Rivestitisi, scesero assieme. Federigo si fece rendere dal locandiere la propria alabarda e Ranuccio comunicò all'uomo che se ne andava, che lasciava la locanda e il lavoro. Ne nacque un breve diverbio, ma Fidenzio non aveva alcun mezzo per trattenere il ragazzo, che perciò uscì, si affiancò a Federigo e assieme presero la strada che li avrebbe condotti al luogo del raduno della Compagnia della Picca.
Lungo la via Federigo spiegò a Ranuccio come era organizzata la compagnia di ventura di cui faceva parte, rispose alle mille domande eccitate del ragazzo, gli descrisse la personalità del capitano, ser Nero, e dei compagni, cioè dei veterani che avrebbe ritrovato una volta ricostituita la compagnia.
"Quando saremo tutti, compresi i nuovi arruolati, saremo più o meno un centinaio di arcieri, circa cinquanta cavalieri e duecento fanti. Io, essendo un veterano, sarò fatto caporale, perciò guadagnero il doppio del soldo di prima, cioè circa quattro scudi ducali ogni mese. A te, almeno all'inizio, daranno uno scudo, penso."
"Un intero scudo, ciascun mese?" chiese il ragazzo, "Oltre al mangiare?"
"Sì, certo. Però dovrai provedere da solo per i tuoi abiti o le altre tue necessità."
"E dormiremo in tenda?"
"Sì, in una grande tenda."
"Ma io, con te? E ci saranno altri in tenda con noi? E non troveranno strano se io dormo con te?" chiese Ranuccio.
"Come caporale, potrò avere una parte della tenda solo per me... solo per noi. E nessuno si chiede mai dove e perché dormono gli altri. E se pure, riguardo a due di noi, gli altri possono immaginare qualcosa, ciascuno si fa i fatti suoi, nella compagnia."
"Ma sei certo che il capitano mi accoglierà nella compagnia?"
"È assai raro che rifiuti qualcuno, se pensa che sia una valida aggiunta alla compagnia. E se non ha già ripreso tutti e quattro i vecchi vivandieri, non vedo perché dovrebbe rifiutare te. O, prendendo te, averne un quinto."
"Mi vorrà esaminare?"
"Non credo, penso che si fiderà del mio giudizio, specialmente ora che sono un veterano e che mi farà caporale. Se mi dirà di sì, dovrò semplicemente portarti dal nostro camerlengo perché così ti iscrive nel registro della compagnia, e ogni mese ti darà il soldo."
"Tu sei un fante, nevvero? Come combattono fanti, arcieri e cavalieri?"
"Dipende dal piano di battaglia. Ma solitamente gli arcieri decimano le fila del nemico, poi i cavalieri le scompigliano e disperdono e infine noi fanti si finisce l'opera, affrontando il nemico a piedi, con corpo a corpo, mentre i cavalieri si battono contro gli altri cavalieri."
"E gli arcieri?"
"Quando la battaglia infuria, solitamente si cercano un luogo soprelevato e riparato per tirare a quelli del nemico o ai cavalli e cavalieri che si separano dalla calca, in modo di assottigliarne le fila ma di non rischiare di colpire i propri compagni d'arme."
"Ma a te piace, la battaglia?"
"È un lavoro, come fare il contadino o lo sguattero, o altro. Solo che è più rischioso, ma è per questo che il guadagno è buono. Qualcuno di noi soldati se lo gioca, se lo beve o lo spende con donne. Ma chi, come me, lo tiene da parte, prima o poi si può ritirare e, usando quanto ha accumulato, può concedersi una vecchiaia tranquilla."
"Che ti piacerebbe fare, quando avrai abbastanza denaro?"
"Non so ancora. Forse comprarmi una casa con attorno un buon terreno su cui far lavorare i contadini e vivere così di rendita. Oppure darmi alla mercatura e girare le terre per comprare e vendere... o anche aprire una locanda o un'osteria come ha mio padre... Ma davvero ancora non so. Non è cosa che potrò fare assai presto, sono ancora troppo giovane."
"C'è molta disciplina, nella compagnia?"
"In quella di ser Nero sì, la disciplina è stretta assai. Gli ordini non si discutono, si devono eseguire subito e nel migliore dei modi. Si deve essere puliti, ordinati, disciplinati. Ser Nero non ammette litigi, fra di noi, e guai se qualcuno, dentro il campo si fa trovare ubriaco."
