"Il desiderio viene da ciò che ci manca e che solo l'altro ci può dare..."
Queste parole risuonavano nella mente di Ranuccio. Ormai Federigo aveva ventinove anni e lui venticinque. Non erano più ragazzi, ma giovani uomini, nel pieno del loro splendore.
"Dunque... se io desidero così fortemente Federigo, significa che egli mi manca e che lui solo può darmi ciò che mi abbisogna. Eppure ho tutto: onori, ricchezza, gioventù, forza, salute... Che sia proprio l'amore che mi manca e di cui ho bisogno? Quell'amore che nessun altro ha saputo offrirmi se non lui, Federigo, e che io ho rifiutato?" continuava a chiedersi Ranuccio.
Infine, dopo giorni di lunghe riflessioni e grandi incertezze, Ranuccio si recò nel quartiere delle guardie d'onore e chiese di Federigo. Quando questi uscì, Ranuccio si sentì emozionato.
"Posso invitarti a venire a passeggiare per un poco con me nel giardino dello spalto vecchio?" gli chiese. "Hai tempo, ora?"
"Sì, basta che affidi il comando al mio sottocapo. Solo un momento, barone."
Uscirono nel giardino e caminarono lungo i vialetti, fianco a fianco. Ranuccio non sapeva come iniziare il discorso che voleva fare a Federigo: la sua sola vicinanza lo turbava... assai piacevolmente.
"Io... ti desidero, Federigo. No, taci, lasciami parlare, per cortesia, o temo di non saper dare coerenza ai miei pensieri. Io ti desidero, non nel senso che voglio condividere il letto con te, non solo il tuo corpo, ma assai più di questo. Ti desidero perché tu... mi manchi. Perché ho capito che non posso essere veramente me stesso, senza te. Perché voglio imparare ad amare, ad amare te... e solo chi già ama può guidare l'altro ad amare." disse qusi tutto d'un fiato.
Camminavano fianco a fianco, guardando davanti a sé, il vialetto che si snodava fra cespugli fioriti e ben curati. Ranuccio riprese a parlare.
"Io, ora... so che tu manterrai il segreto, ne sono certo... io ora sono l'amasio del granduca. Egli non mi fa mancare nulla, mi tratta assai bene, da quando sono al suo servizio mi ha conferito onori, una vita assai piacevole, ricchezze, rispetto. Ma una cosa non mi dà e non mi può dare... amore. Tu mi hai offerto amore, e io l'ho rifiutato ma... ero solo un ragazzetto sciocco, allora, incapace di capire il vero valore delle cose. Ora... quel ragazzetto s'è accorto del suo errore ed è qui che ti chiede... ti implora di perdonarlo e di accoglierlo nuovamente... di accoglierlo nel tuo amore."
"E il granduca?" gli chiese sottovoce Federigo.
"Il granduca... se sono fortunato, capirà e mi lascerà andare. Se no... subirò volentieri la sua ira, la sua vendetta."
"E butteresti a mare tutto quanto hai e che io non ti potrei mai dare? Sfideresti le ire del nostro signore? Perché?"
Ranuccio notò che Federigo aveva cessato, forse inconsciamente, di dargli del voi, e ne gioì grandemente. "Perché forse... forse tu mi puoi dare qualcosa di valore molto più grande, se mi insegnerai ad amarti."
"Come si può... insegnare ad amare?"
"Amando?" chiese Ranuccio temendo che le parole di Federigo segnassero un nuovo rifiuto.
"Io ti amo... ti amo da quando entrambi si divideva la tenda all'accampamento della compagnia della Picca. Eppure pare che non sia servito a insegnarti ad amare..." disse con una certa amarezza nella voce il bel sergente.
"E mi ami ancora?"
"Sì..."
"Allora, se veramente mi ami... accetta che io sia di nuovo il tuo ragazzo, che io ti segua di nuovo, che io sia nuovamente tuo!"
"Sarebbe bello..."
"Sarà bello!"
"Ma qui, a corte... e io... io non saprei, non sopporterei di condividerti con altri, foss'anche il granduca."
