QUIETE SERE D'AUTUNNO | CAPITOLO 11 MERCOLEDÌ 20 NOVEMBRE |
Ieri sono arrivati i muratori per buttar giù le pareti e ristrutturare il mio dipartimento. Hanno messo grandi teli di plastica per sigillare la parte in cui lavorano ed evitare che la polvere invada il resto degli ambienti. Per entrare e uscire c'è una doppia porta, anche di plastica trasparente. Dà l'idea di un film di fantascienza, mi ha ricordato "E.T." A sera Paolo è venuto di nuovo da me. Abbiamo fatto l'amore. Poi mi ha detto che gli piace sia il lavoro che l'ambiente, i colleghi, e che Stefani gli sembra una persona molto in gamba, gentile, preparata, che gli sta spiegando un sacco di cose perché lui possa inserirsi bene. Poi, poco prima di lasciarmi mi ha detto che ha deciso di dire a sua madre che lui è gay. "Come mai, questa decisione?" gli ho chiesto. "Fino a ieri mi sembravi molto incerto." "È che mamma è molto felice per il mio nuovo lavoro... non solo perché avrò un salario molto più alto, ma perché finalmente posso fare quello che mi piace e per cui ho studiato. E allora ho pensato che questo è il momento migliore per dirglielo: se anche non sarà contenta... la felicità che ha l'aiuterà a soffrirne di meno." "Tu la conosci, sai quello che è meglio fare." "E poi... se lei sa che... se qualche volta passo la notte fuori... qui con te... capirà e non mi farà domande." "Bene. Come pensi di affrontare la questione?" "Non lo so ancora. Navigherò a vista, secondo come reagirà. Le dirò prima di tutto che le voglio molto bene... che so che mi vuole molto bene... anche se non sono come forse lei pensa. Non lo so, vedrò, ma ho intenzione di dirglielo, subito dopo cena, stasera stessa." "Domani... mi dirai come è andata?" "Sì, domani sera quando vengo qui da te." "Non mi va di aspettare fino a sera. Vieni nel mio ufficio domattina, per favore." "Ma con che scusa? Non mi pare che, specialmente noi periti, si venga da te come se niente fosse. Specialmente poi io che sono stato appena assunto." "Troverò una scusa per farti convocare dalla mia segretaria. Non ti preoccupare. Ma dimmi, sei contento di lavorare con me?" Il suo sorriso è stato la più eloquente risposta. Però mi ha corretto: "Lavorare per te... Io sono solo un perito industriale. Spero che tu sarai sempre contento di come lavoro." "Togli una ruota a un'automobile, e per quanto abbia un potente motore o un abile conducente, vedi se può andare avanti! Ognuno di noi, dal manovale al direttore, siamo indispensabili per il buon funzionamento del DEA." gli ho detto.
Paolo è arrivato e il suo sorriso mi ha fatto intuire che il colloquio con la madre doveva essere andato bene. "Allora?" gli ho chiesto quando s'è seduto davanti alla mia scrivania, sporgendomi un po' verso di lui. "È fatta. È andata molto meglio di quanto pensassi. Dopo cena, le ho detto che le dovevo parlare. Ero più teso di quello che avevo previsto. Così, invece del discorsetto: ti voglio bene, mi vuoi bene, le ho detto chiaro e tondo che sono gay. Lei non è sembrata sorpresa. Tranquillamente, mi ha chiesto se ne ero sicuro. Poi mi ha chiesto da quando lo sapevo. Poi ha chiesto se per me era un problema o no. Infine mi ha detto che l'aveva immaginato già da un po', ma che non ne era sicura, ma che questo le aveva dato il tempo necessario per pensarci sopra. "Mi ha fatto lei il discorsetto che m'ero preparato e che non le avevo fatto: so che tu mi vuoi veramente bene e anche io ti voglio veramente bene. Io voglio sopra a tutto che tu sia