"Ma... non vi divertite mai?" chiese il ragazzo, un po' preoccupato.
"Certo che ci si diverte, a luogo e modo. Si è tutti giovani o uomini nel pieno delle forze e si è lontani da casa e dalla propria terra. Il divertimento, quando non s'è in guerra, scarica le nostre energie in sovrappiù e allontana dal campo le malinconie, le nostalgie e le liti. E poi, vi sono gli allenamenti quotidiani, che se pure severi e duri, sono un po' come un gioco e pure quelli servono per acquietare le nostre energie."
"E si mangia bene? E a sufficienza?"
"A sufficienza, sempre. Le porzioni sono giuste, né troppo abbondanti né troppo piccole. Il mangiar bene, poi, dipende dai nostri vivandieri. Da un paio d'anni il nostro vivandiere-capo è assai capace ed esperto, migliore di quello che avevamo prima, perciò si mangia anche bene. Il nostro capitano sa quanto è importante che noi tutti si sia ben nutriti e soddisfatti, perciò vuole che il vivandiere-capo sia valente."
"Ma... in quattro o cinque vivandieri soltanto, si deve provvedere al mangiare di circa quattrocento uomini?" chiese un po' preoccupato il ragazzo.
"Ogni volta, quando non s'è in guerra, alcuni di noi a turno sono assegnati alla corvée che deve aiutare i vivandieri, non ti preoccupare." gli disse con un sorriso rassicurante Federigo.
Così, parlando e camminando l'uno a fianco dell'altro, i due proseguivano serenamente il loro cammino. Di tanto in tanto si guardavano e allora s'aprivano in un lieto sorriso.
Federigo ripensava, con un senso di stupefatto piacere, alla lunga notte spesa con il ragazzo là nella locanda, e pensava d'essere stato fortunato: non avrebbe mai creduto che potesse essere così bello poter finalmente sperimentare quanto da anni desiderava, e in modo tanto piacevole. Certamente questo era dovuto in buona parte all'esperienza di Ranuccio.
Lui non avrebbe avuto il coraggio di chiedere al ragazzo di seguirlo, pur avendone subito provato il desiderio appena s'era svegliato quella mattina. Era perciò lieto che fosse stato Ranuccio a chiedergli, anzi a pregarlo, di prenderlo con sé. Sì, è vero che Ranuccio, avendo quasi cinque anni meno di lui, gli era parso, dapprima, troppo giovane... ma ora non la pensava più così. Non solo il ragazzo era indubiamente esperto, ma aveva pure un bel corpo, dolce ma ben sviluppato, e un gradevole carattere. E comunque non era più un ragazzino, infatti già da qualche tempo doveva radersi il volto.
Anche Ranuccio stava ripensando alla notte passata con il bel soldato. Si stava chiedendo se avesse fatto bene a seguirlo... "E perché no!?" si disse. Poi si chiese perché avesse provato l'impulso di andare con lui.
Forse... forse perché era riuscito finalmente a conquistarlo, contro ogni speranza. E anche perché Federico aveva un'avvenenza quale mai aveva visto in tutti quelli con cui s'era unito nei quattro anni in cui aveva lavorato nella locanda e prestato i propri servizi agli avventori. Oppure perché sentiva nel bel soldato una gentilezza mista a forza d'animo, e di fisico, miscelate in una sapiente alchimia. Per la sensualità discreta eppure avvincente che promanava dal suo corpo, dal suo sorriso...
Per ora non era affatto pentito d'aver seguito l'impulso di andare con lui. Tutto sommato l'istinto non l'aveva mai tradito, fino a quel giorno. Era però anche un po' stupito per come Federigo, pur dopo aver rifiutato per tante volte di avere sesso con lui, avesse poi accettato subito, e senza problemi, che lo seguisse.
Il sole era alto in cielo quando si fermarono a mangiare, a lato della strada, seduti sotto un albero, quello che Ranuccio s'era portato via dalla locanda. Spazzolate via le ultime briciole di cibo, appoggiati con la schiena al possente tronco dell'ontano alla cui ombra s'erano rifugiati, Federigo appoggiò una mano sulla coscia del ragazzo.
"A me, Ranuccio... m'è venuta voglia di farlo nuovamente." mormorò guardandolo negli occhi e arrossendo lievemente.
