La giornata era molto calda. All'ombra della tenda del capitano, questi stava affilando la propria spada, mentre Ranuccio lucidava l'armatura da parata di ser Nero; entrambi erano a petto nudo.
"Non sarebbe meglio se vi coprite, capitano? Da un momento all'altro il cancelliere del granduca dovrebbe arrivare..."
"E mi vedrà così! Non vedo perché devo sudare, per la sua brutta faccia. Qui è il mio posto, non il suo, e si deve adeguare alle mie abitudini, non io alle sue!"
"Ma se volete... ammorbidirlo... non sarebbe meglio non contrariarlo ricevendolo in modo così... informale?"
"Ma per il cazzo di Satanasso! No! Piantala di dirmi come devo fare."
"Non v'arrabbiate con me, capitano... Ma piuttosto, ditemi, quando arriva mi volete qui o devo uscire?"
"Resta qui. No, forse è meglio se esci, invece. Parlerà più liberamente, se siamo a quattr'occhi. Quel barbagianni maledetto! Ci servirai quel vinello che t'ho detto, poi uscirai."
"Però, almeno io... sarà meglio che mi metto qualcosa addosso, no?" propose il ragazzo.
"No. Tu resti così, come me. Sono tutti mezzi nudi i miei uomini, con questo caldo maledetto. Non vedo perché non anche io e tu."
Ranuccio annuì. Non aveva mai visto il capitano così irritato. Rimise a posto l'armatura da parata, perfettamente ripulita e scintillante, sul trespolo.
"Ecco fatto. Che devo fare, ora, capitano?" chiese il bel ragazzo.
Ser Nero lo guardò e fece un sorriso divertito: "Se ti dico quello che mi piacerebbe farti fare per me, ora... forse sarebbe troppo per messere il cancelliere!" disse e rise.
"Posso farlo appena se ne va, se volete." gli disse Ranuccio, lietamente.
"Ah, buongustaio! Guarda, già mi si sta gonfiando la brachetta, solo all'idea. Per la madonna dei sette dolori, se solo sapessi come fare a fargli cambiare idea! Ma se crede di mettermelo in culo, si sbaglia di grosso, quel corvaccio. Vedremo chi lo metterà in culo all'altro!"
"Voi siete un maestro a metterlo, capitano!" gli disse Ranuccio in tono malizioso. "Vedrete, otterrete quello che vi sta a cuore, ne sono sicuro."
"È un osso duro... chissà..."
In quella uno dei soldati di sentinella davanti alla tenda del capitano entrò: "Capitano, il cancelliere sta giungendo."
"Fallo entrare subito."
"Subito?" chiese il soldato un po' stupito. "Non volete avere il tempo di rivestirvi?"
"Pure tu ti ci metti? Fuori dai coglioni, e obbedisci!" tuonò il capitano alzandosi in piedi e infilando la spada nel fodero.
Dopo poco il soldato tornò, scostò la falda della tenda e annunciò: "Messere Ariberto, cancelliere del Granduca!"
L'uomo entrò, tenendo gli occhialetti in mano e si fermò interdetto, spostando più volte lo sguardo dal petto nudo del capitano a quello di Ranuccio.
"Sono forse in anticipo, ser Nero?" chiese in tono acido.
"Tutt'altro, siete puntuale come la morte! Entrate, sedete pure. Ranuccio, una sedia per messer cancelliere. Poi porta quel buon vino che sai. Sedete, sedete, cancelliere, e se vi volete togliere qualcosa di dosso voi pure, con questo caldo opprimente, fate senza complimenti!" disse in tono vagamente ironico il capitano, sedendo a sua volta.
"Ci mancherebbe altro..." mormorò il cancelliere sedendo.
Ranuccio soffocò a stento una risatina e andò a prendere la caraffa del vino e due calici. Posò tutto sul tavolo, versò il vino nei calici, poi lasciò la tenda come gli aveva ordinato il capitano.
Questi sospinse uno dei calici verso l'ospite.
"Allora, messer Ariberto, spero che mi portate buone nuove..." disse guardandolo fisso negli occhi.
"Ditemi, capitano... quel vostro attendente... da molto è al vostro servizio?"
Il capitano fu un po' spiazzato da quella domanda. "Ranuccio? Poco più di un anno. Perché?"
"L'avevo già notato alla cerimonia della presentazione. Mi pare un ragazzo di un certo... valore."
