GLI EMIGRANTI CAPITOLO 7
L'AMORE E IL TRAUMA

La relazione fra Alceo e Arturo si rafforzò molto rapidamente e presto entrambi furono coscienti di essere profondamente innamorati l'uno dell'altro. Erano felici. A un certo punto entrambi avrebbero voluto poter abitare assieme, ma il cambiamento sarebbe stato sospetto. Perciò Arturo restò a dormire nella minuscola stanza nel retro del ristorante, dove quasi ogni sera Alceo si fermava per fare l'amore con lui, e il giovane uomo continuò ad abitare nell'appartamentino di fronte al ristorante.

Comunque, il fatto di stare quasi tutto il giorno assieme nel ristorante, faceva sentire loro meno acuto il fatto di non poter abitare assieme. Arturo, in cucina, affiancava sempre più validamente Italo, che gradualmente gli insegnò tutti i trucchi del mestiere. Pur restando Italo il capo-cuoco e Arturo lo sguattero, di fatto quasi non c'era più differenza fra loro. E fu Italo che disse ad Alceo che a suo parere sarebbe stato giusto pagare il ragazzo non come sguatero, ma come aiuto-cuoco.

Alceo gli chiese: "Ah, e dimmi un po', Italo, secondo te Arturo è un maricon o no? Hai continuato a osservarlo? Continua a non parlare di ragazze e a guardare i ragazzi?"

Italo scosse lentamente il capo, aggrottando la fonte: "No... Ne sono molto meno sicuro di prima. Non parla mai di ragazze, è vero, ma quando andiamo in giro non guarda più i ragazzi come faceva prima. Forse m'ero sbagliato, non so. D'altronde, anche fisicamente, ha un aspetto da maschio, sia pure giovane come è, non è per niente effeminato. Tu non hai notato niente?"

"No, niente di particolare. Comunque a me interessa soprattutto che faccia bene il suo lavoro, il resto... sono problemi suoi, personali."

"Bravo, è bravo. Quel ragazzo fra poco potrebbe sostituirmi in tutto e per tutto. Ha una vera e propria dote per la cucina. Quanto alle sue eventuali preferenze riguardo al sesso... finché non le fa capire agli altri... Però mi dispiacerebbe scoprire di avere ragione."

"Perché?" gli chiese incuriosito Alceo.

"Perché mi dispiacerebbe sapere che è malato... e perché avrebbe problemi sia con la legge che con la gente... e dovresti licenziarlo se fosse un maricon e si sapesse in giro, per il buon nome del ristorante. Avrebbe una vita dura, un inferno, oltre a rischiare la prigione. Sai, mi sto affezionando al ragazzo, così solo, senza famiglia."

"Anche tu, anche io siamo soli... come lo sono molti degli emigranti." gli fece notare Alceo.

"Sì, ma noi siamo adulti. Lui è solo un ragazzetto."

"Ha già diciannove anni, non è più un ragazzetto."

"Sembra ancora così indifeso... Io alla sua età ero già un uomo. E soprattutto non facevo che pensare alle ragazze!"

"Io alla sua età ero in guerra, invece, ero in trincea, altro che pensare alle ragazze!"

"Hai fatto tutta la Guerra Mondiale?" gli chiese Italo con ammirazione.

"Sì, dal 1915 al 1918. Ho partecipato a tutto quell'assurdo macello. Non so neanche io come ne sono uscito vivo, illeso. Finita la guerra, ho avuto spesso incubi, la notte. Durante la guerra no, si aveva troppa paura per avere incubi. Quando si poteva dormire, si faceva tutto un sonno fino al momento della sveglia, un sonno nero, senza sogni, e da cui non sapevi nemmeno se ti saresti svegliato, come capitava a quelli colpiti da una granata o da un obice nemico mentre stavano dormendo."


