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una storia originale di Andrej Koymasky


L'IRRESISTIBILE ASCESA CAPITOLO 9
DA GENTILUOMO DI CAMERA A BARONE

A palazzo ducale vi erano diverse sale da pranzo. Una era riservata alla famiglia del granduca, una agli alti funzionari della corte, una ai funzionari minori e così via, giù giù fino a quella per i servi.

Ranuccio seppe che lui doveva andare in quella dei funzionari minori, a differenza del gentiluomo di camera del Granduca, che invece era ammesso in quella degli alti funzionari, essendo un conte.

Nonostante Tomaso l'avesse preparato, indirettamente, alla vita di corte, Ranuccio inizialmente si sentì spaesato in quel grande complesso che era una vera città nella città e nelle regole che ne scandivano la vita. Tomaso infatti ve l'aveva portato spesso al suo seguito, ma ora che il palazzo era diventato la sua residenza... era assai diverso.

Dopo la cena doveva incontrare nuovamente il gentiluomo di camera del granduca per avere un supplemento di informazioni e di istruzioni. Era questi un uomo austero, formalmente cortese, evidentemente molto esperto delle cose di palazzo e della complicata etichetta di corte.

Quando Ranuccio finalmente poté ritirarsi nelle proprie stanze, cercando di riordinare le idee, ed entrò nella sua nuova camera da letto di cui chiuse accuratamente la porta, trovò Aloisio, nudo, steso sul suo letto.

"Eccovi, finalmente, ser Ranuccio. Bruciavo dal desiderio di rivedervi, dopo l'assaggio che mi avete dato nel pomeriggio." gli disse il duca, sollevandosi su un gomito e guardandolo con occhi pieni di aspettativa.

Il giovane s'accostò al letto e guardò il corpo del suo signore. Era snello, non molto muscoloso, abbastanza gradevole nelle forme. E notò che era già vistosamente eccitato. Continuando a guardarlo, iniziò lentamente a togliersi di dosso gli abiti.

"Fate in fretta... sto bruciando dal desiderio di accogliervi finalmente in me!" gli disse con voce roca per l'eccitazione il giovane duca.

"Duca Aloisio... se volete che io vi dia il meglio di me... dovete fidarvi e lasciarmi fare. E per prima cosa, non dovete aver fretta." gli disse Ranuccio con un sorriso lieve, in tono rispettoso.

Capiva, o per meglio dire intuiva, che se pure doveva obbedienza al suo signore, ora era nel suo campo e poteva, anzi doveva prendere lui l'iniziativa, anche per la poca esperienza che Aloisio gli aveva detto di avere in quelle cose. Ranuccio sapeva che cosa il duca si aspettava da lui, ma voleva essere lui a decidere come glielo avrebbe dato.

Si spogliò lentamente, prolungando l'attesa del duca, e quando fu finalmente anche lui nudo, senza ancora salire sul letto, iniziò a carezzare ad arte tutto il corpo del suo signore.

"Oh, vieni... prendimi!" invocò dopo un poco Aloisio, passando inconsciamente al tu e attirandolo sul letto.

"Non abbiate fretta, mio signore. Vi prometto che avrete quanto desiderate... lasciatevi guidare da me, vi prego." rispose Ranuccio con un sorriso pieno di promesse.

Lo preparò a lungo, facendolo via via eccitare sempre più, e quando finalmente prese il giovane duca, facendolo ripiegare sotto di sé e facendogli poggiare le caviglie sulle sue spalle, Aloisio credette di impazzire per il piacere. Il giovane erede sussultava a ogni affondo e scuoteva il capo sul cuscino, gemendo ad alta voce. Ranuccio regolò il suo ritmo e le sue spinte in modo di prolungare il più possibile il piacere del suo signore e di giungere all'orgasmo contemporaneamente al giovane duca.