"Non posso certo lamentarmi di lui... ma veniamo ai nostri affari."
"Sì, certo... e vi soddisfa... in ogni modo, codesto Ranuccio?"
"Mi... soddisfa? Che intendete dire?"
"Ecco, ho esaminato la vostra richiesta. Aumentare il soldo che il granduca vi elargisce di ben duecentotrenta scudi... è una richiesta assai alta. Sapete che l'oro non cresce sugli alberi."
"Se così fosse vi sareste messo a fare il contadino, ci scometto. Bando alle ciance, direte al granduca che si può fare o no?"
"Quanti anni ha, codesto vostro Ranuccio?"
Il capitano scosse la testa: "Ma che c'entra lui?" tuonò, "Volete una buona volta rispondere alla mia domanda?"
"È obbediente? Disponibile? Vi serve a modo? Soddisfa ogni vostra richiesta?" snocciolò il cancelliere guardando dritto negli occhi l'altro.
"Ma sì, ma sì, non capico però..."
"Anche richieste, per così dire, inusuali?"
"Ma sì! Ma a che gioco state giocando, messere?" chiese l'uomo spazientito.
"Io sono un uomo di mondo, capitano, e so che spesso un paggio, un attendente, un cameriere... sono in realtà qualcosa d'altro. Quel ragazzo mi interessa assai. Vi propongo perciò un baratto: fatelo venire al mio servizio, e il granduca per certo accetterà la vostra richiesta."
"Al vostro... servizio? Volete dire che... Voi vorreste..."
"Vi è così difficile dirlo? Se il ragazzo sarà al mio servizio... se potrò godere della sua persona..."
"Se potete fottere con lui, intendete dire?" chiese il capitano sgranando gli occhi, incredulo.
"Beh... non lo fa forse con voi? Da quanto sono venuto a sapere... direi di sì. Accettate la mia proposta?"
"Oh cazzo! Ma Ranuccio non è mica cosa mia, che ve la posso passare così... per un baratto!"
"No, certo... ma saprete ben convincerlo, visto l'ascendente che notoriamente avete sui vostri uomini. Tutto sommato, voi rinunciate ai suoi servizi ma ci guadagnate duecentotrenta scudi ciascun mese. Mi pare un ottimo baratto."
"Un bel baratto davvero, io rinuncio ai suoi servizi, ma gli scudi li sgancia il granduca, mica voi! E poi, non posso certo costringerlo."
"Ma no, costringerlo no, s'intende. Solo... convincerlo. Convincerlo facendogli intendere che per lui sarebbe un buon guadagno venire al mio esclusivo servizio, nel mio palazzo. Che futuro gli potete offrire voi, a parte morire con gloria sul campo di battaglia? E che presente... pochi scudi ogni mese? Se voi gli fate intendere che, servendo me, avrà il doppio del suo attuale soldo... e una vita assai più agevole..."
"Non è cosa mia, v'ho detto!" rispose in tono accigliato l'uomo.
Il cancelliere si alzò. "Questa è la mia ultima offerta, l'unica possibilità che vi offro. Se entro domani si presenterà al mio palazzo... avrete l'aumento richiesto. Se no..."
"Dimenticate che posso sempre offrire il mio servizio a un altro signore."
"E credete che sia così facile? E pensate che otterrete un soldo così generoso? Non vi faccio così ingenuo. Comunque... padrone di fare come credete. Entro domani sera, non dimenticatelo."
"E se io dicessi al granduca che voi mi avete fatto questa..."
"E a chi pensate che crederà, a me che lo servo con devozione ed efficacia da più di quattro lustri, o a voi che lo servite da un solo lustro e che siete pronto a offrire i vostri servizi ad altri signori? Suvvia, so che non siete così ingenuo. Entro domani sera, capitano. Che dio vi assista." disse l'uomo alzandosi dallo scanno e, fatto un cenno di saluto con un sorrisetto di degnazione, uscì dalla tenda.
Ser Nero restò immobile, in silenzio, per diversi minuti, chiedendosi che cosa dovesse fare. Purtroppo aveva ragione il cancelliere, non era così facile trovare un altro ingaggio, e meno ancora ottenere la somma che voleva. Era ancora immerso nei suoi dubbi, quando Ranuccio s'affacciò, sorridente, nella tenda.
"Sono qui, capitano! Se ora volete..."