"Se me lo dici così... fai venire voglia a me pure." gli disse il ragazzo con un'espressione birichina, poggiando la mano su quella che l'altro gli aveva posto sulla coscia e carezzandola. Poi suggerì: "Fra quei cespugli... là nessuno ci può vedere."
Federigo s'alzò e tese la mano al ragazzo, invitandolo ad alzarsi. "Andiamo?"
S'inoltrarono fra i cespugli, addentrandovisi finché trovarono un tratto di terreno sufficientemente sgombro per accogliere i loro corpi. Federigo posò a terra l'alabarda, si tolse di dosso le armi, poi iniziò a sciogliere i legacci dei propri abiti, ma Ranuccio lo fermò:
"No, aspetta, io spoglio te e tu me." gli disse. Poi chiese: "Che cosa desidera fare, il mio bel fante?"
"Tutto quello che abbiamo fatto la notte passata. Sì, proprio tutto." rispose emozionato il giovane uomo.
Poterlo fare di nuovo, ma questa volta all'aperto e in pieno giorno, sotto i caldi raggi del sole, procurava a Federigo un'intensa sensazione di eccitazione. Si sentiva grato a quel ragazzo che l'aveva seguito senza la minima esitazione, si sentiva grato perché l'altro l'aveva iniziato alla scoperta della bellezza di quel tipo di rapporto che da tempo sognava avere, e anche per la pronta letizia con cui ora, di nuovo, gli aveva detto di sì. Perciò intendeva offrirgli tutto il piacere che avrebbe potuto e saputo dargli, anche se si sentiva ancora troppo inesperto.
Quello che piaceva a Ranuccio era il modo in cui il bel fante prolungava i preliminari, trattenendo l'intensità del proprio desiderio, a differenza di quasi tutti i clienti che aveva accontentato in quegli anni di servizio nella locanda. Il ragazzo si adeguava volentieri alla fremente calma dell'altro, lasciava che fosse lui, che questa volta aveva preso la guida della loro nuova unione, a regolare il progredire della costruzione del loro reciproco godimento.
Federigo volle prima accogliere il suo nuovo amico in sé, e lo godette con un ampio sorriso beato, carezzandolo per tutto il corpo, mentre Ranuccio gli si muoveva sopra. Quando poi il ragazzo gli si offrì silenziosamente e il bel soldato affondò in lui e iniziò a muoversi nel compagno piegato in due sotto di sé, Ranuccio si illuminò in un lieto sorriso che riempì di profonda gioia il giovane uomo. "È troppo bello!" pensò Federigo e lui stesso non avrebbe saputo dire se questo si riferiva più all'atto di quell'unione o all'espressione del ragazzo che lo stava accogliendo.
Quando anche il soldato ebbe raggiunto il sommo del piacere, fece stendere le gambe al ragazzo, gli si stese sopra e lo baciò con grande tenerezza, a lungo, tenendogli il viso fra entrambe le mani. Si carezzarono ancora un po', in silenzio, godendo il graduale ritorno alla calma del battito dei loro cuori e del ritmo dei loro respiri.
"Non avrei mai creduto che potessere essere così bello." mormorò Federigo, profondamente commosso, scivolando con il corpo a lato dell'altro, ma tenendolo ancora semiabbracciato.
"E se no, perché credi che a tanti piace farlo?" gli chiese il ragazzo con espressione malizosetta.
"Erano in tanti a... volerti portare nel loro giaciglio?"
"Non pochi, anche se certi giorni nessuno chiedeva questi miei servizi, e certi altri giorni anche più d'uno li voleva."
"Anche uomini sposati, m'hai detto?"
"Sì. Alcuni s'erano dovuti sposare pur piacendogli farlo con un maschio, altri invece, semplicemente gli mancava una femmina. Per qualcuno invece non faceva nessuna differenza farlo con una ragazza o un ragazzo."
"Prima di me... avevi mai desiderato andare via con qualcun altro?"
"Solo due volte. La prima... tre anni fa... Era un marinaio. Ci sapeva fare, m'ha insegnato lui un sacco di... trucchetti. Ma lui aveva il suo uomo a bordo della galea, perciò non volle che lo seguissi. La seconda, invece, fu due anni fa, circa. Era un mercante. Però era sposato, e mi disse che perciò non poteva assolutamente portarmi con sé. Tornava tre o quattro volte durante l'anno e si fermava sempre alla nostra locanda. E ogni volta chiedeva immancabilmente i miei servizi."
"Sarà deluso a non trovarti più lì." osservò Federigo.
