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una storia originale di Andrej Koymasky


L'IRRESISTIBILE ASCESA CAPITOLO 7
DA SCRIVANO A SEGRETARIO

Tomaso, oltre ad andare quasi tutte le notti nelle stanze, o per meglio dire nell'accogliente letto, di Ranuccio, presto iniziò a insegnargli, come gli aveva promesso, le buone maniere, l'etichetta, e anche come curare il suo linguaggio. Inoltre il giovane marchese, ogni volta che ordinava un nuovo abito per sé, ne faceva fare anche uno nuovo per Ranuccio, che in breve ebbe così una dotazione di diversi abiti assai eleganti.

Un paio di volte la settimana, Tomaso portava Ranuccio ad allenarsi con lui nell'armeria del palazzo, dove i due giovani non solo si allenavano fra di loro nell'uso delle armi, ma erano anche assistiti da un valente maestro d'arme, sì che presto Ranuccio riprese a pieno una perfetta forma fisica.

Ranuccio non vide mai Lando portare nella propria cameretta Marzio, ma sapeva che approfittavano della sua offerta ed entrambi i ragazzi erano assai affezionati a Ranuccio e sempre attenti e pronti a servirlo e compiacerlo in ogni modo. Marzio era meno grazioso, fisicamente, di Lando, ma aveva occhi assai vispi e sempre allegri, che rendevano il suo volto gradevole.

Un giorno Lando fece capire a Ranuccio che, se l'avesse desiderato, lui si sarebbe prestato volentieri a dargli piacere. Ranuccio lo ringraziò, ma rifiutò l'offerta, poiché aveva intuito che fra i due ragazzi c'era qualcosa di più profondo che non solo la voglia di divertirsi assieme.

D'altronde gli bastavano le appassionate notti passate con Tomaso. Anche se questi, s'accorse presto Ranuccio, si curava più del proprio piacere che non di quello dell'altro, le ore passate assieme sul letto erano pur sempre assai piacevoli e pienamente soddisfacenti.

Tomaso aveva un'intelligenza poco profonda o per meglio dire non particolarmente brillante, ma sopperiva a questo con una certa astuzia e con una profonda cultura. Un tratto che il giovane marchese aveva in comune con il cancelliere era la dubbia onestà. In realtà nessuno dei due poteva veramente essere reputato disonesto, ma pur di ottenere quanto volevano, entrambi usavano mezzi non sempre veramente leciti: avevano, per così dire, una coscienza piuttosto elastica.

Quando Ranuccio ebbe imparato le belle maniere ed ebbe un guardaroba sufficientemente fornito, Tomaso iniziò a portarlo con sé a feste, a balli, a battute di caccia e anche a corte.

Fu in occasione delle sue visite nel palazzo del Granduca che Ranuccio incontrò nuovamente, dopo alcuni mesi, il cancelliere. L'anziano uomo prese in disparte il suo antico scrivano.

"Ho saputo che sei diventato niente di meno che il segretario personale del marchese Tomaso... E sento che addirittura ora ti si chiama ser Ranuccio. E vedo che ti veste come un damerino... Com'è, se con me non funzionavi più, che ora pare che tu sia nuovamente nel pieno delle tue funzioni... fisiche?" gli chiese con malcelato sospetto e una certa acredine nel tono.

"Vedete, messer Ariberto, che ora io purtroppo non funzioni più come un tempo, pare sia stata la mia fortuna... Perché infatti ora sono io che mi piego sul tavolo come tanto piaceva fare a voi con me, e così posso dimostrare tutta la mia gratitudine al mio giovane padrone per le tante attenzioni che ricevo." mentì il ragazzo.

"Vuoi dire che... continui a non funzionare? E che ora sei tu a... a svolgere la parte recettiva?"

"Così è, che altro non posso più fare. E quel che è peggio... quando servivo voi, per lo meno, voi raggiungevate l'agnognato piacere, a un certo punto. Io... neppure quello." disse il ragazzo con espressione falsamente afflitta. "E dato che quel piacere mi è ormai precluso... non mi resta che questo per consolarmi: sfoggiare begli abiti. Ma voi, piuttosto... mi auguro che abbiate potuto sostituirmi senza problemi..."