"Né lo vorrei io. Prendimi con te, andiamo via di qui! Cerchiamoci un lavoro, lontano, tu e io... Federigo, non m'ero mai reso conto di quanto tu mi manchi... Ma ora lo so. Ti prego... Una volta tu mi salvasti da quei due soldati ubriachi. Salvami ora da questa vita, così piacevole e così inutile. Mi portasti via dalla locanda, dove vendevo il mio corpo agli avventori. Portami via da qui dove ho venduto il mio corpo a uomini illustri e potenti. Fai di me, finalmente, un uomo... e il tuo amante!"
"Davvero tu lasceresti tutto questo? Sei ben sicuro di non rimpiangere un giorno questa tua scelta?"
"Un giorno, uno degli uomini con cui ho giaciuto, e forse il meno dissimile da te, ma di te assai meno valente, mi disse che io ero destinato a un'irresistibile ascesa. Ebbene, è vero, aveva ragione... da contadinello quasi morto di fame, a ragazzo di locanda che vendeva il suo corpo, a vivandiere, ad attendente, poi scrivano, segretario, gentiluomo di camera, cavaliere, barone... mi manca solo l'ultimo gradino, l'ultima ascesa... essere tuo!"
"Hai riflettuto bene, Ranuccio, prima di compiere questo che tu chiami l'ultimo gradino?"
"Da giorni non faccio altro... ti prego, dammi di nuovo il tuo amore."
"Mi hai colto talmente di sorpresa che... vorrei dirti di sì, Ranuccio, vorrei abbracciarti qui, incurante se dalle finestre del palazzo ci possono vedere, portarti là sull'erba fra i fiori del giardino e..."
"Dici che vorresti... non puoi, dunque? Non ti fidi di me, delle mie parole?"
"Mi fido, sì, perché sento e so che vengono dal tuo cuore e non dalla tua mente. Che posso dirti, Ranuccio..."
"Che mi vuoi, che mi accetti di nuovo, che non è troppo tardi. Io voglio davvero imparare ad amarti."
"Non puoi."
"Perché non posso?" chiese quasi disperato il giovane.
"Perché... se tutto quanto mi hai detto fin qui è vero..."
"È vero!" lo interruppe Ranuccio quasi con veemenza.
"Tu già mi ami." concluse Federigo guardandolo finalmente negli occhi con un luminoso sorriso.
"È un sì?"
"È un sì."
Due lacrime tremolarono negli occhi di Ranuccio, che si sentì improvvisamente liberato da una pesante cappa, sollevato al settimo cielo, commosso quanto mai era stato in vita sua. Fece un vero sforzo per non prendere fra le braccia Federigo e rifugiarsi nelle sue.
"Chiederò udienza al granduca, gli dirò che sono innamorato e che mi permetta di lasciare la corte... Non gli dirò di chi, perché se la sua reazione fosse di ira, non voglio che la sfoghi su te, ma solo su me."
"No, mio dolce Ranuccio. Se davvero mi ami come io ti amo, non potrei mai permettere che tu sia solo ad affrontare l'eventuale ira del nostro signore. Quando parlerai con il granduca... sarò al tuo fianco, perché se è vero che ci amiamo, dobbiamo restare sempre al fianco l'uno dell'altro, nella buona e nella cattiva sorte."
"Allora vieni. Andiamo subito a chiedere udienza al nostro signore."
Risalirono nel palazzo e Ranuccio chiese dove fosse il granduca e se fosse libero. Gli dissero che era, da solo, nella stanza del sigillo. I due ritrovati amanti vi si recarono e Ranuccio bussò alla porta, ai lati della quale erano le due guardie d'onore.
"Chi è?" disse la voce di Aloisio dall'interno.
"Ranuccio..." rispose.
"Entra!"
Ranuccio entrò, seguito da Federigo.
"Oh, da quando in qua bussi, Ranuccio..."
"Non sono solo, perciò ho bussato."
"Ah, il sargente della guardia d'onore. Vi è qualche problema?"
"Granduca Aloisio..." iniziò a dire Ranuccio.
Il giovane signore corrugò la fronte: "Dall'esordio... devo dedurre che questo è un incontro... ufficiale?"
"Al contrario, è un incontro privato." precisò Ranuccio. "Sono venuto a chiedervi di dispensarmi dal vostro servizio."
"Dispensarti? Vuoi lasciare la corte? E lasciare, perciò... me?"
