GLI EMIGRANTI CAPITOLO 2
PRIMI PASSI COME RANCHERO

Arrivati a Buenos Aires, Alceo salutò Renzo, poi a terra anche Agostino e la sua famiglia. Cercò subito in San Telmo la Plaza Dorrego, dove gli avevano detto che i rancheros cercavano manodopera. Trascinandosi dietro la sua grossa valigia, ormai semivuota poiché aveva quasi finito le provviste che s'era portato, e in cui c'erano solo un paio di ricambi, dopo aver chiesto più volte la direzione, finalmente vi giunse.

Si stava chiedendo come fare per capire chi cercava manodopera, quando un uomo corpulento gli si avvicinò.

"Emigrante?" gli chiese valutandolo da capo a piedi.

"Sì, signore."

"Sei italiano, vero? Cerchi lavoro." affermò l'uomo.

"Sì, in un ranch. In Italia io ero contadino e so coltivare la terra e so anche curare gli animali... vacche, capre, cavalli."

Benché l'uomo parlasse in spagnolo e lui in italiano, si capivano piuttosto bene.

"Presentati all'albergo Cuatro Reyes e chiedi del señor Hernando González, che è il padrone e lui vedrà se prenderti o no."

Alceo trovò l'albergo e chiese del signor González. Contrariamente a quanto si aspettava, era un uomo giovane, sulla trentina, con un corpo snello ma forte, dalle maniche arrotolate spuntavano braccia muscolose. Aveva uno sguardo serio, penetrante. Seduto a un tavolo, abbandonato in dietro contro lo schienale della sedia, le lunghe gambe un po' larghe, un sigaro spento in una mano e un boccale di vino sul tavolo, squadrò Alceo, gli fece diverse domande, poi gli descrisse il lavoro. Alla fine gli fece presente le difficoltà.

"... e non ultima, quando spostate le mandrie del bestiame nei pascoli, restate anche per mesi lontani da ogni pueblo o città... e perciò senza donne. Chi è sposato lascia la moglie a casa, e chi non lo è, quand'è in città si va a cercare una puttana. Il che significa che durante i mesi nei pascoli, o gli uomini sono capaci di non fare niente, e quasi nessuno lo è, o si sfogano con la mano, e qualcuno lo fa, o i più si fottono qualcuno dei giovani."

"Vuol dire che mi dovrei lasciar fottere?" chiese Alceo un po' stupito per quel discorso così esplicito.

"No, non tu, sei già un uomo, ormai. Io, per ogni dozzina circa di uomini assumo sempre due o tre ragazzi fra i sedici e i venti anni, che vi fanno da mangiare, lavano i vostri panni, montano e smontano i campi e fanno tutto quello che serve per la vita all'aperto. E che si lasciano anche fottere da chi glielo chiede. I migliori, quando diventano uomini e se hanno imparato il mestiere, li assumo come rancheros."

"Vuole dire che... basta prendere uno di quei ragazzi e... Cioè, sono ragazzi che gli piace farsi fare da un uomo?" chiese quasi incredulo Alceo.

"Che gli piace o no è del tutto secondario; sono assunti e li pago anche e soprattutto per quello, i patti sono chiari. Se non gli va, si cercano un altro lavoro."

"Ma... e se una volta più di un uomo si vuole sfogare con lo stesso ragazzo?"

"Il primo che gliel'ha chiesto se lo fotte, e gli altri le sere dopo. Il capo-mandria comunque conosce le regole e le fa rispettare. Non voglio litigi fra i miei uomini, e chi pianta grane, chi si ubriaca, chi ruba o chi batte la fiacca, lo licenzio in tronco. A volte dopo una bella frustata esemplare. Allora, sempre deciso a venire a lavorare per me?"

"Sì, signore."

"Sai fare la firma?"

"So leggere e scrivere correttamente... almeno in italiano." rispose Alceo con una certa fierezza.

L'uomo annuì e chiamò: "Pèrez!"

Arrivò un ometto vestito con un gessato che aveva conosciuto tempi migliori, con un fascio di carte in mano, guardò Alceo da capo a piedi e chiese a González: "Lui?" Al cenno di assenso dell'uomo, fece firmare al giovane alcune carte dopo avergliene spiegato il contenuto, poi gli disse di trovarsi lì davanti all'albergo per le tre del pomeriggio, perché un carro li avrebbe portati tutti all'hacienda del signor González.

"Siamo in molti?" gli chiese Alceo.

"Tre fin'ora, con te." gli rispose l'ometto.

"Tutti italiani?"

"No, un tedesco e un messicano."

