L'avvocato Graham Dewey Stephenson, non ricevendo risposta dal figlio alle sue missive, e ricevendo invece lettere sempre più allarmate dall'università, si decise infine di recarsi di persona a vedere che cosa stesse accadendo. Giunto a Cambridge, si recò subito all'università e chiese di parlare con il decano. Poi fece convocare il figlio, ma l'inserviente disse che quel giorno Austin non s'era visto a lezione.
Allora Graham Dewey Stephenson si recò all'appartamento di Austin. Salì e bussò alla porta. Dopo un po' che bussava, la porta si aprì e Austin apparve, scarmigliato, sommariamente vestito, gli occhi cerchiati. Non si mostrò stupito di trovarsi di fronte il padre. Con un sorriso ebete e in tono ironicamente formale, lo invitò a entrare.
"Che fai, ridotto in questo stato pietoso, ancora a casa, invece di essere all'università?" lo apostrofò il padre sfilandosi i guanti poi il soprabito e sedendo al tavolo della minuscola cucina.
"Secondo voi, ridotto in questo stato che voi definite pietoso, dovrei essere in aula? Se volete, ci vado immediatamente."
"Non dire bestialità! Siedi. Dobbiamo parlare."
"Mi pareva che lo stessimo già facendo..." gli rispose con lieve sarcasmo, e sedette dall'altra parte del tavolo, di fronte al padre.
"Non ti vergogni a ridurti in questo stato?"
"No."
"Dammi un buon motivo per il tuo comportmento, ammesso che ve ne sia uno."
"Un buon motivo, dite? Il rimorso. Quello che voi non sapete nemmeno possa esistere, dubito che conosciate questa parola, o il suo significato. Sì, il rimorso, signor padre, perché io quanto voi, voi quanto me, avete ucciso Quentin Nathan Morrigan circa un anno e mezzo fa."
"Ucciso? Io? Tu? Che vai dicendo? Parli forse di quello sciagurato ragazzo che ti aveva condotto sulla via della perversione?"
"Parlo di quello sfortunato ragazzo di cui mi innamorai e che si legò a me per amore, e che si sentì tradito quando voi m'impediste di vederlo, sì che, non reggendo il mio tradimento, che voi m'avevate imposto, si gettò sotto un treno e pose fine alla propria vita... Aveva solo diciannove anni! Il rimorso, signor padre!"
"Rimorso? Non dire bestialità. Se quel ragazzo s'è ucciso, è colpa sua, non tua né tanto meno mia. Evidentemente era un debole, un vile, incapace di affrontare la vita da vero uomo, come invece hai fatto tu. Ha fatto bene a porre fine alla propria vita, se non la sapeva vivere."
"Già, e io avrei dovuto porre fine alla mia assieme a lui, o assieme a lui viverla con amore! Il debole, il vile sono stato io, che non ho saputo oppormi alle vostre decisioni. Io che ho smesso troppo in fretta di lottare!"
"Austin Oliver, ascolta... Io capisco che possa dispiacerti che il ragazzo che... t'illudevi di amare..."
"Che amo!" lo interruppe con veemenza il giovane uomo.
"... che t'illudevi di amare, non avesse in sé sufficiente forza e virilità per affrontare la realtà della vita. Ma ormai, quel che è fatto è fatto, non è riducendoti in questo stato che gli puoi ridonare la vita, no? Il vero uomo sa superare il dolore e sa andare avanti con coraggio, con forza, con determinazione. Bere, andar male negli studi, che vantaggio ti porta?"
"Vantaggio... Già, voi non fareste mai nulla che non vi arrechi un vantaggio."
"Ma è naturale! Ascolta, voglio fare un patto con te..."
"Un patto?" chiese il giovane guardandolo incuriosito, chiedendosi che cosa mai avesse escogitato il padre.
