GLI EMIGRANTI CAPITOLO 12
FESTA DI MATRIMONIO

Oltre al nuovo cameriere, avevano anche assunto un aiuto cuoco, Marcello, un ragazzo italiano di venticinque anni che aveva già lavorato per quattro anni come aiuto cuoco su un transatlantico.

Un giorno, mentre lavoravano in cucina, Marcello chiese ad Arturo: "Ma dimmi, quei due, Juan ed Esteban, sono ricchioni?"

"Perché?" gli chiese Arturo studiandone l'espressione.

"Mah... così... ho avuto questa impressione..." disse incerto Marcello.

"Sono buoni amici e dividono la stanza." disse in tono indifferente Arturo, continuando a osservarlo. "Perché? Uno di loro ti ha fatto forse... qualche proposta?"

"No, no no! È solo che quando credono che nessunno li vede... sembrano due piccioncini, una coppietta."

"E se anche lo fossero? A noi interessa solo che lavorino seriamente e bene, il resto non ci interessa. Sono solo affari loro."

"Sì, certo... Ma mica tutti la pensano come te e tuo padre... Spesso, quando si scopre che uno è ricchione, come minimo perde il posto di lavoro. Sulla nave era diverso, anche se si sapeva di qualcuno, si faceva finta di niente."

"Meglio così." disse Alceo. "Se per caso anche tu fossi... ricchione, come dici tu, a noi non interesserebbe per niente."

"Sulla nave... mi è capitato di... che qualcuno mi faceva delle proposte."

"Beh, sei un bel ragazzo e a volte, fra marinai, si sa che succede."

"Sì, è vero. Ma a me piacciono le ragazze."

"E come facevi, a bordo? Restavi a bocca asciutta per tutta la traversata? Per più d'un mese?" gli chiese Arturo.

"Beh... qualche volta... quando uno del personale del transatlantico o uno dei viaggiatori ci provava con me... e se era giovane e carino... mi lasciavo andare." ammise Marcello.

"Ah, beh, capisco, è logico, non è facile stare tanti mesi senza fer niente, o a sfogarsi con la mano... E com'era? Ti piaceva... lasciarti andare?"

"Devo dire che con certi... non era niente male. E non dico solo fisicamente, ma soprattutto come carattere, perché oltre a piacermi quello che si faceva, certi avevano un carattere migliore di quello di tante ragazze. Un po' come Esteban e anche Juan, hanno tutti e due un buon carattere. A me danno fastidio i ricchioni che si atteggiano a femmine. Per me, se lo faccio con un maschio, mi piace che sia maschio, così come se lo faccio con una donna, mi piace che sia femmina."

"E adesso? Con chi lo fai?" gli chiese con un sorrisetto divertito Arturo.

"Con nessuno. Almeno per ora. La padrona della pensione dove dormo ha due figli di diciassette anni, due gemelli ma diversi, uno è maschio e una è femmina, Carlos e Carla... Ecco, in un certo senso mi piacerebbe poterlo fare con tutti e due." disse ridacchiando Marcello.


Dopo poco più di un anno da che Arturo aveva fatto quel discorso in cui Marcello s'era un po' aperto con lui, questi un giorno gli disse: "Fra tre mesi mi sposo..."

"Ah, bene. Auguri!" gli disse Arturo.

"Sì, grazie. Mi sposo con Carla... la figlia della padrona della pensione."

"La gemella?" chiese Artur ricordando quella conversazione.

"Sì, proprio lei. E resto ad abitare con loro, nella pensione. Senza più pagare la stanza, si capisce."

"E... hai già fatto qualcosa con Carla?"

Marcello ridacchiò: "Sì, anche un po' più che qualcosa. Ma la madre non lo sa, logicamente, o mi caverebbe gli occhi."

Allora Arturo gli chiese, guardandolo con un sorrisetto malizioso: "E... con Carlos?"

Marcello arrossì e non rispose.

"E chi era meglio?" gli chiese sorridendo Arturo, che da quel rossore aveva avuto la risposta.

"Tutti e due..." ammise Marcello un po' imabrazzato. "Non saprei davvero chi dei due mi piace di più."

"Lo facevi di nascosto l'uno dall'altro?" chiese allora Arturo, in curiosito per quel ménage à trois.

"No, lo sanno che lo faccio con tutti e due. E quando lo faccio con uno, l'altro ci protegge in modo che la madre non si accorga di niente."

"E anche dopo sposati..." chiese allora Arturo.

"Sì, siamo d'accordo tutti e tre. Tanto più che la madre, dopo che ci siamo sposati, lascia la pensione ai figli e torna a vivere a Santa Rosa, dove ha i parenti. Così non sarà più necessario avere tante percauzioni."

"E non sono gelosi l'uno dell'altro, i due gemelli?"

"No, proprio per niente."

