QUIETE SERE D'AUTUNNO | CAPITOLO 10 LUNEDÌ 18 NOVEMBRE |
Stamattina, al lavoro, mi sentivo strano. Dopo quasi una settimana, per la prima volta avevo nuovamente passato la notte da solo, e il ricordo del "tradimento" di Lorenzo, mi aveva reso triste. Non avevo più rancore nei confronti di Lorenzo: capivo che, a modo suo, era stato onesto con me, che aveva ragione lui a non voler rinunciare all'amore trovato, dato che per me provava solo piacere a letto, oltre a stima e affetto. In fondo aveva ragione: non mi aveva sfruttato. Ero io che mi ero illuso. D'altronde, in quegli otto anni passati assieme, non m'aveva mai detto "ti amo". Era colpa mia che l'avevo dato per scontato. Comunque... erano stati otto anni molto belli, se si esclude la doccia fredda del finale. È arrivata la commissione di ispettori della Marina Militare, così ho speso tutta la mattinata a illustrare loro i nostri progetti di ristrutturazione, facendogli visitare tutta la palazzina. Questo, per lo meno, ha avuto l'effetto di togliermi di dosso la tristezza che m'aveva oppresso all'inizio della giornata. Gli ispettori sono stati molto cortesi, mi hanno fatto i complimenti, mi hanno assicurato che la loro relazione agli alti comandi sarebbe stata più che positiva. Per festeggiare ho deciso di offrire il pranzo ai miei tre capi-ufficio, al mio vice, a Nella e al capo-officina (scusandomi con lui se per quell'occasione non potevo invitare anche il suo ragazzo). Avevo fatto prenotare da Nella un tavolo nella saletta interna della trattoria "Al marcheggiano". Nel pomeriggio, Nella mi ha chiamato all'interfonico: "Ingegnere, c'è il nuovo perito industriale... Giovanni Renzi, quello che è abbiamo assunto al posto di..." "Sì, lo faccia attenere pochi minuti, per cortesia, devo solo finire di controllare alcuni documenti. Le dirò io quando farlo entrare. Grazie." Mi piaceva l'espressione di Nella "abbiamo assunto"... Sentiva il Dipartimento "suo" almeno quanto me... e non aveva tutti i torti. Avrei dovuto farle un bel regalo, mio personale, per ringraziarla di tanti anni di fedele collaborazione. Finito di guardare le carte, le ho messe nella cartellina, poi ho detto a Nella di far entrare il nuovo perito elettronico. Ha bussato alla porta. "Avanti!" ho detto. La porta si è aperta... e mi sono trovato davanti Paolo! Lui è restato sulla porta, gli occhi sgranati. "Che... che ci fai tu qui?" gli ho chiesto, completamente stupito, alzandomi in piedi. "Chiudi la porta, entra..." "Io... stamattina ho chiamato... mi hanno fatto andare all'ufficio personale... ho firmato il contratto poi... mi hanno detto di presentarmi oggi pomeriggio a te... a lei, signor direttore... e che domani avrei iniziato il mio lavoro..." "Era qui che avevi fatto domanda di lavoro? Non lo sapevo..." "Non è lei che... che mi ha fatto assumere?" "No, no, assolutamente. Non ne sapevo niente... Ma tu... mi avevi detto di chiamarti Paolo..." "Mi chiamo Giovanni Paolo Renzi, ma non mi piace essere chiamato come il papa, perciò ho sempre usato solo Paolo... Non sapevo, non immaginavo che lei..." Ho sorriso: "E che, mi dai del lei, adesso?" "Beh... lei è il mio capo, adesso, lei è il direttore..." "Sciocco. Ci si è sempre dati del tu... Non vedo proprio..." "Ma anche di fronte agli altri... non sarebbe strano che un perito dà del tu al direttore?" "Adesso non ci sono altri, qui. Dio... sono così contento di rivederti... siediti... Giovanni Renzi... Paolo... Sono felice di averti qui!" "Anche... anche io." "Ascolta, Paolo, è bene mettere subito in chiaro alcune cose. Tu mi piaci molto, e questa notte... mi sei mancato. Io spero che ci si possa continuare a incontrare come prima... Ma ricordati che qui dentro da te pretenderò esattamente ciò che pretendo dagli altri, che non posso né voglio fare favoritismi." "Né io ne vorrei. Io voglio essere valutato per quello che faccio qui al lavoro. Però... sono confuso... Lei crede... tu credi davvero che ci si può continuare a vedere... da te, intendo?" "Non vedo il problema, se anche tu lo vuoi. Io sono sempre lo stesso Dario e tu lo stesso... Paolo. Riguardo al lavoro, l'ingegner Stefani, che ti aveva esaminato, mi ha detto che sei un tecnico molto preparato e motivato." L'ho guardato con un sorriso: