GLI EMIGRANTI | CAPITOLO 8 IL FUOCO DI SODOMA |
Alceo e Arturo erano sempre più felici di stare assieme. Poiché s'era liberato un appartamento che era al piano superiore del ristorante, ma che aveva l'ingresso sul retro della costruzione, Arturo lo comprò. Fece costruire una scala interna per accedere al ristorante senza dover passare nella via, e vi si trasferì. In questo modo, una volta chiuso il ristorante, Arturo poteva salire su dal suo uomo e potevano dormire assieme tutta la notte, senza che nessuno se ne potesse accorgere, infatti la stanzetta nel retro con il letto restava ufficialmente la camera del ragazzo. In febbraio festeggiarono il ventesimo compleanno di Arturo, e per quella occasione Alceo gli regalò un elegante orologio da taschino "Philippe Patek" in oro, con sulla cassa le iniziali dei loro nomi, le lettere "AA", intrecciate, lavorate a sbalzo e cesellate. Poi Arturo, per il trentatreesimo compleanno di Alceo che cadeva in aprile, gli regalò un anello d'oro con due gemme affiancate, un rubino che era la pietra zodiacale di Alceo e un lapislazzuli che era quella di Arturo. I due erano sempre più felici assieme. Verso fine maggio, una mattina, mentre Arturo stava girando a fare gli ordini delle provviste per il ristorante, si sentì chiamare. Si girò in direzione della voce e vide andargli incontro un giovane vestito con raffinata eleganza e quando questi, giuntogli accanto, gli sorrise, lo riconobbe. "Il señor Manolo Gómez Riva!" esclamò il ragazzo, "Come mai è a Buenos Aires? La credevo in Messico." "Arturo, sono proprio contento di averti incontrato! Ti trovo bene... Più bello che mai! Sono riuscito a convincere mio padre a lasciarmi tornare per frequentare l'università qui in Argentina. Speravo davvero di trovarti, anche se non sapevo come fare. Abiti da queste parti?" "Non proprio, sono qui solo per fare commissioni. E lei?" "Sì, ho un appartamento qua dietro. Perché non vieni a vederlo? Sai... non ho mai smesso di pensare al tuo bel culetto, e mi piacerebbe fotterlo di nuovo. Vieni, dai, che mi è venuta dura solo a vederti!" gli disse con un sorrisetto lascivo il bel giovane. "No, señor Manolo, non posso. Devo finire i mirei giri poi tornare al lavoro." gli disse Arturo un po' imbarazzato. "Allora, quando? Quando sei libero? Muoio dalla voglia di ficcartelo di nuovo tutto dentro il tuo bel culetto come facevamo un tempo. Stasera, magari? Dopo il lavoro?" "No, mi dispiace, ma davvero non posso." "Quando hai tempo libero?" insistette il giovane guardandolo con evidente libidine. "Davvero muoio dalla voglia di fotterti di nuovo, sai? Magari potresti anche fermarti a dormire da me ogni tanto." "Non è questione di tempo libero, señor. È che io non sono più libero, ora sono legato a un'altra persona." "Mica ti sarai sposato, no?" gli chiese un po' stupito Manolo. "Ma anche se lo sei, che importa? Ti piaceva fartelo mettere da me, no? Ti piaceva come ti montavo, non puoi dire di no, te lo facevi mettere in culo ogni volta che te lo volevo mettere. E comunque anche a me è sempre piaciuto moltissimo fotterti. Suvvia, quando ci si può vedere per godere ancora assieme?" "No, non è possibile, io sono innamorato, non ho nessuna intenzione di tradirlo." "Lo? Di un uomo, dunque, non di una donna! Mi pareva strano, un maricon come te, che si mette con una donna. Ma che senso ha che ne sei innamorato? Come può un uomo innamorarsi di un uomo? Ti piace come ti fotte, questo sì, lo capisco. Ma mica siete sposati, no? Perciò non ha nemmeno senso parlare di tradirlo, se ti lasci fottere anche da me, no? Cos'è, ti fotte meglio di come ti fottevo io, per caso?" "Comunque, señor Manolo, non ho più nessun desiderio di farlo con lei. Sto bene con il mio uomo, non ho bisogno di nessun altro. Ci sono tanti altri ragazzi, señor, se ne cerchi un altro." "Ma io voglio te, Arturo. Sei bello, hai