"Mah... si aggiusterà in qualche altro modo."
"Con chi ti piaceva di più, col marinaio o col mercante?"
"Con te."
"No, dai, con chi dei due?"
"Non te lo saprei dire. Al marinaio piaceva solo mettermelo in culo, ma lo sapeva fare molto bene. Al mercante al contrario gli piaceva solo farselo mettere, perché diceva che per metterlo gli bastava la moglie. Ma anche lui ci sapeva fare, indubbiamente. Il marinaio me lo aveva messo tre volte in quella sola notte... Ogni volta in un modo diverso... ne sapeva davvero una più del diavolo. Però a baciare era meglio il mercante."
"Con quanti l'hai fatto, fino a ora?"
"E chi li conta più? Uno per notte, in media... fai un po' tu i conti, che io non li so fare."
"Ma non ti... pesava, farlo con tanti così?"
"No. Con quelli che non mi piacevano, avevo imparato a farlo durare poco... A farli godere in fretta. Quasi tutti, una volta goduto, si scordavano di me. O gli dava addirittura fastidio avermi lì con loro."
"A me, invece, piace molto, anche stare solo come adesso."
"Me ne sono accorto. Anche a me piace."
"Grazie."
Ranuccio fece un risolino: "Sei troppo tenero, tu!"
Federigo lo baciò. Poi, con un sospiro, disse: "Ci si deve rimettere in strada, ora, in modo di arrivare al campo prima che scenda la sera."
Si rivestirono, tornarono sulla strada e ripresero lietamente il cammino.
"Non credere di essertela cavata così, però!" disse a un certo punto Ranuccio, guardandolo con un'espressione che voleva sembrare seria, ma dietro a cui faceva capolino un sorriso.
"Per cosa?" chiese Federigo, sereno.
"Stanotte... lo faremo di nuovo."
"Certo."
"Bene."
Federigo si stava chiedendo se lui sarebbe stato in grado di farlo tre volte in una notte come quel marinaio... Poi si disse di essere stato fortunato che né il marinaio né il mercante avessero accettato di portare con sé quello splendido ragazzo. Infine si chiese perché prima di provarci con Ranuccio, pensava che non gli sarebbe piaciuto farlo con uno più giovane di lui...
A un tratto si fermò e fece fermare Ranuccio. Indicandogli la piana a valle, disse: "Guarda!"
Era l'accampamento della compagnia di ventura, una serie ordinata di grandi tende circolari, poste in un quadrato, in tripla fila, attorno a uno spiazzo. Tre erano più belle delle altre e accanto, su alti pennoni, sventolavano vessilli colorati. Alcuni uomini giravano per lo spiazzo o fra le tende. Da un lato vi erano alcuni carri e un recinto in cui pascolava una decina di cavalli.
"Siamo quasi arrivati." commentò Federigo.
"È bello!" mormorò il ragazzo. "Le tende belle sono dei capi?"
"Quella in centro è del capitano, quella a sinistra per il camerlengo, il superiore e il notaio. Quella a destra, invece, è per quando si fermano al nostro accampamento i messi del Granduca, gli officiali di condotta o a volte il Granduca stesso."
"Tu l'hai già visto, il Granduca?" gli chiese Ranuccio sgranando gli occhi.
"Solo di lontano."
"E com'è?"
"Il granduca Francesco è un uomo sui cinquanta anni, non molto alto ma possente, vestito di broccati e d'oro. Ha una cappa verde bordata di bianca pelliccia, foderata di porpora e adorna di ricami preziosi... Ha in capo un cappello piatto con scendibene e con una sottile corona d'oro su esso."
Scesero fino all'accampamento e parecchi altri armati salutarono Federigo, che rispondeva con allegria.
"Qual è la tua tenda?" gli chiese Ranuccio.
"Non lo so ancora, visto che il capitano m'ha promesso che mi fa caporale. Vieni, andiamo a cercare il capitano e se m'autorizza a farti stare con noi, poi..."
"Ma se non t'autorizza?"
"Ma sì, vedrai, ne sono quasi certo, anzi certo del tutto. Poi, ti dicevo, andiamo dal camerlengo perché ti iscriva, poi dal superiore per farmi assegnare la tenda."
"Dove starò anche io, no?"
"Sì, chiaro. Ecco, aspettami qua fuori."
