GLI EMIGRANTI CAPITOLO 10
L'ULTIMO OSTACOLO

Gli affari nel loro caffè andavano bene, e stavano già pensando di mettersi a cercare un bell'appartamento, lasciando così libera la stanza del retro per allargare il locale, dato che la clientela era via via più numerosa. Pensavano anche di cercare un cameriere che li aiutasse.

Anche il loro amico Cornelio faceva loro propaganda nell'ambiente segreto degli omosessuali di Montevideo, che, con molta discrezione, senza dare scandalo, fecero del loro caffè un luogo di incontro.

Fu così che un giorno uno dei loro clienti abituali arrivò nel caffè assieme ad un giovanotto: era Manolo! Arturo lo riconobbe subito e anche questi riconobbe Arturo.

Il ragazzo andò immediatamente ad avvertire Alceo. Questi disse al suo ragazzo di non preoccuparsi, che si sarebbe occupato lui di Manolo. Andò al tavolo e disse al suo cliente, parlando di Manolo anche senza nominarolo direttamente: "Lei, señor Villarrubia è sempre il benvenuto nel mio caffè, ma non lo è il suo ospite, mi spiace. Perciò o il giovanotto esce immediatamente, oppure sono costretto di chiedere anche a lei di uscire."

"Ma... non capisco come osa..." disse Manolo alzandosi in piedi e affrontandolo con aria offesa.

"Crede che non sappia chi ha mandato quella lettera anonima, a causa della quale noi si è perso tutto e ci si è salvata la vita per un soffio?" gli chiese in tono tagliente Alceo, dicendosi che dalla reazione del giovane avrebbe capito se era stato veramente lui la causa di tutto o no.

Manolo cadde nel tranello: "Non ha nessuna prova che l'abbia inviata io al parroco!" esclamò in tono ironico.

"Non ho bisogno di prove per ripeterle che lei non è persona gradita in questo caffè."

"Non teme che io possa trovare il modo di farvela pagare di nuovo? Non vi è bastata una volta?" chiese il giovane in tono di sfida.

"E non teme, lei, che sia io, alla fin fine, a far pagare a lei la sua protervia, e una volta per tutte? Fuori di qui!" gli disse Alceo.

La scena non era passata inosservata agli altri clienti del caffè, dato che nessuno di due parlava a bassa voce. Villarrubia si era alzato e ora tirava per una manica Manolo, cercando di farlo uscire dal locale, evidentemente imbarazzato per quel duro scontro verbale di cui non sapeva né tanto meno capiva il motivo.

Finalmente i due uscirono, non dopo che Manolo ebbe lanciato un'ultima minaccia ad Alceo. Arturo allora si avvicinò ad Alceo e gli chiese, sottovoce:" Che cosa ci vorrà fare, ora? Possibile che non si possa vivere in pace?"

Arturo, in tono tranquillo e a voce normale gli rispose: "Vedrai che non ci farà più nessun male. Forse non sa ancora che non potrà mai più nuocerci. Stai tranquillo, Arturo." Gli disse pensando che ora che erano ufficialmente padre e figlio avevano meno da temere.

Erano passati solo due giorni da quello scontro verbale, quando il "deputato" di polizia si presentò nel caffè dei due amanti per arrestare Alceo... con l'accusa di aver ucciso Manolo Gómez Riva!

Inutilmente Alceo protestò la propria estraneità al crimine, di cui non sapeva neppure che fosse avvenuto. Il giovane uomo fu portato via, in manette. Arturo allora chiuse il caffè e andò di corsa da Cornelio, per chiedergli aiuto, raccontandogli tutto quanto sapeva su Manolo.

"Sì, ho letto, ora che me lo dici, del fatto che un giovane argentino è stato trovato morto dalle parti del porto... sgozzato. "

"Ma non è stato Alceo, ne sono più che sicuro! Non avrebbe mai fatto niente del genere, non ne è capace! E poi, siamo sempre stati assieme, lui e io! Che posso fare, ora?"

"La prima cosa è andare da un buon avvocato. Vieni con me, c'è un mio caro amico, uno di noi, a cui puoi raccontare tutto senza timore, e che si darà da fare. L'importante è che non venga fuori la storia che c'è stata fra te e quel Manolo e, penso neanche la storia della lettera anonima e dell'incendio. Diversamente potrebbe anche risultare che Alceo e tu non siete veramente padre e figlio ma amanti, e se non per altro, finireste in galera per questo!"