"Ci sono altri italiani nell'hacienda del signor González?" chiese Alceo all'ometto.

"Solo il cuoco del padrone, con la moglie e i figli. Nessuno fra i rancheros. Sei il primo, almeno fino a ora. Sarà meglio che impari presto a parlare spagnolo, se posso darti un consiglio." gli disse l'ometto e, senza salutare, se ne andò a sedere al suo tavolo.

Alle tre del pomeriggio Alceo era di nuovo davanti all'albergo. L'uomo grosso che gli aveva detto di presentarsi a González era seduto a cassetta di un carro. González e Pèrez erano ognuno sul proprio cavallo lì accanto. Con Alceo salirono sul carro altri sei giovani uomini. Quindi si avviarono.

Il ranch era grande, al centro sorgeva la casa del padrone e della sua famiglia, da un lato c'era un'altra costruzione con magazzini, depositi, l'ufficio, e la cucina e dall'altro quattro grandi baracche di legno, ciascuna con un portichetto davanti, per i rancheros, e due altre baracche più piccole. Alle spalle i chiusi con le mandrie, dieci con mucche, vitelli e buoi, una piccola con quattro tori, e due con decine di cavalli.

I nuovi arrivati furono smistati nelle varie baracche. Alceo entrò in quella assegnatagli. A destra e sinistra c'erano letti a castello con armadietti e ganci per le selle e i finimenti, quattro tavoli con sgabelli, e una grossa stufa di ghisa era al centro. La baracca era di circa otto metri per dodici e c'era il posto per trenta uomini. Cinque lanterne a petrolio appese al soffitto e due lucernari illuminavano l'ambiente.

Il capo-baracca, che era anche un capo-mandria, gli assegnò un letto in alto e il rispettivo armadietto. Gli spiegò che i dodici letti da un lato e quelli dall'altro corrispondevano a due gruppi e che i sei lettini sul fondo erano per i "muchachos" dei due gruppi.

Poi lo portò nella selleria nella costruzione di mattoni dall'altra parte dell'ampio cortile per assegnargli una sella e i finimenti, poi nel corral dei cavalli e gli assegnò anche un cavallo: "Si chiama Chocho, ha un buon carattere. Lo devi curare tu oppure, per qualche moneta, farlo curare da uno dei muchachos del nostro gruppo. Ma ti consiglio di farlo tu il più spesso possibile, perché il tuo cavallo ti riconosca e ti obbedisca."

"Facevo lo stalliere, mi piace curare i cavalli." rispose Alceo, carezzando il muso del cavallo che gli era stato assegnato. L'animale abbassò il capo e gli spinse il muso contro il petto.

"Siete già amici... si fida ti te, Alceo." osservò il capo.

"Pare di sì, è un bell'animale. Cosa significa Chocho?"

"È come... una cosa dolce, una caramella... Ma sa essere peggio del pepe, se non lo sai prendere per il verso giusto."

"Ci siamo già tutti, quelli del nostro gruppo?"

"Con te, sì, siamo al completo. Li conoscerai stasera a cena. Ora sono scesi in città o per stare un po' con la moglie o per trovarsi una puttana."

"E tu, capo, non sei sceso in città?"

"A turno uno di noi deve restare a sorvegliare la baracca e gli uomini che eventualmente restano. Oggi tocca a me. Ma nessuno qui mi chiama capo. Io sono Pepe."

"È molto che lavori qui?"

"Esattamente ventidue anni. Ho cominciato come muchacho quando ne avevo sedici."

"Sei sposato?"

"Sì, e ho quattro figli, due femmine e due maschi. Il più grande ha quattordici anni e vorrebbe fare il mio lavoro... ma non mi va che faccia il muchacho... Lo farò assumere quando sarà abbastanza grande per fare subito il ranchero."

"Mi ha stupito l'usanza dei muchachos..."

"E perché? Qui da noi è un po' come per i marinai, o come in galera: non si vede una donna troppo a lungo, e non tutti sanno stare senza. La tensione aumentava, c'erano spesso litigi... Così, invece, le cose filano lisce."

"Comunque a te non va che tuo figlio faccia il muchacho... Anche se tu m'hai detto che hai cominciato così." gli fece notare Alceo.

"Sì... e magari quando siamo nella pampa, me ne porto uno anche io nella mia coperta e me lo metto sotto. Però mi darebbe fastidio sapere che qualcuno si mette sotto mio figlio."

"Ma anche i muchachos che vengono con noi... avranno un padre che, come te..."