"Così è, granduca. Vi rendo il mio titolo di barone, che tanto graziosamente avete voluto elargirmi, e questa spada da cavaliere che vostro padre mi affidò."
"Ma perché? E... che c'entra... il sargente della mia guardia d'onore?"
"Anche io, mio signore e sovrano, chiedo di essere dispensato dal mio servizio." disse allora Federigo.
"Ma che accade. Cos'è questo? Volete abbandonarmi tutti? E perché mai? Non vi ho sempre trattati, e l'uno e l'altro..." iniziò a dire, corrucciato, il giovane signore. Poi tacque e chiese: "Tu, sargente... il tuo nome è Federigo?"
"Sì, mio signore."
"Quello stesso Federigo che seguisti al campo dei soldati di ventura?" chiese allora il granduca a Ranuccio, iniziando a intuire.
"Quello stesso. Federigo e io... abbiamo deciso di vivere assieme, di condividere le nostre vite, qualunque cosa ci riservino, e farne una vita sola."
Aloisio strinse le labbra, poi chiese: "E che può darti codesto Federigo, che non possa darti io con maggiore sovrabbondanza di lui? Non sono sempre stato generoso, nei tuoi confronti?"
"Lo siete stato, signore. Ma la sola cosa che non potrete mai darmi... che non mi sono mai atteso da voi o da altri, ma che ho scoperto essermi cara più della vita, e che Federigo invece mi offre... è l'amore."
Aloisio annuì: "Ecco perché tu, Ranuccio, non hai mai esitato a parlarmi, anche nei più minuti dettagli, degli altri uomini che ti ebbero prima di me... eppure sei sempre stato assai vago quando parlavi di codesto Federigo! Pensavo che fosse perché poco t'importava di lui e invece... era esattamente il contrario."
"Io stesso non l'avevo ancora capito... ma è esattamente come voi dite."
"E se ora io decidessi di farvi gettare nelle segrete del palazzo... e in due celle separate?" chiese Aloisio. "Non siete stati pazzi a venire a dirmelo, invece di scomparire alla chetichella dal mio palazzo?"
"Sapevamo di correre questo rischio, signore. Ma entrambi abbiamo prestato giuramento di fedeltà e lealtà nei vostri confronti, e perciò non potevamo fuggire come due fuorilegge." rispose Federigo.
"Tanto leali da rifiutare quanto m'attendevo da te, Ranuccio? Tanto leali da portarmi via il mio... gentiluomo di camera, Federigo?" chiese Aloisio.
"La nostra lealtà, che rimane intatta, concerne i nostri corpi, le nostre menti... ma non i nostri sentimenti." disse Ranuccio.
"Ma tu, Ranuccio, mi stai dicendo che d'ora in poi è proprio il tuo corpo che mi vuoi negare!"
"Avete ragione, granduca Aloisio, mi sono espresso impropriamente. Non i nostri corpi, avrei dovuto dire, ma le nostre vite." si corresse Ranuccio con un lieve sorriso. "Vi appartengono, potete reciderle, se questo vi sembra giusto."
Aloisio si alzò. Guardò alternativamente i due amanti, ritti in rispettoso ma non servile atteggiamento davanti a lui, poi scosse il capo.
"A che mi servirebbe farvi marcire in due celle separate? A che prendermi le vostre vite? La vendetta è un cibo amaro e indigesto. Mi rammarico di perderti, Ranuccio, ma... se questo è quanto vuoi... Ricordi? Ti dissi che la parola barone pare provenga o dal germanico o dallo spagnolo... e ti dissi che era il significato spagnolo che più ti si addiceva. Ricordi?"
"Sì, mio signore."
"E invece... invece mi sbagliavo, è il significato tedesco che più ti si addice: uomo libero! Sì, sei libero. Siete liberi. Andate... vi dispenso dai vostri servizi. Quanto al tuo titolo di barone e di cavaliere, puoi non usarli, se così ti aggrada, ma nessuno te li può togliere, neanche io, se non in caso di una condanna per alto tradimento... Anche se è vero che mi sento tradito da voi due e specialmente da te, Ranuccio. Ma è un tradimento su un piano personale, privato, e non come vostro signore. Toglietevi dalla mia vista, ora, prima che io cambi idea!"
I due amanti, presi alcuni abiti, il loro denaro e poche altre cose, lasciarono il palazzo del granduca.