"Beh... sì... Ho avuto questa fortuna."

"Non vedo, però, nessun nuovo scrivano al vostro seguito."

"No, è troppo rozzo per sperare di farne uno scrivano. Sarebbe come trarre sangue da una rapa. L'ho messo a fare lo stalliere nel mio palazzo. Svolge bene il suo compito."

"Volete dire che è un bravo stalliere?" gli chiese con finta ingenuità Ranuccio, divertendosi.

"Ma no! Cioè, sì, anche quello... ma intendevo... nel chiuso del mio studiolo... quando gli chiedo quell'altro... servizio."

"Ah, capisco. Me ne rallegro assai. E lo svolge bene... ve lo mette in culo proprio come voi volete?"

L'uomo lo guardò un po' sorpreso per la domanda ardita e il linguaggio volgare, ma poi una luce brillò nei suoi occhi: "Oh sì... e svolge il suo servizio anche meglio di te, Ranuccio e ha una... dotazione più notevole della tua. Riesce ad accontentarmi anche più volte al giorno... è sempre pronto, sempre in tiro, sempre traboccante di virile energia!"

"Ottimo, ottimo davvero. Me ne rallegro per voi. Dunque, cancelliere, pare che ci abbiate guadagnato nel cambio... e anche le vostre finanze, immagino: uno stalliere non è pagato come uno scrivano."

"Non lo pago affatto, infatti. Gli do cibo e alloggio e un abito vecchio di tanto in tanto e lui è contento. È un giovane semplice, senza pretese."

"Già, già, ottimo davvero. Lo stalliere è contento e vi accontenta. Che si può voler di più dalla vita, messer Ariberto! Dite che è giovane il vostro stalliere? Qual è la sua età?"

"Poco meno di quattro lustri."

"E, ditemi, se mi permettete una domanda, come e dove siete riuscito a trovare una... perla sì rara?"

"Non lo definirei una perla, ma una pepita d'oro grezzo. Lo trovai per puro caso, e grazie a un mio antico compagno di studi e di... divertimenti dei tempi in cui si studiava all'università di Bologna. Il mio amico ora è magistrato alla giustizia nel territorio del signore di Montefeltro. Il povero ragazzo era stato imprigionato con l'accusa di sodomia... perché sorpreso ad abusare delle terga di un soldato del duca... e rischiava perciò di finire i suoi verdi anni sul rogo. Così, con l'ausilio del mio antico compagno, lo facemmo fuggire prima che fosse celebrato il processo, lo facemmo nascondere nella mia carrozza e me lo portai via, qui, con me."

"Vi deve dunque la vita. Per ciò vi è certamente assai grato, devoto e fedele. E lieto di farvi quel servizio che tanto vi piace."

"Quando si può far del bene... se ne ottiene sempre la giusta ricompensa." disse il cancelliere e si accomiatò da Ranuccio.

Un'altra persona che Ranuccio incontrò a corte, poco più tardi, fu il suo antico capitano, ser Nero l'Alemanno. Quando si videro, entrambi andarono subito uno verso l'altro per salutarsi.

"Caspiterina, Ranuccio! Pare che la sorte ti sia stata benigna!" esclamò il capitano guardandolo da testa a piedi.

"Sì, capitano. Non so se l'avete saputo, ma non sono più al servizio di messere il cancelliere. Ora sono il segretario personale del marchese Tomaso."

"E che figurino sei! Quasi dubitavo dei miei occhi... Un vero gentiluomo fatto e calzato!"

Ranuccio notò un giovane soldato che accompagnava il capitano. "Il vostro nuovo attendente, capitano?" gli chiese accennando verso l'avvenente giovane.

"Sì, quello che prese il tuo posto alcuni mesi dopo che tu lasciasti il nostro accampamento."

"Siete... contento di lui?"

"Non posso lamentarmi. È meno valente di te, come soldato, ma quasi quanto te come attendente." disse il capitano ridacchiando. "Sa darmi prontamente e con vera letizia tutto ciò di cui abbisogno... e specialmente il suo bel culetto! E pensa che, prima di venire ad arruolarsi nella mia compagnia, era stato novizio su all'eremo dei nostri buoni frati francescani."

