QUIETE SERE D'AUTUNNO | CAPITOLO 8 VENERDÌ 15 NOVEMBRE |
Questa mattina, in ufficio, stavo pensando a mio nipote Donato. Ora è una persona a posto, ma quante ne ha fatte passare a mio fratello Francesco e a Marisa! Quando aveva sedici anni, i genitori gli avevano trovato uno spinello nel cassetto della scrivania. Ne avevano discusso tranquillamente con lui, e pensavano di averlo convinto a non lasciarsi tentare dalle droghe... Nel 1979, quando mio nipote aveva diciotto anni, ricevetti una telefonata da Francesco. "Hanno arrestato Donato per spaccio di droga!" mi annunciò. "Oh cazzo! Ma non aveva smesso? Droga pesante?" "No, ma pare proprio che non solo non l'ha piantata; s'è pure messo a spacciare. Solo spinelli, per quanto ne so, comunque..." "Beh... cercagli un buon avvocato: è la prima volta che lo prendono, ha la fedina penale pulita e magari può ottenere una sospensione della pena." gli dissi. "No. Ne ho discusso con Marisa. Noi non muoviamo un dito. Avrà un difensore d'ufficio e pagherà come è giusto che faccia. Proteggerlo ora, gli darebbe solo un senso di impunità o comunque gli farebbe prendere sotto gamba quanto ha fatto." Non ero d'accordo, cercai di convincerlo che sbagliava, mi offrii anche di pagargli io un avvocato, ma Francesco fu irremovibile e mi diffidò dal provare a farlo. Donato fu condannato a due anni... e non gli fu data la condizionale. Così uscì dal carcere nel 1981, quando aveva venti anni. Lo incontrai e Donato mi disse che i genitori avevano fatto bene a lasciarlo andare dentro: aveva capito a fondo quanto avesse sbagliato... Mi fece piacere che l'avesse presa bene.
Aveva un'aria scanzonata. Stava appoggiato con il sedere sulla bassa spalletta del lungofiume, le gambe incrociate, una mano per metà in una tasca dei jeans, l'altra appoggiata indietro sulla spalletta, lo sguardo rivolto verso le punte delle sue scarpe da tennis nere. Il volto, serio, era bello, il petto dai muscoli ben definiti allettante, l'ombelico perfetto, e la piega del pube s'intravedeva sopra i jeans sparendovi dentro. Sensuale. Attraente... Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel bel ragazzo. Sollevò il capo e i suoi occhi incontrarono i miei. Fece un sorriso malizioso. "Ti piace quello che vedi?" "Beh... sei un gran bel ragazzo." "Scommetto che ti piacerebbe vedere anche di più, giusto?" Non risposi. Se gli avessi detto di sì, poteva anche reagire male. "O magari anche toccare, no?" insisté lui. Continuai a guardarlo in silenzio. "A me piacerebbe scopare con te, se ci stai." disse a voce bassa e calda, sensuale. Vide la mia espressione stupita e rise: "Che è, ti ho scioccato? Io sono frocio e mi ci gioco le palle che lo sei tu pure... è un secolo che mi guardi, che mi spogli con gli occhi." "Sei un bel ragazzo..." ripetei, ancora un po' incerto. "E tu un bell'uomo. Quanti anni hai?" "Quarantuno. E tu?" "Ventitré, compiuti da poco. Allora, non hai un posto? Mi sta venendo duro all'idea di scopare con te." "Fra poco devo tornare al lavoro..." dissi, sentendo che anche il mio si stava rizzando. "E a che ora sei di nuovo libero?" "Non prima delle cinque..." "Se torni qui... mi trovi. Ce l'hai un posto?" "Sì. Lo fai per soldi?" "No, non ne ho bisogno. Lontano, il posto? Casa tua?" "Sì. Ho l'auto, comunque." "OK. Per le cinque torno qui. Non mi fare il bidone, però. Piuttosto dimmi subito di no." "Ci sarò... sicuro." "OK. Ciao, bello!" mi disse, si rizzò e andò via. Alle cinque ero di nuovo lì e lui mi stava già aspettando. Sorrise quando mi vide. Lo portai alla mia auto, partimmo, arrivammo a casa mia. Appena chiusi la porta mi prese fra le braccia e mi baciò con calore, facendomi sentire la sua erezione. "Ti lasci fottere?" mi chiese. "Sì, ma mi piace anche farlo io." "Nessun problema. E fare sessantanove?" "Certo." "OK, ci divertiremo. Dov'è il letto?" Lo portai in camera: ero un po' spiazzato dal suo modo di fare così spiccio, ma ero anche notevolmente eccitato. Contrariamente a quanto m'aspettavo, prima di giungere al dunque si dedicò a lunghi e piacevoli preliminari. Non c'era tenerezza nel suo modo di fare, ma neppure rudezza. Era evidente che semplicemente si "divertiva" un sacco. Ci si trovò diverse volte e mi piaceva sempre più. Mi prendeva con vigore, si faceva prendere con evidente piacere, quasi sempre a quattro zampe, a volte in piedi di fianco alla