"Sì. Ho visto il nuovo modello della Ford, un'elegante vetturetta a due porte, la Tudor. Ebbene, te la comprerò e sarà tua non appena i tuoi insegnanti mi faranno sapere che sei tornato in te, e ai tuoi normali livelli di resa negli studi."
Austin rise con amarezza: "Siete davvero impagabile, avvocato Stephenson. Mi proponete una Ford Tudor due porte... sì, ne ho vista una, è davvero una graziosa vettura, mi proponete una macchina per consolarmi, o farmi dimenticare, l'unica persona al mondo che m'ha amato davvero, che io ho amato, e che la vostra insensibilità e la mia vigliaccheria mi hanno fatto perdere? Un'automobile in cambio di una vita? Non vi rendete conto di quanto sia mostruosa la vostra proposta?"
"Non essere assurdo. L'automobile è un premio per il tuo impegno negli studi. E voglio che tu risponda alle mie lettere, d'ora in poi..."
"Come posso rispondere, senza conoscerne il contenuto?" chiese con ironia il giovane.
"Vuoi dire che non ti sono state recapitate?"
Austin si alzò, prese la scatola e la depose davanti al padre: "Sono tutte qui, dalla prima all'ultima."
Sul coperchio era scritto, in elegante corsivo: "Sentina d'ogni rettitudine". Il padre aprì la scatola e ne estrasse le lettere, tutte ancora chiuse.
"Ma... non le hai neppure lette?"
"E a che pro? Se fosse abbastanza grande, metterei anche voi in questa scatola, e la chiuderei accuratamente, sì che nessuno possa mai aprire questo novello vaso di Pandora!"
"Non ti capisco... non ti capisco proprio..." mormorò il padre lasciando ricadere le lettere nella scatola.
"Me ne sono accorto, avvocato Stephenson. E vi compiango: forse questa è la prima causa che avete persa, non è vero?"
"Austin Oliver! Voglio darti un'ultima possibilità!" disse l'uomo alzandosi in piedi, con aria seccata ma determinata. "Vedi di uscire da questo tuo imperdonabile stato di... quasi abbrutimento e di comportarti da uomo, e come ho dimenticato altri tuoi errori, dimenticherò anche questo. Ora devo andare, ho già perso anche troppo del mio tempo. Mi aspetto che tu riprenda la tua vita in mano e ti dimostri degno della mia fiducia."
L'uomo uscì dall'appartamento. Austin richiuse la scatola e la ripose sullo scaffale. "Peccato che sia così piccola, questa scatola..." mormorò. Poi andò a rinfescarsi il viso, si pettinò, si mise in ordine gli abiti, e scese sulla via.
Stava per avviarsi all'università, quando, dalla porta dell'osteria, il giovane Renzulli lo salutò: "Mister Stephenson! Vi state recando all'università?"
Austin si girò e guardò il bel ragazzo, di soli due anni più giovane di lui, e rispose al suo luminoso sorriso: "Ti chiami Corrado, non è vero?"
"Sì. Vi ricordate del mio nome, signore?"
"Ho sentito tuo padre chiamarti... Sai che ora è? Ho dimenticato il mio orologio su in casa."
"Quasi l'ora di pranzo. I primi clienti stanno già arrivando e mia madre con mia sorella stanno già spignattando."
"Quasi l'ora di pranzo. Che cosa propone, oggi, la casa?"
"Tagliatelle al ragù, pollo alla diavola, verdure lesse, e un frutto di stagione a scelta."
"Non una pizza?"
"Le pizze le faccio solo per cena, non accendiamo il forno a quest'ora."
"E il vostro buon vino?"
"Quello, sempre."
"Bene, allora oggi pranzerò qui da voi. Ma soprattutto, portami un boccale di buon vino, che voglio bagnarmi la gola, mentre attendo che sia pronto il cibo."
Austin entrò e andò a sedere a uno dei tavolinetti apparecchiati per una persona. La luminosa allegria del ragazzo gli dava un vago senso di piacere.