Alceo e Arturo erano sempre più innamorati. La sera, dopo chiuso il ristorante e fatte le prime pulizie, facevano sempre l'amore, poi Alceo restava per un po' nel letto col suo ragazzo, parlottando, finché doveva rivestirsi e tornare a casa sua per dormire. Molto di rado restava con Arturo per tutta la notte, ma a volte si concedeva quel "lusso" come lo definivano entrambi.

Parlando, prima di fare l'amore o dopo averlo fatto, si raccontavano brani della propria vita, come spesso fanno due innamorati, che anelano di sapere il più possibile l'uno dell'altro per imparare a conoscersi sempre meglio.

Così, una sera, dopo aver fatto l'amore, Alceo chiese: "Non m'hai mai detto come si chiamava tua madre, di dove era, dove sei nato tu..."

"Io sono nato a Cordenons. Mamma era stata mandata là dai genitori, a casa dei suoi nonni, quando hanno scoperto che era incinta di me... perché mamma non era sposata e non si sapeva chi era il mio papà. Lei si chiamava Evelina, era nata a Porcia..."

Alceo impallidì. Con voce incerta chiese: "Si chiamava Evelina Michelotti? Sai in che anno era nata?"

"No, lei in realtà si chiamava Evelina Michelon, io mi chiamo Michelotti perché qui in Argentina hanno sbagliato a registrare il nostro cognome. E mamma era nata nel 1896, in novembre..."

"Oh dio! Oh mio dio!" gemette Alceo sentendosi di colpo defluire tutte le forze dal corpo e iniziando a tremare.

"Che hai, Alceo? Dio come sei pallido... Ti senti male?" gli chiese Arturo preoccupato, chinandosi su di lui.

"Io... io potrei... io forse..." iniziò a balbettare, incapace di tirar fuori la terribile verità che lo aveva folgorato, "io posso... essere tuo padre!"

"Tu? Mio padre tu? Com'è possibile? Tu conoscevi mamma? Tu hai... hai scopato con lei?" chiese Arturo confuso.

Allora Alceo iniziò a raccontare.

"Io sono nato a Porcia, nel 1897, un anno dopo tua madre. Nel 1910, quando avevo tredici anni, con i miei amici Franco, che aveva quattordici anni, Sandro e Gianni, tutti e due di sedici anni, si scorazzava spesso su per i monti, o per i campi, quando non dovevamo aiutare i nostri nei lavori. Eravamo amici per la pelle, tutti e quattro. Si faceva tutto assieme, fosse andare a rubare la frutta sugli alberi, o parlare di ragazzine, o... farci seghe uno con l'altro. Sai, quando si dice uno per tutti e tutti per uno... Si andava a fere il bagno al rivo, tutti nudi. Eravamo scatenati... e si metteva in comune tutto il poco che si aveva.

"Un giorno, mentre si parlava delle ragazzine del paese, Sandro ci disse che correva voce che... che tua madre... che Evelina Michelon... era una... puttanella, cioè che... ci stava a fare certe cose coi ragazzi. E allora Gianni propose agli altri di provarci con lei. Nessuno di noi era mai stato con una ragazza... Mi dispiace dirti queste cose, ma..."

"Comunque, io sono nato senza sapere chi era mio padre, quindi tanto seria non doveva essere. Vai avanti..." commentò Arturo.

"Beh... così una volta le proponemmo di venire con noi a fare un giro in campagna... Le altre ragazze avrebbero riso e avrebbero detto di no... e invece Evelina accettò subito. Così andammo in campagna, fino a infrattarci fra i cespugli, dove Sergio le chiese di calarsi le mutande e di farci vedere... Lei rispose che lo faceva solo se prima noi ci si calava i calzoni e le facevamo vedere cos'avevamo noi nelle mutande.

"Prima Gianni, poi Sandro e Franco, poi anche io, ci calammo calzoni e mutande sulle ginocchia e le mostrammo i nostri uccelli. Lei allora si alzò la sottana, si calò le mutande e ci mostrò com'era fatta lei lì sotto. Poi lei ci volle toccare l'uccello a tutti e quattro, e noi toccammo lei. Quella prima volta tutto finì lì, con una sega e lei che faceva gridolini a vederci schizzare.