sereno, che tu abbia una vita serena come l'ho avuta io. Mi ha abbracciato stretto e mi ha dato una carezza. "Poi, quando ci siamo dati la buona notte, mi ha detto: ricordati sempre che io ti voglio bene e che sono fiera di avere un figlio come te." "Ottimo! Hai una madre dalla mentalità molto aperta. Quindi ora, qualche volta, potrai di nuovo passare tutta la notte con me." "Basta che la avverta prima che non rientro, per non farla stare in pensiero. Avessimo il telefono... ma con il primo stipendio, vado a fare domanda alla compagnia dei telefoni. E con il secondo, le compro un bel televisore a colori." "E con il terzo?" gli ho chiesto divertito e intenerito. "Le compro un bel set di pentole di acciaio inossidabile che so che lei desidera, così può buttar via le vecchie pentole d'alluminio." "Fino a che mese sei arrivato con i tuoi progetti di regali per tua madre?" gli ho chiesto allora. "Fino al sesto stipendio... Frattanto vedrò, per i mesi successivi. Mia madre è nata il quattro di giugno, quindi il quattro di ogni mese le farò un regalo di... complemese!" mi ha detto allegramente. Poi ha infilato una mano in tasca e ne ha tirato fuori un pacchetto che mi ha porto: "Questo è per te." L'ho aperto subito. Conteneva uno scatolino di plastica blu come quello per gli anelli e dentro, su uno strato di bambagia, c'era una noce. "Devo mangiarla subito? Non ho lo schiaccianoci, qui..." "No! Non devi schiacciarla o mandi a monte tutto il mio lavoro! Aprila... è solo accostata, gli ho fatto una piccola cerniera interna." L'ho aperta con cautela. L'interno era tutto dipinto in blu-notte e, con il materiale usato per fare i plastici ferroviari, aveva costruito alcuni minuscoli alberi; due personaggi in scala HO rappresentavano un uomo maturo seduto su una panchina e un teenager in piedi, ognuno fissato nella metà del guscio. "Per ricordare la prima volta che ci siamo incontrati." mi ha spiegato. "È molto bello... sei in gamba. Grazie." "Adesso, posso tornare a lavorare?" mi ha chiesto. "Certo, Paolo. Stasera vieni da me, vero?" "Sicuro!" ha detto con un ampio sorriso ed è uscito dal mio ufficio. Ho contemplato ancora il suo minuscolo capolavoro. L'ho riposto nel suo scatolino che mi sono infilato in tasca. Mi sono detto che io non gli avevo ancora mai fatto nessun regalo. Ho controllato gli impegni di quella mattina: non c'era niente di urgente. Infilato il soprabito ho avvertito Nella che mi sarei assentato per parte della mattina. Sono uscito, ho preso la mia automobile nel parcheggio dei dirigenti e sono andato in centro. Non avevo le idee molto chiare su che cosa comprargli. Da quello che m'aveva detto, aveva vissuto una vita molto povera. Che cosa poteva desiderare un ragazzo di venti anni che nella sua infanzia e adolescenza non aveva avuto quello che i suoi compagni e amici normalmente hanno? Ho girato a caso per le vie del centro, soffermandomi davanti a varie vetrine, sperando che mi venisse una buona idea. Non volevo fargli un regalo troppo grosso, per non metterlo a disagio, ma neppure un regalo banale. Non fumava, quindi accendini, portacenere, portasigarette eccetera, erano esclusi. Gli abiti sono una cosa molto personale, e comunque non conoscevo con esattezza la sua taglia. Ho ripensato ai tre regali che mi aveva fatto: il portamatite di betulla, il grande puffo e la noce fatta da lui... il primo mi diceva che apprezzava i prodotti artigianali, il secondo simboleggiava me, il terzo il nostro incontro. Mi sono ricordato