Federigo si annunciò a gran voce e fu fatto entrare. Dopo poco uscì: "Il capitano ti vuole vedere, vieni."
Ranuccio lo seguì all'interno della tenda, con espressione intimorita.
Un uomo grande e grosso, con una folta barba rossiccia, vestito con sobria eleganza, era seduto su una savonarola, accanto a un tavolo su cui stava consultando alcuni documenti.
"Capitano, ecco il ragazzo di cui vi ho accennato." disse Federigo in tono rispettoso.
L'uomo sollevò lo sguardo e due occhi chiari chiari ma acuti come lame, si posarono sul ragazzo, scorrendo su e giù lungo il suo corpo. Poi, con una voce profonda caratterizzata da un lieve accento straniero, l'uomo disse.
"Accostati, ragazzo... Mi ha detto Federigo che vorresti fare il vivandiere qui da noi, e che lavoravi in una locanda."
"Sì, signore."
"Qui mi chiamano tutti capitano. Che facevi alla locanda, il cuoco?"
"No, capitano, ero solo uno sguattero."
"Un buono sguattero è sempre meglio di un cattivo cuoco. Ed eri un buono sguattero, almeno?"
"Ero il migliore, capitano... dato che non ve n'erano altri. Ma obbedivo prontamente a tutti gli ordini facendo sempre del mio meglio per accontentare tutti."
L'uomo scoppiò in una bassa e profonda risata: "Mi piaci! Il senso dell'umorismo è una bella dote. E non posso chiedere di più, a un mio uomo, che obbedire prontamente e fare del proprio meglio. D'accordo, caporale, dì al camerlengo che codesto ragazzo è, da oggi, uno dei nostri vivandieri."
"Grazie, capitano." dissero, quasi a una voce i due, e lasciarono la tenda.
Passarono nella tenda dei funzionari, il camerlengo prese nota della promozione di Federigo e dell'arruolamento di Ranuccio, il superiore assegnò la tenda a Federigo, avvertendolo che vi avrebbe già trovato tre dei suoi dieci uomini: gli altri sette gli sarebbero stati assegnati man mano che fossero arrivate le nuove reclute. Federigo lo avvertì che il nuovo vivandiere sarebbe stato alloggiato nella sua tenda.
Quindi, finalmente, il neo-nominato caporale, si recò con Ranuccio alla tenda della sua decina. I tre soldati che vi si erano istallati erano tre veterani che Federigo già conosceva. Presentò il ragazzo ai tre uomini.
"Questo è Ranuccio, è stato appaena arruolato come vivandiere e il superiore l'ha messo a dormire qui, nella nostra tenda."
"Ma Federigo, qui dentro c'è appena posto per noi e le nostre cose!" protestò uno degli uomini, "Perché non l'ha messo in tenda con gli altri vivandieri?"
"Probabilmente perché anche là non c'era posto, credo che avremo qualche vivandiere in più. Comunque, non ti preoccupare, nella mia sezione della tenda c'è abbastanza posto, farò mettere il suo pagliericcio lì da me. Andiamo a prendere il tuo pagliericcio, Ranuccio, poi ti affiderò al vivandiere-capo." disse ed i due uscirono.
Sistemate le loro cose, Federigo portò il ragazzo dal vivandiere capo e lo salutò: "Ehilà, Damiano, che ci stai preparando per cena, questa sera?"
"Oh... Federigo, già di ritorno? Tutti bene a casa tua? Stasera, mangerete coniglio alle erbe."
"Che festa è, per avere coniglio?" chiese Federigo allegramente.
"Nessuna festa. È che siamo ancora in pochi, perciò mi posso sbizzarrire un poco. E chi è codesto ragazzo che ti sei portato appresso? Non è un po' fragilino, per fare il soldato? Siamo ridotti così male?"
"No, Damiano, questo è Ranuccio ed è un nuovo vivandiere, perciò te lo affido. Vedi di sgrossarlo tu. Fino adora lavorava come sguattero in una locanda."
"Ah, bene bene. Ranuccio, si chiama... e lo hai trovato in una locanda... Sbaglio... o invece di dormire qui con noi, avrà il suo pagliericcio nella tua tenda?"
Federigo arrossì lievemente, e l'uomo rise.
"Ci ho azzeccato, eh? Bene bene. Dovrà sgobbare come tutti gli altri, si capisce, ma... vedrò di rimandartelo indietro, a notte, non troppo stanco, te lo prometto. E tu, ragazzo, vedi di meritartelo."