Quando finalmente appagati i loro desideri si rilassarono entrambi, Aloisio, ansimando, disse: "Oh, Ranuccio, siete stato meraviglioso! Non ho mai provato un sì intenso piacere in tutta la mia vita!"

"Me ne rallegro, mio signore."

"Siete riuscito a farmi giungere al sommo piacere, senza che io avessi nemmeno a toccarmi! Non avrei mai credutto che fosse possibile una simile cosa. Come avete fatto?"

"Vi è, nascosta entro il nostro canale posteriore, una parte che, se stimolata nel modo opportuno, provoca al maschio un assai intenso piacere."

"E voi l'avete stimolata assai bene, nel modo più opportuno!" gli disse con un risolino il giovane duca.

"Sono lieto di avervi saputo compiacere."

"Ho parlato di voi a mio padre. Solo della parte ufficiale, si intende." precisò con un altro risolino. "E mio padre ha deciso che assai presto vi investirà cavaliere di Santa Croce."

"Cavaliere, io?" chiese stupito Ranuccio.

"Se siete il mio gentiluomo di camera, secondo le regole di corte voi dovete essere per forza un nobile, sia pure al più basso gradino della scala. E comunque... dopo quanto avete fatto per me poc'anzi, io vi farei anche conte."

"Non vi prendete gioco di me, signore."

"Prima che io torni nelle mie stanze... baciatemi di nuovo, Ranuccio."

Il giovane tirò a sé il duca, lo avvolse fra le braccia e le gambe e lo baciò profondamente. Aloisio mugolò il suo piacere, rispondendo a quell'intimo bacio, ma dopo un poco si staccò da lui.

"Adesso basta, però, o farete divampare nuovamente dentro di me l'incendio del desiderio."

"Se volete, si potrebbe di nuovo..."

"Non mi tentate. No, devo tornare nelle mie stanze." disse Aloisio e, sceso agilmente dal grande letto a baldacchino, scomparve dietro il pannello mobile che richiuse silenziosamente alle sue spalle.

Ranuccio si disse che era stato assai piacevole "accontentare" il giovane duca. Poi pensò che sarebbe stato presto investito cavaliere... Quasi gli sembrava incredibile... I cavalieri di Santa Croce, di cui il granduca era il Grande Maestro, in occasione delle cerimonie indossavano sui loro abiti un ampio mantello nero, segnato sulla sinistra da una grande corce d'argento bipartita... E come cavaliere, avrebbe avuto il diritto di cingere la spada... Lui, un qualsiasi figlio di contadini, che nella locanda si era prostituito a innumerevoli uomini per poter avere una vita decente...

L'inizio della sua "ascesa", come l'aveva chiamata Tomaso, era stato l'incontro con Federigo. Ranuccio era rimasto affascinato dal bel soldato fin dalla prima volta che l'aveva visto, quando Federigo aveva rifiutato di prenderlo in letto e di divertirsi con lui. Ma poi, la seconda volta che Federigo s'era fermato alla locanda e l'aveva salvato da quei due altri soldati ubriachi, lui era riuscito a sedurlo... Già, la sua ascesa era iniziata proprio di lì.

Erano ormai tre anni che non incontrava più Federigo, che non l'aveva mai più visto neanche di lontano... Chissà come stava, che faceva, se si era trovato un altro ragazzo? Ser Nero gli aveva detto che l'aveva promosso di grado. A volte aveva provato l'impulso di andare fino al campo dei soldati di ventura per rivederlo, per incontrarlo. Ma non l'aveva mai fatto. Ranuccio si addormentò pensando a Federigo.


L'ultima cosa che il granduca fece pochi giorni prima di morire, fu l'investitura di tre nuovi cavalieri di Santa Croce nella cappella privata del palazzo, e uno di questi era Ranuccio. Poi, un pomeriggio, spirò nel suo letto, circondato da medici e dalla sua famiglia.

Furono fatte solenni esequie a cui parteciparono i Signori delle terre circonvicine e anche di terre lontane, compresi il messo dell'Imperatore e il legato pontificio, e furono proclamati nove giorni di lutto.