"Pochi giorni dopo la invitammo di nuovo a venire con noi. Gianni ci aveva detto, prima di chiederle di venire, che questa volta avremmo scopato con Evelina. Quando fummo tutti e cinque fuori vista, all'inizio ci si spogliò e ci si toccò come la volta precedente, però non in piedi, ma seduti sull'erba. Poi Gianni provò a metterglielo fra le gambe... Evelina a quel punto non voleva, gli disse di smetterla.

"Ma erano tutti infoiati, così praticamente la costrinsero a farsi fottere fra le gambe, prima da Gianni, poi da Franco, poi fu il turno di Sandro e infine il mio... Io però, non so perché, forse perché già allora mi attraevano i maschi e non le femmine anche se ancora non me ne rendevo conto, non te lo so dire, ma non mi veniva duro. Gli amici mi prendevano in giro, mi deridevano e io ero sempre più confuso e stranito. Finché Franco riuscì a farmelo venire duro e gli altri mi spinsero dentro a Evelina. Così anche io la presi... e le venni dentro come gli altri tre.

"Evelina, logicamente, era furibonda. Quando la lasciammo andare, si rivestì e se ne andò, giurandoci che ce l'avrebbe fatta pagare. Noi si rideva, sicuri che sarebbe stata ben zitta, che non sarebbe successo niente. Anzi, diceva Sandro sicuro di sé, magari ci sarebbe stata di nuovo a farlo con noi.

"Lei invece, tornata a casa, raccontò tutto a sua madre, probabilmente perché aveva paura di restare incinta, come infatti avvenne. Sua madre lo disse al marito. Il padre andò a dirlo alle nostre famiglie, che però reagirono dicendo che la colpa era di Evelina, perché se era una ragazza seria non andava in giro coi ragazzi e tanto meno in campagna fra le fratte.

"Il padre di Evelina allora prese i suoi tre figli e venne a cercarci, deciso a punirci per quello che avevamo fatto alla figlia. Ci presero, uno dopo l'altro, ci portarono nella loro stalla, ci legarono e prima ci caricarono di botte, poi ci calarono i calzoncini e il padre di Evelina e i tre fratelli ce lo misero in culo. Mentre il padre fotteva Gianni, incitava i figli a fotterci più forte, a spaccarci il culo per farcela pagare! Ma mentre Sandro, Gianni e Franco giurarono di vendicarsi, a me... era piaciuto, forse anche perché a me lo mise in culo il più giovane dei ragazzi Michelon, che aveva solo diciassette anni e che non ce l'aveva troppo grosso.

"La cosa, non so come e perché, si seppe in paese. Qualcuno dava la colpa di tutto a Evelina, qualcun altro invece a noi ragazzi. Qualcuno diceva che ci eravamo meritati quella dura punizione, altri dissero che la punizione era peggio di quello che avevamo fatto noi. Il paese era diviso, comunque per noi divenne impossibile restare a Porcia, perché eravamo oggetto dello scherno di tutti, per essere stati inculati. Evelina fu mandata a Cordenons, ma io non seppi mai che era rimasta incinta e tanto meno che avesse avuto un figlio... te. I miei infatti mi mandarono a Sacile dove uno zio m'aveva trovato lavoro come bidello nella scuola elementare.

"Quindi, vedi Arturo, tu potresti essere mio figlio. Dio mio! Capisci? Non possiamo... io e te, non possimo avere sesso... non un padre col figlio!" gemette Alceo, sconvolto.

Il ragazzo aveva ascoltato in silenzio la "confessione" dell'uomo che amava. Poi gli carezzò una mano e gli disse: "Ma, Alceo... prima di tutto, c'è una possibilità su quattro che tu puoi essere mio padre..."

"Sì, ma c'è!"