"E com'è che invece di farsi frate decise di venire ad arruolarsi? E come fu che diventò vostro attendente?"

"Fu cacciato dal convento per... indegnità. Non aveva né arte né parte, non sapeva che fare per vivere, così quando gli capitò di passare accanto al nostro accampamento, venne a chiedere se poteva arruolarsi. Eravamo al completo, ed è di esile costituzione, perciò il superiore lo mandò via. Io, che stavo tornando al campo, lo incrociai sulla via mentre s'allontanava dall'accampamento. Vidi che piangeva come un vitellino... e notai che era assai piacente. Scesi da cavallo e gli chiesi che gli fosse accaduto. Poi gli chiesi se l'indegnità di cui l'avevano accusato i frati era... quel che pensavo; non rispose ma il suo rossore me lo confermò. Allora gli dissi che mi attizzava assai, e che se se era disposto a fare quelle stesse indegnità con me... Accettò subito. Lo portai fra i cespugli, gli calai i calzoni e lo misi subito alla prova, che superò assai bene con grande, reciproco piacere. Così decisi di portarlo con me al campo e lo feci segnare nelle nostre liste come mio attendente."

"E, ditemi, capitano... Che ne è di Federigo? È ancora con voi, milita sempre sotto i vessilli della compagnia?"

"Sì, certamente, e anzi, da sei mesi l'ho promosso a caposquadra. È un giovane uomo assai valente, uno dei miei uomini migliori. È un ottimo elemento in battaglia, e sa come tenere la disciplina fra la soldataglia a lui affidata, sa come farsi obbedire senza aver bisogno di usare la mano pesante."

"Sapete per caso se... se lui ha trovato... qualcuno?"

"No, non saprei davvero dirti. È sempre stato assai riservato nelle sue cose più... intime. Ma immagino di sì. Forse uno dei suoi soldati, chi sa? Io non m'immischio nelle cose private dei miei uomini, finché non creano problemi di disciplina. Ma ho notato che non corre mai dietro alle trecce delle donzelle, perciò immagino che..."

"Ho avuto notizia che avete ricacciato i mercenari del conte Bernardo ben dentro i confini delle sue terre, e che avete anche fatto un ottimo bottino. Si dice anche, qui a corte, che siate riuscito a far cadere nelle vostre mani il tesoro del conte..."

"Si dice... si dice..." rispose il capitano ridacchiando.

"E che ora vi stiate facendo costruire un palazzo giù nella discesa di Porta Ferrata."

"Frutto di molti anni di accorti risparmi e della dote di mia moglie che ho saggiamente amministrato."

Ranuccio annuì sorridendo.

"Ma raccontami di te, piuttosto, Ranuccio. C'è qualcosa di... particolare fra te e il marchese Tomaso?" chiese il capitano, cambiando discorso.

"Sono, come vi dissi, il suo segretario... personale."

"Già, personale, molto personale, immagino. Sono davvero lieto per te, Ranuccio. Ho sempre provato un certo rimorso per averti dovuto chiedere di andare al servizio del cancelliere."

"Vi avevo detto che non dovevate preoccuparvi, ser Nero. Innanzittuto perché voi non mi avete minimamente forzato, e poi perché, come vedete, quella è stata, dopo tutto, la mia fortuna."

"Lo sai che più ti fai uomo, più diventi bello?"

"Mica vi metterete a farmi la corte, adesso?" gli chiese Ranuccio con uno sguardo malizioso.

"Mah... no, mi accontento del dolce culetto del mio bel Zefirino, che pare più voglioso di me di starmi sotto."

"Ah, si chiama Zefirino, il vostro nuovo attendente? Che nome curioso. Non è di queste parti?"

"No, nacque a Conselice, nel lughese. Ha una buffa parlata, anche se sta prendendo la cadenza di queste parti. Vieni qui, Zefirino. Ecco, saluta ser Ranuccio. Sai, lui fu il mio attendente prima di te."