un bel culetto, ti piace fartelo mettere! Ho avuto altri ragazzi, ma mai nessuno si lasciava montare bene come te, te lo confesso. Ti voglio, Arturo, e ti avrò!" insisté Manolo con occhi sempre più pieni di lussuria. "Dai, lo sai che so fottere bene, no? Cos'ha quel tizio meglio di me? Non mi fare arrabbiare, altrimenti..." "Sono il suo ragazzo, semplicemente. Non insista, non serve a niente. Ora devo andare. Buona giornata, señor Manolo." "Ma no, dai, aspetta..." disse l'altro, ma Arturo si allontanò rapidamente, senza stare più ad ascoltarlo. Il ragazzo terminò le sue commissioni e dimenticò quell'incontro che, dopo tutto, non l'aveva interessato più che tanto, anzi l'aveva lievemente disturbato. Manolo faceva ormai parte di un passato che non lo interessava più, non lo riguardava più. Ma purtroppo Manolo era tutt'altro che indifferente al rifiuto del ragazzo. Era irato con lui per come non aveva voluto cedere alla sua richiesta, perciò decise di fargliela pagare. Non visto, seguì Arturo, lo spiò, fino a capire non solo dove lavorava e abitava, ma anche, con certezza, chi fosse l'uomo del ragazzo che gli si era rifiutato, dato che abitavano assieme e che Arturo non usciva mai per incontrarsi con un altro uomo. Preparò accuratamente la sua vendetta. Sapeva che non gli sarebbe servito a nulla denunciare la coppia presso l'autorità civile senza avere le prove della loro relazione sessuale, cosa che non gli sarebbe stata facile da ottenere. Inoltre, per denunciarli, si sarebbe dovuto esporre in prima persona, cosa che non voleva fare. Ma c'era un'altra autorità che poteva intervenire efficacemente, lo sapeva molto bene. Preparò quindi una dettagliata lettera, anonima ma scritta su ottima carta e in elegante grafia per dare più importanza alla missiva, in cui denunciava i due ignari amanti, quindi la spedì al parroco della chiesa nella cui parrocchia sorgeva la casetta con il ristorante e l'appartamento dei due amanti. E attese, pregustando la sua vendetta. Il prete, letta la missiva, inorridì e non si pose minimamente il problema se l'accusa fosse fondata o meno, né perché la lettera fosse anonima. Decise che non poteva ignorare un "così nefando peccato". Si mise quindi subito al lavoro, animato di sacro zelo, e preparò un'infiammata predica per la domenica seguente, in cui stigmatizzava l'orribile crimine morale di cui due dei suoi parrocchiani si stavano macchiando. Così la domenica il prete, salito sul pulpito, non si accontentò di fare una predica contro il peccato di Sodoma, sottolineando e ripetendo come il Signore avesse punito quella città distruggendola con il fuoco, ma proclamò chiaro e tondo il nome dei due peccatori e il loro indirizzo, tuonando e asserendo che ogni buon parrocchiano si sarebbe rifiutato di lasciar continuare a vivere nella parrocchia simili depravati, una minaccia per i loro figli, un pericolo per la società, una vergogna per la civiltà! Il risultato delle infocate e violente parole del prete fu che, all'uscita dalla messa, su suggerimento del sacrestano opportunamente istruito dal parroco, la fiumana di gente si riversò per la via. In breve uomini e donne, tutti con i loro abiti della domenica indosso, giunsero e si affollarono di fronte al ristorante, che era ancora chiuso e al cui interno Alceo con Arturo, il cuoco e i due camerieri stavano preparando per l'apertura del pranzo. All'inizio furono grida minacciose e insulti, che misero in agitazione i cinque dentro il ristorante e anzi, quando capirono che cosa gridava la folla nella strada, causò un'accesa discussione fra i due camerieri e Italo, il cuoco, da una parte, e Alceo e Arturo dall'altra. Poi cominciò a volare qualche sasso e presto le vetrine del ristorante si frantumarono e caddero in mille pezzi. Italo e i due camerieri a questo punto uscirono precipitosamnte dalla porta del retro