Terminato il lutto, iniziarono le fastose cerimonie e feste per l'incoronazione del nuovo Granduca, Aloisio III.

In tutto questo lungo periodo, Aloisio dovette diradare le sue visite notturne a Ranuccio, ma non le cessò mai. Ogni volta Ranuccio lo intratteneva a lungo, fino ad appagarlo completamente, dandogli completa soddisfazione.

Nonostante Aloisio fosse appena ventenne, prese subito saldamente nelle sue mani le redini del granducato, mostrando di che tempra era fatto. Circondato da fedeli amici e collaboratori, che saggiamente s'era preparato per tempo, apportò molti cambiamenti nell'organizzazione delle sue terre.

Era granduca da soli tre mesi, quando, dopo aver soddisfatto i propri desideri con il suo "gentiluomo di camera", stando ancora fra le sue forti braccia, comunicò a Ranuccio, con cui ormai si dava del tu, che intendeva dargli un titolo nobiliare, facendo di lui un barone.

"Vedi Ranuccio, la parola barone, mi spiegarono quand'ero un ragazzino i miei tutori, viene o dal germanico baro che significa uomo libero, combattente, oppure, secondo altri, dallo spagnolo varon, che significa maschio. Prendendo per buona l'origine spagnola del termine, non è forse il titolo più appropriato per te, che sei il mio maschio?" gli disse ridacchiando.

"Sai che io non aspiro a nessun titolo, Aloisio..."

"Lo so bene, ti conosco ormai abbastanza... intimamente, in tutti i sensi. Ma so anche che se pure non chiedi nulla, accetti sempre tutto. Sei un perfetto cortigiano, senza essere affatto un cortigiano nel senso deteriore del termine. Sei davvero una persona speciale. E non solo a letto. E dopo che ti avrò fatto barone, ti assegnerò un nuovo quartiere, più grande e più bello. E anche un cospicuo appannaggio, adeguato al tuo nuovo rango."

"Troppo lusso e troppi onori potrebbero farmi montare in superbia."

"Non ci credo, non tu. L'importante è comunque che tu continui a montare... me. Ti avevo mai detto che da quando tu lo fai con me, anche io lo faccio assai meglio con la mia diletta sposa? Ho imparato da te certi trucchetti che pare le piacciano assai... anche se resta un po' troppo una baciapile, per i miei gusti." gli disse divertito.

"Ma se mi assegni un nuovo quartiere... diventerà un po' più difficile vederci la notte?"

"No, sarà esattamente come ora. Vi è un passaggio segreto anche dalla stanza da letto del granduca, ove andrò a dormire quando sarà cambiata a mio gusto, a quella in cui dormirai tu. E solo un po' più lungo, ma non molto, un breve corridoio celato nello spessore del muro esterno, che penso mio padre usasse per vedere la sua amante segreta. Certo, è possibile che ci si potrà vedere un po' di meno di prima... E perciò se tu... se ti fosse pesante attendere che io venga a te, puoi sempre trovarti un compagno con cui appagare i tuoi desideri."

"Non ne saresti adirato, se lo facessi?"

"E perché mai, finché mi accogli nel tuo letto come ora, come sempre? Dopo tutto, tu e io non siamo maritati l'uno all'altro. Tutto ciò che ci unisce è il piacere, non l'amore, perciò non potrei essere geloso, se tu a volte ti sfogassi con qualcun altro. Anche perché so che a te piace anche la parte ricettiva, che a me non interessa darti. E, inoltre, tu non sei cosa mia, sei un uomo libero, un barone, come ti spiegai..."

Ranuccio sorrise: "Per ora non sento alcun desiderio di ospitare qui altri che te, Aloisio, né di cercare di infilarmi in altri letti. Essere il tuo amamsio mi appaga."

"Ah, ancora non ti ho detto che ieri ho conosciuto il nuovo amasio del nostro comune amico, Tomaso." gli disse Aloisio.

