Ormai da un anno Ranuccio faceva il vivandiere per la Compagnia della Picca. Si era adattato bene alla vita del campo. Durante le battaglie restava al campo con le poche sentinelle, per proteggerlo da eventuali tentativi di furto, e attendeva il ritorno dei soldati.
Da alcune settimane Damiano gli aveva assegnato il compito di portare i pasti al capitano. Con un cesto in cui recava i cibi, andava alla tenda di ser Nero, entrava, imbandiva il tavolo da campo e vi disponeva il cibo in bell'ordine. Più tardi tornava a ritirare i resti e le belle stoviglie riservate al capitano, che lavava accuratamente.
Raramente, quando entrava nella grande tenda, il capitano era presente. A volte lo incrociava mentre il poderoso uomo entrava o usciva, oppure lo sentiva parlare in un'altra parte della tenda. All'inizio il ragazzo era intimorito dall'uomo, nonostante questi lo trattasse con la stessa semplicità con cui trattava tutti i suoi soldati.
Un giorno, mentre preparava come al solito il tavolo per la cena del capitano, ebbe la sensazione di non essere più solo. Si girò a guardare. Ser Nero aveva scostato il telo che fungeva da separazione dalla parte interna della tenda e, fermo lì, guardava il ragazzo.
"Ranuccio..." disse l'uomo, con voce calda e bassa, quando incontrò lo sguardo del ragazzo.
"Sì, capitano?"
"Da mesi ti sto osservando."
"Sì?" chiese Ranuccio in tono incerto.
"Sì. Tu sei il ragazzo di Federigo, non è così?"
"Io... capitano..."
"So di non sbagliarmi. D'altronde... non è per questo che invece di dormire con gli altri vivandieri, dormi sempre nella tenda di Federigo? Sei un ragazzo assai piacente, hai un culetto delizioso. Ho voglia di assaggiarlo."
Ranuccio lo guardò con espressione lievemente stupita: non aveva mai neppure sospettato che il capitano potesse essere interessato a lui. Questo, non tanto perché l'uomo era sposato, ché sapeva assai bene come diversi uomini maritati, quand'era nella locanda, amavano portarselo a letto, quanto perché non si era mai accorto che il capitano lo guardasse in quel certo modo che il ragazzo sapeva interpretare assai bene.
"Allora?" chiese l'uomo accostandoglisi e, postagli una mano sul sedere fasciato dagli attillati calzoni, lo palpò con una certa rude energia.
"Io... sto con Federigo." rispose il ragazzo, incerto, ma senza sottrarsi a quel piacevole palpeggiare.
"Mica t'ha comprato, no? Mica gli appartieni. Ti voglio. Se accetti... ti farò mio attendente personale... e perciò vivrai qui con me, quando io sono al campo. Tu sei sprecato a fare il vivandiere e a stare con Federigo. Se verrai a stare qui con me e mi darai questo tuo bel culetto, avrai begli abiti, mangerai bene, avrai un buon soldo e farò di te un valente soldato."
"Un soldato? Io? Non avrei nemmeno la forza di sollevare quello spadone." rispose con un sorriso incerto il ragazzo, continuando a non sottrarsi ai palpeggiamenti dell'uomo.
"So valutare gli uomini. Dovrai semplicemente allenarti, rafforzare il tuo corpo, mettere su muscoli... e ti assegnerò uno dei miei migliori soldati come maestro d'arme. T'ho visto, l'altro giorno, quando ti bagnavi al fiume con gli altri uomini... per questo ho deciso di chiederti di lasciare Federigo e di allietare le mie ore, invece che le sue."
"Voi mi onorate, capitano, però... mi confondete al tempo stesso. Federigo è sempre stato assai gentile, con me."
"Ma che ti può offrire, lui, oltre al suo giaciglio? Come mio attendente, e preferito, verrai a corte con me, avrai una bella vita. Ora sei poco più di un servo e invece, qui con me, sarai servito, rispettato."
"... se vi do il mio culo." sottolineò il ragazzo.
"Nessuno ha niente per niente. Suvvia, ragazzo, non fare il difficile. Ti sto offrendo un'ottima possibilità in cambio di poche ore di buon sesso. Non mi stare a fare la monachella. Tu dammi il piacere che mi abbisogna e io ti darò una bella vita. Non mi pare un'offerta poco conveniente."
