GLI EMIGRANTI CAPITOLO 3
ALCEO E IL MAESTRO

Alceo raccontò a Paquito:

"Avevo quattordici anni. Ero dovuto andare via dal mio paese, ed ero andato a Sacile dove m'avevano dato lavoro come bidello nella scuola elementare. Dovevo fare le pulizie, però a scuola, non a casa del nuovo maestro. Si chiamava Silvio Fabris, aveva solo ventuno anni, era bello... o per lo meno mi piaceva un sacco e comunque sognavo di farlo con lui. Però pensavo che fosse un sogno impossibile.

Non sapevo come fare, non sapevo neanche se a lui sarebbe piaciuto farlo con un ragazzo, anche se, avevo notato, non faceva mai gli occhi dolci a nessuna ragazza, per quanto potevo vedere. Per me era diventata una fissazione, lo studiavo, lo osservavo, e mi cullavo in quello che, ne ero certo, non era che un desiderio destinato a restare tale. Io avevo capito da poco che mi piaceva farlo con un maschio, ma non avevo nessuna esperienza.

Il maestro Fabris veniva da Udine e aveva affittato un paio di stanzette in una casa le cui finestre davano, di fronte, sulla via e sul retro su un frutteto. Le finestre delle stanze del maestro davano appunto sul frutteto. Erano al primo piano, così, dopo l'imbrunire, presi ad arrampicarmi su un albero di fronte alle sue finestre e, nascosto fra le sue fronde e celato dal buio, spiavo nelle stanze del maestro.

Così lo vidi alcune volte mentre si cambiava, e una volta anche completamente nudo: dio se era bello! Mi eccitavo e, spiandone il bel corpo, mi masturbavo in silenzio, fino a schizzare tutto il mio seme nell'aria... Era un piacere e un supplizio al tempo stesso.

Poi un sabato sera arrivò a fargli visita, da Udine credo, un suo amico più o meno della sua stessa età. Li vidi, seduti nella piccola cucina, chiacchierare amichevolmente, allegri. Dalle finestre aperte a volte mi giungevano le loro risate. Il maestro fece un caffè, lo sorbirono continuando a chiacchierare.

Poi si alzarono, si spense la luce nella cucina e si accese quella nella camera da letto. Li vidi spogliarsi e pensai che andavano a dormire. Fui un po' stupito quando non solo notai che s'erano tolti proprio tutto (solitamente il maestro dormiva in mutande e canottiera) ma più ancora quando vidi che tutti e due avevano una bella erezione che spuntava fra le loro gambe.

Salirono sul letto e si abbracciarono, si toccarono... io ero senza parole... cominciai a masturbarmi, terribilmente eccitato. E quando vidi l'amico mettersi a quattro zampe sul letto e il maestro infilarglielo tutto dentro e fotterlo di gusto, venni rischiando di tradire la mia presenza per il gemito che mi scappò dalle labbra!

Calmatomi un poco, li guardai continuare a fottere. Poi il maestro venne dentro l'amico, si tolse, lo fece girare e sedere sul letto e lo fece venire succhiandoglielo e bevendo tutto! Io frattanto mi stavo masturbando di nuovo, e venni per la seconda volta. I due poi avevano spento la luce e s'erano messi a dormire.

Scesi dall'albero che mi sentivo girare la testa e avevo le gambe molli! Tornai nella stanza in cui dormivo, a casa di lontani parenti, e ci misi ore per riuscire ad addormentarmi. Dunque, al mio maestrino piaceva fare quelle cose! Perciò avevo una speranza di poter fare qualcosa con lui. Ero determinato a stare al posto del suo amico e a farmelo mettere tutto dentro dal bel maestro e farmi martellare dentro da lui!

Ma fra il dire e il fare, c'è di mezzo il mare. Nei giorni seguenti cercai di lanciare discreti segnali al mio bel maestrino, ma Silvio pareva non coglierli. Forse i miei segnali erano troppo discreti. A volte pensavo di parlargli da solo a solo e dirgli: "L'ho vista mentre fotteva il suo amico. Voglio che fotte anche me, in quel modo!" ma davvero non trovavo il coraggio di farlo.