Non sapeva, Austin, che Corrado si sentiva fortemente attratto da lui ma che, non avendo nessun indizio che il giovane cliente potesse essere interessato a lui, si contentava di ammirarne le belle forme, di desiderarlo in segreto. Il ragazzo leggeva, negli occhi di Austin, una tristezza, una pena che pareva non abbandonarlo mai, e si chiedeva da che cosa fosse causata. Aveva inoltre notato che Austin eccedeva un poco nel bere.
Scelse perciò un vino saporoso ma di bassa gradazione e, mettendolo sul tavolo, disse: "Il nostro vino è del migliore, Mister Stephenson, ma lo si gusta veramente se non se ne beve troppo."
"Ma come! Più ne bevo più denaro ti pago. Non è questo l'importante, per te?"
"No, Mister. L'importante per me è che i nostri clienti stiano bene. E voi in particolare, dato che venite spesso a onorarci con la vostra presenza. Un buon oste, inoltre, si dice nella mia terra, si vergognarebbe nel far uscire un cliente ubriaco dai suoi locali, perché mostrerebbe di avere più avidità per il denaro che cura per la salute e il benessere dei suoi clienti."
"Il contrario che qui da noi, dove si pensa che se da un pub esce un cliente ubriaco, significa che la birra è talmente buona che non si smette in tempo di berne."
"L'oste astuto serve sempre il miglior vino all'inizio, e il peggiore alla fine, quando il cliente, essendo brillo, non sa più apprezzarne la qualità. Perciò chi esce ubriaco, è stato probabilmente anche fregato dall'oste." gli fece notare il ragazzo. "Perciò, per cortesia... non trascendete nel bere, signore, se mi permettete un consiglio."
"Bevo per... dimenticare." disse a mezza voce Austin e Corrado notò il velo di mestizia accentuarsi sul bel volto del giovane cliente.
"Se per dimenticare ci volessero cinque anni... e se bere vi impedisce di pensarci per mezza giornata... ci mettereste semplicemente dieci anni per dimenticare. Non fareste che prolungare il problema, in realtà."
Austin lo guardò: "E allora, che cosa dovrei fare, secondo te?"
"Il dolore si supera accettandolo, non rifiutandolo, signore."
"Che ne sai, tu, del dolore?"
"Quanto basta. Non creda che, perché non ho ancora compiuto i diciannove anni, non sappia che cosa è il dolore."
Austin annuì: "Sì... anche a diciannove anni il dolore può essere così grande che non si riesce a sopportarlo... e si preferisce rinunciare alla vita."
"Io... non giudico chi si sente ridotto a fare una tale scelta. Ma non la farei mai. Perché, se pure fosse vero che così cesso di soffrire, so che con questo gesto farei soffrire tutti coloro che mi amano. Mi toglierei di dosso un fardello per scaricarlo su altri, che forse non lo meritano." disse a bassa voce Corrado.
Austin iniziò a frequentare sempre più spesso l'osteria, e sempre meno l'università. Poter scambiare qualche parola con quel ragazzo, o anche solo guardarlo volteggiare, sereno e agile, fra i tavoli, pareva alleggerire in parte l'intensità del dolore che provava.
Corrado, appena poteva, si fermava a parlare con Austin e si sentiva sempre più attratto dallo studente. Ma, capace di un notevole autocontrollo, riusciva a nascondere i suoi veri sentimenti, mantenendo un atteggiamento semplicemente cortese e rispettosamente amichevole. Gradualmente Corrado riuscì, con pazienza e delicatezza, a convincere Austin a bere di meno e mangiare di più.
Dopo qualche tempo, Austin un giorno chiese a Corrado di cessare di chiamarlo Mister o sir, e di chiamarlo per nome. Il ragazzo aderì volentieri a qella richiesta. La confidenza e l'amicizia fra i due iniziò, anche grazie a questo, a svilupparsi.