"Ah sì? Chi è? Lo conosco anche io?"

"Credo che tu lo conosca, almeno di vista. È il giovane Brandano."

"Il figlio bastardo dell'arcivescovo?"

"Sì, lui. E ora è il nuovo segretario di Tomaso."

"È un giovane assai avvenente e gentile... me ne compiaccio."

"Sì, è avvenente, anche se meno di te, e di gentile aspetto e di mite carattere, è vero, anche se mi ha confidato Tomaso che a letto la sua mitezza scompare come per incanto ed è più focoso di un puledro selvaggio."

"Ma... l'arcivescovo sa di loro?"

Aloisio rise: "Sì, sono certo che sappia e non credo che la cosa lo preoccupi né che lo stupisca. Dopotutto il nostro arcivescovo è innanzitutto un uomo di mondo... e solo in secondo luogo un uomo di chiesa."

"Ma sa anche di te?" gli chiese Ranuccio.

"No, a parte pochi e molto fidati amici, nessuno sa di me, neppure mio padre ne era al corrente. Poiché a me piace anche il gentil sesso, non è facile intuire che mi piace altrettanto il sesso forte."

"Non mi hai mai raccontato come hai capito che ti piaceva anche il maschio, né come facevi, prima di me..."

"Lo capii quando ero paggio alla corte pontificia e fui sedotto da uno dei giovani cavalieri che colà servivano. Io avevo tre lustri di età e lui quattro. Fu molto bello, con lui... Dopo, tornato qui, ebbi solo tre... anzi quattro brevi occasioni. Ma sempre cose vissute in gran segreto, di fretta, senza poterle veramente godere a fondo, nel timore di venire scoperti. A dire il vero anche con le fanciulle erano sempre cose vissute in segreto, di fretta, senza poterle godere a fondo. Solo ora, con la mia sposa e con te, posso finalmente appagare i miei desideri pienamente e serenamente."

Gli appartamenti che erano stati del granduca padre, completamente ripuliti e arredati a nuovo, furono finalmente pronti, così Aloisio vi si trasferì e anche Ranuccio, ora barone, prese possesso dei suoi nuovi appartamenti, adeguati al suo rango. Volendo avere servi personali fidati e discreti, chiese a Tomaso se poteva cedergli Lando e Marzio, cosa a cui il marchese accondiscese volentieri. I due ragazzi erano felici ed eccitati dall'idea di lavorare al servizio di Ranuccio, nel palazzo ducale, e poter finalmente dormire assieme, nella stessa stanza e nello stesso letto, negli appartamenti di Ranuccio.

Aloisio, come aveva da tempo pianificato, propose a ser Nero di entrare al suo servizio esclusivo, trasformando la sua compagnia di ventura in milizie stabili, ponendo ai suoi ordini anche la limitata milizia ducale e il corpo delle guardie d'onore di palazzo, e chiedendogli di riorganizzare il tutto. Le condizioni erano vantaggiose per entrambe le parti, così ser Nero accettò, e fu dato inizio alla costruzione dei nuovi quartieri militari, adattando per essi l'antica fortezza di monte, dentro le mura, accanto alla Porta San Filippo.

Tutta la città ducale ferveva di opere, nuove costruzioni, abbellimenti che erano solo l'eco esteriore e visibile dei cambiamenti che Aloisio stava apportando, con mano sicura e determinazione, nell'organizzazione del granducato. Al palazzo ducale fu aggiunta una nuova ala, in cui il nuovo granduca volle far costruire anche un teatro di corte e una vasta biblioteca.

Due altre novità che Aloisio volle fu l'ampliamento del mercato e la sua trasformazione in fiera esente da balzelli, sì che presto vi confluirono mercanti anche da terre lontane. Ma soprattutto la fondazione dell'università, che ebbe come sede l'antico monastero delle clarisse, che essendosi trasferite in un nuovo monastero fuori dalle mura della città, era stato posto in vendita e acquistato dal giovane granduca.