L'uomo lo guardò, poi gli indicò lo scanno lasciato vuoto dal cancelliere. "Siedi lì, Ranuccio. Abbiamo un discorso da fare, io e tu. Lungo e difficile."
Il ragazzo, notata l'espressione scura dell'uomo, divenne serio e sedette, a disagio.
"Per san Giorgio e il suo drago! Non so da che parte cominciare. Ranuccio, io sono... voglio dire... Io non t'ho mai costretto a fare nulla."
"Costretto? No, mai." rispose il ragazzo senza capire.
"E anche gli ordini che t'ho dato... non sono mai stati ordini... che t'hanno creato problemi, no?"
"No, certo, mai." disse il ragazzo scrutando, perplesso, l'espressione dell'uomo.
"E tanto meno ora io ti voglio costringere a fare quanto non vuoi o dare ordini che non ti senti di eseguire."
"Ma voi siete il capitano e..."
"Sono il capitano di un soldato, non sono il padrone di un uomo, c'è differenza. Quanto devo dirti... non ha niente a che fare col tuo dovere di soldato."
"Capisco. Di che si tratta?"
"Sei pienamente libero di dirmi di no..."
"D'accordo."
"Il cancelliere... gli scudi in più che gli ho chiesto... Lui è un uomo assai ricco e potente... Ha un palazzo che è secondo solo a quello del Granduca... È vero che è anzianotto, credo che ha una decina d'anni più di me..."
"Ma ha detto di sì alla vostra richiesta?" domandò il ragazzo, sempre più confuso per l'evidente, e inusuale, esitazione del capitano.
"Ha posto una condizione che... che non sta a me accettare. D'altra parte, non posso pretendere che tu... Io te ne sarei grato, apprezzerei.. però non posso chiederti... e tanto meno ordinarti..."
"Capitano, volete per favore dirmi qual è il problema, una buona volta? Io non ci capisco niente di niente, finché ci girate attorno. E non riesco proprio a immaginare cosa mai c'entro io..."
"T'ha messo gli occhi addosso, ecco cos'è!" sbottò l'uomo, diventando rosso in volto. "Ti vuole al suo servizio, e in cambio... in cambio mi fa assegnare il soldo che gli ho richiesto!"
"Io? Al suo servizio? Volete dire che..."
"Che vuole fottere con te. Ti vuole nel suo palazzo entro domani sera, ti dà il doppio del soldo che prendi ora qui con me, e mi fa avere quanto gli ho chiesto... solo se tu accetti di fottere con lui!" tuonò il capitano, sempre più rosso in volto.
Ranuccio aprì la bocca e lo guardò stupito.
"Io, cioè, dovrei..."
"Tu non devi proprio un bel niente! Sei completamente libero di dire di no, se vuoi."
"Ma se io dico di no... lui non vi fa dare dal granduca gli scudi che avete chiesto, non è così?"
"Sì, è così. Ma tu sei completamente libero." ripeté l'uomo.
Ranuccio lo interruppe: "Capitano... voi sapete bene che lavoro facevo, quand'ero sguattero nella locanda, prima di unirmi alla vostra compagnia di ventura. Qui con voi sono stato bene, davvero. Ora, che m'importa doverlo fare con quell'uomo, accontentarlo a letto, se questo vuol dire per me guadagnare bene, e per voi avere quanto avete chiesto per la compagnia di ventura?"
"Tu... accetteresti?" chiese il capitano visibilmente stupito.
"E perché no? Certo, è vecchio, e anche bruttino, devo dire. Ma ho avuto occasione di farlo con uomini anche meno attraenti di lui. Dire di no... sarebbe andare contro i miei e i vostri interessi, no? E poi... voi vi troverete un altro ragazzo, ne sono certo. Se a quello... gli ha preso la fregola per me... perché non approfittarne? Perché fate quella faccia, dunque? Il vostro problema è risolto. Entro domani sera io sarò nel palazzo del cancelliere e voi avrete gli scudi che gli avete chiesto. Tutto bene, non è forse vero?"
"Sei... generoso, ragazzo."
"No, so cosa mi conviene fare. E se questo porta un beneficio anche alla compagnia, perché no?"
Così Ranuccio, il giorno seguente, salutato il capitano e tutti gli amici che s'era fatto, escluso Federigo che non riuscì a trovare, lasciò l'accampamento, salì in città e andò a bussare al portone del palazzo del cancelliere del granduca.
"Chi sei? Che vuoi?" gli chiese il portiere.