"Buongiorno, messere." disse il giovane attendente, arrossendo deliziosamente.

"Buon giorno a te, Zefirino. Mi stava dicendo il capitano che è assai soddisfatto dei tuoi servizi."

L'attendente arrossì di nuovo e lanciò un breve sguardo di rimprovero verso il capitano, poi arrossì per la terza volta.

Ranuccio si chinò verso il giovane soldato e sottovoce gli disse: "So bene, per diretta esperienza, quali servizi piacciano al capitano. Oltre a tenergli sempre lustra la sua armatura, e le altre usuali incombenze di un attendente... spesso gli tenevo al calduccio la sua poderosa lancia. Ti piace essere al suo servizio?"

L'attendente annuì. "È un uomo assai forte... è focoso... è pieno di energia." mormorò.

"Proprio così, ed è assai valente sul campo di battaglia, che sia per campi e valli contro un nemico in armi, o che sia sul suo giaciglio su un compiacente amico disarmato, lo so molto bene."

"Ehi, che avete voi due da sussurrare fra voi come due vecchie comari?" chiese il capitano.

"Niente, ser Nero, niente di speciale. Solo confidenze di due... ferventi ammiratori della vostra abilità nel... cavalcare!" rispose ridendo Ranuccio e, fatto un cenno di saluto, si allontanò, mentre Zefirino arrossiva per l'ennesima volta.

Quando a notte, puntuale come sempre, Tomaso andò da lui, Ranuccio gli raccontò divertito, e in dettaglio, sia dell'incontro con il cancelliere che con il capitano.

"Qualche nostalgia?" gli chiese Tomaso, carezzandogli il bel corpo nudo su cui stava già fiorendo una bella erezione.

"No. Del cancelliere non ho affatto nostalgia. Del capitano... beh, sono stato abbastanza bene con lui, come già sai, però sto assai meglio con te. Nessuno ti supera."

"Adulatore! Mi stai diventando un vero cortigiano!" gli disse Tomaso e lo baciò in bocca.

Giocarono un po' con le loro lingue. Ranuccio pensò che solo Federigo, in realtà, superava Tomaso. Forse per questo non aveva mai parlato in dettaglio al giovane marchese, ma solo per vaghi acceni, della sua relazione con Federigo. Ma presto questo suo pensiero fu cancellato dall'intensità del godimento che stava provando con il suo attuale compagno e vi si abbandonò con piacere.

I loro corpi si cercavano con incessante lena, si alternavano nel prendere o nel lasciarsi prendere, si intrecciavano, si univano e separavano in un gioco erotico, lieto e appassionato, portandosi l'un l'altro a picchi di piacere sapientemente alternati da momenti di languido abbandono, per poi riprendere con rinnovato desiderio.

Le stanze che Tomaso aveva fatto assegnare a Ranuccio erano site in una parte abbastanza isolata del palazzo sì che si potevano permettere di dare anche voce al loro godimento senza problemi. L'unico che li poteva udire era il servo di Ranuccio, Lando, ma questo non poneva loro nessun problema.

Quando infatti si lasciarono afferrare dall'orgasmo, sottolinenandolo con forti gemiti e mugolii, senza preoccuparsi di trattenerli, Lando ne fu svegliato. Il servo capì che cosa stesse accadendo nella stanza del suo padrone... e sorrise pensando con piacere che l'indomani avrebbe potuto far venire di nuovo nella sua stanza Marzio, il focoso, passionale figlio della cuoca, e avrebbe potuto con lui provare un simile forte godimento.

Dopo che si furono rilassati, Tomaso gli disse: "Oggi a corte, ti sei comportato in modo egregio. Sono fiero di te. Persino il figlio del Granduca ti ha notato e mi ha chiesto chi fossi."

"Davvero? Il duca Aloisio mi ha notato?"

"Non ti mettere idee in testa, adesso. Aloisio è felicemente fidanzato, presto saranno celebrate le sue nozze con la bella figlia del principe Galeazzo. Era solo curioso di sapere chi tu fossi, niente altro."

"Comunque il duca Aloisio impallidisce in paragone alla tua bellezza e alla tua maschia virilità. E poi... è ancora così giovane!"