L'avvocato accettò subito di occuparsi del caso. Ma purtroppo risultò che la polizia aveva già acquisito diverse deposizioni sullo "scontro" verbale fra la vittima e l'accusato e sulle reciproche minacce, inoltre l'avvocato gli disse che l'alibi fornito da lui, essendo il "figlio" dell'accusato, secondo la legge uruguayana non era accettabile.

Arturo era profondamente turbato. Cercava di mandare avanti il caffè, che era la loro unica fonte di introito e specialmente ora, dovendo pagare l'avvocato, era importante continuare a guadagnare.

Un giorno entrò nel caffè un gendarme che chiese chi fosse Arturo Nogarol. Il ragazzo si qualificò e il gendarme gli disse di seguirlo. Affidato il caffè ai camerieri, Arturo seguì il gendarme.

"Di che si tratta?" gli chiese per via.

"Non lo so, devo portarti dal colonnello Alvarez. Lui ti dirà."

"Riguarda mio padre?"

"Non lo so. Il colonnello Alvarez ti dirà."

"Chi è il colonnello Alvarez?" chiese allora Arturo.

"Il colonnello Stefán Rubirio Alvarez Kruger è il capo della polizia criminale di Montevideo."

Arrivati alla centrale di polizia, il ragazzo dovette aspettare a lungo ed era sempe più nervoso. Si chiedeva che cosa ci fosse di nuovo e sperava che non fossero brutte notizie. Finalmente fu introdotto nell'ufficio del colonnello. Questi ordinò al poliziotto che era seduto a una piccola scrivania laterale di uscire poi fece cenno ad Arturo di sedere. Aprì una cartella e sfogliò alcune carte.

Il colonnello era un uomo sui quarantacinque anni, alto, magro, capelli neri tagliati cortissimi con un paio di baffetti ben curati e lunghe basette, occhi scuri, penetranti, con un'espressione di potere, di comando, labbra dritte ma morbide, una mascella squadrata.

"Tu non sei il figlio di Alceo Nogarol. Tu sei il suo amante." esordì l'uomo.

"Sì, sono suo figlio. Io..."

"Ho qui i risulati dell'inchiesta che ho ordinato di fare. Lo sai che la legge punisce severamente due uomini che hanno rapporti sessuali fra loro?"

"Ma no, io..." disse Arturo sentendosi afferrare dal panico ma cercando, a fatica, di mostrarsi calmo.

"Ho anche altre carte, qui. So chi ha ucciso Manolo Gómez Riva."

"Non è stato mio padre! Ne sono sicuro!"

"Non è stato Alceo Nogarol, d'accordo."

"Perciò lo rilascerete!" disse Arturo iniziando a sentirsi sollevato.

"Dipende esclusivamente da te."

"Da me?" chiese stupito il ragazzo.

"Sì, da te. Se ti fai inculare da me, io faccio scagionare il tuo uomo e non vi denuncio per il vostro rapporto." disse l'uomo tranquillo, guardando dritto negli occhi il ragazzo. "Se rifiuti, la confessione del vero assassino non verrà mai fuori e il tuo uomo avrà come minimo l'ergastolo."

"Io... lei..." balbettò Arturo.

"Sei il tipo di ragazzo che piace a me. E visto che ti fai inculare da quello che si fa passare per tuo padre... non vedo perché non dovresti lasciarti inculare anche da me. Finché verrai a casa mia, nel mio letto, le carte contro di voi che ho non usciranno dalla mia cassaforte e la confessione del vero assassino arriverà al signor giudice. E potrai continuare a lasciarti fottere anche dal tuo uomo... sono generoso!" disse con un risolino bieco l'uomo.

"Il mio culo in cambio della libertà di mio padre?" disse Arturo turbato.

"È inutile che continui a dire che è tuo padre, con me. Sì, questa è la proposta. Oppure... non solo non scagionerò il Nogarol, ma aggiungerò l'accusa di omosessualità nei tuoi e suoi confronti, così andrai anche tu in galera... ma in una diversa da quella del Nogarol, si capisce. E sai che cosa fanno ai bei ragazzi come te gli altri carcerati, in galera, specialmente quando si viene a sapere che sono dentro perché omosessuali?"

"Se... se io accetto... che garanzie ho che mio padre sarà scagionato?"

"Se tu accetti, il vero colpevole dell'assassinio di Manolo Gómez Riva sarà arrestato e il Nogarol scarcerato entro la settimana."

"Chi l'ha ucciso?"

"Un ragazzo che si prostitisce e che lui non voleva pagare... Allora?"