"Spesso sono orfani o scappati di casa. Comunque nessuno li obbliga a fare il loro lavoro. E qui hanno, in un certo senso, una famiglia, ci si prende cura di loro, mica li fottiamo soltanto, no?"

"Non li ho visti, nella nostra baracca... Sono anche loro in città con gli altri?"

"Sì. In genere ognuno dei muchachos si sceglie uno di noi come guida, istruttore e protettore. E vanno in città per ricordarsi di essere maschi."

"Cioè?" chiese Alceo.

"Per fottersi una puttana, no?"

"Anche i più piccoli?" chiese Alceo divertito.

"Anche i più piccoli sono già in grado di godere in una fessura calda e pelosa!" rispose ridendo l'uomo. "Non li prendiamo mai prima dei quindici, sedici anni. La vita è troppo dura, nella pampa, per un ragazzino più piccolo."

"Chi ha avuto l'idea dei muchachos? Padron González?"

"No, esistono da un pezzo, chissà chi ha trovato questa soluzione. Prima i più giovani dovevano accontentare i più vecchi e lasciarsi mettere sotto... anche un bel ragazzo come te, nonostante hai già più di venticinque anni. Ma questo creava un sacco di problemi."

"A meno che ce n'era uno che gli piaceva farlo con i maschi..." suggerì Alceo.

"No... un uomo non potrebbe mai ammettere di essere un maricòn, sarebbe disprezzato da tutti gli altri uomini, non capisci? Anche se ce n'è uno, deve far credere di essere anche più maschio degli altri, logicamente."

"Ma... e i muchachos, allora? Non sono disprezzati?"

"Ma no! Lo fanno solo perché è il loro compito... e come t'ho detto, anche loro, in città, vanno a puttane come gli altri." Poi, cambiando discorso, disse: "Se sei italiano, sarai cattolico, no?"

"Sì... perché?" chiese Alceo un po' stupito dalla domanda.

"La domenica mattina, quando non siamo nella pampa, si va tutti con i padroni alla chiesa per la messa. A parte chi, a turno, deve restare nella hacienda per la sorveglianza."

"È obbligatorio?" chiese Alceo.

"No, ma... si fa."

"Ho capito: si va a puttane, si fottono i muchachos e poi si va in chiesa... a chiedere perdono a Dio."

"Perdono? E di che? Solo chi ammazza o ruba deve chiedere perdono. Se non lo impiccano prima. Ma un uomo ha il diritto di sfogarsi, no? È la natura... di che dovrebbe chiedere perdono a Dio?"

Pepe lo portò a vedere la baracca in cui gli uomini si lavavano. Era di circa quattro metri per otto. La prima parte aveva due scaffali in cui mettere gli abiti che ci si toglieva e al centro c'era una specie di lungo lavello con un tubo con molti fori da cui scendeva acqua e sopra alcuni specchi da usare per radersi. La seconda parte aveva una stufa con una caldaia per scaldare l'acqua, quattro grandi tinozze di legno, alcuni catini e, in un angolo, una specie di doccia. L'acqua poteva defluire attraverso il pavimento fatto a liste di legno.

"Ci si lava il corpo sotto la doccia, in modo di andare a mollo nelle tinozze puliti, così anche gli altri uomini ci si possono bagnare. L'acqua viene scaldata solo il lunedì, il mercoledì e il venerdì."

Di fianco alla doccia, in un'altra baracca di legno, vi erano i cessi, con dieci box con buchi alla turca, e un orinatoio lungo tutta la parete di fronte.

Un grande cartello sulla parete recava la scritta: "Lascia il cesso più pulito del tuo letto!"

Finito il giro turistico, tornarono nella loro baracca. Alceo sistemò le sue cose nell'armadietto assegnatogli e, a fianco, appese la sua sella e i suoi finimenti.

Più tardi iniziarono a tornare gli uomini e Alceo fu presentato a quelli del suo gruppo. Lui era uno dei più giovani. Arrivarono anche i loro tre muchachos: il più giovane aveva diciassette anni e il più vecchio diciannove. Alceo pensò che un paio dei suoi colleghi e anche uno dei muchachos erano davvero belli.

A cena i "nuovi" furono subissati di domande. Poi, nei giorni seguenti, in attesa della partenza per i pascoli, gli uomini insegnarono ad Alceo a usare il lazo, le bolas, a fare i nodi fondamentali e altre tecniche utili per il loro lavoro.

Il muchacho che piaceva ad Alceo, il ragazzo di diciannove anni di nome Paquito, che lavorava lì già da tre anni, era simpatico e servizievole, oltre che bello. Quando Alceo andò a fare il bagno, dopo poco entrò anche Paquito, che si offrì di lavargli la schiena. Poi si immersero tutti e due nell'unica tinozza libera.