Tomaso prese posssesso della sua carica di cancelliere. Ora perciò lo si vedeva assai spesso a corte, sempre seguito dal suo segretario, il bel Brendano, con cui presto Ranuccio strinse amicizia.

Aloisio, a differenza del padre, spesso passeggiava per le vie della città, con un piccolo seguito di cui sempre faceva parte Ranuccio, e s'intratteneva a parlare con la gente comune, interessandosi ai suoi problemi, che sempre ascoltava, affabile e interessato, e a cui spesso dava una adeguata risposta, sì che presto il giovane granduca fu amato dai suoi sudditi anche più di quanto lo era stato suo padre.

Da due anni Ranuccio viveva a palazzo ducale, quando, durante il cambio della guardia d'onore alle porte interne ed esterne del palazzo, vide che il "sargente di picchetto" che sovraintendeva al cambio, era Federigo.

Ranuccio si sentì qualcosa rimescolare dentro, nel rivedere Federigo, ancor più bello che mai nella sua nuova ed elegante uniforme "alla todesca". Quando Federigo, terminato il giro, rientrò nel quartiere della guardia d'onore, trovò un servo ad attenderlo con un messaggio di Ranuccio, in cui gli chiedeva la cortesia di presentarsi nell'anticamera dei suoi quartieri.

Quando Federigo entrò nella stanza, introdotto da Lando, Ranuccio fece cenno al servo di uscire e, restato solo con il "sargente", gli chiese: "Tu qui a palazzo, Federigo? Da quando?"

"Da un mese e tre giorni, barone." rispose il giovane uomo.

"Un tempo ci si dava del tu..." gli disse Ranuccio con un sorriso incerto.

"Un tempo. Ora voi siete un nobile, e intimo del nostro signore."

"Sei ancora arrabbiato con me... perché ti lasciai, non è vero?" gli chiese Ranuccio, facendogli cenno di sedere.

"Dovrei essere arrabbiato con voi, barone? E perché mai? Avete solo seguito la vostra strada che, evidentemente, non era quella che io percorrevo. E, a quanto vedo, avete avuto ragione di fare quella vostra scelta."

"Mi addolorerebbe che tu mi fossi nemico..."

Un'ombra di afflizione velò gli occhi del bel sergente: "Non vi sarò mai nemico, barone. E veglierò sempre sulla vostra sicurezza, grazie ai miei uomini, come è mio dovere."

"Non potresti cessare di darmi del voi? Sotto queste ricche vesti, non sono pur sempre il Ranuccio che s'infatuò di te e ti seguì?"

"No, perdonate, non siete più... quel Ranuccio. Che vi è ormai in comune fra voi e me? Non è solo una questione di vesti, barone."

"Ti sei fatto anche più bello di quanto ti ricordassi..." mormorò Ranuccio.

"Anche voi, crescendo e facendovi uomo, vi siete fatto incredibilmente bello... ai miei occhi." mormorò Federigo poi abbassò lo sguardo, quasi temendo di aver osato troppo.

Ranuccio allungò un braccio oltre il tavolo che li divideva e prese una mano dell'altro, stringendola nella sua: "Eppure, Federigo, la tua vicinanza ancora mi turba profondamente... Non potremmo... tornare a essere quello che eravamo l'uno per l'altro?"

Federigo tolse la mano da quella dell'altro, e lo guardò con un'intensità dolorosa, tacque per un poco, poi con voce bassa e triste, disse: "Ma che posso darvi io, Ranuccio? Che posso darvi? Non onori, non ricchezze, non belle vesti, non comodità e lussi... L'unica cosa che potevo darvi... voi l'avete rifiutata. Evidentemente non vi interessava, non vi serviva."

"Rifiutato? Io da te? Non è vero, non ho sempre fatto qualsiasi cosa tu amassi fare con me? E con reciproco, grande piacere?"