sì ero davvero contento di averlo lì davanti a me. Ho notato che s'era vestito in modo più classico del solito, e che era tirato a lucido... Aveva ancora un'espressione un po' scossa, da cucciolo smarrito, che mi ha fatto tenerezza. "Io... ora... sono anche più motivato di prima, Dario. Il lavoro che fate qui, che l'ingegnere m'aveva illustrato, mi affascina. Inoltre non voglio darti nessun motivo per mandarmi via, per essere scontento del mio lavoro." mi ha detto, iniziando a rilassarsi. "Tecnicamente, ti ha valutato e apprezzato l'ingegner Stefani; personalmente, ti ho valutato e apprezzato io; perciò non credo che ci saranno problemi. Riguardo al tu o al lei... tu lavorerai alle dirette dipendenze di Stefani, raramente avremo la necessità di parlarci direttamente, qui al lavoro. Perciò credo che il problema sia quasi inesistente. E poi... saranno affari nostri se ci si dà del tu o del lei, no? Non mi va di mettere in piazza la mia sessualità, ma neppure di nascondermi continuamente. E gli altri pensino quello che cavolo vogliono!" Mi ha sorriso. Poi è arrossito lievemente e con voce dolce mi ha detto: "Anche tu mi sei mancato, questa notte." "Ora chiamo Stefani e ti affido a lui, al suo ufficio. Quando usciamo... ti va di venire da me?" "Volentieri. Però non mi potrò fermare molto... mamma mi aspetta per cena." "Va bene. Ora vai in segreteria e dì alla signora Franceschini, la mia segretaria, di mandarmi l'ingegner Stefani. Ciao, Paolo, a stasera. Sono molto contento che tu sia qui." "Anche io Dario. Grazie, e a stasera da te." Pochi minuti dopo è arrivato Stefani. Mentre lo aspettavo avevo preso una decisione: sapevo di potermi fidare di lui, della sua correttezza. "Eccomi, ingegner Farini." "Si accomodi, Stefani. Quanto le sto per dire è una cosa molto riservata e personale. So che mi posso fidare di lei." "Certamente! Qualsiasi cosa mi dica..." "Bene. Prendiamo il toro per le corna, allora. Non so se lei l'abbia mai immaginato o no, ma io... io sono gay." Non si è scomposto minimamente. In tono piano, gentile, mi ha detto: "No, direttore. E lei di me?" "Un pensierino ce l'avevo fatto, ma non potevo esserne certo, finché ci si è incontrati a Parigi... Ma la cosa non mi riguardava né mi riguarda minimamente." "Non capisco, però, mi permetta, che motivo possa avere per dirmi una cosa così... personale." "Ci arrivo subito. Una settimana fa, ho conosciuto uno splendido ragazzo... Niente di realmente serio, ma molto, molto piacevole. Un ragazzo veramente eccezionale. Un ragazzo che anche lei conosce." Ha inarcato lievemente le sopracciglia: "Che conosco anche io?" mi ha chiesto un po' stupito. "Sì, anche se io lo conosco con un nome e lei con un altro. Anche se solo oggi ho scoperto che lo conosciamo tutti e due, io più... intimamente, lei più professionalmente. Sul piano professionale, lei me ne ha parlato molto bene..." "Sta parlando di... del ragazzo appena assunto, che sta attendendo in segreteria?" mi ha chiesto, stupito. "Esattamente, di Giovanni Paolo Renzi." "Che è il suo... ragazzo?" "Niente di veramente serio, come le ho detto, ma... sì, in un certo senso. Bene. Giovanni Renzi lavorerà alle sue dipendenze, nel suo ufficio. Non voglio che lei lo tratti né meglio né peggio degli altri. Il fatto che... venga a letto con me, non ha nulla a che vedere con il lavoro." "Certo, ha perfettamente ragione. Quel ragazzo, per quanto ho appurato durante l'intervista e come le ho detto, è preparato, mi sembra serio, motivato e credo abbia ottimi talenti. Avrà il trattamento che si merita, da parte mia." "Bene, la ringrazio. E... dato che abbiamo messo le carte in tavola, io con lei e lei con me... non potremmo cominciare a darci del tu?" gli ho proposto. "Con piacere, grazie." "Mi permetti una domanda personale?" "Certo." "Hai un ragazzo, tu?" "Sì, o per meglio dire un uomo. Viviamo insieme da nove anni. Era uno degli assistenti in facoltà. Si chiama Faliero Gentile..." "Lo conosco, anche se solo di vista. Non è ora professore di Scienze delle Comunicazioni al Politecnico?" "Sì, è lui." "Un'ottima persona, molto gradevole e di vasta cultura, per quanto ne so. Complimenti." "Grazie." "Magari, qualche volta, ci si potrebbe incontrare... diventare amici." "Ne