Ad Alceo venne un'erezione, stando quasi a contatto col ragazzo. Paquito lo notò e fece un sorrisetto, ma non disse niente. Poco alla volta gli altri uomini uscirono e andarono nella prima parte della baracca per asciugarsi e rivestirsi.

Restati soli, Paquito gli disse: "T'è venuta voglia, eh? Hai la pinga dura!" e gli sfiorò il membro, sotto l'acqua.

"Eh, sì, è già un po' che non fotto." ammise Alceo guardandolo negli occhi.

"Hai voglia di mettermelo?"

"In mancanza di meglio... perché no? Fino a dopodomani non scendiamo in città, mi hanno detto. Ma a te piace? E dove si può andare?"

"A nessuno piace andare dal barbiere a farsi levare un dente... ma c'è chi lo sa fare male e chi lo sa fare bene... Conosco un posto... Sei mai stato su alla sorgente?"

"No, non sono ancora uscito dalla hacienda. È lontano?"

"Cinque minuti, non di più. Ti va se ti ci porto?"

"Perché no?" disse Alceo.

Si asciugarono, si rivestirono, e il ragazzo lo guidò su per la china, alle spalle dei corral. Si trovarono accanto a una parete rocciosa e il ragazzo fece strada addentrandosi fra le grandi pietre e i crepacci, salendo a passo sicuro. Si fermò in un punto appartato, in parte riparato da alti cespugli.

"Qui..." disse semplicemente il ragazzo e, lesto, si aprì la cintura e si calò i calzoni. Poi chiese ad Alceo: "Voi che te lo succhio, prima di mettermelo in culo?"

"Come vuoi." rispose il giovanotto, che s'era aperto i calzoni.

Paquito gli si accoccolò davanti, lo prese in mano e iniziò a dargli piacere con le labbra e la lingua, poi glielo succhiò per un po'. Ci sapeva fare. Poi si alzò, si girò e s'appoggiò a uno dei pietroni. "Dai... Inculami." disse senza girarsi a guardarlo.

Alceo, coi calzoni sulle caviglie, gli si addossò e glielo spinse dentro. Entrò senza difficoltà. Lo afferrò allora per la vita e iniziò a pompargli dentro. Lo montò a lungo, con piacere. Il ragazzo stava immobile sotto i suoi assalti, senza partecipare... "Sta solo facendo il suo lavoro..." pensò Alceo. Scese con le mani sui genitali del ragazzo e sentì che erano turgidi... "Ma allora gli piace..." si disse e cominciò a manipolarglieli, a masturbarlo.

Il ragazzo emise un lieve gemito e iniziò ad agitare lievemente il bacino... "Sì... gli piace..." pensò Alceo cominciando a provarci più gusto. Sollevò una mano sotto il camiciotto del ragazzo e gli stuzzicò i capezzoli. Paquito emise un nuovo, lieve gemito e gli si spinse contro. Ora ad Alceo piaceva di più... Continuò a prendere il ragazzo e a stimolarlo, finché questi venne, gemendo piano e subito dopo Alceo di scaricò in lui.

Quando si staccarono, il ragazzo si girò, lo guardò quasi accigliato e gli chiese: "Perché l'hai fatto?"

"Cosa?"

"Farmi venire così."

"Beh, perché no? Mica dovevo godere solo io, no?"

"Di solito... mi devo sfogare da solo, con la mano... Non gliene frega mai a nessuno se io godo o no."

"Ci sono barbieri che levano i denti male, e altri che lo sanno fare bene, no?" gli disse Alceo con un sorriso.

"Ma tu, Alceo... sei un maricon?" gli chiese con aria di sfida.

"E tu, Paquito, sei un maricon?" rispose diplomaticamente il giovane uomo.

"I maricon non sono uomini... tutti li disprezzano." rispose il ragazzo.

"Io non ti disprezzo proprio per niente."

"Ma io non sono un maricon."

Erano ancora tutti e due con i calzoni calati. Alceo lo prese fra le braccia e lo baciò in bocca, a fondo. Paquito si divincolò e, rosso in viso, la voce bassa e roca, chiese: "Che cazzo fai!"

"Ti bacio."

"Siamo due maschi."

"Non t'è piaciuto?"

"Che c'entra? Due uomini non si baciano."

"Io l'ho appena fatto." gli disse Alceo e lo baciò di nuovo. Questa volta Paquito, un po' esitante, rispose al bacio. Quando le loro labbra si staccarono, Alceo gli chiese di nuovo: "Non ti piace?"