"Accetto!" disse finalmente Arturo. Pur di salvare il suo Alceo, era disposto a tutto, e sapeva che quell'uomo aveva il potere di lasciare marcire in prigione il suo uomo e anche di fare arrestare lui.

"Ottimo. Questo è l'indirizzo dove devi andare oggi pomeriggio alle tre e mezza." gli disse porgendogli un foglietto.

"Casa sua?"

L'uomo rise: "No, il posto in cui faccio andare i ragazzi che mi voglio fottere. Inutile che ti dica che se provi a fare il furbo... ve ne farò pentire a tutti e due. Alle tre e mezza, non mancare, non ti conviene. Ora puoi andare."

Arturo uscì dall'ufficio tremando. Era disposto veramente a tutto. Ma nello stesso tempo iniziò a pensare a come fare, una volta liberato Alceo, a "liberarsi" anche del colonnello. Si disse che, appena Alceo fosse stato libero, ne avrebbe parlato con lui. Si chiese se andare a parlare con Cornelio Delgado Rodríguez per chiedere il suo consiglio, il suo aiuto, ma decise che prima doveva parlare con Alceo: avrebbero deciso assieme che cosa convenisse fare.

Il pomeriggio si presentò all'appuntamento con il colonnello. Vide con sua sorpresa che era un bagno pubblico. Incerto, entrò, e andò dall'uomo seduto dietro al bancone chiedendosi che dire, che fare.

"Vasca o doccia?" gli chiese l'uomo in tono annoiato.

Arturo era perplesso. "Io... veramente... alle tre e mezza avrei un appuntamento qui... l'indirizzo è questo, per lo meno..." disse incerto.

"Sei l'italiano? Arturo... Qualcosa?"

"Sì, mi chiamo Arturo Nogarol."

"Aspetta un momento, allora. Ramon ti porterà dove sei atteso." disse l'uomo e, giratosi verso la porta dietro il bancone chiamò: "Ramon! Ramon, vieni qui!"

Un ragazzotto comparve sulla porta: "È arrivato?"

"Sì, è lui."

Il ragazzo aggirò il bancone squadrando da capo a piedi Arturo, e gli disse soltanto: "Vieni."

Arturo lo seguì. Per via gli chiese: "È lontano?"

"No, qua dietro, a due passi. Sei il nuovo culo per il capo?" gli chiese con un sorrisetto divertito.

Arturo non rispose.

"Sì, gli piacciono i tipi come te. Ma tu l'hai già preso in culo, prima?"

Il ragazzo nuovamente non disse nulla.

"Spero di sì, per te, perché Stefán non ci va giù tanto gentile. L'ho assaggiato anche io, quand'ero più giovane e m'aveva fatto male, però ormai mi ci sono abituato. Non è che ce l'ha troppo grosso, ma te lo ficca giù senza troppi complimenti e te lo sbatte dentro per un bel pezzo, prima di venire. Ah, se vuoi un consiglio, non ti lamentare mentre ti monta, che questo lo fa infoiare anche di più e più ti lamenti più ti sbatte dentro con furia... a meno che a te piace il sesso violento."

"Ma se... se lo fa anche con te, che bisogno ha di..."

"Di te? Stefán non si accontenta di uno. Con te credo che ora siamo in otto ragazzi che si fotte. Siamo la sua scuderia, come dice lui. Se gli piaci magari qualche volta ti porta alla sua fazenda così conosci anche gli altri ragazzi. Ha due stalle, una per i cavalli e una per noi ragazzi." gli disse ridacchiando. "Abbiamo un box a testa e ci dobbiamo stare nudi, pronti a essere montati... proprio come i cavalli, però almeno noi abbiamo un letto. Qualche volta il colonnello invita nella sua fazenda anche certi amici come lui e ognuno di quelli si sceglie uno di noi da montare."

"Mi porti a casa sua, adesso?"

"No, nessuno di noi è mai stato a casa sua. Ti porto nel suo fottitoio di città. Lì c'è Néné, che glielo tiene in ordine e che ti farà fare il bagno prima che arrivi Stefán... Ah, non ti far mai sentire chiamarlo per nome, noi dobbiamo sempre chiamarlo colonnello, mi raccomando."

"Chi è questo Néné, un altro dei ragazzi del colonnello?"

"Sì, certo. È un ragazzo negro di diciassette anni. Il più giovane di tutti noi. Tu quanti anni hai?"

"Ventidue."

"Allora abbiamo la stessa età. Te ne davo un paio di meno."