"Tutto ciò che potevo darvi... sul mio giaciglio, sì. Ma avete già dimenticato come rifiutaste l'unica cosa di valore che vi avevo offerto?"

Ranuccio scosse il capo: "No... non ricordo... che cosa?"

Nuovamente Federigo tacque per un poco, poi, con voce ancor più bassa di prima, sussurrò: "Il mio amore!"

Ranuccio chiuse gli occhi e rivide la scena, là nell'accampamento, in tenda, quando il bel caporale, quale era allora Federigo, gli aveva chiesto di non lasciarlo, perché lui lo amava. E come Ranuccio avesse sorriso a quella parola.

"Ma può... può davvero un uomo amare un altro uomo?" chiese allora Ranuccio, riaprendo gli occhi e fissandoli in quelli di Federigo.

"Pensate che mentissi, quando ve lo confessai? Certo che un uomo può amare un altro uomo. Può amarlo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutto il corpo." disse in tono mesto ma appassionato il bel Federigo.

"E non vorresti... ora... dimostrarmelo ancora?" chiese, quasi emozionato, Ranuccio.

"Non posso, non lo capite?"

"No che no lo capisco. A meno che... Già, che sciocco ingenuo sono, non è vero? Ora tu hai un altro amante e perciò..."

"No! Dopo di voi... non ebbi più nessuno."

"Nessuno?"

"Nessuno."

"E perché mai?"

"Perché l'amore che voi quel giorno rifiutaste... m'impedisce ancora di... di donarmi a un altro."

"Ancora? Vuoi dire che tu ancora provi amore per me?" chiese Ranuccio completamente stupito, scuotendo lentamente il capo.

"Io non vi ho mai dimenticato, Ranuccio... non sono ancora riuscito a cancellarvi dal mio cuore. Ma non potete chiedermi, ora, di... di divertirvi con me, come se nulla fosse. Io capisco, e accetto, che voi non crediate nell'amore fra due uomini, e perciò non potete sentire amore. Ma vi prego di... rispettare il mio sentimento. Lasciatemi andare, vi prego. Se non avete bisogno del mio amore, non avete neppure bisogno di me... barone. Permettetemi ora che io torni ai miei doveri."

"Sì, Federigo, vai pure. Però... se non t'è di troppo peso... vorrei poterti incontrare ancora... parlare ancora con te... vedere se, al meno, si potesse riallacciare un'amicizia... e non ti sto chiedendo, bada bene, di condividere il mio letto, nonostante ne avrei un grande piacere."

"Forse... forse il tempo ci permetterà di instaurare fra noi un rapporto di serena amicizia, ma per ora non vi prometto nulla. Non ne sono in grado. Sono anche troppo turbato per... per questo colloquio, Ranuccio." disse Federigo e, fatto il saluto formale come richiedeva l'etichetta, uscì dall'anticamera di Ranuccio.

Questi rimase a lungo seduto al tavolo, giocherellando sovrappensiero con la penna d'oca con cui si mise poi a tracciare ghirigori su un foglio.

Federigo lo amava... è vero, glielo aveva detto, quel giorno. Lo amava... ma cosa significava amare... essere amati? Lui... sentiva di desiderare ancora fortemente Federigo, specialmente ora che l'aveva rivisto, che gli aveva parlato, che gli aveva toccato la mano.

Ma non era un desiderio... come quello che altri avevano rivolto a lui.

Ranuccio iniziò a paragonare gli uomini con cui aveva avuto una relazione da quando aveva lasciato la locanda per seguire Federigo. Senza rendersene conto, iniziò a scrivere sul foglio, in una specie di tabella, le qualità che aveva trovato in ognuno di quegli uomini, iniziando dall'ultimo, Aloisio.