allontanandosi alla chetichella, non visti dalla folla. Infine, qualcuno versò nell'interno, dalle vetrine sfondate, una tanica di benzina e vi gettò un fiammifero acceso e pesto divampò un incendio. Alceo e Arturo tentarono di spegnere le fiamme, ma videro che non riuscivano a contenerle, perciò fecero appena in tempo a salire per prendere poche cose di valore, i loro documenti, poi uscire dalla scala che dava sulla via del retro e fuggire a loro volta. Arturo era incredibilmente scosso, pallido come un cencio e tremava violentemente. Alceo, pur scosso, era più padrone di sé. Guidò il suo ragazzo per vie e viuzze allontanandosi in fretta e guardando spesso in dietro per essere sicuro che nessuno li stesse inseguendo. Frattanto si chiedeva dove potessero cercare rifugio, e gli venne in mente il suo vecchio amico Ramiro López. Fortunatamente era in casa. Quando si presentarono da lui, sconvolti, li fece subito entrare e Alceo gli spiegò che cosa era accaduto. "Ma come hanno fatto a sapere di voi due? Vi hanno visti, in qualche modo? Oppure è uno dei camerieri che vi ha denunciati?" chiese Ramiro. "No, nessuno di loro ci ha potuti vedere, siamo sempre stati molto cauti, prudenti. E poi il nostro personale era più stupito di noi per quell'assalto e era evidente che nessuno di loro tre aveva mai sospettato nulla di noi. Il fatto è che ora è bruciato tutto, e quella comunque era gente del nostro quartiere, urlava insulti e minacce di morte, perciò non possiamo più tornare là, ormai." "Per un poco potete restare da me... però dovete trovare una soluzione. Il fatto è che purtroppo non potete neppure denunciare i vostri assalitori, perché vi sarebbe un'inchiesta e sareste voi a passare seri guai con la giustizia, lo sapete, a causa della vostra relazione." "Io pensavo di andarcene, di lasciare Buenos Aires. Abbiamo qualche risparmio in banca, possiamo ritirare tutto e cercare di ricominciare da qualche altra parte." dise Alceo cercando di non tradire la propria prostrazione. "Sì, forse è la soluzione migliore. Ho qualche buon amico in Uruguay, a Montevideo. Se volete posso darvi il loro indirizzo e forse loro possono darvi una mano, almeno inizialmente." "Sono persone fidate? Sono... come noi?" chiese Alceo. "Sì, sono come noi e sono persone in gamba. Sono sicuro che faranno quanto possono per assistervi." Ramiro fu molto gentile con tutti e due. Offrì loro di mangiare in casa con lui poi, a sera, lui andò a dormire sul sofà del soggiorno per lasciare il proprio letto ai due amanti. Quando furono nel letto, Alceo abbracciò stretto Arturo, che gli si accucciò contro. "Perché sono così cattivi con noi? Che gli abbiamo mai fatto di male, a quella gente che neanche si conosceva?" chiese sottovoce e in tono lamentevole il ragazzo. "Perché siamo diversi, amore. Però io mi chiedo chi può avere sparso la voce... chi può averli radunati per assalirci? Mi sembra tutto così strano, così incredibile..." A quel punto Arturo si ricordò di Manolo, e raccontò l'incontro che aveva avuto con il giovane. "Deve essere stato lui... non può essere altri, lo sento! Si è voluto vendicare di te e di me perché gli ho detto di no, gli ho detto che non volevo saperne più niente di lui perché ho già il mio uomo. Però non gli avevo detto né che sei tu né dove abitavo..." "Potrebbe essere stato lui, ma come? Potrebbe averti seguito... Comunque non abbiamo nessuna prova che sia stato quel Manolo. L'hai visto, per caso, fra la gente che ha assalito il nostro ristorante?" "No... ma erano tanti... avrebbe anche potuto esserci. Dio, ho avuto tanta paura, Alceo! Quelli ci volevano ammazzare!" "Penso proprio di sì. Per fortuna c'era la porta del retro, sull'altra via, e nessuno ha pensato ad andare anche là, o ci avrebbero ammazzato, ci avrebbero fatto bruciare vivi... Il che esclude che siano stati Italo o i camerieri a spargere