"Messere il cancelliere mi attende. Digli che c'è alla porta Ranuccio, il soldato di ventura."
"Aspettami qui..." gli disse l'uomo e salì lo scalone. Tornò dopo poco: "Seguimi." disse e lo portò al primo piano dove l'introdusse in una stanza lussuosamente arredata. "Aspetta qui, fra poco il cancelliere verrà. E non toccare niente!"
Ranuccio si guardò attorno affascinato. La stanza era illuminata da due ampie finestre a crociera. Un caminetto spento, con un alto mantello decorato da stucchi dorati rappresentanti la battaglia dei giganti era sulla parete di fronte, fra due porte chiuse. Colonne di marmo rosato addossate alle pareti delimitavano porte finemente scolpite e le finestre. Un ampio tavolo coperto da un drappo di prezioso lampasso, con su alcune carte tenute ferme da una statuetta di bronzo, coricata, rappresentante un uomo a cavallo, uno scanno, una cassapanca e quattro savonarole, arazzi alle pareti, un ampio candelabro tondo pendente dal soffitto affrescato e candelieri su mensole, uno scaffale aperto ricolmo di volumi legati in pelle con fregi d'oro...
Una delle porte si aprì ed entrò il cancelliere. Richiuse la porta alle sue spalle e, Ranuccio notò, fece scorrere il chiavistello. L'uomo guardò il ragazzo con un lieve sorriso soddisfatto, da capo a piedi, più volte.
"Dunque, sei venuto. Il bravo capitano ti ha convinto a passare al mio servizio. Molto bene. Ranuccio, ti chiami, non è vero?"
"Sì, messere."
"Ma... il capitano... t'ha spiegato bene... esplicitamente perché ti voglio al mio servizio, non è vero?"
"Certo, messere, molto esplicitamente. Sono a vostro completo servizio."
"Molto bene... molto bene. E sei pronto a iniziare... subito a svolgerlo?"
"Ora e ogni volta ne avete voglia."
"Già. Allora... denudati, ragazzo, voglio vedere quanto hai da offrirmi."
Senza battere ciglio, Ranuccio iniziò a togliersi di dosso l'uniforme, deponendo i panni, a uno a uno, sulla cassapanca. Man mano che il suo corpo veniva così esposto alla vista dell'uomo, gli occhi di questi si coloravano di crescente libidine. Quando il ragazzo fu completamente nudo, l'uomo gli si accostò, gli soppesò il membro con una mano e disse, quasi in tono reverenziale: "Ottime dimensioni, sì... E ancora non è eretto... Lo sai usare a modo, ragazzo?"
"Se vi va di provare a vedere se funziona bene..." gli rispose Ranuccio con un sorrisetto, "avete solo da dirmi come volete che lo uso."
Messer Ariberto prese per un gomito il ragazzo e lo portò con sé fino allo scanno, su cui sedette. Quindi pose entrambe le mani sulle natiche del ragazzo e lo tirò a sé, iniziando a lavorargli il membro con la bocca, finché riuscì a farlo rizzare completamente e diventare ben duro.
Quando fu soddisfatto, si alzò di nuovo, guidò Ranuccio fino accanto al tavolo, si sollevò la parte posteriore della lunga veste di seta damascata, sotto cui non indossava nulla, e si chinò sul tavolo, poggiandovi il petto.
Girò il capo verso il ragazzo: "Dai, ragazzo, fammi vedere come lo sai usare!"
Il ragazzo gli si pose dietro, lo afferrò per la vita e con poche spinte esperte, gli affondò completamente dentro, mentre l'uomo mugolava ad alta voce.
"Oh, sì... sì... così... bravo... Ecco, adesso batti, batti, datti da fare!"
Ranuccio sorrise, e iniziò a battergli dentro con vigore.
"Più forte, più forte... sì... sì... così... bene... più forte... più a fondo..."
Il pesante tavolo sobbalzava a ogni colpo del ragazzo, e a ogni spinta l'uomo mugolava felice, dimenando il bacino per sentirlo meglio.
"Quando stai per... godere... fermati. Non voglio... che duri... troppo poco!" ordinò l'uomo.
Ranuccio lo accontentò e fece durare a lungo quella prima, vigorosa monta. Finché sentì che l'uomo stava ragiungendo l'orgasmo e infatti il cancelliere gli disse, con voce quasi stridula: "Adesso... adesso... riempimi! Ingravidami!"