Stavano uscendo dalla città, passando per la Porta Montana, quando un uomo vestito poveramente, che stava giungendo dalla campagna, si indirizzò a Federigo: "Siete un soldato, voi?"
"Lo ero, perché?" chiese Federigo.
"Ecco vedete, io vengo da Fossombrone, dove la figlia dell'oste mi incaricò di venire a cercare il fratello, un certo Federigo, che fa il soldato. Sapreste indicarmi dove posso trovarlo?"
"Mia sorella Firmina o Ultimina vi manda? Sono io Federigo. Che messaggio avete da darmi?"
"Siete voi? Questo sì che è culo!" disse l'uomo. "Vostra sorella Firmina. Mi dette uno scudo, perché vi portassi il suo messaggio. Dunque, mi chiese di dirvi che vostro padre è morto, e che vorrebbe che tornate a Fossombrone per prendere possesso dell'osteria, che lei da sola non può mandare avanti, che se voi dite di no la deve vendere ma non vorrebbe farlo, perché lei e vostra madre non hanno altro mezzo per vivere."
"Ma... e i miei fratelli? E Ultimina?" chiese Federigo.
"Per quanto ne so, i due grandi hanno un buon mestiere e non gli interessa l'osteria, e l'altra vostra sorella si maritò a uno speziale e non vive più in Fossombrone. Vostra sorella Firmina non si maritò e per due donne sole, dice che mandare avanti l'osteria è troppo. E non le saprei dare torto."
Federigo guardò Ranuccio con uno sguardo interrogativo. Questi gli disse: "Ebbene, andiamo a Fossombrone... Credi che tua sorella... accetterà anche me a servire nell'osteria?"
L'uomo che aveva portato l'ambasciata rise e chiese: "Voi, un signore, servire nell'osteria?"
"No, buon uomo, non lasciarti ingannare da questi abiti. Io sono solamente un... ex-attore, e non un signore. Stanco di recitare, mi piacerebbe fare il servo in un'osteria."
"Ah, capisco... m'ero lasciato ingannare dai vostri abiti. Allora, non è necessario che io torni a Fossombrone per portare la risposta, se vi andate voi, giusto?"
"Giusto. Ma non hai casa e famiglia a Fossombrone, tu? Non torni con noi?"
"No... Mia moglie mi abbandonò or sono due anni, per andare con un mercante. Preferisco andare in città e trovare un lavoro. Però... posso tenere tutto lo scudo che mi dette vostra sorella no? Anche se non torno a portarle la risposta."
"Certo che puoi tenerlo. Anzi, prendi anche queste monete. Grazie buon uomo, per il messaggio che m'hai portato."
I due presero la strada. "Davvero, Ranuccio, lavoreresti con me nell'osteria?"
"Se ci lavori tu, certo. D'altronde tu e io ci siamo conosciuti in una locanda... il cerchio si chiude nel migliore dei modi. Ma davvero pensi che tua sorella non sospetterà di noi e che mi accetterà?"
"No che non sospetterà... perché Firmina è l'unica della mia famiglia che ha sempre saputo di me. Sarà anzi contenta che ho trovato finalmente, in te, l'amore."
"Ottimo!" esclamò allegramente Ranuccio.
"Solo mi chiedo... com'è che non s'è ancora maritata. L'ultima volta che la vidi pareva che pensasse di maritarsi con un certo Menico, un giovane scalpellino..."
"Quant'è che non la vedi più?"
"Poco meno di due anni. Pensavo che a questo punto si fosse già accasata. Ormai ha sei lustri e due anni, mia sorella... Mah, quando arriveremo, sapremo."
"Dimmi, Federigo, come si chiama l'osteria che era di tuo padre?"
"Non ha un nome. Sull'insegna v'è solo scritto osteria. La gente diceva l'osteria di Cecco, che era il nome di mio padre."
"Che ne diresti se le dessimo un nome?" chiese Ranuccio guardandolo con un sorrisetto.
"E perché no? Hai qualcosa in mente?"
"Sì... Osteria all'imperatore. E come insegna una picca infilata in una corona da barone, per rappresentare te e me."
"E perché all'imperatore?" chiese Federigo.
"Perché un giorno dissi che nella mia irresitibile ascesa, volevo giungere al gradino di imperatore. Così... anche questo s'avvera, perché tu sei il mio imperatore."