"Io non t'assomiglio per niente... Se fossi davvero tuo figlio, almeno in qualcosa dovrei assomigliare a te, no?"

"Non è detto... Io assomigliavo molto a mio padre e proprio niente a mia madre... No, tu potresti benissimo essere davvero mio figlio."

"Ma poi, tu sei stato il quarto, quando ormai il seme degli altri tre doveva essere entrato in lei, quindi è più facile che sia stato uno di loro a metterla incinta. E magari uno dei due più grandi... dopotutto tu avevi solo tredici anni, no? Magari il tuo seme non era neanche ancora ben formato, no?"

"Non è detto, Arturo... non è detto." gemette quasi il giovane uomo.

"Alceo... io non voglio perderti, io ti amo! E anche tu mi ami."

"Dovremo amarci come padre e figlio, da ora in poi, non lo capisci? Anche io ti amo, ma non posso scopare con mio figlio!"

"Ma Alceo, le probabilità che io sono tuo figlio, sono davvero quasi inesistenti. E io non potrò mai amarti come un padre, ma soltanto come il mio uomo! E se anche tu fossi davvero stato quello che mi ha fatto venire al mondo, il nostro rapporto non è quello che c'è fra padre e figlio, ma quello che c'è fra un uomo e il suo ragazzo."

"Ma un padre non deve fare queste cose con suo figlio!" protestò ancora Alceo.

"Non un padre con una figlia, non una madre con un figlio, perché dicono che sennò nasce un figlio tarato, malato. Ma fra due uomini... E poi, tu non mi sei stato mai padre, io non ti sono mai stato figlio. Io non ti voglio perdere, Alceo! Io sono innamorato di te... e so che anche tu mi ami, e non come un padre!"

"Ma io non sapevo... non potevo immaginare... Anche il cognome un po' diverso, non potevo sospettare... E poi, incontrarci qui, dall'altra parte del mondo..."

"Alceo, noi due non ci somigliamo proprio in niente, neanche un dettaglio... secondo me io non posso essere tuo figlio. Non ti ricordi gli altri tre, come si chiamavano... non somiglio a nessuno di loro?"

"Sono passati tanti anni... però forse... forse un po' mi ricordi Franco, quello che aveva un anno più di me... I capelli... gli occhi... un po' mi ricordano lui. Ma sono passati tanti anni e non l'ho mai più visto... e lui veva quattordici anni... tu invece ne hai diciannove... Non so..." disse turbato e confuso Alceo.

"E allora io sono nato da quel Franco, non da te!" insisté Arturo.

"Non possiamo confondere quello che ci piacerebbe con la realtà, Arturo, non lo capisci? Un padre non deve fare queste cose con un figlio."

"E chi lo dice? Neanche un uomo dovrebbe farle con un altro uomo, ma noi le abbiamo fatte, no? È nella nostra natura, siamo fatti così. Tu ti sei sentito attratto da me e io da te, no? Io mi sono innamorato di te e tu di me, no? Questa è l'unica cosa vera, l'unica cosa che conta, Alceo! Io sono tuo, il tuo ragazzo, e tu se mio, il mio uomo! Solo questo è vero, solo questo è importante."

"Dio... se solo ci fosse un modo per essere sicuri che tu e io..." mormorò Alceo, ancora profondamente scosso.

Nonostante le insistenze del ragazzo, Alceo era troppo turbato per cedere alle sue richieste, e anzi il fatto di sentirsi ancora prepotentemente attratto verso Arturo nonostante dubitasse che poteva essere suo figlio, lo faceva sentire anche più confuso. Inoltre, vedere quanto il ragazzo era addolorato per il suo ripetuto rifiuto, lo faceva stare male: non avrebbe voluto dare quella pena al ragazzo che amava e che lo amava.

Passarono alcuni giorni, in cui anche Italo si accorse di qualcosa e chiese al padrone se stesse male.