"Mi dispiace lasciare Federigo. È sempre stato molto gentile, con me. Anche se la vostra offerta mi alletta, lo devo ammettere."
"Non siete mica maritati!" rise l'uomo con la sua caratteristica risata bassa e profonda. "Federigo si troverà un altro, non devi preoccuparti per questo. Che gli devi? Nulla."
"E... quando dovrei trasferirmi qui da voi?"
"Ora, subito. Darò ordine al superiore e al camerlengo di depennarti dalla lista dei vivandieri e di segnarti come mio attendente... se accetti le mie condizioni." disse l'uomo smettendo di palpare il sedere del ragazzo e sedutosi al tavolo, si accinse a mangiare.
"Posso... posso essere io a dire a Federigo di questo cambiamento?" chiese Ranuccio.
"Se vuoi... Vai, diglielo, poi torna qui. Questa notte stessa voglio fottere il tuo bel culetto."
Ranuccio uscì dalla tenda, andò a dire al vivandiere-capo che il capitano lo voleva come attendente personale e che perciò non avrebbe più lavorato ai suoi ordini, quindi andò a cercare Federigo. Lo trovò che stava mangiando la cena, davanti alla tenda, con i suoi uomini.
"Federigo, puoi venire un attimo in tenda? Ho da parlarti." gli disse.
"Ora? È cosa urgente?"
"Penso che lo sia..." rispose il ragazzo.
Entrati in tenda, Federigo gli chiese: "Allora? C'è qualche problema?"
"No... credo di no. Il capitano mi vuole come suo attendente personale... e nel suo letto. Perciò... ti devo lasciare, Federigo. Mi dispiace."
Il giovane caporale sedette quasi di schianto sul pagliericcio, guardandolo con espressione affranta.
"Hai... hai deciso così? Il capitano... t'ha costretto o è una tua scelta?"
"No... non m'ha costretto. M'ha fatto una buona offerta. E io... l'ho accettata."
"Ma io... io ti amo, Ranuccio. Io... io non vorrei perderti."
Il ragazzo lo guardò un po' sorpreso. "Tu mi ami? Ma che vai dicendo? Come può un uomo amare un altro uomo? E tanto più me... sai bene come vivevo, prima di incontrare te. Io... sono stato bene con te, mi piaceva stare con te, mi piaceva scopare con te. Ma devo pensare alla mia vita, Federigo. Mi dispiace... ma ho deciso."
"Non ripetere che ti dispiace. Se davvero ti dispiacesse, non avresti fatto questa scelta. Comunque... vedo che hai già deciso, perciò... che posso offrirti io, a parte il mio amore... che poco fa hai di fatto rifiutato? Vai, dunque e... buona fortuna, Ranuccio."
"Qualche volta, magari... io e tu si potrà ancora... Con te lo farò sempre volentieri, con te mi piace."
"No! Se starai con lui... con il capitano..." iniziò a dire con una certa veemenza il bel caporale, ma poi tacque, lo sguardo fisso a terra.
"Io, Federigo..."
"Vai... vai Ranuccio. Non credo che ci sia altro da dire." lo interruppe il giovane caporale, in tono sommesso.
Ranuccio uscì dalla tenda e si avviò verso quella del capitano. Anche se Federigo non ci credeva, a Ranuccio dispiaceva davvero avergli dato quella delusione, quel dolore. Ma d'altronde, come aveva giustamente detto il capitano, mica erano sposati, no? Mica gli aveva mai promesso che sarebbe stato con lui per sempre, no? L'anno passato assieme era stato bello, assai piacevole, d'accordo... Ma lui doveva pensare al proprio futuro. Se non ci avesse pensato da solo, chi l'avrebbe mai fatto per lui?
Entrò nella tenda del capitano, che stava terminando di mangiare. "Tutto fatto?" chiese l'uomo, forbendosi le labbra con il dorso della mano.
"Sì, capitano."