Ormai Austin quasi non frequentava più l'università: preferiva, quando Corrado era libero, passare il tempo con lui, facendo lunghe passeggiate e chiacchierando.
E finalmente un giorno Austin si sentì pronto ad aprire completamente il proprio cuore a Corrado, e gli confidò la ragione della sua tristezza. Gli raccontò l'amore che aveva scoperto e vissuto assieme a Quentin, la loro forzata separazione, la sua rinuncia a lottare, per amor di pace, e infine il suicidio di Quentin e il suo conseguente rimorso.
Corrado lo ascoltò in silenzio. Se da una parte scoprire che Austin era omosessuale come lui gli aveva riacceso in cuore la speranza che qualcosa potesse nascere fra loro, dall'altra capì, al tempo stesso, che non poteva esservi posto nel cuore, e forse nemmeno nel letto, di Austin per lui. Però sentì che doveva fare qualcosa per aiutarlo.
"Austin, ti ringrazio per avere in me tale fiducia da dirmi cose così personali, intime, delicate. E, credimi, ti posso capire, perché tre anni fa anche io sono stato separato, se pure non in modo così tragico... dal ragazzo che amavo. Però... però io non credo che devi sentirti colpevole per la dolorsa scelta del tuo Quentin."
"Perché no? Quando si ama, non si è forse responsabili del benessere dell'altro? Che ho fatto io, per essergli vicino, per morire con lui o vivere con lui? Nulla. Ho solo pensato alla mia pace, dicendomi che allo stesso modo anche lui avrebbe sicuramente ritrovato la sua."
"Appunto. Hai agito cercando di fare quanto ti pareva meglio, o meno peggio, in quella situazione. Se tu avessi sospettato che la vostra separazione l'avrebbe portato a rinunciare alla vita, non avresti fatto del tutto per correre da lui, per impedirglielo?"
"Certamente!" rispose Austin sentendo un nodo in gola.
"Ognuno di noi agisce e reagisce secondo le condizioni in cui si trova, secondo le forze che ha... Non possiamo fare altrimenti."
"Lui... ha certamente creduto che io non l'amassi abbastanza."
"Non è detto. E se anche fosse, ora sa che non era così."
"Tu credi che esista davvero una vita oltre la vita? Io non credo più in nulla, ormai."
"Sì, lo credo. D'altronde non è vero che tu non credi più in nulla."
"E in cosa, allora?"
"Nell'amore, nell'amicizia. Se così non fosse, non soffriresti per aver perso il tuo amato, e non ti saresti confidato con me. Non era bello, l'amore che vi legava?"
"Sì, era bello, molto bello."
"E non è bello che noi si possa parlare così, semplicemente, delle nostre cose più intime, sicuri che l'altro ci può capire?"
"Anche questo è bello..."
Austin portò Corrado, per la prima volta, su nel proprio minuscolo appartamento, per fargli vedere il ritratto di Quentin. Lo staccò dalla parete e glielo dette in mano.
"Era anche più bello di così... anche se il pittore ha fatto un buon lavoro."
"Ha un dolcissimo sorriso, oltre a essere bello."
"Sì, vero? Il pittore l'ha dipinto ispirandosi a una fotografia, e io l'ho guidato con le mie richieste, i miei consigli, fino a essere soddisfatto del risultato. E questa è la Croce di Malta di cui t'avevo parlato."
"Sì, l'ho intuito."
Scesero di nuovo in strada, parlarono ancora un poco, poi Corrado dovette rientrare per aiutare i suoi e accendere il forno per le pizze.
"Ti vedrò a cena?" gli chiese, sulla soglia del locale.
"Certamente. Mi piace guardarti mentre prepari le pizze."
"Solo? E non mangiarle?"
"Anche mangiarle, si capisce. Sono molto buone. Sei in gamba. Solo in Italia ne avevo mangiate di altrettanto buone."