di un negozietto gestito dai missionari, pieno di cose esotiche, artigianali provenienti da mezzo mondo. Vi sono andato a passo svelto, sono entrato. Ho detto al commesso che volevo un po' guardarmi intorno. Mi ha risposto di far pure e di chiamarlo se volevo qualche spiegazione. Dopo un po' che mi aggiravo fra i tavoli e le vetrinette, ho visto una scatoletta di legno, aperta, e dentro, su un morbido sfondo di damasco seta celeste con disegni stilizzati di nuvole, c'erano due uccellini alti tre o quattro centimetri, fatti con piume policrome, uno di fronte all'altro su un rametto, con i becchi uniti. Uno era un po' più grande l'altro più piccolo. Ho chiamato il commesso e gli ho chiesto che cosa rappresentava, da dove proveniva e quanto costava. "Viene dalla nostra missione a Taiwan. Sono due cinciallegre, il padre imbecca il piccolo che sta per spiccare il suo primo volo, infatti in cinese, sul coperchio, è scritto 'Vai, prova a volare'. Costa... diecimila lire, ma posso farle un po' di sconto..." "No, grazie, va bene così. Mi può fare un pacchettino regalo?" "Senz'altro, signore." La stessa scatoletta di legno era un piccolo capolavoro: era incisa con motivi geometrici lungo tutti gli spigoli e al centro del coperchio c'era la scritta in ideogrammi di smalto bianco. Sono uscito dal negozio, soddisfatto, e sono tornato in ufficio. In tutto ero stato assente un paio di ore. Nella mi ha accolto con espressione preoccupata: "Ingegnere, il povero Cabrini..." "Cosa gli è successo?" le ho chiesto, preoccupato. "Un incidente... è scivolato su una macchia d'olio e ha battuto il capo... Turati l'ha portato subito in ospedale." "Bene. Sa in che ospedale è?" "Mi han detto al comunale." "È grave?" "Non so... sanguinava, aveva perso i sensi. Turati non ha voluto aspettare l'ambulanza... Io gli ho detto di portare con sé anche Serra... non poteva andare da solo." "Ha fatto bene. A che ora è accaduto?" "Mezz'ora fa, più o meno." "Vado subito all'ospedale." "Può... farmi sapere qualcosa?" "Senz'altro." Sono corso all'ospedale. Quando sono entrato nel pronto soccorso, ho visto Serra. "Dove l'hanno portato?" gli ho chiesto. "Lo stanno visitando, dietro quella porta... Turati è con lui." "Non ha ripreso i sensi, Cabrini?" "No... Ho guidato io l'auto di Turati, lui era troppo sconvolto, così gli ho detto di stare dietro e tenere in grembo il povero Cabrini. Speriamo che non sia niente di grave." Mi sono seduto accanto a lui, in attesa che uscisse qualcuno dalla stanza in cui era Cabrini. Serra mi ha detto: "Io... devo dirle qualcosa... Non per fare pettegolezzi, mi creda, anzi... perché se Turati... se lo trova un po' troppo sconvolto... So che lei non lo giudicherà per..." "Ebbene?" l'ho incoraggiato. "Mentre... mentre guidavo verso l'ospedale, Turati diceva a Cabrini... amore, amore mio... capisce? Se... se hanno una... relazione... per forza Turati è sconvolto." "Grazie, Serra, ha fatto bene a dirmelo. Ma mi raccomando, non lo dica a nessun altro." "Certo che no, direttore! Non l'avrei detto neanche a lei, ma ho pensato che... senza sapere questo... poteva trovare troppo strana la reazione di Turati. È un ottimo capo, e anche Cabrini è un ottimo operaio, mi creda." "Sì, concordo con lei. E lei è un uomo... comprensivo e gentile, oltre a un ottimo operaio anche lei." "Grazie. Se loro due... sono fatti così... non fanno male a nessuno, giusto?" "Giusto, Serra. Ma purtroppo pochi la pensano come lei." Un dottore stava uscendo dalla