"E tu sei il mio imperatore, Ranuccio... E mi piace l'idea, sia del nome che dell'insegna."
Dopo alcuni giorni di cammino, giunsero finalmente a Fossombrone. Quando si presentarono alla porta dell'osteria, dall'interno giunse un grido di gioia e Firmina si pecipitò ad abbracciare il fratello.
"Sei qui! Sei qui! Quanto sono felice! Hai ricevuto la mia ambasciata?"
"Sì, per questo sono venuto. Per aiutarti qui nell'osteria."
"Dio sia lodato! Vieni, devi dirmi tutto. E questo signore?"
"Ti spiegherò poi. Dove si può andare a parlare in pace? Tu con noi due?"
"Dico alla mamma di curare lei per un po' l'osteria, che tanto a quest'ora sono ancora pochi gli avventori. Vieni di sopra... Scusate, signore, tutto è assai modesto qui da noi..."
"Non vi preoccupate per me, Firmina, e non lasciatevi ingannare dai miei abiti."
Federigo spiegò alla sorella chi fosse Ranuccio e le disse che tutti e due si sarebbero presi cura dell'osteria, assieme a lei e alla mamma.
"Fra il mio Ranuccio e io, abbiamo anche abbastanza denaro, sì che possiamo rendere più bella ed accogliente l'osteria." concluse Federigo.
"Quanto sono contenta per te, Federigo. Il tuo compagno, oltre a essere assai bello, ha un volto pulito, gentile e buono! E se non vi dispiace, visto che abiterete qui con noi, Ranuccio, ci si potrebbe dare del tu... come fra fratello e sorella."
"Con vero piacere, Firmina." rispose Ranuccio, grato e lieto d'essere stato accettato con tanta buona grazia.
"Ma tu, piuttosto, dimmi Firmina, che fine ha fatto quel Menico con cui credevo che ti saresti accasata?"
"Oh, quel poveretto! Io sono sempre stata sfortunata con gli uomini, come sai, e mi sono ormai rassegnata a restare zitella. Si stava già iniziando a parlare delle nostre nozze, come ti dissi, quando un giorno il povero Menico cadde dall'impalcatura su cui stava lavorando e si spaccò la testa come un melone... e così..."
"Oh, mi dispiace, Firmina... Davvero sei sfortunata!" le disse Federigo.
"Eh, a quanto pare... tutta la fortuna con gli uomini te la sei presa tu!" rispose con lieve allegria la donna. "Più lo guardo, il tuo bel Ranuccio, e più ti invidio!"
"Ehi, sorellona, mica ti metterai in testa..." le disse con aria scherzosamente preoccupata Federigo.
"Ma no, ma no, stai tranquillo. D'altronde basta vedere come ti guarda per capire quant'è innamorato di te, il tuo Ranuccio, e che anche se io ci provassi con lui farei solamente un buco nell'acqua. Sapete che vi dico? Ora che mamma è rimasta sola, può andare a dormire nella camera che era dei ragazzi, e così voi due potete avere il letto grande... Certo, non è un letto bello come quello che avevi a corte, Ranuccio... ma spero, anzi sono certa, che ci starai bene... con il nostro Federigo accanto."
Ranuccio arrossì, ma rispose: "Sono certo che non rimpiangerò mai il letto che avevo a corte, finché avrò tuo fratello con me."
"Quant'è dolce! È ancora capace di arrossire! Comincio già a volerti bene, Ranuccio. Mi sa che tu e io andremo d'accordo! Ma ora sarete stanchi, per tutte le leghe che avete dovuto macinare a piedi per arrivare fin qui. Finché non avrò parlato con mamma, potete andare a riposarvi un poco nella camera che era dei ragazzi."
"Pensi che mamma ci lascerò la sua camera? E che non troverà strano che Ranuccio e io dormiamo lì invece che nella stanza dei ragazzi, dove dormivo coi miei fratelli prima di farmi soldato di ventura?" le chiese Federigo.
"Mah... forse hai ragione tu. Mi sono lasciata prendere un po' dall'entusiasmo nel sapere che almeno tu, Federigo, ti sei accasato."
"Possiamo, in seguito, risistemare la camera dei ragazzi in modo che vada bene per noi due." propose Federigo.