"Ottimo. Domani non ho impegni importanti, così ti spiegherò quali sono le tue incombenze qui dentro, come curare le mie armi, i miei abiti... eccetera. E inizierai gli allenamenti. Ho deciso di affidarti, per questo, a Masolino, il caposquadra degli arcieri, che sa il fatto suo. Non penso di poter fare di te un buon fante, sei troppo minuto di complessione, ma puoi diventare un buon arciere. E in battaglia rischi meno come arciere che come fante."
"Come comandate, capitano." disse il ragazzo restando ritto di fronte al tavolo.
Il capitano prese la brocca e bevve alcune sorsate di vino. Quindi scostò la sedia e fece cenno a Ranuccio di avvicinarsi. Lo prese per un braccio e se lo fece sedere in grembo.
"Ne hai presi tanti, qui in questo tuo bel culetto, Ranuccio?" gli chiese l'uomo.
"Beh... non pochi, capitano."
"E ti piace?"
"Quando chi me lo mette ci sa fare, sì, mi piace assai."
"E lo sai pure succhiare a modo?"
"Direi di sì, a giudicare dalla reazione di quelli a cui lo succhiavo."
"Ottimo. Non mi deludere e sarai contento di essere qui con me. È una promessa. Sì, ti ho osservato per un buon tratto e penso proprio di fare un buon acquisto, prendendoti qui con me."
L'uomo prese il volto del ragazzo fra le grosse mani dal dorso peloso, e lo baciò in bocca con veemenza.
Ranuccio pensò che Federigo sapeva baciare meglio... ma accettò la lingua dell'altro che gli frugava in bocca con prepotenza. Sentì risvegliarsi, sotto il suo sedere, la forte erezione dell'uomo, che gli premette contro. Poi il capitano lo sospinse via da sé, facendolo alzare nuovamente in piedi.
"Hai sentito che effetto mi fai? Ma adesso basta, ché tra poco arrivano qui i miei officiali. Libera il tavolo, porta le stoviglie ai vivandieri, poi torna qui. Prima, vieni, ti faccio girare la mia tenda e vedere dov'è il mio letto. Quando riceverò gli officiali, tu attendi lì fuori. Quando poi li vedrai uscire, vieni qui, denudati e mettiti sul mio letto ad aspettarmi."
"Dove dormirò, io? Devo portare qui il mio pagliericcio, capitano?"
"No, il mio letto è grande assai, dormirai lì, con me. Devi essere pronto a farti inculare, se mi sveglio di notte e mi viene di nuovo voglia. E... vedi di non farmi rimpiangere di non poter portare qui al campo mia moglie, ragazzo. Vedi di accontentarmi."
"Farò del mio meglio, capitano. Vedrete che non sentirete mai la mancanza di vostra moglie." gli disse con un sorrisetto malizioso il ragazzo.
Quando, più tardi, Ranuccio vide il superiore, il camerlengo e il notaio lasciare la tenda del capitano, vi si intrufolò dentro, si recò nella parte dove era il letto dell'uomo, si denudò e si stese sul soffice materasso, ad attenderlo.
Stava quasi per addormentarsi, quando sentì l'uomo entrare. Ser Nero s'accostò al letto e con una ruvida mano carezzò il corpo nudo del ragazzo, guardandolo con occhi accesi di libidine.
"Volete che vi tolga gli abiti di dosso, capitano?" gli disse Ranuccio con fare civettuolo.
"Non sono più un bambino, che diamine! Tu, piuttosto, ripiegali ad arte e appoggiali alla cassapanca, mentre me li levo."
Ranuccio scese agilmente dal letto e si dette da fare. Lo sguardo dell'uomo non lo lasciò per un solo attimo, godendosi la fresca e snella nudità del suo nuovo attendente. Quando anche l'uomo fu nudo, il suo membro fieramente eretto, prese Ranuccio sollevandolo come un fuscello, lo depose nuovamente sul letto, steso sul ventre, gli fece allargare le gambe e gli salì sopra.
Senza nessun preliminare, calò su di lui e lo prese. Gli si agitava addosso con maschio vigore, con metodo, a un ritmo sostenuto. Di tanto in tanto si fermava, forzava Ranuccio a girare il capo e lo baciava con forza. Dopo un poco si sollevava di nuovo, facendo forza sui gomiti e sui ginocchi, e ripendeva a fottere con vigore il suo nuovo attendente.