Passò la settimana e il sabato tornò quell'amico... Li spiai di nuovo e tutto si ripeté più o meno come la prima volta, solo che cominciarono succhiandoselo per un po' tutti e due contemporaneamente, poi il maestro fottè il suo amico, e infine lo fece venire succhiandoglielo. Io, nascosto sull'albero, mi masturbai di nuovo due volte.

Ormai per me riuscire ad andare nel letto del mio maestrino con lui era diventato un chiodo fisso. Anche se fino ad allora l'avevo preso dietro una sola volta e contro la mia volontà, e in seguito non avevo mai fatto niente con un maschio, ora non facevo che sognare di farmelo mettere dal bel Silvio Fabris! Capivo sempre più chiaramente che a me non interessavano affatto le ragazze. Quell'unica, rude fottuta che avevo subito pochi mesi prima m'era piaciuta troppo... e sentivo che se mi avesse fottuto il maestro, mi avrebbe donato il paradiso.

D'altronde al suo amico del sabato era evidente che piaceva essere inculato dal bel maestro Fabris... Lo invidiavo... dovevo assolutamente riuscire a stare al suo posto. Ma come fare?

Ricordo che era un mercoledì, perché era il giorno del grande mercato settimanale. Nel pomeriggio, dopo aver finito di fare le pulizie nelle aule della scuola, avevo chiuso ed ero andato a perdere un po' di tempo fra i banchi del mercato, a curiosare, quando vidi il maestro carico di involti. Gli corsi incontro.

"Vuole che glieli porti io, maestro?" gli offrii con un bel sorriso.

"Ah, Alceo! Grazie... sei gentile. Devo fare qualche altro acquisto... Anzi, me lo faresti un favore?"

"Certo, maestro, volentieri!"

"Potresti portarmi questi pacchi a casa mia?"

"Sì, sicuro!"

"Ecco, prendi la chiave. Puoi lasciare tutto sul tavolo della cucina. Poi basta che ti tiri dietro la porta e metti la chiave sotto il vaso che c'è a destra della mia porta, sul pianerottolo. Ti spiace?"

"No, no, lo faccio volentieri!"

Carico dei suoi involti, salii all'alloggio del maestro, aprii, sistemai tutto sul tavolo della cucina... poi, col cuore che mi batteva forte forte, andai nella sua camera da letto. Carezzai il letto, immaginando di starci sopra, tutto nudo, con il maestro. Poi scostai coperte e lenzuola e annusai al centro, sperando di sentire l'odore del corpo di Silvio... mi sembrò di sentirlo e mi eccitai.

Mi girava la testa, mi sentivo le tempie in fiamme, tremavo quasi per l'eccitazione... e mi venne un'idea folle, che solo l'intensità del mio desiderio e la mia incoscienza di adolescente mi fecero vedere come... la migliore!

Uscii, misi la chiave sotto il vaso, rientrai chiudendo la porta, tornai nella camera da letto, mi denudai completamente e nascosi i miei abiti sotto il letto, mi infilai sotto le coperte, lasciando fuori solo la testa e le braccia, e attesi.

Guardavo fuori dalla finestra e vedevo la chioma dell'albero su cui m'ero nascosto tante volte per spiare il mio bel maestro. Ero incredibilmente eccitato, e la coperta, all'altezza del mio uccello, era sollevata. Il tempo sembrava non passare mai. Il sole iniziava a calare, ma la mia erezione non voleva calare neppure di un po'.

Finalmente sentii la chiave nella toppa, poi il maestro entrare in cucina. Lo sentii trafficare un po'. Mi chiesi se dovevo chiamarlo o semplicemente aspettare. Mi sentivo totalmente in fiamme, non ero mai stato tanto eccitato.

Finalmente la porta della camera si aprì, lui comparve sulla soglia con alcuni panni in mano, che doveva aver comprato al mercato, il suo sguardo si posò sul letto e si fermò con espressione interdetta.

"Alceo... che ci fai, lì?" chiese totalmente meravigliato.