Arrivarono davanti a un grande casone popolare, entrarono nel cortile, salirono una scala e Ramon suonò a una portina anonima, girando la farfalla del campanello in una sequenza particolare. Dopo poco un bel ragazzo negro, con occhi grandi e brillanti, aprì. Ramon sospinse dentro Arturo.

"Preparalo." disse semplicemente e se ne andò.

Erano in una stanza squallida, senza finestre, illuminata da una lampada nuda che pendeva dal soffitto, piena di scatoloni, e su cui si aprivano quattro porte.

"Tu sei l'italiano, vero?" gli chiese Néné.

"Sì..."

"Levati tutti i vestiti e vieni di là, che ti lavo."

"So lavarmi da solo!" rispose un po' urtato il ragazzo.

L'altro rise: "Ci credo, ma gli ordini non si discutono. Svelto, abbiamo meno di un'ora."

Anche il ragazzo nero si denudò, poi lo portò in un bagno, in un'ampia doccia, regolò l'acqua, ve lo sospine sotto e si mise a lavarlo accuratamente. Quando gli infilò un dito insaponato nell'ano, Arturo sussultò.

"Soprattutto qui devi essere ben pulito..." gli spiegò Néné con un risolino. "Sei ben fatto. Ma il colonnello sceglie solo il meglio."

"Da tanto sei al suo servizio?"

"Sei mesi. Mi ha tirato fuori dalla galera. Adesso sto bene. Là ero diventato la puttana di tutti i carcerati. Qui almeno mi fotte solo lui, e ogni tanto qualche suo amico, ma di rado. È un buon padrone, vedrai... se sarai obbediente. Anche tu eri in galera? Cosa avevi fatto? Io avevo rubato..."

"No, io non ero in galera."

"Chinati, che devo pulirti più a fondo. Comunque tu ne hai presi di cazzi nel tuo bel culetto, eh? Battevi il marciapiede?"

"No, non battevo il marciapiede."

"Mi piacerebbe farlo con te, ma non possiamo, non oggi, per lo meno. Hai anche un bel cazzo... mi piaci. Ti piace di più inculare o essere inculato, a te? A me piace di più essere inculato."

Arturo non rispose. Si sentiva travolto dagli eventi.

"Qualche volta possiamo farlo fra noi ragazzi, specialmente quando siamo nella fazenda. Si sta bene col colonnello, basta obbedire. Poi, quando diventiamo troppo grandi, ci sistema, ci trova un lavoro..."

"Troppo grandi... cioè?"

"Fra i venticinque e i ventinove anni, secondo l'aspetto che abbiamo e quanto gli andiamo a genio. A lui, grosso modo, piacciono i ragazzi fra i diciotto e i ventotto anni. Qualche volta, alla fazenda, gli piace farci accoppiare a due a due e lui ci guarda e si eccita e allora ce lo mette in culo un po' a testa... ma non capita spesso. Ecco fatto, il tuo buco è ben pulito. Adesso lavati i denti e raditi bene la faccia. Ci vuole sempre sbarbati perfettamente."

Si asciugarono. Arturo, mentre si radeva guardandosi allo specchio sopra al lavandino, notò che il ragazzo nero aveva una vistosa erezione.

Quando ebbe finito, Néné lo riportò nella stanza d'ingresso, dove si rivestirono. Poi aprì la porta nel fondo e si trovarono in un elegante corridoio su cui si aprivano altre due porte. Néné ne aprì una e vi sospinse dentro Arturo. Era un'ampia camera da letto arredata solamente con un ampio letto quadrato, due comodini, due sedie, e numerosi quadri di nudi maschili alle pareti. La stanza aveva due porte, quella da cui erano entrati e un'altra, e due finestre con ampi tendaggi di pizzo.

"Lui arriva di lì, viene da un'altra entrata che dà nella via parallela, in un negozio di ferramenta gestito da uno dei suoi ex-ragazzi. Siediti lì."

"Devo spogliarmi?"

"No, gli piace farlo a lui."

"E io devo spogliarlo? Che devo fare?"

"No. Tu non fare niente, obbedisci solo ai suoi ordini. Quando ha finito e ti dice che ti puoi vestire, torna di là dove sono io, che ti faccio uscire." disse il ragazzo e lo lasciò solo.

Arturo sedette, in attesa. Dopo alcuni minuti si aprì l'altra porta ed entrò il colonnello, che per la prima volta vide in borghese, con abiti molto eleganti. Senza dire niente gli si accostò e lo fece alzare, iniziando subito a spogliarlo e gettando gli abiti alla rinfusa sulla sedia.