Quello che ne ottenne, fu questo schema:

aspetto età denaro corpo intelligenza carattere a letto
Aloisio né bello
né brutto
il più giovane molto ricco medio alta sicuro
forte
egocentrico
onesto
egoista
passivo
Tomaso bello giovane ricco forte normale gradevole
egoista
egoista
versatile
Ariberto brutto anziano ricco flaccido buona cortese
poco onesto
egoista
passivo
Ser Nero piacente maturo benestante forte media rude
onesto
egoista
attivo
Federigo molto bello giovane povero forte alta dolce
gentile
onesto
altruista
versatile

Lo guardò a lungo: Federigo risultava vincente su tutti i punti, esclusa la ricchezza. Era poi così importante il denaro? Certo la miseria è brutta, ma Federigo, pur non potendo dirsi ricco, non era neppure povero.

E che cosa gli aveva dato, ognuno di questi uomini?

Aloisio gli aveva dato uno alto stato sociale, l'aveva fatto diventare un nobile, ammirato e rispettato.
Tomaso gli aveva insegnato le belle maniere, ne aveva fatto una persona elegante e raffinata.
Ariberto gli aveva dato istruzione e cultura.
Ser Nero gli aveva fatto sviluppare forza fisica, agilità, autodisciplina.
E Federigo? Gli aveva dato rispetto, fiducia in se stesso e... amore.

E lui, Ranuccio, che cosa aveva dato ad ognuno di loro? Ad ognuno aveva dato quanto questi desiderava da lui... meno che a Federigo, a cui aveva dato il suo corpo, il piacere, ma non l'amore che si aspettava di ricevere.

D'altronde, non poteva dare quanto non aveva... si disse mentre faceva bruciare il foglio alla fiamma di una candela e ne disperdeva le ceneri nel caminetto spento.

Sia Tomaso che Federigo, a letto, a differenza degli altri, amavano fare di tutto, come a Ranuccio piaceva. Con entrambi il sesso era stato assai piacevole. Però doveva ammettere che fra i due era con Federigo che era stato meglio, da quel lato. Forse proprio perché Federigo non era egoista, non pretendeva da lui ma gli si donava... Forse... proprio perché lo amava? È questo dunque amare?

Ranuccio era confuso, frastornato... Quasi quanto i primi giorni in cui aveva vissuto lì nel palazzo granducale. Tutto allora era così nuovo, così difficile, così inusuale... Sì, proprio come ora che doveva confrontarsi con l'amore che Federigo, per la seconda volta, gli confessava e che lui non conosceva.

Rivedere Federigo e provare un forte desiderio per lui era stato un tutt'uno. Doveva ammetterlo, con lui aveva passato i suoi giorni più belli, malgrado fosse ancora un ragazzo rozzo, ignorante, e uno straccione. Lui era rimasto affascinato da Federigo... in seguito nessuno aveva saputo affascinarlo così... E l'aveva sedotto... Doveva ora tentare di sedurlo di nuovo?

Ma, se la prima volta gli era riuscito, ora, nonostante non fosse più quel ragazzo rozzo, ignorante, e straccione, sentiva che gli sarebbe stato assai più difficile.

Nei giorni seguenti Ranuccio tornò spesso su questi pensieri e, ogni volta che i suoi passi incrociavano quelli di Federigo, sentiva di desiderarlo sempre più... e di avere... bisogno di lui.

Aloisio, benché a letto Ranuccio lo accontentasse come prima, sentì che qualcosa turbava il suo gentiluomo di camera e amasio. Tentò di farsi dire che cosa fosse, ma, ai ripetuti "niente, niente" di Ranuccio, non se ne dette più pena.

Un altro che si accorse del mutato stato d'animo di Ranuccio, fu il suo servo Lando che un giorno, dopo avergli portato alcuni grappoli d'uva che Ranuccio desiderava, si decise di parlare al suo padrone.

"Barone, posso ardire di farvi una domanda?"

Ranuccio lo guardò un po' sorpreso, perché mai prima il ragazzo gli aveva fatto una simile richiesta, ma annuì.