la voce, o avrebbero anche detto della porta del retro. Uno di quelli che urlava di più, mi pare di averlo riconosciuto: credo che sia il sacrestano della nostra chiesa parrocchiale." "Venivano dalla chiesa... qualcuna delle donne aveva la corona del rosario in mano... l'avevo notato: l'agitavano come un'arma! E l'ora era proprio quella della fine della messa..." disse Arturo pensieroso. "Ma allora, se è stato il prete... Ma che ne poteva sapere lui di noi due?" chiese Alceo, più a se stesso che al suo ragazzo. "Forse Manolo è andato a parlare col prete e ci ha denunciato a lui." suggerì Arturo. "Mah... è inutile che ci rompiamo la testa, non abbiamo nessun elemento. È tutto accaduto così all'improvviso, senza nessuna avvisaglia, senza nessun indizio che potesse succedere una cosa così orribile." Il giorno seguente andarono a ritirare tutti i propri risparmi in banca, poi si informarono sugli orari di partenza delle navi che univano Buenos Aires a Montevideo. In cinque ore potevano fare il tragitto. Acquistarono i biglietti, poi andarono a salutare Ramiro. Questi mostrò loro il giornale: c'era un articolo sull'incendio del ristorante e dall'articolo risultava che il parroco, informato da una lettera inviatagli da un "onesto informatore" aveva fatto una "appassionata" predica contro il nefando vizio dell'omossessualità, invocando il fuoco di Sodoma sui due peccatori. Perciò i parrocchiani, giustamente sdegnati, avevano dato fuoco a quella sentina di ogni vizio. Alceo e Arturo capirono perciò che doveva essere stato veramente Manolo ad avere mandato quella lettera al parroco. I due, praticamente senza bagagli, accompagnati da Ramiro, superato il controllo dei documenti, si imbarcarono sulla nave che lasciava Buenos Aires alle due del pomeriggio. La traversata del Rio de la Plata fu senza storia. Sbarcarono a Montevideo alle sette di sera e cercarono una stanza in un alberghetto non lontano dal porto. Il giorno seguente, dopo aver aperto un conto in banca e avervi depositato per prudenza quasi tutto il denaro che avevano con sé, con le lettere di presentazione che Ramiro aveva scritto per loro, iniziarono a cercare le persone che questi gli aveva segnalato. Furono tutti gentili con loro, ma più degli altri un anziano uomo, Cornelio Delgado Rodríguez, che offrì loro ospitalità nel suo grande ed elegante appartamento in Carrasco, a metà strada fra il parco e la spiaggia. Ascoltata la loro storia, Cornelio disse loro: "Non è che l'ambiente, qui a Montevideo, sia molto migliore che a Buenos Aires, per quelli come noi. Solo tenendo ben nascoste le nostre inclinazioni e con molta prudenza si riesce a sopravvivere. Neanche un anno fa un ragazzo che conoscevo è stato trovato ucciso a bastonate... era andato di notte al parco per cercare compagnia, il povero ragazzo. Un gruppo di 'ragazzi per bene' gli ha voluto dare una lezione. Sono stati denunciati da due testimoni oculari... e sono stati assolti perché... erano stati importunati e provocati da quel ragazzo degenerato che voleva avere un rapporto carnale con loro." "Ma noi non abbiamo mai dato scandalo, nemmeno gli uomini che lavoravano per noi hanno mai sospettato della nostra relazione..." protestò Alceo. "Non lo metto in dubbio. Ma non basta. Una soluzione ci potrebbe essere, però, soprattutto perché qui nessuno vi conosce ancora. Se tu, Alceo, riconoscessi di essere il padre naturale del ragazzo, legalmente sareste padre e figlio, quindi nessuno troverebbe strano che viviate assieme, che vi sia un certo esplicito affetto fra voi." "No, lui non voleva avere più niente a che fare con me, quando sospettava che io potevo essere suo figlio..." interloquì Arturo, con un lieve tono di tenero rimprovero verso il suo uomo. "Ma ora sa che non lo è. Quindi sarebbe solo un problema di facciata che vi risolverebbe molti problemi." obiettò