"Ha solo quattro anni meno di te."

"E ti pare poco? Alla mia età quattro anni sono un abisso. Inoltre sai bene che a me sono sempre piaciuti uomini più grandi di me."

"Come messer Ariberto?" gli chiese Tomaso con ironia.

"No, come te." rispose Ranuccio, ma di nuovo pensò a Federigo e dentro di sé disse, "o come Federigo." ma senza dare voce a questo pensiero.

"Stai diventando bravo, con la spada..." gli disse Tomaso.

"Con questa?" gli chiese con allegria Ranuccio, agitando con un mano il proprio membro.

"Con quella eri già bravo prima che ti conoscessi, non avevi assolutamente nulla di nuovo da imparare. No, mi sto riferendo ai nostri allenamenti giù in sala d'armi. Anche il maestro d'armi mi disse, or sono pochi giorni, che stai facendo notevoli progressi."

"Insomma, pare che siano tutti contenti di me. Ma anche tu lo sei?"

"Contento e fiero. In un certo senso tu sei una mia... creatura. Ho saputo vedere oltre il bozzolo in cui eri e capire che quel vermetto poteva diventare una splendida farfalla."

"Non temi che la farfalla, un giorno, spieghi le sue ali al sole, prenda il volo e scompaia lontano?" gli chiese Ranuccio.

"Mah, chissà? Potrebbe anche accadere un giorno. D'altronde potrei forse impedirlo, se davvero accadesse?"

"No." ripose onestamente Ranuccio.

Tomaso annuì, sorrise e scese dall'alto letto. Indossò i suoi abiti poi, invece di uscire per tornare alle proprie stanze, tornò a sedere sul letto di Ranuccio e lo guardò dritto negli occhi, come se volesse leggergli fin dentro l'anima.

"Tu sei uno strano ragazzo, Ranuccio."

"Non sono più un ragazzo, ho ormai ventidue anni di età. Ma perché dici che sono strano? A me non pare di esserlo."

"Non te lo so dire, ma sento che c'è dentro di te una parte... una parte che forse tu stesso non conosci ancora."

"Una parte... brutta?"

"No... non credo. Prima ti ho detto che tu, grazie a me, stai diventando una farfalla... eppure non lo sei ancora. Tu, per quello che so di te, hai sempre afferrato prontamente tutte le occasioni che ti si presentavano per salire, per crescere, per cambiare in meglio."

"Vuoi dire che sono un profittatore?"

"No, non un profittatore. Per certi aspetti tu sei più onesto di molti... anche più di me. Non hai mai profittato di nessuno, per quanto mi è dato sapere. Sembra che tu sia in costante ascesa, una irresistibile ascesa. Ti avevo promesso che avrei fatto di te un gentiluomo e hai superato ogni aspettativa. Non è solo questione di averti dato belle vesti, di averti insegnato maniere eleganti o averti aiutato a raffinare il tuo eloquio."

Ranuccio sorrise: "Ma poco fa mi hai detto che non sono evoluto affatto... nelle mie arti amatorie. Su questo punto ti ho deluso?"

"Evidentemente su questo punto non avevi granché da imparare. No che non mi hai deluso, al contrario. Se è vero che ora posso dire che sei un raffinato gentiluomo, è altrettanto vero che eri già un raffinato amante."

"Anche tu lo sei."

"Detto da te è un vero complimento. Comunque... mi chiedo chi diventerai tu, quando sarà compiuta la tua irresistibile ascesa."

"E che posso essere, più di quanto tu m'hai permesso di diventare?"

"Un imperatore. Come mi dicesti un giorno."

Ranuccio rise: "Non prenderti gioco di me."

"Non mi permetterei mai, sacra maestà!" gli disse in tono scherzoso Tomaso, si alzò dal letto, fece un profondo inchino, disse: "Vi auguro una ottima notte, imperatore del piacere." e uscì dalla stanza.