"Ma allora, dopo il matrimonio, ti metterai a lavorare anche tu nella pensione e ci lascerai?"

"No, per la pensione bastano loro due, e a me piace lavorare qui. Anzi, pensavo che se è possibile, per il pranzo di nozze mi piacerebbe molto prenotare il ristorante e farlo qui, se per voi va bene."

"Ne parlerò con papà, ma credo che non ci sarà nessun problema."

Così venne il giorno in cui Marcello si sposò e dopo la cerimonia in chiesa andarono tutti per il pranzo di nozze al ristorante di Alceo e Arturo, che l'avevano addobbato per l'occasione con una profusione di mazzetti di rose... due bianche e una rossa.

Marcello capì quella sottile allusione e, divertito, ne chiese conferma ad Alceo.

Questi sorrise: "Sì, hai capito giusto, volevamo celebrare così per tutti e tre... Sono belli tutti e due i tuoi... sposi. Anche se in realtà hai potuto sposare solo lei."

"Carlos m'ha fatto da testimone... in questo modo era anche lui all'altare con noi. Beh, certo, sul registro lui non figura come sposo ma soltanto come testimone."

"Comunque devo farti le nostre congratulazioni e i nostri complimenti. Sono molto carini tutti e due." gli disse Alceo. "Anzi, siete molto carini e teneri, tutti e tre."

Finito il pranzo, mentre Arturo con Alceo, e Feng con Juan ed Esteban ripulivano tutto il ristorante e mettevano in ordine, Juan disse al suo ragazzo, ma abbastanza ad alta voce sì che anche gli altri udirono: "Noi non potremo mai avere un pranzo di nozze."

Esteban rispose: "Beh, dato che non possiamo celebrare la cerimonia di nozze, non possiamo neanche fare il pranzo, no?"

"Però in fondo non è giusto. Un matrimonio, oltre al significato che due si promettono amore e sostegno reciproco, è una bella festa, una bella occorrenza, e anche il pranzo di nozze ne fa parte, è la festa con tutti i parenti e gli amici. Noi invece si deve vivere tutto di nascosto." ribatté Juan.

"Io e Pedro," disse Feng, "non si deve vivere di nascosto, almeno in casa coi suoi genitori, però neppure noi si è mai potuto celebrare la nostra unione. Capisco perfettamente cosa sente e cosa vuol dire Juan."

Allora Arturo lanciò una proposta: "Perché non facciamo una festa fra di noi, invitando gli amici che sono come noi, in cui ogni coppia si promette amore, fedeltà e sostegno reciproco davanti agli amici? E dopo si fa un bel pranzo tutti assieme?"

Feng intervenne: "Io sono sicuro che al mio Pedro farebbe piacere. Anche noi due s'era parlato, tempo fa, dicendo che era un peccato che due ragazzi che sono innamorati però non si possono sposare. A me pare una bellissima idea."

Esteban obiettò: "Sì, ma non sarebbe un vero matrimonio, non avrebbe nessun valore legale!"

"Avrebbe un valore per noi, comunque." rispose Juan. "In fondo anche il matrimonio in chiesa ha valore solo per chi ci crede, e quello in municipio ha valore solo perché la società ha deciso di dargli un valore. Cioè, voglio dire, nessuna cerimonia ha valore in sé, ma ne acquista quando una società, un gruppo, gli dà valore. A me piacerebbe farlo, Esteban, anche se solo in privato e davanti ai nostri amici."

Fu così che, gradualmente, il ristorante "El Cochero" di Plaza Vista Alegre in Bahía Blanca, divenne famoso, anche grazie alla discreta pubblicità che gli fece Basílio nell'ambiente segreto degli omosessuali grazie al passa-parola, come il posto in cui si poteva celebrare uno "sposalizio".

In quelle occasioni veniva affittato tutto il ristorante e vi si poteva entrare solo presentando un biglietto di invito, in modo di essere certi di non avere estranei fra loro. Cominciarono ad arrivare richieste, per quello che ormai era conosciuto come il "Matrimonio del Cochero", anche da Buenos Aires.

L'unica coppia che non aveva mai celebrato il "Matrimonio del Cochero" era quella di Alceo e Arturo.

Così una sera, mentre andavano a letto, Alceo chiese al suo ragazzo: "Arturo, tu avresti voglia che si facesse una festa di matrimonio anche per noi due, là nel nostro ristorante?"

"No, non ne sento affatto il bisogno. A me basta avere il tuo stesso cognome, vivere con te e avere il tuo amore. Però, se tu lo desideri, possiamo farne anche una per noi."

"No, per me è come per te, volevo solo essere sicuro che tu non lo desiderassi e magari non mi dicessi niente."

"Ci siamo sempre detti tutto, no? Comunque, grazie per averci pensato. No, per come la sento io, noi due celebriamo il nostro matrimonio ogni volta che facciamo l'amore. Ci pensi, sono ormai quasi dieci anni che viviamo assieme!"