sarei lieto. Bene, ti garantisco che curerò il ragazzo con particolare cura, ma senza favoritismi. Non perché sta con te, ma perché, come ho detto, mi pare che abbia molto talento, quel ragazzo." Ero contento. Ho guardato il porta-matite di corteccia di betulla che Paolo m'aveva regalato e ho pensato che... il mondo è veramente piccolo. Ero contento che lavorasse con me e non grazie a una raccomandazione ma per i suoi meriti. Quando finalmente sono potuto tornare a casa, ho avvertito un senso di fretta. Sono stato sorpreso nel trovare Paolo già sotto casa mia che mi aspettava. "Ciao. Come hai fatto ad arrivare qui prima di me?" "Ho pedalato come un matto, appena uscito dall'ufficio." mi ha detto indicandomi la sua bicicletta appoggiata e incatenata alla grata della finestra delle cantine di casa. "Vieni, andiamo su." Appena siamo entrati in casa, l'ho preso finalmente fra le braccia e l'ho baciato. Mi si è spinto contro e ho sentito che anche lui era già eccitato. "Abbiamo poco tempo, purtroppo." gli ho sussurrato. "Io... sono ancora un po' scosso per... per aver scoperto che ora sei il mio gran capo." mi ha sussurrato. "Sono il grande puffo, no?" gli ho risposto. "Prendimi... subito." "Non qui, non ora. Vieni." In camera, ci siamo spogliati l'un l'altro, siamo saliti sul letto, abbracciati, e ci siamo baciati di nuovo con passione. La lieve tensione che avevo avvertito in lui all'inizio, gradualmente si è sciolta mentre gustavamo i piacevoli preliminari con cui ci approntavamo alla nostra più intima unione. "Prendimi, Dario." mi ha invocato nuovamente a un certo punto, in un sussurro emozionato. Ci siamo preparati, ci siamo messi nella posizione che entrambi amavamo di più, lui sulla schiena con le gambe ripiegate ai fianchi del petto, io inginocchiato davanti a lui, e con dolce vigore mi sono immerso in lui. Mentre gli affondavo dentro, il suo sorriso è fiorito come un prezioso dono. Non ho potuto fare a meno di pensare che era la bellezza fatta persona! Mentre lo prendevo con crescente piacere, una constatazione si è affacciata alla mia mente: fra i vari ragazzi che avevo avuto, Paolo era il primo ad aver sempre fatto il primo passo per avermi, fin da quella sera di una sola settimana prima là al parco. Più di tutti gli altri, mi faceva sentire desiderato: gli ero grato per questo e gli esprimevo la mia gratitudine cercando, istintivamente, di dargli il massimo del piacere, che fossi io a pendere lui come in quel momento o lui a prendere me. Nonostante la nostra differenza di età, ero e mi sentivo totalmente alla pari con lui. Questo, non solo mentre si stava facendo l'amore, ma anche quando si discuteva e qualsiasi cosa si facesse assieme. La sua indubbia bellezza fisica era resa ancora più preziosa da quella interiore. Nel donarsi a me, era tutt'altro che passivo, nel prendermi era tenero e tutt'altro che aggressivo. La sua tenerezza esaltava la sua virilità, la sua virilità rendeva più dolce la sua tenerezza. Eppure... non volevo "legarmi" a lui! Non volevo correre il rischio di avere in lui un secondo Lorenzo. Capivo che non sarebbe stato affatto facile, perciò ero più che mai determinato a non lasciarmi andare. "Goditelo, finché dura." mi ripetevo. Quando ho raggiunto un piacevole e forte orgasmo in lui, gli ho chiesto di prendermi, per rendere completa la nostra unione fisica. L'ha fatto con il solito entusiasmo e piacere, e anche lui si è adoperato per darmi il massimo piacere, mentre ne riceveva da me. Una volta soddisfatto il reciproco desiderio, siamo restati stesi ancora per una mezz'ora, i nostri corpi allacciati, carezzandoci e baciandoci teneramente. Poi però ha dovuto alzarsi, rivestirsi, andare via. Ho deciso di andare a fare cena "Al marcheggiano". Mi sono rivestito anche io e mi sono recato alla piccola trattoria. La proprietaria mi ha accolto con un grande sorriso. "Ingegnere, che piacere rivederla! Non c'è suo figlio, questa sera?" Per un attimo ho pensato che mi avesse confuso con un altro cliente, poi ho capito che si riferiva a Paolo. "Non è mio figlio, è solo un caro amico." l'ho corretta con un sorriso. "Oh, mi scusi... è che m'era sembrato di vedere... tenerezza fra lei e il ragazzo." "Ha visto giusto, c'è affetto fra Paolo e me. È