specchiera dell'armadio, qualche volta sotto la doccia. Era così diverso da tutti gli altri ragazzi eppure molto gradevole. Quando non si scopava, gli piaceva restare nudo e parlare con me. Mi faceva mille domande sugli argomenti più diversi. Gli piaceva quando, dopo aver scopato, preparavo la cena per tutti e due. Ma ogni sera, poco dopo la cena, si rivestiva e se ne andava. Mi disse che aveva trovato un buon lavoro, ma di notte. "Un club... un posto per ricchi... Io mi occupo del personale. Una specie di supervisore. Guadagno bene." Mi trovavo con Enrico da circa cinque mesi e stavo già pensando di proporgli di venire a vivere con me. Una sera, poco dopo che Enrico aveva lasciato casa mia, mentre mi stavo infilando la vestaglia, suonarono alla porta. Pensai che Enrico avesse dimenticato qualcosa. Andai ad aprire. Era mio nipote Donato. "Come mai a quest'ora?" gli chiesi un po' sorpreso per la sua inattesa visita. "Niente, sono stato a trovare un amico qui vicino e ho pensato di venire a farti un salutino. Mica disturbo, no?" "No, niente affatto. Come stai? Hai trovato lavoro?" "Non ancora, ma mi sto dando da fare. Dimmi un po', zio, sei omosessuale, tu?" Lo guardai sbalordito: "Ma che domande mi fai? Ti dà di volta il cervello?" "No, niente affatto. Enrico m'ha detto che scopa con te." Arrossii, colto in fallo: "Ma come fai a conoscerlo?" "In galera. Lui era dentro per un furto. Sei sicuro che non ti ha fregato niente?" "No... no, mai..." "Lui m'ha detto di no, ma sai... Fotte bene, vero?" "Cos'è, lo facevi con lui, quand'eri dentro?" "Certo. Anche io sono omosessuale. Là dentro... Enrico e io... eravamo un po' le puttane del nostro braccio. Ma eravamo in cella noi due da soli e così qualche volta lo facevamo anche fra noi." "Le puttane di tutti?" "Zio, prima di tutto, t'ho detto che a me piace, no? Poi... o ti presti o ti obbligano, specialmente quando si è giovani e ben fatti come Enrico e me. Se ci stai, puoi dettare tu le regole, se no... ti violentano. A fare le puttane, sotto la protezione di uno dei boss, ci si guadagna, sia il boss che noi. Chi ci voleva, pagava il boss o gli faceva un favore, poi pagava anche noi... Comunque noi potevamo pure dire di no, in certi casi." "Ma tu... sei diventato così in carcere?" Rise: "Non si diventa così, zio! No, comunque, io è da quando ho sedici anni che fotto con i maschi. All'inizio lo facevo per avere gli spinelli... poi per darli a quelli che mi piacevano ma che avevano poca grana. Tu non hai idea, zio, a cosa si è disposti pur di avere un po' di roba." "Ma adesso... hai smesso, no?" "Sì, lo giuro. Non è stata una bella esperienza, la galera... e fare la puttana, non voglio rischiare di tornarci. E l'unico modo è non solo non spacciare, ma neanche prenderla. L'ho capita la lezione, credimi, zio." "Due anni passati con Enrico... lo conosci abbastanza bene, penso." "Abbastanza, sì." "Io... pensavo di proporgli di venire ad abitare qui con me." "Gliel'hai già chiesto?" "Non ancora..." "Non lo fare... Non è un cattivo ragazzo, Enrico, però... Dio, non sono certo io che posso fargli la morale, ma... Prima che lo mettessero dentro, faceva marchette, oltre a derubare i clienti." "M'ha detto che ha un buon lavoro, che non ha bisogno di soldi. E in questi cinque mesi non m'è mai mancato niente... non ha rubato niente." "Meglio così. Ma tienilo d'occhio." "Sai che lavoro fa, adesso?" "No, non ne abbiamo parlato. Magari ha ricominciato a rubare... o a fare marchette... o tutte e due le cose." "Mi ha detto che lavora in un club privato, come supervisore del personale e che guadagna bene." "Può darsi... Ma sai che davvero non avrei mai immaginato che anche tu sei come me? Si vede che è qualcosa che corre in famiglia." "Hai detto che sei stato da un tuo amico... è il tuo ragazzo?" "Ci si è conosciuti da poco. Mi piace un sacco. Però non so se mi metto con lui." La mia storia con Enrico continuò. Ora lo tenevo d'occhio, ma non rubò mai niente in casa mia. Veniva da me quasi tutti i giorni, dalle cinque, cinque e mezzo, fino alle nove circa. Poi andava al lavoro. Passarono altri sei mesi, e di nuovo stavo progettando di chiedergli di venire a vivere con me. Una sera, tornato a casa dal lavoro, contrariamente ad altre volte, Enrico non era lì ad aspettarmi. Pensai che tardasse... ma alle nove non era ancora arrivato. Mi preparai qualcosa