Poi un giorno Arturo prese in disparte Alceo e gli disse: "Senti, ho saputo che i dottori hanno un sistema per capire se due sono padre e figlio, soltanto prendendo un po' di sangue da tutti e due e paragonandolo. Perciò io voglio che andiamo da un dottore e che facciamo questa prova. Almeno, se risulta che non sono tuo figlio, la smetti di rifiutarmi."

Alceo fu sorpreso per il tono determinato del ragazzo, ma accolse la notizia con interesse e con speranza. Perciò la mattina seguente, prima che fosse ora di aprire il ristorante, andarono tutti e due a vedere un dottore che a volte andava a mangiare al ristorante di Alceo. Questi fece aspettare il ragazzo nella sala d'attesa ed entrò nello studio del medico.

"Hola, señor Nogarol, come sta? Qualche problema di salute?" lo salutò il dottore.

"No, grazie al cielo. Avrei soltanto bisogno di una informazione."

"Mi dica..."

"Ho sentito dire che è possibile, paragonando il sangue di due persone, sapere se una è il padre e l'altra il figlio..."

"Non è del tutto esatto. L'esame del sangue di due soggetti, che è possibile da circa venti anni, può solo dire se è possibile, ma non certo, che uno sia il genitore e l'altro il figlio, oppure se è impossibile. È una questione di ereditarietà. Anche se la cosa è un po' diversa, per farle un esempio, se entrambi hanno occhi celesti, possono essere padre e figlio, ma possono anche non esserlo. Ma se uno ha occhi neri e l'altro celesti, allora non possono essere padre e figlio... anche se in realtà il caso del colore degli occhi è più complesso rispetto a quello del gruppo sanguigno. Non so se sono stato sufficientemente chiaro."

"Cioè lei mi dice che, facendo l'esame del sangue di due persone, la risposta non può mai dire 'sicuramente' ma solo 'è possibile' o 'è impossibile'. Giusto?"

"Proprio così."

"E lei, dottore, prendendo il sangue mio e di un ragazzo, è in grado di fare questa prova?"

"Sì, posso fare il prelievo a lei e al ragazzo e poi portare i due campioni in un laboratorio specializzato per analizzarne il gruppo sanguigno. Ma, mi scusi... c'è un ragazzo che afferma di essere stato concepito da lei, di essere suo figlio? E che ora vuole essere riconosciuto da lei?"

"Non esattamente. C'è un ragazzo che afferma di non essere mio figlio, ma che io penso che invece possa esserlo... Se fosse mio figlio, vede, io avrei responsabilità nei suoi confronti, che lui lo voglia o no... Specialmente ora che è rimasto orfano."

Il dottore prelevò un campione di sangue sia ad Alceo che ad Arturo, li mise in due provette e li inviò al laboratorio della clinica universitaria. Circa una settimana più tardi, il medico andò a pranzare nel ristorante di Alceo.

Appena lo vide, gli mostrò un foglio: "Ho qui i risultati del laboratorio. Vede, señor Nogarol, il suo sangue è di gruppo 0, quello del giovane Arturo è di gruppo AB, e questo esclude totalmente che lei possa essere il padre del ragazzo."

"Lo esclude al cento per cento?" chiese Alceo.

"Sì, al cento per cento. Lei non può assolutamente essere il padre del ragazzo." affermò il medico. "Quindi il ragazzo non può vantare nessun diritto su di lei. O se preferisce, lei non ha nessun dovere nei confronti del ragazzo."

Alceo era contento. In quei giorni di attesa Arturo aveva ancora cercato di convincerlo che il loro rapporto poteva e doveva continuare. E più volte l'uomo era stato tentato di cedere alle pressanti richieste del ragazzo, perché fra loro non era solo il desiderio fisico a spingerli prepotentemente uno nelle braccia dell'altro, ma anche un forte amore.

L'uomo in un primo momento pensò di andare in cucina per annunciare la buona notizia al ragazzo, ma poi si disse che non era opportuno che l'esplosione di gioia che questi avrebbe certamente avuto avvenisse in presenza di altri. Perciò ringraziò il medico, mise in tasca il foglio e lo fece accomodare, chiedendogli che cosa desiderasse mangiare.