Quando il ragazzo fu nudo, gli disse: "Stenditi sul letto, sulla schiena, le gambe ben larghe!"

Arturo obbedì. L'uomo si spogliò mettendo i propri abiti sull'altra sedia. Mentre si denudava guardava con evidente piacere il corpo nudo di Arturo. Salì sul letto, si inginocchiò fra le gambe divaricate del ragazzo, se le fece poggiare sulle spalle, lo prese per le anche e gli calò sopra, spingendogli il membro duro sul foro e spinse con forza. Mentre lo penetrava, gli occhi dell'uomo brillavano per la libidine e un lieve sorriso compiaciuto affiorò sul suo volto.

Quando gli fu completamente dentro, iniziò subito a batterli contro con vigore. Il volto dell'uomo si arrossò lievemente, tradendo il suo crescente godimento. Dopo un po' si fermò, bene infisso in lui, per far diminuire la propria eccitazione, e titillò per un po' il corpo del ragazzo in modo di destarne e mantenerne l'eccitazione, poi riprese a battergli dentro, lo sguardo fisso in quello del ragazzo, quasi a dominarlo.

Arturo subiva, non era affatto lieto di essere lì, sotto quell'uomo che stava profittando di lui, eppure il suo corpo stava reagendo e iniziava a provare un certo piacere. Il suo membro, che fino ad allora era rimasto morbido, iniziò a inturgidirsi e i movimenti del ventre dell'uomo, chino su di lui, lo sfregavano a ritmo con la vigorosa monta.

L'uomo se ne rese conto e il suo sorriso si fece più ampio: "Ti piace, eh? Ti è venuto duro!" disse con voce bassa e in tono compiaciuto. "E vedrai, che ti farò venire così, solo fottendo il tuo bel culetto!"

Arturo non avrebbe voluto ma si rendeva conto che sarebbe avveunto proprio come l'uomo gli diceva: il piacere fisco infatti stava aumentando in lui. Questo disturbava, psicologicamente, il ragazzo. Non avrebbe voluto godere, eppure il suo corpo lo stava tradendo. Quel duro membro che gli sfregava sulla prostata gli stava provocando un crescente piacere fisico che lui non voleva, ma a cui non riusciva a opporsi. Chiuse gli occhi per allontanare la visione del volto dell'uomo. Ma si accorse che così era peggio.

Inoltre l'uomo gli ordinò: "Apri gli occhi!"

Li riaprì e il sorriso di trionfo dell'uomo lo disturbò ulteriormente, ma il suo corpo continuava a reagire con crescente piacere alla virile monta del colonnello. Il ragazzo si chiese quando sarebbe finita quella tortura... Ma l'uomo continuava ad alternare momenti di vigorose spinte ad altri in cui si fermava e attendeva fino a che la propria eccitazione era scemata sufficientemente per non venire ancora.

Infine, dopo un tempo che gli sembrò interminabile, l'eccitazione in Arturo raggiunse il punto senza ritorno e si scaricò con una serie di forti spasmi fra il proprio ventre e quello dell'uomo. Le sue contrazioni finalmente scatenarono anche l'orgasmo dell'uomo che, con un lungo mugolio di vittoria, si scaricò dentro il ragazzo in una serie di spinte vigorose.

Il colonnello si immobilizzò lasciandosi andare sul corpo del ragazzo.

"Ah! Mi piace il tuo bel culetto, ragazzo! Sei un'ottima fottuta, tu!" disse l'uomo con voce roca.

Arturo aspettava in silenzio che il colonnello gli si togliesse di dosso, che gli dicesse che poteva rivestirsi, ma questi non si toglieva e il suo membro, ancora profondamente infisso in lui, non accennava ad ammorbidirsi.

Finalmente l'uomo si sfilò lentamente da lui e gli permise di stendere nuovamente le gambe. Allungò un braccio e tirò un cordone che pendeva a fianco della testiera del letto. Poco dopo entrò nella stanza Néné, con un bacile e alcuni asciugamani. Arturo arrossì e rimase immobile.

Il ragazzo prima ripulì accuratamente il corpo dell'uomo, che scese dal letto e si rivestì, poi pulì anche il corpo di Arturo. L'uomo, rivestito, quando fu sulla porta disse: "Ti puoi rivestire e andare. Ti manderò a chiamare quando ti voglio di nuovo." ed uscì.

Arturo scese dal letto e fece per rivestirsi.

Néné gli disse: "Non ti andrebbe di incularmi? O di fartelo succhiare un po'?"

"No..." disse Arturo con voce strana, "Ne ho avuto abbastanza."


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