Ranuccio scese al letto per spegnere le candele, poi vi tornò. Ripensò a quanto gli aveva detto Tomaso. Se qualcuno era strano, era proprio questi e non lui. Era, da una lato, un uomo assai sensibile, gentile, disponibile, eppure quando era con lui su quel letto, era evidente che pensava soprattutto al proprio piacere e che se pure ne dava anche a lui, non era certo perché gli importasse dargliene, ma solo per ricavarne uno più grande per se stesso. In un certo senso anche Tomaso, come messer Ariberto prima di lui e ser Nero prima ancora, erano degli egoisti che pensavano solamente al proprio piacere.

Nuovamente lo paragonò a Federigo e quest'ultimo ancora una volta ne uscì vincente.

D'altronde, si chiese, era forse lui migliore di Tomaso, di Ariberto e di Nero? Anche lui, non aveva dato ogni volta piacere ai tre con il proprio corpo e la propria esperienza nel campo delle prestazioni sessuali per ricavarne qualcosa in cambio? Dove aveva letto il motto "do ut des"? Non è così tutta la vita? Non si da forse solo per poter ricevere?

Certo è che ne aveva fatta di strada, da quando aveva abbandonato la famiglia per non patire più la fame. Tomaso aveva detto che la sua era stata un'irresistibile ascesa. Ma in fondo lui non aveva fatto nulla, non aveva chiesto nulla, erano sempre stati gli altri a volerlo e a offrirgli qualcosa che gli aveva permesso di migliorarsi. L'unica volta in tutta la sua vita che era stato lui a scegliere, a chiedere, era stato quando aveva voluto prima sedurre, piegare al proprio desiderio, e poi seguire Federigo.

"Peccato che Federigo sia uno spiantato!" si disse Ranuccio, provando un vago senso di tenero rammarico. "Uno spiantato idealista. Un bellissmo, dolce, ma spiantato idealista. Ma non si vive di ideali. Al massimo, per un ideale si può morire."

Come segretario di Tomaso, Ranuccio si trovò ad assistere sempre più spesso non solo alle discussioni riguardo alla politica interna ed esterna del granducato che questi aveva con il padre, ma anche a incontri che il giovane marchese aveva con altre personalità, nobili o borghesi che fossero, ecclesiastici o famosi professori, letterati, storici, mercanti.

Ranuccio si stava rendendo conto sempre più della complessità della situazione politica di quella parte dell'impero e dei suoi difficili eqilibri, mantenuti a volte con guerre a volte con tregue armate, a volte con alleanze e a volte con tradimenti. E si rendeva anche conto dell'altrettanta complessità nel rendere forte ed efficiente una signoria nel suo interno, equilibrando le aspirazioni, i poteri le irrequietezze delle sue varie componenti sociali.

A volte, dopo di uno di questi incontri e riunioni, Tomaso e Ranuccio commentavano fra loro quanto era stato detto ed era avvenuto. All'inizio era più che altro uno scambio di battute, ma gradualmente divennero vere e proprie discussioni fra i due. Ranuccio, durante quelle riunioni, essendo solo un segretario, non aveva voce in capitolo, e neppure diritto di parola. Ma poi a quattr'occhi con Tomaso, poteva esprimere liberamente le roprie considerazioni, e anzi Tomaso le sollecitava sempre più.

Infatti Ranuccio, forse proprio perché doveva solo ascoltare e prendere nota, aveva più di Tomaso la possibilità di notare certe espressioni, certi sguardi, certe reazioni. Essendo inoltre per così dire "ingenuo" o "vergine" riguardo alle beghe e agli intrighi, alle politiche delle persone che contavano, le sue osservazioni erano libere, non frutto di uno schieramento ideale, di una faziosità di parte, ma delle sue libere riflessioni.

Non ultimo, a differenza degli altri eminenti personaggi, Ranuccio aveva avuto, nel volgere di pochi anni, esperienze molto diverse: da quella di contadino affamato, a quella del lavoro in locanda, dove aveva spesso ascoltato i più diversi discorsi, al suo periodo fra i soldati di ventura, poi come scrivano del cancelliere... e da ognuna aveva, inconsciamente tratto un insegnamento.

Per questo Tomaso apprezzava sempre più anche le discussioni che aveva con Ranuccio, immancabilmente, dopo gli incontri e le riunioni.