Questa ginnastica durò a lungo, ma infine l'uomo raggiunse l'orgasmo dentro al ragazzo, emettendo una specie di basso e lungo ruggito di soddisfazione.
Lievemente ansante, senza sfilarsi da lui, l'uomo disse: "Ah, sì, un'ottima cavalcata. Ne avevo davvero bisogno. E tu hai un culetto delizioso, lo sai prendere proprio bene, si sente che ci sai fare, che hai esperienza su come accontentare un uomo."
Ranuccio chiese: "Non rimpiangete di non avere qui, sotto di voi, vostra moglie, allora?"
L'uomo rise: "Per ora no. Ma devo ancora vedere se sei altrettanto bravo di bocca, ragazzo. Forse durante la notte, se mi verrà nuovamente voglia." Gli si tolse da sopra, si stese al suo fianco e gli disse: "Te lo puoi menare, ragazzo, se ne hai voglia. E non ti preoccupare di dove spruzzi, non mi dà nessun fastidio."
Ranuccio si girò sulla schiena e iniziò a masturbarsi, guardando il corpo nudo dell'uomo. Ser Nero stava steso, le braccia unite sotto la nuca, le gambe un po' divaricate. Aveva un corpo muscoloso, piuttosto peloso, specialmente sul petto e sulle gambe. Il membro, ora nuovamente soffice, era di buone dimensioni e stava appoggiato sul folto cespuglio di peli ramati del pube. Ranuccio pensò che il capitano, pur non essendo affatto un brutto uomo, non era però bello come Federigo.
Notò che l'uomo aveva capezzoli assai grandi, scuri. Si chiese se fossero sensibili come quelli di Federigo o i suoi... e se al capitano sarebbe piaciuto farsi stuzzicare lì. Avrebbe avuto tempo e modo di sincerarsene. Pur essendo un uomo maturo, doveva avere il doppio degli anni di Federigo, era assai ben fatto e quanto poteva mancargli di bellezza sul volto, era compensato da un fisico dalle proporzioni perfette e con muscoli forti e ben cesellati.
Ranuccio finalmente sentì tendersi tutti i muscoli e, emettendo un lievissimo mugolio, si scaricò lanciando in aria una serie di alti spruzzi lattiginosi.
Ser Nero scoppiò a ridere, guardando il ragazzo: "Zampilli come la fontanella che c'è nel giardino della Granduchessa!" disse divertito. Poi passò una mano sul corpo del ragazzo, dov'era ricaduto il seme, la portò al volto e ne aspirò l'odore. "Ottimo odore di maschietto!" osservò, e si ripulì la mano su una coscia. "Hai schizzato sette volte! Io solitamente o cinque o sei. Era da molto che non schizzavi, ragazzo?"
"Da stamane all'alba." disse Ranuccio rilassandosi sul morbido letto.
"E ne avevi di già tanta così? Ah, beata gioventù! Devi stare attento, se ti capita di fottere una donna, o rischi di farle generare solo gemelli, ogni volta!" rise nuovamente l'uomo. Poi aggiunse: "Però ci scommetto la mia spada che a te le donne proprio non interessano per nulla. Non è forse così?"
"Proprio così. Avete vinto la scommessa."
"Ah, non sai quel che ci perdi. A me piace cavalcare sia femmine che maschi. Sono due tipi di piacere differente, non saprei rinunciare a nessuno dei due. Specialmente se giovani come te. Già dalla mia prima volta... avevo giusto tre lustri d'età... lo feci con una ragazza e con suo fratello, uno dopo l'altra. Lei aveva sedici anni e lui quattordici. Cavalcavo uno e baciavo l'altra, cavalcavo lei e baciavo lui..."
"Erano amici vostri?"
"Amici? No... erano due servetti, in casa di mio padre. Quando ne avevo voglia, e capitava assai spesso, ordinavo loro di salire nella mia camera per fare le pulizie. Ci si chiudeva dentro e iniziava la festa. Poi regalavo loro una moneta a testa. Nessuno dubitò mai perché facessi pulire così spesso la mia camera!" concluse ridendo l'uomo.