"Ho notato che da alcuni giorni qualcosa tormenta la vostra anima..."

"Ah sì? E che cosa ti fa pensare a questo?"

"Il vostro sguardo, signore. Vi vedo nuvole che mai lo avevano offuscato prima. Voi, barone, se perdonate il mio ardire... siete sempre stato un cielo sereno, la vostra allegria è sempre stata come un caldo sole... Ma ora non è più così. Voi siete stato molto buono con me e con il mio Marzio, e sapete che entrambi vi siamo infinitamente grati per averci permesso di stare assieme, di amarci senza problemi... e per questo, Marzio e io siamo preoccupati per quello che pare affliggervi."

Ranuccio lo guardò, anzi lo scrutò, poi chiese: "Tu e Marzio... siete felici?"

"Oh, sì, signore! E questo grazie a due cose, alla vostra bontà e all'amore che ci lega."

"Amore dici? Dunque tu pensi che due uomini possano amarsi d'amore spirituale oltre che carnale?"

"Non lo penso, lo so, lo vivo, signore."

"Ma... che cos'è l'amore?"

"Signore... mi fate una domanda difficile, non so se saprò rispondervi."

"Per me è importante, Lando. Perché la nube che giustamente dici offuscare il mio sguardo, la mia allegria... viene da questo. Vi è un uomo che dice di amarmi... ma io non credo di poterlo amare."

"Non è il granduca, giusto?" chiese il ragazzo un po' timoroso di aver fatto quella domanda.

"No, non è lui. Ma dimmi, cos'è dunque l'amore? Nella mia vita ho imparato molte cose belle, interessanti, utili, preziose, ma ancora non so cosa sia l'amore. È cosa che si può imparare?"

"Non so, ma credo di sì..."

"E come? E da chi?"

"Da chi ci ama... Nessuno può imparare ad amare se non è stato amato. È come... forse dico una sciocchezza, ma credo... credo che lo si impara quando ci si dimentica di quello che si vuole avere e ci si preoccupa di quanto possiamo dare."

"Dare?"

"Sì, per rendere l'altro felice."

"A letto... ho sempre dato all'altro quanto voleva da me."

"E mai quanto voi volevate dargli? Non solo per il suo piacere, per accontentarlo... non come... un lavoro, un dovere, ma per la gioia di vedere l'altro essere felice grazie a voi e non solo appagato, non solo fisicamente soddisfatto?"

Ranuccio rifletté. "No mai. Ma ancora non mi hai detto che cosa è l'amore..."

"Posso provarci, signore... anche se temo di essere inadeguato. Prima di tutto credo sia rispetto verso l'altro, per cui nell'altro non cerca il proprio interesse, ma vuole il suo. È gentilezza di cuore, è pazienza che ci permette di non adirarci ma tutto sopportare quando si crede che l'altro sbagli nei nostri confronti; è non invidiare se l'altro è migliore di noi in qualcosa, ma anzi esserne lieto e ammirarlo... Chi ama non si vanta di quanto ha, non è superbo, non si gonfia di se stesso... perché ai suoi occhi l'altro vale assai più di lui. Ognuno di noi non sa che cosa egli realmente sia, e non può capirlo, se non specchiandosi nell'amore dell'altro che ci rende accettabili i nostri limiti. È un profondo e disinteressato sentimento di affetto verso l'altro, attrazione verso ciò che l'altro è, e desiderio, che viene dalla coscienza di ciò che ci manca e che solo l'altro può colmare."

Ranuccio guardò il ragazzo con rispetto: "E mi dicevi che ti ho fatto una domanda troppo difficile, e che non sapevi se avresti saputo rispondervi! Lo sai, Lando, che mi hai dato molto su cui riflettere? Che la tua preoccupazione per me mi ha rivelato di avere al mio servizio una perla rara? Come posso ringraziarti?"

"Siamo Marzio e io che vi dobbiamo ringraziare, signore, e non voi me..."


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