Cornelio. "O, forse più semplicemente, Alceo potrebbe adottarti. Tanto più che ora siete entrambi cittadini argentini." "Ma dovremmo tornare in Argentina, per fare un'adozione legale." ribatté pensieroso Alceo. "Non necessariamente. Sono quasi certo che potete fare tutto tramite l'ambasciata argentina a Montevideo. Potete comunque andare a informarvi e vedere se vi sono difficoltà." suggerì Cornelio. Così i due amanti andarono a informarsi in ambasciata. Qui seppero che, poiché ormai Arturo era maggiorenne e Alceo non era sposato né aveva altri figli, la cosa era fattibile senza presentare particolari difficoltà. Con l'assistenza di un impiegato consolare, fecero perciò tutti i documenti e le carte necessarie e attesero il risultato della loro richiesta. Frattanto Cornelio aveva offerto loro in affitto un negozio vuoto che possedeva, perché vi aprissero un "caffè italiano". I due accettarono con gratitudine. Comprarono le necessarie attrezzature, fecero arredare in modo elegante il locale, che era alle spalle del Casino Hotel Carrasco, ricavandoci anche una stanzetta in cui vivere, ed entro un paio di mesi poterono inaugurare il loro caffè. In breve ebbero abbastanza clienti dell'alta società e iniziarono a guadagnare a sufficienza per poter vivere più che dignitosamente. Di tanto in tanto andavano in ambasciata per vedere se la richiesta di adozione era stata accolta e finalmente un giorno ottennero i tanto sospirati documenti, per cui Arturo Michelotti poté cambiare nome su tutte le sue carte e chiamarsi Arturo Nogarol Michelotti. Il ragazzo era raggiante di felicità. "Ora più nessuno può sospettare di noi, anche se viviamo assieme, dato che posso dimostrare che sono tuo figlio. Infatti sui documenti mica è scritto che mi hai adottato... Vedi? Leggi qui: Arturo Nogarol, nato il 15 febbraio 1910 a Cordenons, Italia, cittadino argentino dal 18 dicembre 1916, figlio di Alceo Nogarol nato a Porcia, Italia, il 2 aprile 1897, padre, e di Evelina Michelon nata a Porcia, Italia, il 21 gennaio 1896, madre." "Speriamo, ora, di riuscire a vivere tranquilli. Mi fa un po' strano avere per amante... mio figlio!" "Eh, no! Mica ricomincerai, adesso! Lo sappiamo bene che tu non puoi essere mio padre, no? Lo sei solo sulla carta... solo per poter vivere finalmente tranquilli." disse il ragazzo allarmato. Alceo rise: "No, sta' tranquillo... non ho più nessun problema a fare l'amore con te, anzi... A volte penso al giorno in cui eri venuto a chiedermi lavoro, e io ti stavo per mandare via! Ho rischiato grosso... ho rischiato di perderti, o per meglio dire, di non trovarti." "Ma sei veramente contento di me, Alceo?" "Come puoi dubitarne? Sono felice di stare con te... credevo che fosse chiaro. Dov'è il problema?" "Non lo so... Ho l'impressione, a volte, che tu non ricevi da me tutto quello che puoi desiderare. Per esempio, a te piacerebbe che magari io qualche volta lo mettessi a te, ma a me proprio non va. Non l'ho mai fatto." "Beh... sì, è vero, mi piacerebbe. Però va bene anche così. Se a te non va... non ci possiamo fare niente, no?" gli disse Alceo con un tenero sorriso, carezzandogli una guancia in un gesto rassicurante. Ma in realtà ad Alceo questa situazione un po' pesava, nonostante cercasse di illudersi di no. Gli piaceva molto prendere Arturo, davvero molto, soprattutto per la gioia e il piacere con cui il ragazzo si donava a lui. Credeva di potere fare a meno di farsi prendere a sua volta, si diceva che andava bene così, il suo amore per il ragazzo gli faceva sottovalutare e non dare spazio ai propri desideri e lo spingeva piuttosto a rispondere il meglio possibile ai desideri del suo ragazzo, a preoccuparsi solamente di renderlo felice. Ma una sera dopo la chiusura del loro caffè, mentre erano ospiti a casa di Cornelio per la festa del suo compleanno, assieme a parecchi altri amici omosessuali