Al ragazzo venne da ridere a quest'ultimo ordine, ma si lasciò andare e finalmente poté raggiungere il proprio godimento. Quando l'uomo si rizzò e si ricompose, guardò compiaciuto il corpo ancora nudo del ragazzo.
"Ottimo... sì, un ottimo acquisto, non ne dubitavo. Proprio come piace a me, proprio come speravo."
"Posso rivestirmi, ora?"
"No, non ancora... fra poco." rispose l'uomo sedendo di nuovo sul suo scanno. "Avevo pensato di fare di te il mio cameriere, ma... così non potrei portarti a palazzo quando devo svolgere là il mio compito per il granduca. No... ti voglio a disposizione anche là... Ti voglio a disposizione ovunque... Sai leggere e scrivere, ragazzo?"
"No, messere."
"Peccato. Però... potresti imparare. Chiederò al mio segretario di insegnarti... così farò di te il mio scrivano... sì, ottima idea. E ti farò fare un abito più acconcio al tuo nuovo lavoro... Ottimo, ragazzo. Tu sì che sai dare soddisfazione a un uomo... piena soddisfazione, sì." annuì tutto lieto l'uomo.
"Quali saranno i miei compiti al vostro servizio, messere?"
"A parte il principale, che è quanto hai appena fatto... mi farai da scrivano, come t'ho detto. Ranuccio... mi piace il tuo nome. Userai per me la penna... e il pene." ridacchiò l'uomo soddisfatto per il proprio gioco di parole.
"Il pene, messere? Di che attrezzo si tratta?" chiese Ranuccio che non aveva mai sentito quel termine.
"Questo attrezzo!" gli disse l'uomo carezzandoglielo. "Pene, fallo, nicchio, batacchio, cetriolo, organo, sesso, mentula, cannella, fringuello... ha tanti nomi quasi quanti sudditi ha il nostro granduca!" concluse ridacchiando.
"Posso vestirmi, ora, messer Ariberto?"
"Ma sì, sì, vestiti ora. O mi fai di nuovo venir voglia. Quando ti sei rivestito, tira quel cordone di seta, così faccio venire il mio intendente che ti assegni una stanza e ti faccia fare abiti più acconci."
Così Ranuccio iniziò la sua vita nel palazzo di messer Ariberto, cancelliere del granduca. I primi tempi dovette "accontentarlo" anche due o tre volte al giorno, poi l'uomo si calmò un poco, sì che in media lo doveva fare una volta al giorno. A differenza di Federigo e di ser Nero, il cancelliere non lo voleva nel proprio letto, così Ranuccio poteva dormire tranquillo nella camera, non lussuosa, ma comunque bella e comoda, che gli era stata assegnata.
Sotto l'attenta guida del segretario, Ranuccio imparò, con meno difficoltà di quanto temesse, a leggere e scrivere correntemente. Presto ebbe anche un discreto guardaroba di abiti semplici ma eleganti e colorati, all'ultima moda, che mettevano nel debito risalto le sue grazie fisiche.
A messer Ariberto piaceva sempre farsi prendere come la prima volta, in pieno giorno, piegato a novanta gradi su un tavolo, e più Ranuccio gli batteva dentro con vigore, più l'uomo era felice e apprezzava la prestazione di Ranuccio. Ogni volta l'uomo raggiungeva un forte orgasmo senza toccarsi, solo per il piacere della monta che riceveva.
Quando Ranuccio fu in grado di leggere senza difficoltà, iniziò, nei momenti in cui non aveva altri impegni, a leggere uno dopo l'altro i libri che trovava nel palazzo del cancelliere. Alcuni li riponeva quasi subito, trovandoli o noiosi o troppo difficili, ma altri, di solito quelli di storia o di novelle, li leggeva con piacere dalla prima all'ultima pagina.
Poi imparò anche a fare di conto, e la matematica, sia pure non di alto livello, gli sembrò quasi un divertente passatempo. Ranuccio, come spesso capita agli analfabeti, era dotato di una buona memoria, che non perse, anzi rafforzò in questo periodo di istruzione e di studi, per quanto disordinati e senza una guida.
Essendo ufficialmente lo scrivano del padrone, la posizione di Ranuccio a palazzo era superiore a quella dei servi, anche se era inferiore a quella degli altri abitanti del palazzo. Anche il fatto che il cancelliere lo voleva assai spesso con sé gli dava, di riflesso, un certo prestigio.