"Aspettavo lei, signor maestro. Voglio che fotte il mio culetto." dissi con voce quasi strozzata e mi sentii una vampata di calore su tutto il corpo, ma specialmente in faccia, che dovevo essere diventato rosso come un pomodoro!

"Che? Ma via, Alceo, che stupidi scherzi sono, questi? Come ti vengono in testa certe idee?" chiese con espressione accigliata. Posò i panni nuovi su una sedia e venne accanto al letto. "Dove sono i tuoi vestiti? Rivestiti, su! Un bel gioco dura poco."

"Maestro, il bel gioco ancora non è cominciato... Voglio che mi fotte come fa ogni sabato sera col suo amico!" gli dissi iniziando a ritrovare un certo autocontrollo.

Lo vidi sbiancare. Poi, a voce bassa, chiese: "Che cavolo dici, Alceo? Che ne sai tu?"

"Vi ho visti, da quell'albero là fuori. Io lo so che a lei ci piace un bel culetto e il mio non è peggio di quello del suo amico. Voglio che mi fotte, maestro! Per favore."

"Ma... ma sei solo un ragazzino, tu. Che ne sai..."

"So che mi piace. So che lo voglio. So che anche a lei piace."

"Ma tu... l'hai già fatto?"

"Solo una volta, anche se io non volevo. Ma questa volta sono io che voglio."

"E se io non voglio?" mi chiese lui guardandomi serio negli occhi.

"Ma perché? Mica sono brutto, no? E ho un bel culetto... Per favore..."

"No, non sei brutto proprio per niente. Ma sei solo un ragazzino."

"Perché, che età deve avere uno? Ero anche più ragazzino quando quello me l'ha messo in culo. E da quello io non lo volevo, mi tenevano fermo... ma io a lei lo voglio, sono qui per questo. Per favore..."

Allungai una mano e toccai il maestro sulla patta e prima che lui scattasse indietro, feci in tempo a sentire che ce l'aveva duro.

"Anche lei c'ha voglia, maestro... si spogli nudo e venga sul letto con me." gli dissi in tono di preghiera.

"Sei solo un ragazzino..." ripeté lui. "Io, la prima volta... avevo diciotto anni."

"Con quel suo amico che viene qui il sabato?"

"No, con un uomo... lui aveva trenta anni."

"Dodici più di lei... e lei ne ha solo sette più di me..." gli dissi e gli afferrai una mano tirandolo verso di me. "Per favore..." ripetei ancora cercando di tirarlo sul letto con me.

Lui sembrò accorgersi solo allora della mia erezione che sollevava vistosamente la coperta... vi posò sopra una mano e la palpò lieve. Poi mi chiese: "Davvero lo vuoi, Alceo?"

"Sì... forse non sarò bravo come il suo amico, ma magari... lei mi può insegnare, no? Lei è un maestro..."

Per la prima volta sorrise: "Non per insegnare queste cose, però!" mi disse, e con la mano libera, lasciò il mio uccello e mi carezzò i capelli.

"Lei... lei lo baciava quel suo amico... Mi bacia anche a me?" gli chiesi.

Annuì, si chinò su di me, mi prese le spalle fra le braccia, mi tirò a sé e mi baciò... Dio, credevo di morire per l'emozione. Si spogliò quasi di fretta e vidi che anche lui ce l'aveva duro. Scoprì il mio corpo, mi venne sopra, mi abbracciò di nuovo prendendomi fra le braccia e le gambe e mi baciò un'altra volta.

Sentivo il mio uccello premuto contro il suo, e lui mosse il bacino facendoli sfregare. Poi ci girammo su un fianco. Io scivolai giù e gli presi l'uccello fra le mani, lo baciai, lo leccai, lo presi in bocca: era la prima volta e mi piaceva da impazzire. Lui si girò e prese in bocca il mio e tremai per il piacere e mugolai forte.

Poi si staccò da me e si girò di nuovo. Mi baciò ancora.

"Sei davvero sicuro di volerlo prendere nel tuo culetto, Alceo?"

"Sì, maestro... per favore... me lo metta in culo! Anche lei ha voglia di incularmi, no?"

"Se l'hai preso una sola volta... e mesi fa... potrebbe farti male, Alceo."