stanza. "Mi scusi, dottore, io sono il capo dei due là dentro e l'incidente è accaduto nella nostra ditta. È grave il ragazzo?" "A un primo esame, no, non c'è niente di grave. Comunque dovremo fare altri esami. Ora sto andando a preparare per una tac." Serra s'è alzato e m'è venuto accanto, aveva udito la risposta del dottore. "Dio sia lodato... speriamo che non ci sia davvero niente." Visto che c'era un telefono pubblico, sono andato subito a telefonare a Nella per dirle quanto avevo saputo dal dottore. Le ho anche dato alcuni ordini per sostituire provvisoriamente Turati in officina. Dopo poco hanno portato fuori Cabrini su una lettiga e ho visto anche Turati. Era pallido come un cencio. Quando mi ha visto, mi ha ringraziato per essere andato lì. Lo abbiamo fatto sedere con noi, in quanto non gli avevano permesso di seguire il suo ragazzo. "Turati, vedrà che se la caverà, il ragazzo. Il dottore m'ha detto che molto probabilmente non c'è nulla di grave." gli ho detto. Ha annuito. Ho capito che stava facendo sforzi per trattenere le lacrime. Allora ho chiesto a Serra se per cortesia andava a vedere di procurarsi tre caffè, così l'ho fatto allontanare. "Se le fa bene... pianga pure, Turati. Io al suo posto lo farei." Ha annuito di nuovo, e lacrime gli hanno rigato il volto. Teneva le mani in grembo, serrate con tale violenza da avere le nocche livide, e tremava. "Pareva morto..." ha singhiozzato. "No... no, lei sa che i medici sono sempre molto prudenti, eppure il dottore mi ha detto che quasi certamente non c'è niente di grave. Comunque... se desidera un permesso per stargli vicino, non c'è nessun problema." "Ma l'officina, proprio in questo momento..." "Ho già dato ordine di sostituirla provvisoriamente con Latteri, ma se lei pensa che un altro sia più adatto..." "No, Latteri va bene, ha un buon ascendente sugli altri operai. Grazie, direttore. Non chiederò permessi, se non ce n'è una stretta necessità." Serra è tornato. Abbiamo cercato di far distrarre Turati parlando di lavoro. Poi sono tornati i dottori e ci hanno comunicato che non vi erano lesioni interne e che Cabrini si sarebbe rimesso abbastanza in fretta. Lo avevano messo in una camerata del primo piano. Ho detto a Serra di rendere le chiavi dell'auto a Turati e l'ho riportato indietro. Poiché nel frattempo c'era la pausa pranzo, ho proposto a Serra di venire a mangiare con me in trattoria e gli ho offerto il pranzo. Quindi siamo tornati al lavoro. Finalmente sono potuto tornare a casa. Paolo era già lì che mi aspettava. Mentre salivamo, mi ha detto: "Ho avvertito mamma che forse stasera non torno a casa." "Forse?" "Beh, non sapevo se ti andava bene che io mi fermo da te, stanotte." L'ho guardato con un sorrisetto: "Visto che non ho niente di meglio... mi accontenterò di te." Ha capito che stavo scherzando e ha riso: "Anche io mi accontenterò di te, allora!" Mi sono messo a cucinare, sentendomi allegro. Dopo che Paolo aveva apparecchiato la tavola, ho deposto sul suo piatto il pacchettino che gli avevo comprato. "Per me?" ha chiesto sgranando gli occhi. "O per te o per Giovanni Renzi... scegli tu!" "Per me, allora. Non sta bene che il signor direttore faccia un regalo a un suo dipendente, altrimenti, per giustizia, lo dovrebbe fare a tutti!" mi ha detto e ha aperto il pacchetto. "Che bella scatola! Cinese?" "Sì, certo." "Dentro ci posso mettere..." ha iniziato a dire mentre la apriva. "Oh... che belli! Che dolci! Si danno un bacio... e quello piccolo sono io, vero?" "Proprio