Paquito arrossì ma rispose, sotto voce: "Sì..." e con una mano scese a carezzare il membro, ora morbido, dell'altro. Poi accostò di nuovo le labbra a quelle di Alceo e si dettero un terzo, lungo bacio. Alceo carezzò il membro del ragazzo. In breve erano nuovamente entrambi eccitati.

"Hai voglia di incularmi di nuovo?" gli chiese il ragazzo.

"E tu? Ne hai voglia?"

"Sì... tu lo sai fare... sei diverso dagli altri."

"Sono un bravo barbiere?" chiese Alceo, scherzoso.

"Ottimo."

Il giovanotto lo sospinse su una bassa pietra e ve lo fece stendere, gli fece mettere le gambe sulle sue spalle e lo prese di nuovo, questa volta da davanti. Il ragazzo gli infilò le mani sotto il camiciotto e gli sfregò i capezzoli. Alceo lo teneva per le spalle e gli batteva dentro con gusto. Paquito chiuse gli occhi e iniziò a mormorare: "Sì... sì... così... dai..."

Quando Alceo si scaricò in lui per la seconda volta, il ragazzo ebbe un fugace sorriso. Il giovanotto, poiché questa volta l'altro non era venuto, si sfilò lentamente, poi gli si chinò sopra e glielo succhiò fino a farlo venire e ne bevve tutto il seme. Paquito sussultò ed emise un lungo e forte mugolio.

Poi, alzandosi dalla pietra, gli chiese, ma questa volta quasi con gentilezza: "Sei un maricon?"

"E tu?" chiese Alceo con un sorrisetto.

"Sì... e tu mi piaci un sacco. Anche tu sei un maricon come me, vero?"

"È così importante? Sì, mi piacciono i bei ragazzi come te... e le ragazze no. Ma come mai, tu, quando vai in città con gli altri, vai a puttane? Ti piace pure farlo con una donna?"

"No, non mi viene neanche duro, con una donna."

"E allora, come fai?"

"Basta che le paghi la tariffa e che le dici di non dire niente a nessuno che non ci hai fatto niente. Le conviene stare zitta, e guadagnare soldi senza fare niente."

"Nessuna mai t'ha tradito?"

"No, mai."

"Ci sono altri come noi, fra gli uomini?"

"Nel nostro gruppo non credo. Negli altri gruppi, forse due o tre, ma non sono sicuro."

Si rimisero a posto i vestiti. Poi Paquito gli chiese: "Ti va di baciarmi ancora? È la prima volta che un uomo mi bacia... è bello."

Alceo sorrise, lo riprese fra le braccia e lo baciò di nuovo, a lungo. Quando si separarono, il ragazzo emise un sospiro. "Sono contento che ci sei tu nel mio gruppo. Spero, quando saremo nella pampa, di poter venire con te più che con gli altri... anche se dovremo stare attenti o gli altri si insospettiscono se siamo troppo spesso insieme. E per te sarebbe anche peggio che per me."

"Come avviene la scelta?"

"Ognuno di noi deve accontentare più o meno quattro uomini, e la regola è non più di uno per giorno."

"Ma ogni uomo va sempre con lo stesso ragazzo?"

"Alcuni gli piace cambiare, altri invece gli piace sempre lo stesso, perché sa cosa gli piace fare e come. Non c'è una regola. Ma se non vuoi farti sospettare, è meglio che tu cambi, ogni tanto."

"Ma se qualcuno va sempre con lo stesso, perché non io con te?"

"Perché noi maricon dobbiamo fare più attenzione degli altri." gli disse Paquito mentre tornavano giù alla hacienda.

"Tu, hai cominciato qui, come muchacho o lo facevi anche prima?"

"Anche prima. Il mio primo uomo... avevo quattordici anni. Era un maestro. Io gli facevo le pulizie in casa... e una volta lui ci ha provato con me. Ci ha messo un po' a convincermi, ma poi mi è piaciuto. Però lui non baciava. Fotteva solo. Poi, dopo due anni, lo hanno scoperto che lo stava facendo con uno dei suoi studenti e così è dovuto scappare... perché i genitori del ragazzetto lo volevano ammazzare. Poi hanno interrogato anche me... e io ho giurato che non ne sapevo niente, che con me non ci aveva mai provato."

"Anche io, l'ho fatto con un maestro, ma sono stato io a chiedergli di farlo con me. Lui non voleva."

"L'hai chiesto tu a lui? Ma tu sapevi già che a te piaceva?"

"Certo."

"E come sapevi che piaceva anche a lui?"

Alceo iniziò a raccontare...


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