"Posso farvi una domanda, capitano?"
"Tu provaci. Se non mi va, non ti rispondo."
"Prima d'oggi... non avevate un altro attendente. Con chi lo facevate?"
"Con una delle reclute, solitamente. Quando intuivo che non m'avrebbero detto di no, proponevo loro di venire qui e me li trombavo. Ma parecchi, pur facendosi montare da me senza problemi, non ci sapevano fare... non quanto te. Che facevate, tu e Federigo?"
"Capitano! Non racconterei mai a nessuno cosa fate voi con me... perciò non vi posso dire quello che si faceva Federigo e io."
"D'accordo. La riservatezza è una grande virtù. Mi piaci, Ranuccio, sì, mi piaci... e non solo il tuo bel culetto. Mi sei piaciuto fin dal primo giorno che ti vidi."
"E come mai ci avete messo un anno a propormi di farvi da attendente?"
"Per due ragioni. Una era che avevo fra le mani... o forse dovrei dire fra le gambe, una giovane recluta assai disponibile, anche se meno esperto di te. E l'altra ragione è che non ho mai fatto di queste proposte senza prima essere sicuro che l'altro fosse ben disposto."
"E questa recluta... non vi accontentava più?"
"No, semplicemente non l'ho fatto tornare a firmar la ferma. Nel mio letto non era male, anche se meno esperto di te. Ma in battaglia valeva assai poco. E poi, era troppo sicuro di sé, per il fatto che si faceva inculare dal capitano."
"Allora, se in battaglia io varrò poco, non mi farete rinnovare la ferma?"
"Mah... nel tuo caso, se tu volessi restare con noi, ti lascerei tornare a fare il vivandiere. E magari tornare con il tuo caporaletto, se nel frattempo non s'è fatto un altro ragazzo."
Il capitano era contento di essersi preso Ranuccio come attendente. Il ragazzo gli teneva in perfetto ordine la tenda, lo assisteva con attenzione, ed era sempre pronto a soddisfarlo ogni volta che gli veniva voglia di fottere.
Il corpo di Ranuccio, sottoposto a un continuo e severo allenamento, si rafforzò, sviluppando buoni muscoli, e divenne anche un buon arciere. Ebbe il suo battesimo sul campo, in uno scontro con i mercenari di un signore confinante con le terre del Granduca; battaglia vinta, senza troppe perdite, dalla Compagnia della Picca.
Ranuccio notò, in quei mesi, che Federigo lo evitava accuratamente. Non era troppo difficile, dato che Ranuccio o stava nella tenda del capitano, o si allenava con gli arcieri, quindi in una parte del campo diversa da quella in cui si allenavano i fanti. Le uniche occasioni in cui si incontravano era quando il capitano, con Ranuccio al fianco, convocava i caporali per qualche ragione.
Ma anche in quelle occaioni Federigo evitava il suo sguardo e anche di rivolgergli la parola. A volte Ranuccio aveva provato l'impulso di pararglisi davanti e di parlargli, ma non s'era mai deciso a farlo. Dopotutto, che cosa avrebbero potuto dirsi?
A differenza di quando era vivandiere, ora anche Ranuccio indossava i colori della Compagnia. Questo era importante, in battaglia, per distinguere senza tema d'errore i soldati amici da quelli nemici. Tutti i soldati della Picca indossavano lunghe calze di tela attillate e cucite a mo' di calzoni, con la brachetta nera e con una gamba verde e una azzurra, un farsetto bipartito con il verde e l'azzurro invertiti su cui indossavano la corazza o il pettorale, morbide uose nere ricascanti sulle gambe, e una calotta di panno nero in capo, ricoperta da placche di metallo.
Dopo la prima battaglia Ranuccio non ebbe più da andare con gli altri arcieri, ma restava accanto al capitano, assieme al vessillifero e al porta-ordini, e per questo aveva anche dovuto imparare a cavalcare. Il suo compito era proteggere il capitano da eventuali agguati o attacchi.
Dopo la battaglia, Ranuccio l'aveva presto notato, il capitano era sempre pieno di voglia di fottere e, a differenza delle altre occasioni, lo montava sempre due volte di seguito, con maggiore energia del solito, con un brevissimo intervallo fra l'una e l'altra monta. Il ragazzo capì che per l'uomo era quasi un'affermazione, una conferma, una celebrazione di essere ancora vivo.