un caro amico, come le ho detto. Che mi propone, questa sera?" "Dunque, stasera abbiamo..." ha detto la donna e mi ha esposto il menù del giorno. Ho fatto la mia ordinazione. Ho mangiato bene, come al solito. Quando sono uscito dalla trattoria, la proprietaria si è scusata ancora con me per l'equivoco. Mentre tornavo a casa, ho ripensato all'osservazione della donna: "m'era sembrato di vedere tenerezza fra lei e il ragazzo". Sì, indubbiamente aveva visto giusto. Mi sono chiesto se, avendo chiarito che non era mio figlio, avesse potuto immaginare a che cosa fosse dovuta la tenerezza fra me e Paolo. Ho fatto spallucce: non mi interessava. Tornato a casa e spogliatomi, ho acceso il computer e sono andato ad esplorare i siti gay. In alcuni, anche se pochi, c'erano foto molto belle e anche quelle che rappresentavano una scena di sesso, non erano volgari. Però mi sono accorto che non mi interessavano particolarmente: ero ancora troppo "pieno" di Paolo. Allora ho controllato se avevo ricevuto messaggi, ho cestinato gli spam, ho risposto a un paio di e-mail, poi ho spento il computer. Sono andato in soggiorno e ho acceso la TV. Niente di interessante, anzi, programmi insulsi e fastidiosi. Dopo un po' di zapping, ho spento anche il televisore. Ho preso l'ultimo numero di "Der Spiegel" e mi sono messo a leggere. Pareva che su ogni numero ci fosse un articolo il cui tema era "ma siamo veramente nazisti, noi tedeschi?". La cosa mi ha fatto sorridere. A differenza di noi italiani, che pur avendo perso la guerra ci si illudeva di averla vinta, ai tedeschi ancora bruciava la sconfitta. Sono andato a letto. E ho provato un'acuta nostalgia per Paolo: quanto avrei voluto che ci fosse anche lui lì con me, quanto mi sarebbe piaciuto addormentarmi tenendolo fra le braccia, la sua guancia appoggiata sul mio petto. Ho guardato verso la finestra: la solita stella solitaria brillava al suo centro, la luna non si vedeva. Mi sono sistemato meglio il piumone addosso. Il tepore che mi avvolgeva era gradevole... ma non quanto quello del corpo fresco e forte di Paolo. Ho ripensato all'espressione di stupore che s'era dipinta sul bel volto di Paolo quando era entrato nel mio ufficio, nel pomeriggio. Al suo imbarazzo a come aveva cominciato a darmi improvvisamente del lei. Alla sua lieve tensione quando avevamo cominciato a fare l'amore... presto dissipata. Di colpo il ragazzo s'era trovato a fare l'amore con il suo direttore, il suo gran capo, il grande puffo, invece che con un qualsiasi uomo che aveva incontrato al parco. Ma aveva ritrovato in fretta in me quell'uomo. Fare l'amore... Sì, con molti dei ragazzi che avevo avuto, specialmente nel caso di avventure di una sola notte, il rapporto sessuale era stato solo fottere, anche se a volte in modo molto piacevole. Con Paolo, come con alcuni dei ragazzi con cui avevo avuto una relazione più o meno duratura, era fare l'amore. Mi sono chiesto se in quel momento Paolo, nel suo letto, stesse pensando a me. Aveva detto che gli ero mancato, nonostante avessimo fatto l'amore solo ventiquattro ore prima. Anche a me mancava, proprio in quel momento, nonostante fossero trascorse solo poche ore da quando avevamo fatto l'amore. Un'associazione di idee mi è venuta in mente: "Johan Paulik"... e "Giovanni Paolo"... beh, il primo m'era sempre piaciuto molto, ma ora gli preferivo il "Giovanni Paolo" in carne ed ossa, logicamente. Mi sono chiesto che cosa avrei provato se le foto di Paolo, nudo e mentre faceva sesso con un altro bel ragazzo, fossero state in Internet, e qualcuno le scaricasse e si masturbasse guardandole... e l'idea mi ha infastidito. Non aveva molto senso. Paolo non è il mio ragazzo. Magari proprio in quel momento non era a letto, ma stava girando per il parco per trovarsi un'avventura... No. L'idea non solo non mi piaceva, ma non mi convinceva. Mi giravo sul letto, senza riuscire ad addormentarmi. Una lucetta lampeggiante attraversò lentamente lo spazio della finestra: un aereo che stava per atterrare. Le grandi cifre verdi dell'orologio-sveglia digitale sul comodino mi comunicavano che erano già le 12,43. Non ho idea che ora fosse quando finalmente scivolai, insensibilmente, nel sonno.
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