dell'anziano uomo, a un certo punto Fabián, uno degli altri invitati, un giovane uomo sui trentacinque anni, riuscì ad appartarsi con Alceo, lo prese da dietro fra le braccia e lo baciò, facendogli sentire attraverso i panni la propria forte erezione contro il sedere, e gli sussurrò: "Ho tanta voglia di metterlo nel tuo bel culetto, dal primo momento in cui ti ho visto!" Alceo si sentì profondamente turbato, non aveva mai toccato, né era mai stato toccato in modo tanto intimo da un altro uomo, da quando stava con Arturo. Si sentì subito il corpo in fiamme, provò una forte attrazione verso Fabián, che era bello e di un erotismo magnetico, quasi animale, ma soprattutto si sentì sopraffatto dal prepotente desiderio del giovane uomo di prenderlo. Quasi come se fosse stato un sogno e non un fatto reale, Alceo sentì l'altro aprirgli i pantaloni, abbassarglieli sulle anche e il palo di dura carne dell'ospite frugargli fra le natiche. Lo desiderava, lo voleva in sé, ne aveva bisogno! Fabián gli lubrificò l'ano con la saliva, massaggiandolo con un misto di forza e delicatezza e il desiderio avvampò nel corpo di Alceo. Quando l'altro si forzò la strada nel suo caldo canale, Alceo spinse in dietro e lo accolse sentendo una vampata di forte calore avvolgerlo e fremette per tutto il corpo per l'eccitazione. Se lo sentì scivolare dentro, riempirlo, dargli un piacere talmente forte che non solo ebbe un'istantanea e fortissima erezione ma sentì anche di essere molto vicino all'orgasmo. Ansimava e fremeva con forza. Fabián, quando fu totalmente immerso in lui, si fermò e, carezzandogli il petto e il ventre, attese che Alceo si calmasse un poco. Quindi iniziò a muoversi dentro di lui con lente e lunghe oscillazioni del bacino avanti e dietro, e continuò fino a portarlo all'orgasmo e quasi subito dopo a scaricarsi in lui. "Mi sei piaciuto... noi due ci dobbiamo vedere ancora." gli disse con allegria Fabián mentre si rimetteva in ordine gli abiti. Anche Alceo si ricompose e di colpo si sentì come svuotato; solo allora si rese conto di aver tradito Arturo, e questo lo fece sentire male. "No... non è possibile. Non avrei dovuto neanche questa volta. Io sto con Arturo, non dovevo fargli questo." mormorò in tono abbattuto, vergognoso. Fabián ridacchiò: "Eh via, mica siete sposati, no? E se anche lo foste... in quante coppie di marito e moglie lui ha un'amante da una parte e magari anche lei ha dall'altra il suo segreto cicisbeo da cui farsi scopare... D'altronde anche io sto con Julio, no? Un semplice scambio di coppie ogni tanto non può che far bene a una relazione. Julio in questo momento ci sta quasi di sicuro provando con il tuo bell'Arturo." Alceo provò quasi il desiderio che, come lui aveva ceduto a Fabián, anche Arturo avesse ceduto a Julio: questo lo avrebbe fatto sentire meno colpevole. Ma quasi subito sentì con certezza che Arturo non lo avrebbe tradito... e si vergognò anche per quella meschina speranza. E se anche Arturo si fosse dimostrato debole come lui, questo non avrebbe scusato la sua debolezza. Quando i due si riunirono agli altri, nonostante Alceo cercasse di non darlo a vedere, Arturo si accorse che qualcosa turbava il suo uomo. "Che hai, Alceo?" gli chiese in un sussurro, facendogli un dolce sorriso. "Niente... Cioè... te ne parlerò quando siamo a casa." rispose il giovane uomo, sperando di non essere arrossito, e questo non tanto per Arturo, quanto per gli altri. Il ragazzo annuì e gli sorrise di nuovo. Bene o male Alceo, pur continuandogli a rodere dentro il torto che aveva fatto al suo ragazzo, riuscì a comportarsi con gli altri in modo quasi del tutto normale. Solo evitava di incontrare lo sguardo di Fabián e del ragazzo di questi, Julio. Finalmente la festa ebbe temine e tutti gli invitati tornarono, ciascuno, a casa propria.
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