o poi avrebbero iniziato a cercarmi moglie. Ora, poiché non m'andava di farmi prete o frate, quando venne il soldato, pensai che quella era la soluzione ai miei problemi."
L'uomo lo guardò con espressione un po' sorpresa, poi lievemente sospettosa, aprì la bocca come per dire qualcosa, ma poi la richiuse e tacque. Non a lungo, però: la sua curiosita era troppa.
"Voi dire che a te... la donna non t'interessa?"
"Proprio così."
"E che... ti piace farlo coi ragazzini, per caso?"
"No, non lo farei mai con un ragazzino..." affermò Federigo.
"Ah!" annuì il contadino, quasi fosse sollevato.
"... ché quando lo farò... sarà con un uomo almeno grande come me o più vecchio di me." aggiunse allora Federigo guardandolo con la coda dell'occhio, divertito, per vederne la reazione. Che non tardò a venire, appena le parole del giovane soldato si fecero largo nella mente dell'uomo.
Il contadino aprì la bocca, la richiuse, l'aprì di nuovo poi disse: "Mi stai prendendo in giro, non è così? Mica mi vuoi dare a intendere che tu vai a letto cogli uomini, no? È solo un modo per dirmi di badare ai fatti miei, no?"
"No che non ho mai fatto quelle cose con un uomo..."
"Ah, ecco!"
"... non ancora: devo prima trovare quello che veramente mi piace." disse Federigo divertito.
"Ma... non lo sai che quelli... quelli così... li bruciano sul rogo?"
"Ah sì? E chi te l'ha detto?"
"Il prete, in chiesa. Streghe, eretici e solomiti, li bruciano sul rogo, ha detto. Che, non lo sapevi, tu?"
"E che sarebbe, un solomita?"
"Uno che fa quelle cose solo con un altro uomo come se fosse una donna. Pare che ai tempi di Gesù gli abitanti di Soloma si inchiappettavano quelli di Gonora e allora il Signore li fece bruciare tutti e diventare di sale." spiegò l'uomo.
Federigo sorrise a quella confusa spiegazione, e chiese: "E dove sono questa Soloma e Gonora, lontano da qui?"
"In Terra Santa. Che per quello adesso è in mano ai musulmani. Per punire i giudei solomiti, eretici e stregoni."
"Ma non mi dicevi che il Signore li bruciò tutti, questi solomiti? Come mai allora ancora ve n'è?"
"Sono come l'erbaccia, che più ne bruci e più pare che ne cresce."
"E allora, che la si brucia a fare, l'erbaccia?"
"Se non la bruci, non ti lascia crescere il buon grano."
"E così, bruciando streghe, eretici e solomiti... come tu dici... cresce il buon grano?"
"Mica il buon grano come quello che coltivo io. La gente timorata di dio, è, che cresce."
"E perciò, fanno bene a bruciare quella gente."
"Pare di sì. Ecco, io abito laggiù. Buona strada, soldato e... se davvero tu sei come m'hai fatto intendere... stai attento di non dirlo in giro, se non vuoi fare quella brutta fine." disse l'uomo e, lasciatolo con un cenno di saluto, s'inoltrò in un viottolo che si diramava dalla strada.
A sera Federigo giunse in vista della locanda del "Gallo zoppo", che sorgeva poco lontano da un gruppo di case che sarebbe stato presuntuoso chiamare villaggio. Vi si era già fermato all'andata e ci si era trovato bene: per poche monete aveva mangiato una buona cena e avuto una stanzetta, da solo, con un letto a saccone abbastanza comodo. E mentre mangiava la cena, gli s'era accostato lo sguattero che gli si era offerto per la notte, per poche monete.
Era davvero un bel ragazzo, quello sguattero, soprattutto gli occhi erano molto belli, luminosi, e aveva labbra dolci... ma era troppo giovane per lui. Perciò gli aveva detto di no. L'altro aveva insistito un poco, ma infine aveva rinunciato. Federigo aveva notato che lo sguattero poi era salito con un altro viaggiatore, un mercante romagnolo, basso e tozzo, di mezza età che, mentre salivano la scala che portava al piano superiore, palpava il culetto dello sguattero che lo affiancava ridacchiando.
Altro che rogo... Anche fra i suoi compagni d'arme, a volte, aveva intuito che capitava qualcosa, se pure in modo assai discreto. Ma sapeva pure che, per lo più, era solo per la mancanza di donne. Nessuno ne parlava mai in modo aperto, se non a volte per innocenti quanto stupide battutacce quand'erano un po' brilli.
Ma Federigo, pur sentendosi a volte attratto, fisicamente, da qualcuno dei suoi compagni, non aveva ancora mai trovato uno che gli ispirasse sufficiente fiducia di poter instaurare qualcosa di serio, di stabile, di bello. Perciò non solo non aveva mai tentato approcci, ma aveva anche scoraggiato chi gliene aveva fatti.
In casa, solo Firmina sapeva di questa sua tendenza e non se ne era affatto scandalizzata, meravigliata. Ne avevano parlato più volte, e lei lo aveva sempre ascoltato quieta, serena, e a volte gli aveva dato consigli, o meglio pareri di cui Federigo le era grato.
Entrò nel "Gallo zoppo" e si guardò attorno. C'era una decina di avventori: un paio di borghesi, tre soldati con i colori del Conte Altiero, un monaco benedettino con un novizio, e altre persone che non avrebbe saputo catalogare. Salutò ad alta voce e andò a sedere a un tavolo d'angolo, ancora libero, non lontano dall'ingresso.
Subito spuntò dal retro lo sguattero che andò a prendere il suo ordine.
"Sei nuovamente qui, bel soldatino? Bentornato. Prendi di nuovo una stanza?" chiese con un sorriso, dando mostra di averlo riconosciuto.