Poco prima della breve chiusura del pomeriggio, Alceo andò in cucina a parlare al ragazzo, cercando di non far trasparire la propria gioia. "Quando chiudiamo, puoi venire con me, per favore? Ho bisogno di una mano per spostare alcuni mobili su a casa e da solo non gliela faccio."

"Sì, certo, volentieri." rispose il ragazzo, ignaro.

Andati via i due camerieri e il cuoco, Alceo chiuse il locale e, con Arturo, traversò la via e salì fino al proprio appartamento. Appena entrati, chiusa la porta alle proprie spalle, l'uomo prese fra le braccia il ragazzo e, sospingendolo contro la parete, gli si premette contro e lo baciò in bocca con passione.

Arturo per un attimo ne fu sorpreso, ma poi subito rispose con entusiasmo a quel bacio e i due sentirono fiorire le loro erezioni sotto i panni.

"Hai avuto il risultato, vero? Tu non sei mio padre, vero?" mormorò sommessamente il ragazzo, interpretando correttamente il motivo di quel bacio appassionato.

"Proprio così, amore mio! Io non sono tuo padre, l'esame del sangue l'ha escluso al cento per cento!"

"Perciò tu sei il mio uomo e io il tuo ragazzo!" disse raggiante Arturo.

"Sì, amore!"

"Allora, portami di là... Ho bisogno di sentirti in me di nuovo... finalmente! Dio, credevo di morire, tutti questi giorni senza te. Ho pregato notte e giorno che il risultato fosse questo, sai?"

"Pregato? Credi che dio ascolti le preghiere di due come noi? Secondo i preti quello che c'è fra noi è peccato mortale, lo sai. Dicono che è scritto nella Bibbia."

"Io pregavo dio, mica i preti. E poi, nella Bibbia c'è pure scritto che è il sole che gira intorno alla terra e invece è esattamente il contrario. Io, dentro al mio cuore so che il nostro amore non può essere né una malattia, né un peccato, né un crimine."

"Ma se anche lo fosse... io sono contento di essere un criminale, un ammalato e un peccatore... assieme a te!" gli disse Alceo mentre, giunti accanto al letto dell'uomo, iniziavano a spogliarsi l'un l'altro.

Nudi, si rotolavano sul letto, carezzandosi, baciandosi, palpandosi e titillandosi felici, lasciandosi finalmente andare, dopo il lungo periodo di inappagato desiderio, ad assaporare la reciproca libidine e tenerezza. Quando Alceo sfregò con un dito il nascosto foro del suo ragazzo, lo sentì fremere intensamente e questo non fece che accrescere il suo desiderio.

Alceo fece scivolare il dito inquisitore nel canale palpitante di desiderio. Il ragazzo emise un lungo sospiro di piacere e si spinse contro quel dito, per sentirlo meglio. I loro membri erano duri come mai erano stati e anche i loro capezzoli erano inturgiditi, mentre i loro corpi tremavano lievemente in preda a un crescente desiderio.

Arturo mugolò e spinse la sua lingua a fondo fra le labbra di Alceo, e si spinse contro il membro pulsante del suo uomo. Staccatosi un attimo, mormorò, in preda a una fortissima eccitazione: "Prendimi... mettimelo tutto... non resisto più!" e afferrò il palo caldo e duro dell'uomo, piegando in su le gambe e dirigendolo sulla meta.

Alceo sentì che era tempo di dare al suo ragazzo quanto voleva, di cogliere quello che Arturo gli offriva con avido desiderio. Era pronto a darsi al ragazzo, dandogli quanto voleva, procurandogli tutto il piacere che per tanti giorni gli aveva negato.