Un po' gli mancavano, ora, gli allenamenti a cui era sottoposto all'accampamento della compagnia di ventura, anche se era lieto di non dover più andare sui campi di battaglia. Così a volte nei momenti di tempo libero, nonostante non gli fosse richiesto, si prestava ad aiutare i servi a trasportare oggetti pesanti, a spaccare la legna per i caminetti o per la cucina. I servi presero per ciò a ben volerlo.
Per certi aspetti, valutando solamente la propria soddisfazione fisica, gli piaceva di più ora che era lui a dover svolgere la parte attiva, che non quando doveva sottostare alle voglie del capitano. Però il capitano gli piaceva più del cancelliere come persona e come personalità. Il cancelliere, pur non essendo veramente una persona disonesta, pensava prima di tutto al proprio tornaconto e per ciò scendeva spesso a poco puliti compromessi. Il capitano, invece, pur nella sua rudezza, era una persona onesta. Certamente, comunque, Federigo era stato di gran lunga il migliore di tutti e tre.
A volte si chiedeva se il bel caporale l'avesse dimenticato, o se addirittura lo odiasse. D'altronde, né il capitano, né tanto meno Federigo, gli avrebbero potuto offrire una vita comoda e piacevole come quella che stava avendo da quando viveva nel palazzo di messer Ariberto.
Un giorno Ranuccio era a corte con il cancelliere, e lo seguiva portando la cartelletta di cuoio contenente alcuni documenti che l'uomo doveva sottoporre alla firma del Granduca, quando il marchese Cesare, accompagnato da suo figlio Tomaso, fermò nel corridoio messer Ariberto, con cui iniziò una fitta conversazione, sottovoce.
Ranuccio osservò il giovane Tomaso, che stava guardando fuori da una delle finestre, e che doveva avere circa un lustro più di lui. Era, il figlio del conte, un giovane dai tratti fini, aveva un corpo forte ma snello, era molto avvenente, sensuale e aveva modi e abiti assai eleganti.
A un tratto il giovane conte si staccò dalla finestra e si girò: il suo suardo incontrò quello di Ranuccio, che subito guardò altrove, sentendosi leggermente confuso nell'essere stato sorpreso a guardarlo.
Tomaso percorse i pochi passi che li dividevano e, giunto acccanto a Ranuccio, gli chiese sottovoce: "Sei al servizio del cancelliere, tu?"
"Sì, signore. Sono il suo scrivano." rispose il ragazzo, guardando di nuovo negli occhi l'altro.
"E qual è il tuo nome?"
"Ranuccio, signore."
"Non t'avevo mai visto, prima. È da molto tempo che sei al servizio di messer Ariberto?"
"Da quattordici mesi, poco meno."
"E... dimmi, Ranuccio... ti piace il lavoro di scrivano... per il cancelliere?"
Il ragazzo lo guardò un po' sorpreso per la domanda. "È... un lavoro. Qualsiasi lavoro, fatto con coscienza, è fatica e soddisfazione al tempo stesso."
"Vorresti sostenere, quindi, che un lavoro vale un altro?" gli chiese il giovane con un sorriso divertito.
"Non proprio. Certamente fare lo scrivano è meglio che fare il servo... e fare il servo è meglio che fare il contadino. Se non altro, perché diverso è il guadagno e quindi diverso è anche l'agio che se ne può ottenere."
"E che lavoro ti piacerebbe fare, Ranuccio."
"Non so... forse il papa o l'imperatore." rispose allegramente il ragazzo. "Ma più l'imperatore che il papa."
Tomaso rise: "Quelli non sono lavori... Sono funzioni. Così come essere marchese, conte o granduca."
"Allora preferirei avere una funzione piuttosto che fare un lavoro." ribatté Ranuccio.
"E perché preferiresti essere imperatore più che papa?" gli chiese il giovane aristocratico, divertito.
"Perché il papa, almeno per quel che ne so io, dovrebbe osservare il voto di castità." rispose prontamente Ranuccio.
"E a te ripugnerebbe doverlo osservare." disse il giovane marchese con un sorrisetto malizioso.
"Assolutamente!" esclamò il ragazzo, rendendogli lo stesso sorriso.
Il marchese chiamò il figlio e Tomaso, fatto un cenno di saluto, si allontanò con il padre. Ranuccio seguì il cancelliere, pensando che con il bel Tomaso avrebbe volentieri violato cento voti di castità.