"Quella volta... mi faceva male però mi piaceva troppo. Stavolta sono io che voglio, e non mi farà troppo male, lo so. Per favore..." insistetti io, sempre più determinato a ottenere quello che per troppo tempo avevo sognato.

"Se ti facesse troppo male però, me lo dici e io smetto."

"Sì, sì, va bene... ma adesso mi deve inculare!" gli risposi con urgenza.

Allora il maestro mi fece mettere a quattro zampe, s'inginocchiò dietro di me, mi allargò le chiappette con tutte e due le mani, poi prese con le dita un po' di saliva e iniziò a prepararmi il buchetto che già palpitava. Me lo lavorò a lungo, saggiandolo con un dito, aggiungendo saliva poi provandoci con due dita, e infine con tre... Io frattanto mugolavo a bassa voce, pregustando l'arrivo del suo bell'uccello forte e duro.

Non so se era perché lui ci sapeva fare, o se era l'impazienza di averlo dentro di me, ma sentivo un piacere incredibile, forte, mi sentivo addosso un calore intenso, tremavo.

"Sì, maestro, sì... dio che bello... oh... oh che bello..." gemevo in delirio.

Silvio mi lavorava il buchetto con le dita, infilandomele dentro, facendole ruotare un poco, muovendole avanti e dietro, preparando la strada per il suo bell'uccello. Mi sentivo il sangue pulsare nelle tempie e tanto caldo per tutto il corpo che iniziai a sudare, nonostante non facesse caldo. Mi agitavo provando un piacere inenso e sempre più forte.

"Oh, sì... sì... così... è bello..." mormoravo in preda a sensazioni troppo belle, incredibilmente intense.

Io sentivo che il mio buchetto si stava aprendo, rilassando a poco a poco, e cercavo di facilitare le sue manovre facendogli sentire quanta voglia mi bruciava addosso. Quando infine il maestro giudicò che il mio buchetto era abbastanza rilassato e scivoloso per l'abbondante saliva che vi aveva messo, palpitante e pronto ad accogliere il suo bell'uccello duro, mi venne sopra, divaricando le mie chiappette con le mani e puntò dritto sulla mia rosetta di carne.

"Ora te lo metto, Alceo..."

"Sì, per favore... tutto."

"Se ti faccio male, però, devi dirmelo. Promesso?"

"Ma sì, ma sì. Inculami!" gli dissi con urgenza, passando inconsciamente al tu.

Allora, mentre io cercavo di rilassarmi il più possibile, lui iniziò a spingere e sentii il suo uccello duro come granito prepararsi per farsi strada dentro di me, spalancare il mio foro che le sue manovre avevano fatto schiudere, iniziare a penetrarmi.

Il maestro spingeva con vigore crescente, e sentii la punta del suo bell'uccello vincere l'ultima resistenza e annidarsi in me. Sentii come una breve fitta, che però cessò presto. Poi, quasi d'improvviso, lo sentii scivolare tutto dentro, lentamente, in una discesa che pareva non avere mai fine, e riempirmi, dilatarmi, conquistarmi. Poi si immobilizzò.

"Tutto bene, Alceo?" chiese quasi sottovoce, e sentii che era molto eccitato.

Cercando di rispondergli con voce normale, gli dissi: "Non ti fermare... per favore... fottimi!"

"Ti devi abituare ad avermi dentro, se te lo vuoi godere. Se no ti fa male o ti dà fastidio. Lascia fare a me, d'accordo?"

"Sì, d'accordo." gli dissi, poi aggiunsi, per tranquillizzarlo: "Fin qui mi piace... mi piace un sacco."

Il maestro mi carezzò la schiena, mi stuzzicò i capezzoli, poi scese con la mano fino al mio uccello e allora mi accorsi che era tornato molle, e ebbi paura che lui ne fosse deluso. Ma appena la sua mano lo prese, lo sentii indurirsi di nuovo, lentamente, e sorrisi, soddisfatto.

"Fottimi, dai!" lo invocai e gli spinsi il sedere contro il membro per sottolineare il mio desiderio.