così. Davvero ti piace?" "È... tenero, delizioso. Sono piume vere! Sono fatti molto bene. Grazie, Dario. Dio che bel regalo!" Mentre mangiavamo, gli ho raccontato di Turati, Cabrini e Serra. Alla fine ha commentato: "Più ti conosco, più scopro che sei una persona eccezionale! Ho notato che ti stimano tutti, là al dipartimento. Sai, mia madre mi diceva che se al lavoro c'è un buon ambiente o un cattivo ambiente, dipende al novanta per cento dal capo." "E com'è l'ambiente al DEA?" "Ottimo, come il capo." "Ruffiano!" gli ho detto sorridendo. "No. Io dico quello che vedo, quello che penso. Ma a me piace di più Dario che l'ingegner Farini, sai? Ho steso una mano e ho preso la sua, attraverso il tavolo. Mi ha sorriso. "Mia madre mi ha chiesto com'è il mio capo... Io le ho detto che è un bell'uomo, giovane, molto preparato, gentile, e che mi sta aiutando molto per inserirmi bene nel lavoro. Le ho parlato cioè dell'ingegner Stefani. Se le parlavo di te... avrei dovuto aggiungere che fa l'amore in un modo speciale." "Vieni qui." gli ho detto, scostando la mia sedia dal tavolo. L'ho fatto sedere a cavalcioni del mio grembo, in modo che mi guardasse, e gli ho cinto la vita con le braccia. Lui me le ha messe al collo. Ci siamo baciati delicatamente, giocando con le labbra, le lingue. Il bacio si è fatto via via più intimo, più appassionato. I suoi occhi sorridenti, brillavano. Ho sentito la sua erezione premermi contro il ventre e la mia ha risposto spingendo sul suo caldo culetto. Dopo un po' gli ho detto: "Rigoverniamo ora. Poi... andiamo di là a fare l'amore." "Mi fai andare su di giri... e poi mi fai raffreddare così? Non è mica bello, sai!" e ha fatto finta di essere imbronciato. "Non mi va di lasciare tutto in disordine. Però... per farmi perdonare, domattina ci svegliamo prima e facciamo l'amore di nuovo, d'accordo?" "Beh... allora ti perdono." ha esclamato e mi ha baciato di nuovo. Prima di andare a letto, abbiamo fatto una doccia assieme, eccitandoci di nuovo. Nudi, siamo andati sul letto e finalmente abbiamo cominciato a fare l'amore. Durante una delle soste per non raggiungere troppo rapidamente l'orgasmo, Paolo mi ha detto: "Sai che pensavo che sono fortunato?" "Ah sì? Perché?" "Se ti avessi conosciuto prima come mio capo, poi non avrei mai avuto il coraggio di agganciarti, neanche se ti avessi incontrato là al parco! Sarei scappato appena ti avessi riconosciuto." "Sì, e sono fortunato anche io. Se ti avessi conosciuto prima come mio dipendente, non ci avrei mai provato con te. Non ho mai voluto avere una storia con un mio dipendente... eppure ora devo fare un'eccezione." "Nessuna eccezione. Qui non ci sono Giovanni Renzi e l'ingegner Farini, no? Ma solo Paolo e Dario..." "Giusto." "Comunque, se l'ingegner Farini è scontento del perito Giovanni Renzi, deve sgridarlo, ammonirlo, punirlo, licenziarlo senza nessun problema." "Beh, Paolo, dì al perito Renzi di fare del proprio meglio, in modo che Farini non sia scontento di lui." "Ma Dario è abbastanza contento di Paolo?" "Che ne dici, tu? A me pare proprio di sì." Paolo mi ha sorriso dolcemente. Poi si è sporto per aprire il cassetto del mio comodino, ne ha preso una bustina di preservativi, l'ha aperta e me l'ha srotolato sul membro. Quindi, con un sorriso allettante, mi si è offerto. Mentre lo prendevo, mi sono detto: "Attento Dario... questo ragazzo è pericoloso... non ti devi innamorare di lui, assolutamente!"
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