Fece stendere Arturo sulla schiena e gli sospinse le gambe di fianco al petto, poi, accoccolatosi davanti al suo bel culetto spalancato in attesa, si chinò su di lui e gli prese il membro turgido in bocca. Frattanto si curvò spingendo in avanti le ginocchia divaricate e il bacino, finché il suo pene duro come granito e caldo come brace, poggiò sul foro del suo ragazzo. Arturo scese con una mano per guidarlo. L'uomo iniziò a spingere e il ragazzo mugolò in preda al piacere.

Alceo sospinse ancora in avanti il proprio bacino e il glande iniziò a divaricare il foro palpitante in attesa. Il ragazzo mugolò ancora, in preda a un crescente piacere. "Dai..." mormorò, impaziente: aveva bisogno di sentire finalmente in sé di nuovo la dura verga virile dell'altro. Alceo spinse ancora, sopraffatto dalla passione e dal desiderio che sentiva bruciare nel suo ragazzo, che tolse la mano per permettergli di avanzare ancora. L'uomo spinse e finalmente fu totalmente immerso in lui, impalandolo fino in fondo.

Benché desiderasse trattenere il membro del ragazzo fra le labbra, Alceo sapeva che questi desiderava essere preso con maggore vigore e più a fondo, perciò dovette rizzarsi per poter prendere il ragazzo con maggiore energia e dovette riposizionarsi un poco. Arturo capì le intenzioni del suo uomo e gli sorrise gioiosamente.

Quando Alceo finalmente iniziò a stantuffargli dentro con virile vigore, Arturo sentì che stava per perdere l'autoconrollo. Il suo corpo stava sperimentando sensazioni più forti di quanto ricordasse, prima della lunga interruzione dei loro rapporti. Il suo foro gli mandava fremiti di piacere per tutto il corpo grazie al forte martellare con cui il suo uomo lo stava prendendo. Rovesciò la tesa in dietro sul cuscino, mentre brevi gemiti di piacere uscivano rauchi dalle sue labbra.

Arturo sentiva il bisogno di avere il forte palo di Alceo anche più in fondo, benché sapesse che non era possibile. Lo sentiva scivolare e massaggiargli la prostata donandogli un piacere sempre più intenso. Si tirò le gambe con maggiore energia ai lati del petto, per permettere ad Arturo di affondargli dentro completamente.

Finalmente Alceo non fu più in grado di controllare i propri movimenti e si abbandonò a un ritmo veloce e forte, emettendo un lieve e lungo, ininterrotto gemito di piacere finché improvvisamente il suo membro eruttò nelle calde profondità del suo amante in una serie di forsennati getti, mentre Alceo rovesciava il capo in dietro e chiudeva gli occhi assaporando un intenso orgasmo.

Anche Arturo non riuscì più a contenersi, il suo stomaco si irrigidì, i suoi testicoli si strinsero contro la radice del suo pene e infine si lasciò afferrare dall'orgasmo, quasi sobbalzando sul letto a ogni getto del suo membro bollente e duro, aspergendo il petto del suo uomo e il proprio con forti schizzi.

Nelle loro teste era esplosa una girandola di fuochi d'artificio, poi tutto rapidamene s'acquietò. Ansanti, lievemente sudati, i volti arrossati per l'intensità del piacere, si guardarono e un sorriso beato illuminò i loro volti.

"Dio, quanto ti amo, Alceo!" mormorò il ragazzo, emozionato, sentendosi il cuore pieno di gioia.

Alceo fremette ancora una volta e il suo membro, ancora turgido, guizzò nello stretto canale del suo giovane amante: "Anche io ti amo, mio dolce Arturo. Mio! Mio per sempre."

Si staccarono, si stesero e le loro membra si intrecciarono nuovamente in un tenero abbraccio. Le loro lingue giocarono per un po', mentre i loro corpi ritrovavano la dolce calma del dopo-coito.

"Sei contento, Arturo?" gli chiese l'uomo in un tenero sussurro.

"Felice! Sì, io sono tuo per sempre... E tu sei mio, vero?"

"Per sempre tuo, certo!"


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