Ranuccio si era anche reso conto del fatto che la nobiltà, a differenza di quanto aveva pensato in un primo tempo, non era dedita esclusivamente a pranzi, cacce, feste, ozi, danze, tornei e al proprio edonistico piacere, ma che svolgeva un ruolo importante per la vita di ogni signoria.

Così il giovane stava diventando sempre più un reale segretario per il marchese Tomaso e questi ne apprezzava, oltre che le piacevoli notti di godimento, oltre che la gradevole compagnia durante la giornata, anche il suo lavoro come segretario.

A metà maggio, furono celebrate in cattedrale le fastose nozze dell'erede, il duca Aloisio, con Margherita, la bella e giovane figlia del duca di Montefeltro, a cui seguirono diverse giornate di festeggiamenti. Così Tomaso e Ranuccio passarono quasi ogni giornata a corte, per partecipare ai vari intrattenimenti organizzati, senza badare a spese, dal Granduca per gli sponsali del figlio.

Aloisio aveva diciannove anni e Margherita sedici. Parevano assai belli per la freschezza dei loro anni, per le sontuose e raffinate vesti che indossavano e per tutta la coreogafia che ne esaltava in ogni momento la presenza.

A dire il vero, mentre Margherita era di una bellezza fresca, pura e dolce, Aloisio non era veramente bello, anche se davvero non brutto, ma aveva un portamento talmente elegante, sicuro di sé, cortese e nobile, che lo rendeva affascinante.

Ranuccio, aggirandosi per i saloni del palazzo granducale animato da una variopinta e numerosa congerie di signori, nobili, prelati, ministri, legati e ambasciatori, ricchi borghesi, persone del loro seguito, letterati, musici, famigli del granduca e servi, militi posti di guardia nei punti strategici, osservava tutto e lo annotava mentalmente. E si divertiva.

Ma mentre si divertiva, il giovane notava anche come alcuni dei personaggi si evitavano accuratamente, altri mostravano un reciproco rispetto puramente formale, altri ancora parevano incontrarsi e conversare fra loro con grande amicizia e piacere... e qualcuno infine pareva comunicare con altri degli invitati solo quando presumeva di non essere notato.

Durante gli allegri pasti, mescolato per lo più alle persone del seguito dei convitati, coglieva discorsi, apprezzamenti, allusioni, battute che gli permettevano di farsi un quadro via via più preciso di quella multiforme congerie di influenti personaggi invitati per il matrimonio dell'erede.

Ogni sera, tornati al palazzo di Tomaso, dopo essersi concessi le consuete ore di reciproco piacere, Ranuccio condivideva con il giovane marchese le sue acute osservazioni.

"Tu mi stai diventando un vero, accorto, astuto cortigiano, Ranuccio." gli disse una volta Tomaso.

"Un cortigiano io? Ma via... mi diverto a osservare e a mettere in relazione le varie cose che noto... è come un grande gioco. A volte, essendo spettatori e non attori, si colgono aspetti che agli attori stessi possono sfuggire, ognuno compreso com'è nello svolgere il ruolo che gli compete."

"Se noi siamo solo attori della commedia dell'arte, chi è il capo-comico?" gli chiese Tomaso.

"La vita, che dà un copione alla sua compagnia e ogni attore si ingegna di interpretarlo meglio che sa. Alcuni, pochi, con vera arte, altri con mestiere consumato, altri ancora in modo maldestro."

"E chi scrive codesti copioni? E chi sono gli spettatori?"

"La storia, Tomaso, che non è maestra di vita, ma piuttosto la sua ruffiana. E gli spettatori, siamo noi gente comune, noi del popolo. Spettatori paganti, s'intende, che con il loro obolo mantengono in vita la compagnia degli attori. Che non possono decidere né dirigere la commedia, ma solo, con i loro applausi o i loro schiamazzi, mostrare di apprezzare o no la rappresentazione. Ma, a differenza dei normali spettatori che possono segliere se assistere o no alla commedia, perché è lasciata loro almeno questa libertà, noi siamo spettatori paganti eppure obbligati ad assistere allo spettacolo."


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