"Sì, fra poco. Ti sono già tutto dentro, devi solo abituarti, rilassarti ancora un po', poi..."

Quel "poi" suonava bene alle mie orecchie. Rividi la scena di quando lui fotteva il suo amico e mi dissi che fra poco avrei goduto anche io come quello. Mi dissi che forse, ora che poteva farlo con me ogni volta che voleva, forse non avrebbe più avuto bisogno del suo amico.

"Dai, muoviti, ora... Fottimi, per favore. Mi piace, non mi fa male... dai." lo invocai, impaziente.

Allora Silvio iniziò lentamente a sfilarsi poi, quando era quasi tutto fuori, si immerse in me di nuovo.

"Sì... dai! Dai!" mugolai io, e sentii che iniziavo a provare un piacere anche fisico.

Fuori e dentro, fuori e dentro, senza fretta ma con sovrana calma, limando il mio canale stretto e caldo, e io provavo un crescente piacere, e mi sentivo posseduto, riempito, conquistato, dominato... eppure sentivo che anche lui era mio, conquistato da me, dal mio culetto accogliente. Il mio uccello, nella sua mano, non era mai stato tanto duro!

"Sì... sì, dai... così, sì... fottimi... fammelo sentire tutto... oh che bello... dai... dai... sbattimi!" lo invocavo in preda a un crescente delirio man mano che mi fotteva con crescente vigore.

"Tutto bene, Alceo?" chiese lui con voce rotta dal piacere, continuando a battermi dentro.

"Dio se mi piace! Dai... dai... Che bello!"

Il fastidio iniziale ora pareva scomparso, provavo un piacere intenso, piacere puro, gradito, molto migliore di quello che avevo provato mesi prima, la prima volta che un uomo m'aveva inculato.

Gradualmente Silvio parve perdere l'autocontrollo e i suoi colpi accelerarono, si fecero più forti e brevi, capii che stava per raggiungere il sommo piacere dentro di me, che m'avrebbe versato dentro la sua paga per essermi dato a lui. Lo sfregamento del suo palo di dura carne in un certo punto del mio canale mi fece raggiungere velocemente l'orgasmo, prima di lui, e gemendo come un cagnolino che guaisce contento, mi scaricai nella sua mano calda.

Le istintive contrazioni del mio foro attorno al suo forte palo improvvisamente portarono anche il mio maestrino all'orgasmo, così Silvio si spinse con vigore dentro di me e lo sentii palpitare con forza e riempirmi con getti su getti con il suo seme. Ora ansava con forza. Appoggiò il petto sulla mia schiena e rimase fermo per un po'. Sentivo il suo alito caldo sul mio collo. Poi si rilassò di colpo, a corpo morto sul mio. Le mie gambe cedettero e crollammo sul letto.

Dopo un po' si staccò da me, mi fece girare sotto di sé, mi abbracciò e mi baciò profondamente in bocca.

"T'è piaciuto, Alceo?"

"Da morire... e a lei, maestro?"

Ridacchiò: "Poco fa mi davi del tu... Sì che mi sei piaciuto."

"Lo farà ancora con me?"

"Volentieri."

"Non sono più troppo piccolo per lei?" gli chiesi con un sorrisetto malizioso.

"Pare proprio di no. Ma dammi del tu, almeno quando gli altri non ci sentono."

"Adesso... non hai più bisogno di quel tuo amico, il sabato, no?" gli chiesi.

"Cos'è, mica sarai geloso di lui, no?"

"Un po'... che bisogno hai di lui, se hai me?" insistei io.

"Lui ha bisogno di me, non ha altri con cui lo può fare."

"Allora... facciamo così: tutti i giorni con me e solo il sabato con lui."

"Tutti i giorni? Non sarà strano se vieni tutti i giorni qui? Sai, la gente..."

"Basta che io vengo a fare le pulizie anche a casa tua... e quando siamo chiusi dentro... Però, è meglio che metti una tenda alla finestra, non vorrei che qualcun altro salisse su quell'albero come facevo io, per spiarti." gli dissi.

Rise e annuì.