"Sì, e una buona cena. Con un boccale di vinello. Eccoti le monete... e tieniti il resto, anche se è poca cosa."
"Lo sai che da te... mi piacerebbe ricevere altro. Peccato che non ti interessa farlo con me."
"E dai, non ci provare di nuovo. Mi pare d'essere stato abbastanza chiaro l'altra volta, no?"
"Purtroppo sì. Il fatto è che nessuno ancora ha chiesto i miei servizi speciali per questa notte... e fra tutti i clienti tu sei il più bello. E io saprei farti divertire, qualunque cosa ti piace fare."
"Piantala, ragazzo." gli disse Federigo, ma con un sorriso divertito.
Il ragazzo andò via con passo lieve, senza perdere il suo sorriso. Quando più tardi tornò per servirlo, lo sguattero gli disse che era libera la stessa stanza della volta precedente, la seconda a destra su al piano superiore.
Mentre mangiava, Federigo notò che il ragazzo, mentre girava fra i tavoli per servire gli avventori, continuava a guardarlo.
Terminata la cena e vuotato il boccale di vino, Federigo affidò la sua alabarda al locandiere e uscì: non aveva ancora voglia di mettersi a letto, era ancora troppo presto e il tempo era mite. Sotto la tettoia vide quattro cavalli e un asino. La aggirò e andò a sedere sul basso muretto che separava il terreno della locanda dalla strada. Il cielo sereno era già trapuntato di stelle; un vago odore di fieno proveniva dalla tettoia, misto a quello del letame e della terra appena arata del campo al di là della strada. Un cavallo emise un basso nitrito, un altro, o forse lo stesso, batté uno zoccolo sulla terra battuta.
Federigo si sentiva bene, in forma, sereno. La pur breve permanenza a casa, con la famiglia, l'aveva rigenerato, dopo l'ultima battaglia. Il soldo era buono, e anche più lo sarebbe stato ora che, come gli aveva promesso il capitano, sarebbe diventato caporale.
Sentì qualcuno uscire dalla locanda cantando e, anche prima di vederlo, capì dalla voce che era lo sguattero. Lo vide andare, snello e agile, alla tettoia degli animali, probabilmente per dare loro la biada. Poco dopo che il ragazzo era scomparso alla sua vista, sentì altri uscire dalla locanda. Erano due dei tre soldati. Ridevano e scherzavano ad alta voce mentre pure loro si dirigevano alla tettoia.
Dopo poco udì il ragazzo semttere di cantare e la sua voce, sempre più acuta, gridare: "Lasciatemi! Lasciatemi! Non voglio!"
Federigo si alzò subito dal muretto e aggirò la tettoia, sguainando la spada. Uno dei due soldati teneva fermo lo sguattero, mentre l'altro, ridendo ad alta voce, tentava di calargli gli attilati calzoni di panno. L'arma in mano, fronteggiò i due soldati.
"Lasciatelo, imediatamente!" ordinò ad alta voce.
"Che t'impicci, tu? Vai per la tua via, che ora noi ci si gode il suo culetto!" rispose quello che stava tentando di denudare lo sguattero.
"M'impiccio sì, io gli pagai la notte e ho diritto su lui, non voi!" disse Federigo brandendo minaccioso la spada. "Lasciatelo subito, o ve ne pentirete amaramente."
"Tu menti peggio di Giuda! Il ragazzo ci disse che nessuno l'aveva richiesto, per questa notte."
"In questo caso mente il ragazzo, io lo pagai e come, assieme alla stanza e alla cena. Osi sbugiardarmi, ragazzo?"
"No, io... io dissi che... io dissi che..." balbettò il ragazzo, "che nessuno m'aveva pagato per la notte, bene come te. Forse hanno capito male, o non sono stato chiaro io..."
I due lasciarono il ragazzo che, mezzo discinto, corse subito alle spalle di Federigo. Questi chiese: "Quanto l'avete pagato, voi?"
"No... a dire il vero... ancora non l'avevamo pagato... prima ci si voleva divertire e poi, magari..." disse incerto uno dei due soldati.
"No, volevano fottermi senza darmi nemmanco una moneta!" disse il ragazzo.
Federigo, senza perdere di vista i due soldati, disse al ragazzo: "Vai immediatamente su nella mia stanza, che tu e io dopo facciamo i conti. Non mi va d'essere menato per il naso!"
Il ragazzo corse subito nella locanda.
"È stato solo un malinteso, non sapevamo che l'avevi già pagato tu per la notte... e dopo, se ci contentava, l'avremmo pagato di certo." disse uno dei due soldati.
"Sì, dopo! Non sapete che questi servizi si pagano anticipatamente? E se ve lo volevate godere, perché non l'avete portato nella vostra stanza e tentavate di prenderlo qui fuori?"
"E chi ce l'ha il denaro per pagare una stanza? Noi si dorme qui fuori, sul fieno. Questa è la nostra stanza per la notte." brontolò uno dei due soldati.
"E vorreste farmi credere che se non avete di che pagarvi una stanza, avreste avuto di che pagare quel ragazzo?" chiese in tono severo Federigo. "Mettetevi a dormire e se l'avete troppo in tiro, sfogatevi fra voi." disse, e si avviò a passo svelto verso la locanda.
Entrato, vide che solo i due borghesi erano ancora seduti al loro tavolo, e al lume della lucerna stavano controllando alcune carte. Il locandiere sedeva con loro e li guardava con occhi attenti.
Federigo fece un cenno di saluto e salì la scala di legno scricchiolante che portava al piano superiore. Sospinse la porta della stanza che gli era stata assegnata, ed entrò. Lo sguattero aveva portato su un lume e stava seduto sul bordo del letto, attendendolo.