"Sì, e questi sono stati gli anni più belli di tutta la mia vita, amore!" gli disse Alceo con un caldo sorriso.

"E ne avremo ancora tanti, te lo giuro!" gli disse Arturo, abbracciandolo stretto e baciandolo.

"Quante ne abbiamo passate, tu e io, assieme!" gli disse Alceo carezzandolo per tutto il corpo nudo. "Speriamo di poter vivere tranquilli in futuro, come in questi ultimi tempi."

"Finché staremo assieme, le supereremo tutte. E tutto sommato siamo stati fortunati: ogni volta che abbiamo avuto problemi abbiamo anche trovato buoni amici pronti ad aiutarci."

"Sì, è vero. Comunque la più grossa fortuna è stata incontrarci. Ci pensi, Arturo, veniamo tutti e due praticamente dallo stesso paese, siamo emigrati tutti e due, sia pure in anni diversi, e ci si è incontrati quasi dall'altra parte del mondo."

"Ti manca l'Italia?"

"No... ormai ho tutto qui... e specialmente te. E poi non mi piace quello che sta succedendo in Italia, quel Mussolini e i suoi seguaci, anche se non pochi degli emigrati italiani sembrano invece ammirarlo, apprezzarlo, perché dicono che vuole fare grande il nome del nostro paese."

"Comunque noi ormai siamo cittadini argentini. Per noi non è come per altri immigrati che hanno ancora le loro radici in Italia, o nei loro paesi d'origine, e che sperano sempre di poter tornare a casa quando hanno fatto soldi. Casa nostra è ormai qui." disse Arturo.

Alceo lo tirò a sé e il ragazzo gli sorrise teneramente. Si baciarono. Arturo lo tirò sopra di sé e gli cinse la vita con le gambe, in modo di sfregare il suo culetto contro la gloriosa erezione del suo uomo.

"Mi vuoi?" gli chiese il ragazzo con un sorriso allettante.

"Sì, certo... e tu mi vuoi?"

"Dopo. Adesso prendi me!"

"Ma quanto mi vuoi?"

"Tanto, tantissimo... Solo quando sei in me o io in te mi sento completo. Dai, prendimi."

Alceo ripiegò le gambe allargando le ginocchia a cingere il sedere del suo amato e scivolò sulle lenzuola fino a far affacciare il suo membro duro e fremente sul foro del ragazzo.

"Dai!" lo invocò Arturo con un sorriso invitante, gli occhi brillanti di desiderio, dimenando lievemente il bacino.

Alceo fece passare le braccia di fianco al ragazzo in modo di posargli le mani sulle spalle e lo tirò a sé, mentre sospingeva in avanti il corpo. Sentì il foro del ragazzo dilatarsi gradualmente, alla sua virile e tenera spinta, per accoglierlo. Mentre iniziava a scivolargli lentamente dentro, il volto di Arturo si colorò di un'intensa beatitudine.

"Dio, quanto sei bello!" mormorò Alceo, continuando a spingersi in lui.

"Anche tu diventi più bello, quando ci uniamo... e mi piace tanto sentirti in me."

"Ti amo!"

"Anche io, Alceo, ti amo!"

Quando gli fu completamente dentro, l'uomo si chinò sul suo ragazzo e lo baciò profondamente in bocca. Arturo emise un basso e lungo mugolio di piacere e gli si agitò lievemente sotto, cingendogli la schiena con le braccia e attirandolo contro si sé.

Quando le loro labbra si staccarono, il ragazzo gli disse, con voce calda e piena di desiderio: "Dai..."

Alceo iniziò allora a muoverglisi dentro con calmi e lunghi movimenti di va e vieni, ma con crescente passione.

"Oh, amore... quanto sono felice!" mormorò il ragazzo.

L'uomo annuì, non solo per dirgli che vedeva e sentiva quanto il suo ragazzo fosse felice, ma anche per comunicargli quanto lo fosse anche lui. Mentre lo prendeva, pregustava anche il momento in sui sarebbe stato il suo amato a prendere lui. Non avrebbe saputo dire che cosa gli desse più piacere, se prendere o essere preso. O meglio, come a volte si diceva ripensando alle loro appassionate feste d'amore, donarsi o accettare il dono del suo amato.

Immergersi in lui era al tempo stesso donarglisi e prenderlo, e farsi penetrare da Arturo era contemporaneamente accoglierlo e farlo suo!

Questa, sia Alceo che Arturo ne erano profondamente coscienti, era la differenza fra un qualsiasi atto sessuale fatto solamente per piacere oppure lo stesso atto fatto per amore. Questo sanno tutti coloro che veramente si amano: prendere e donare diventano la stessa cosa.


F I N E


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