Quando invece ser Nero tornava dalle sue rare e brevi visite a casa e alla propria famiglia, l'uomo si sfogava su Ranuccio con meno rudezza del solito... e spesso, mentre lo montava, gli diceva: "Ah, se solo mia moglie fosse brava la metà di te, a letto!"
Una notte, dopo una lunga sessione di sesso, il capitano disse a Ranuccio: "Sabato della prossima settimana devo andare alla corte del Granduca, perché suo figlio il duchino Aloisio compie tre lustri e sarà perciò investito come erede. Una grande festa. Tu verrai con me. Perciò vai dal superiore perché ti faccia fare un'uniforme nuova, degna dell'occasione."
"Davvero? Verrò a corte io pure?" chiese il ragazzo spalancando gli occhi.
"E che, sei sordo? Certo che verrai tu pure. Dovrai sempre stare alla mia sinistra, un passo dietro di me, pronto ai miei eventuali ordini, se servisse. Solo quando vi sarà il pranzo, tu andrai a mangiare nella sala riservata ai servi. Non potrai sedere alla tavolata del Granduca, tu, si capisce."
Venuto il giorno della "presentazione dell'erede", ché l'investitura era già avvenuta due giorni prima in cattedrale, Ranuccio, fiero nella sua uniforme nuova fiammante, montato a cavallo e seguendo il capitano, salì fino alla città e al palazzo del Granduca.
Il ragazzo, seguendo ser Nero, si guardava attorno con gli occhi spalancati: non aveva mai visto tanto lusso, tanta bellezza, e tanti uomini e dame abbigliati con preziosi broccati e sontuose vesti. Un'allegra confusione regnava per le sale e i corridoi del palazzo, e decine di servi si affannavano, lesti e silenti, a servire gli invitati.
Il capitano pareva conoscere tutti, o quasi, gli invitati e spesso si fermava a salutarli e a conversare brevemente con loro. Per la prima volta Ranuccio vide la moglie del capitano e i suoi figli. La donna era piuttosto bella, doveva avere circa dieci anni meno di Ser Nero. Aveva occhi penetranti e più volte Ranuccio si sentì a disagio sotto lo sguardo della "capitana" e si chiese se la donna sapesse, o immaginasse, che lui condivideva il letto di ser Nero assai più spesso di quanto lei potesse farlo. E che, per quanto ne sapeva, il capitano affermava di provare più soddisfazione a fottere lui che non la moglie...
Il capitano, tenuto a braccetto dalla consorte, stava parlando con un uomo anziano, dall'aspetto austero. Questi indossava una corta veste di broccato nero decorato a volute di foglie a diverse sfumature verdi con lievi sottolineature in ricami d'argento, con false maniche da cui si vedevano le braccia fasciate da maniche attillate di vellutino verde scuro a disegni in rilievo; da sotto la veste spuntavano gambe magre coperte da attillati calzoni color vinaccia, e aveva scarpette a lunga punta di morbida pelle nera. In capo aveva un cappello grande, verde scuro, con l'ala rialzata torno torno. Al petto gli pendeva un paio di occhialetti tondi, e una guaina da cui spuntava il manico ingemmato di un pugnaletto.
Sentì che il capitano lo chiamava "messer cancelliere" e, più tardi, lo senti chiamare dalla moglie del capitano "messer Ariberto". Ser Nero e l'uomo parlavano sottovoce, e il capitano pareva assai aggrondato. Ariberto s'era maritato in giovane età con una delle dame della granduchessa ma, prima che la sposa gli potesse dare un figlio, la giovane donna era morta e il cancelliere non s'era più voluto maritare.
Di tanto in tanto il cancelliere posava i suoi occhi su Ranuccio, ma quasi come se guardasse più oltre. Dopo poco l'anziano uomo si accomiatò, dicendo: "Vedremo... vedremo..." Quando si fu allontanato, Ranuccio sentì il capitano dire alla moglie: "Non può farmi questo! Più tardi chiederò udienza al Granduca e... vedremo, sì, vedremo davvero!"