"Sì, faremo così. Ma adesso andate a riposare. Torno su a chiamarvi quando la mamma mette in tavola per cena."
Federigo portò Ranuccio nella camera, dove erano tre semplici pagliericci, un paio di cassapanche e un vecchio baule.
"Quele letto vuoi, Ranuccio?"
"Il tuo, no?"
Federigo sorrise: "Io dormivo lì..."
"E ora? Dove ti metti, tu?"
"Mah... qui."
"Ecco, allora ci vengo anche io."
"Staremo stretti..."
"Non per... per fare l'amore. Non l'abbiammo ancora fatto, tu e io, dopo quell'ultima volta all'accampamento. E io... ne ho veramente bisogno... se non sei troppo stanco." disse Ranuccio, guardando Federigo con occhi imploranti.
Questi sorrise, gli tese una mano tirandolo a sé e gli disse: "Vieni, allora. So che mi farai passare ogni stanchezza, amato mio!"
"Abbiamo tempo, prima dell'ora di cena, no?"
"Sì, certo... Ti amo, mio imperatore!" disse Federigo iniziando a togliere gli abiti di dosso a Ranuccio, che subito fece altrettanto con il suo uomo.
Quando, più tardi, Firmina salì per chiamarli per cena, e stava per bussare alla porta della camera da letto dei ragazzi, si fermò con le nocche poco prima di battere sul legno del battente.
Inequivocabili suoni, per quanto lievi, provenivano da dentro la stanza.
La giovane donna sorrise, fece dietrofront, scese la scala e disse alla madre: "Penso che sia meglio tenergli in caldo la cena... Erano troppo stanchi tutti e due e stavano ancora dormendo come due angioletti, così non ho avuto cuore di disturbarli."
"Ma sì, hai fatto bene, mangeranno più tardi. Sono contenta che Federigo abbia deciso di tornare e prendersi cura dell'osteria."
"Sì, mamma, anche io. E che con lui ci sia anche quel Ranuccio. Mi piace assai e sarà un ottimo aiuto."
"E magari... chi sa... se anche tu piaci a lui..." disse la madre riempiendo le ciotole di cibo.
"Eh, a me piacerebbe anche, è assai caruccio, oltre che bello, e i suoi occhi sono buoni. Ma è meglio che non vi facciate troppe illusioni, mamma, come non me ne faccio io. E poi... è troppo giovane per me, ha solo cinque lustri di età, sette anni meno di me... L'uomo dovrebbe sempre essere più vecchio della donna, si dice, no?"
"Anche questo è vero... Ma com'è che è vestito così da signore, quell'amico di tuo fratello?"
"Forse il suo padrone, là nel palazzo del granduca, gli ha regalato qualche suo vecchio abito... o magari tutti quelli che lavorano a corte hanno vestiti così belli, chi sa..." disse Firmina, senza rivelare alla madre, come aveva promesso ai due amanti, che in realtà Ranuccio era un barone e che aveva rinunciato a tutto pur di stare con Federigo.
"Ha modi così raffinati... per quel poco che l'ho visto..."
"Anche Federigo era assai bello nella sua uniforme da soldato, e ha modi raffinati. Ma dovremo procurare loro abiti adatti per lavorare qui in osteria, penso. Magari, almeno per ora, si possono adattare per loro i panni del povero babbo."
Poco dopo sentirono i due scendere le scale. Entrarono in cucina e sedettero alla tavola. Firmina si alzò per prendere loro le ciotole con il cibo.
"Avete riposato a sufficienza?" chiese a beneficio della madre.
"Forse necessitiamo ancora un po' di riposo, ma è stato opportuno stenderci un poco." rispose Federigo tranquilllo, non immaginando che la sorella sapeva come si fossero "riposati".
Mentre la madre andava nell'osteria a servire alcuni clienti, Firmina sussurrò loro: "Cercate di non guardarvi con quegli occhi da innamorati, quando torna la mamma."
"Faremo del nostro meglio, Firmina... anche se non sarà così facile." le rispose Ranuccio.
"Eh! L'amore! È come una lampada, che mica la si può nascondere... la luce comunque filtra sotto la porta. E non solo la luce..." disse la giovane donna allegramente, felice per l'amore che finalmente, almeno il fratello, aveva trovato.