"Non m'ha fatto mai paura la fatica. Ma come vi devo chiamare, a voi?"
"Per nome, e come se no? E niente voi, con me. Qui, a parte il capitano e i signori funzionari, siamo tutti tu, capito? O al massimo il grado. Quindi, o mi chiami Damiano oppure capo."
"Sì, ho capito."
"Stami bene, Damiano. A più tardi, allora, Ranuccio." disse Federigo e tornò alla propria tenda.
Era soddisfatto, tutto era andato secondo le proprie speranze. Avvertì i suoi uomini che nei giorni seguenti sarebbe stato assegnato alla loro tenda un altro veterano e sei nuove reclute.
"Due di voi avranno una recluta da addestrare, e due ne avranno due, oppure tre ne prendono due e uno nessuna. Mettetevi d'accordo fra voi, per me va bene come decidete. Da domani noi quattro iniziamo il solito addestramento."
"Hai sentito, caporale, che invece del pettorale di cuoio, pare che il Granduca a noi fanti ci faccia assegnare un corsetto di maglia di ferro?"
"Niente caporale, per favore, Federigo va bene... finché obbedite ai miei ordini." disse con un sorriso il giovane, "No, non ne so niente. Protegge meglio... ma è più pesante e limita nei movimenti. Non so quale preferirei indossare, nei corpo a corpo."
"E pare pure che per i nostri arcieri, voglia comprare balestre." aggiunse un altro.
"Mah... io sono diffidente di tutte queste novità." osservò un altro dei veterani. "Una volta un dotto mi disse che i greci combattevano nudi... una spada, uno scudo e nient'altro! Quelli sì che erano uomini!"
Federigo rise: "E d'inverno? Gli si gelava l'uccello e pure i coglioni?"
Anche gli altri uomini risero all'osservazione di Federigo.
"Io, nudo, l'unica battaglia che mi piace fare, è con una donna su un comodo letto." osservò uno.
"Se è una verginella ben fatta, anche senza letto, per me va benone!" disse un altro.
Scherzando e ridendo, venne l'ora di cena. Più tardi, quando iniziò a fare buio, accesi alcuni falò, gli uomini presenti al campo si radunarono a crocchi per giocare, cantare e divertirsi.
Federigo stava cantando una delle antiche canzoni di battaglia con altri veterani, quando un'ombra scivolò silenziosamente accanto a lui e sedette. Il caporale si girò: era Ranuccio. Gli sorrise.
Smettendo di cantare, Federigo gli chiese: "Hai legato con gli altri?"
"Sì." ripose in tono allegro il ragazzo, "E non ho mai mangiato bene come qui! Damiano cucina molto meglio della locandiera!"
"Non sarà sempre così; però è vero, prepara sempre buon cibo, anche quando ha poco."
"M'ha fatto vedere dove sono le provviste: ne avete molte."
"Va a periodi..."
"Dobbiamo stare ancora molto qui attorno al fuoco?" gli chiese Ranuccio, guardandolo con occhi in cui brillava un muto ma esplicito desiderio.
"Non necessariamente. Se vuoi cominciare ad andare... fra poco ti raggiungo."
Ranuccio si alzò con un ampio sorriso compiaciuto e si avviò verso la tenda. Entrò nella parte riservata al caporale, accese una lucerna, si denudò e si stese sul pagliericcio di Federigo, in impaziente attesa.
Dopo poco entrò anche il bel caporale. Guardò il corpo nudo del ragazzo, sedette accanto a lui e lo carezzò. Poi si chinò su di lui e si baciarono, mentre Ranuccio, con mani febbrili, iniziava a slacciargli i legacci dell'uniforme, insinuando le mani sotto i panni a carezzare e palpare il corpo forte del bel giovane.
"Sei contento di essere venuto via con me?" gli chiese Federigo, stendendosi sul corpo del ragazzo.
"Che ne dici? Ti pare che mi sto lamentando?" rispose Ranuccio carezzando il membro turgido del giovane uomo. "E tu? Sei contento di avermi qui? Anche se sono troppo giovane per te?
"Che ne dici? Ti pare che mi sto lamentando?" gli fece il verso Federigo e lo baciò con forte passione e desiderio, mentre il ragazzo gli cingeva la vita con le gambe, offrendoglisi.
Federigo accettò quella silenziosa offerta, cercando di dare al ragazzo il massimo del piacere.