"Quell'uomo è avido... devi solo offrirgli qualcosa che lo... amorbidisca, marito mio."
"E cosa mai? È uno degli uomini più ricchi del granducato, ed è lui che tiene i cordoni della borsa del granduca!"
"Il denaro non è tutto, marito mio..."
"Non mi piace scendere a patti, lo sai. E tanto meno ricorrere a mezzucci poco onesti. Io non sono un cortigiano, sono un uomo d'arme. O il granduca apprezza il mio servizio e lo dimostra, o vado a cercare, con la mia compagnia, un altro signore!"
"Oh no, marito mio! Mica dovremo di nuovo abbandonare tutto e sistemarci altrove, no? Qui si sta bene, e io non intendo assolutamente muovermi da queste terre, da questa città."
"Taci, donna! Tu farai come deciderò, che ti piaccia o no. Ma non temere, vedrai che il granduca mi ascolterà. Gli ho regalato troppe vittorie, perché voglia rinunciare ai miei servigi."
Ranuccio si chiese quale potesse essere il problema. Non era riuscito ad ascoltare abbastanza della conversazione fra il capitano e il cancelliere per capire di che cosa avessero discusso che aveva reso ser Nero così aggrondato.
Furono tutti introdotti nella sala del trono, dove avvenne la presentazione dell'erede. Aloisio era un ragazzetto snello e alto, con capelli castani alla nazzarena, e indossava uno splendido abito. Il suo sguardo era ritto e fiero, e contrastava con la sua giovane età. Non era particolarmente bello ma, e per il portamento e per gli abiti che indossava, faceva una bella figura, attraeva tutti gli sguardi.
Terminata la cerimonia, i convitati furono guidati dai servi nelle varie sale dove si sarebbe svolto il banchetto, perciò per la prima volta Ranuccio si separò dal capitano. Con altri ospiti di minore importanza, fu guidato fino a un'ampia sala dai soffitti decorati a stucco e le pareti affrescate, in cui erano pronte otto lunghe tavole imbandite, ciascuna a dieci posti.
S'era appena seduto, quando accanto a lui sedette un ragazzo più o meno della sua età. Questi, guardandolo con curiosità, gli chiese: "E tu, chi sei?"
"Ranuccio..."
"Sei uno dei soldati di ventura del nostro signore?"
"Sì, sono l'attendente del capitano. E tu?"
"Sono uno dei paggi del conte Gianbernardo, il cugino del Granduca."
"Se sei un paggio, anche la tua famiglia deve essere nobile." notò Ranuccio, un po' intimorito.
"Sì... ma nobiltà minore, come si suole dire. Mio padre è soltanto un barone. E tu? Che attività svolge la tua famiglia?"
"Tira a campare. Sono anni che non li vedo più. Me ne sono andato di casa quando avevo quattordici anni."
"Hai una bella apparenza, se tu indossassi abiti eleganti, e se sapessi parlare in modo più raffinato... potresti anche passare per un nobile."
"Anche se l'agnello si copre con una pelle di lupo... continua a belare." gli disse Ranuccio con un sorrisetto lieve.
L'altro ridacchiò: "Su questo non ti posso contraddire. Lo sai che hai un sorriso affascinante? Mi piacerebbe poterti conoscere più... da presso."
"Più vicino che così... dovresti sederti sulle mie gambe!" gli disse Ranuccio pensando di intuire il messagio che l'altro gli stava lanciando.
Infatti l'altro, a bassa voce, gli disse: "Per l'appunto... lo farei volentieri assai, se tu e io fossimo soli. Non ci si potrebbe trovare, da qualche parte?"
"Non credo. Io devo sempre stare accanto al mio capitano. Anche in battaglia."
"Un vero peccato. Con te, mi sarebbe gradito... confrontarmi anche sul campo di battaglia."
Sempre a bassa voce, Ranuccio gli disse, con un sorrisetto malizioso: "Non sapevo che tu chiamassi campo di battaglia quello che io chiamo... letto!"
L'altro rise: "Davvero un peccato. Mi sarebbe piaciuto molto poter sfoderare le nostre armi per affrontarci in un piacevole duello."