Così, fin quando scoppiò la guerra e dovetti partire soldato, il mio maestrino mi fotteva ogni pomeriggio, escluso il sabato quando arrivava il suo amico." terminò di raccontare Alceo al suo giovane "muchacho".

"Ma era sempre lui a fottere te?" gli chiese Paquito.

"Sì. La prima volta che sono stato io a fottere, è stato proprio quand'ero in guerra... nelle trincee, con un compagno d'armi."

"Me lo racconti?"

"Forse un'altra volta. Ma non so... è una storia triste."

"E a te piace di più fottere o essere fottuto?" gli chiese Paquito.

"Tutti e due."

"E... alllora... mi lasceresti provare, anche solo una volta?"

"Non l'hai mai fatto con gli altri muchachos?"

"No, loro dicono che gli piace solo le donne... Come d'altronde dico anche io, per non essere preso in giro, per non far capire che sono un maricon. Però mi piacerebbe provare. Mi lasci provare, almeno una volta?" insistette il ragazzo.

"Vedremo... se te lo meriti. Penso di sì, comunque." gli rispose allegramente Alceo. Quel ragazzo gli piaceva.

"Grazie. Sei davvero un amico."


Le mandrie iniziarono a partire. Pepe radunò i suoi uomini, i tre muchachos con il carro per le provviste, dette gli ordini di marcia e, con la mandria loro affidata, partirono.

Gli animali, lungo le piste di terra battuta della pampa, sollevavano una spessa nuvola di polvere, sì che gli uomini dovevano legare i fazzolettoni davanti al viso per riparare naso e bocca. La mandria procedeva lentamente, ma gli uomini dovevano costantemente cavalcare attorno a essa per mantenerla raggruppata.

Il muggiti degli animali, i richiami e i fischi degli uomini, il trapestio di centinaia di zoccoli riempivano l'aria almeno quanto la polvere, che s'appiccicava addosso con il sudore.

Mentre Alceo passava accanto al carro delle provviste, Paquito, che sedeva a cassetta e lo guidava, gli fece un lieve gesto di saluto. Il Gran Chaco era traversato da corsi d'acqua e costellato di paludi, e questo garantiva sia l'acqua per gli animali che per gli uomini che, a ogni sosta, potevano così lavarsi via di dosso e dagli abiti lo spesso strato di polvere e il sudore.

Ad Alceo piacevano quei momenti in cui non solo si lavava via, assieme allo sporco, la stanchezza, ma poteva anche godere la vista dei suoi compagni completamente nudi che guazzavano nell'acqua come una frotta di ragazzini scatenati.

A sera, dopo aver mangiato attorno al fuoco, si cantava, si scherzava, si giocava. Alceo ne approfittava per studiare i suoi compagni di lavoro. Erano uomini rudi, eppure c'era una certa solidarietà e reciproca attenzione: era evidente che era un gruppo ben affiatato. Questo, capì presto, era soprattutto grazie al loro capo la cui indiscussa autorità stabiliva l'atmosfera. Notò infatti che Pepe non perdeva mai d'occhio i suoi uomini, quanto facevano, come si comportavano.

Paquito gli passò vicino per distribuire il vino. Mentre gliene versava un po', gli sussurrò: "Stanotte m'hanno già prenotato, purtroppo."

"Chi?" chiese Alceo.

"Bautista."

"Ti piace?" chiese Alceo, pensando che a lui non sarebbe piaciuto quell'uomo maturo e irsuto.

Paquito fece spallucce: "Uno come altri."

"Come me?" gli chiese sorridendo Alceo.

"Lo sai che no." disse il ragazzo e passò a versare il vino agli altri.

Più tardi Alceo notò Bautista alzarsi e allontanarsi. Allora cercò con gli occhi Paquito. Dopo poco lo vide lasciare il suo posto e avviarsi nella direzione in cui l'uomo s'era dileguato nel buio della notte. Gli altri due muchachos erano già scomparsi da qualche parte.

Si alzò, salutò i compagni che ancora restavano accanto al fuoco, si allontanò, prese la sua coperta, la stese accanto al proprio cavallo e si mise a dormire: quella notte lui non era nel turno di guardia.


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