per cena. Non lo vidi neppure il giorno dopo, né quello seguente. Mi chiesi che cosa fosse successo. Si era stancato di me? Poi Donato mi telefonò e mi chiese se poteva venire a trovarmi. Gli proposi di fermarsi a cena. Quando arrivò, mi chiese: "Hai saputo di Enrico?" "No, sono tre giorni che non lo vedo... Cosa gli è successo?" "È di nuovo in galera." "Ha rubato di nuovo?" "No, peggio. Aveva organizzato un giro di ragazzini, fra i sedici e i venti anni, che faceva prostituire in un alloggio del centro che aveva preso in affitto. Qualcuno dei ragazzini era fuggito di casa... Ne hanno beccati cinque, a casa sua, con altrettanti clienti..." "Non c'era niente sul giornale..." "E credo proprio che non ci sarà... Uno dei clienti era un pezzo grosso... un ministro. Cercheranno di far trasparire il meno possibile." "E tu, come le sai, queste cose?" "Il mio amico... quello che abita qui vicino... è un poliziotto, uno di quelli che ha fatto irruzione a casa di Enrico. Sa che avevamo fatto due anni di galera assieme, che lo conoscevo, e così me l'ha raccontato. Dice che secondo lui ci andranno pesanti, questa volta, con Enrico. Pensa se lo prendevi in casa come volevi fare, zio... potevi avere grane tu pure." "Scampato pericolo, per un pelo. Stavo di nuovo pensando di proporglielo, quando è scomparso... Non avrei mai pensato che... sembrava un bravo ragazzo." "Non è cattivo. Dice Tonino, il mio poliziotto, che i ragazzi hanno tutti detto che si prostituivano di loro volontà... Enrico semplicemente gli faceva usare le stanze, gli trovava i clienti e ci guadagnava bene... Faceva stare lì quelli che erano fuggiti di casa... Solo che è uno che vive di espedienti." "E anche minorenni..." osservai io. "Conosce le leggi che gli interessano, Enrico. Sopra i sedici anni, chi lo fa per sua scelta, l'altro non può essere accusato di corruzione di minori. Però di sfruttamento della prostituzione, sì. Secondo Tonino gli è andata bene che uno dei clienti fosse un ministro... Per proteggersi... dovrà proteggere anche Enrico, dice Tonino." "Chi è, questo ministro?" "Tonino non me l'ha voluto dire. Devi stare più attento, zio. Non vorrei portarti le arance in galera, come facevi tu per me." "Non ti ho mai portato arance." "Si fa per dire. E poi no, una volta m'hai portato un sacchetto di ottimi tarocchi siciliani." rise mio nipote.
Cabrini è venuto nel mio ufficio per sottopormi la lista degli operai che lui avrebbe scelto per la sua squadra. L'ho letta. "Nessun problema, Cabrini. Turati che ne dice? L'ha fatta vedere anche a lui, immagino." "Sì, certo. Lui è d'accordo, però mi ha detto che era meglio avere anche il suo nulla-osta, signor direttore, per questo mi sono permesso di disturbarla." Ho messo la mia firma sotto il suo elenco e gli ho restituito il foglio: "Nessun disturbo, Cabrini. Posso darle un consiglio?" "Certo, direttore, la prego." "Lei è un ragazzo valente, un ottimo operaio, un buon lavoratore. Cerchi di avere più autostima, se vuole che gli operai della sua squadra la stimino. Se lei si sottovaluta, anche gli altri rischiano di sottovalutarla e sarebbe un vero peccato." "Me lo dice sempre anche Dario... cioè Turati." Già, m'ero dimenticato che Turati si chiama Dario come me... "E ha ragione a dirglielo. Turati... le vuole bene," gli ho detto e lui è arrossito lievemente, "ma soprattutto la stima. Come d'altronde la stimo anche io. Se lei non si stima... praticamente dà degli illusi o degli sciocchi sia a Turati che a me..." "Ci mancherebbe altro!" ha detto precipitosamente, "non mi permetterei mai... neanche di pensarlo, signor direttore." "E allora, si dia da fare, Cabrini. Non riesco proprio a capire perché lei non abbia stima di se stesso, nonostante tutti i talenti che ha." "Il fatto è che... da quando mio padre e mia madre hanno capito... di me... che sono... come sono... non hanno fatto che ripetermi che sono solo un debole, un immaturo, che non sono un vero uomo... e ho finito per crederci. Per quanto mi davo da fare, non erano mai contenti di me. Dario... Turati è il primo che mi dà fiducia... e ora anche lei. Io sto ritrovando un po' di fiducia in me stesso, mi creda... ma dopo anni di... beh... ci vuole ancora un po' di tempo." "Sì, la capisco, Cabrini. Ma non crede che non l'avrei scelta come capo-squadra se non la stimassi?" "Io... ho pensato che Turati aveva proposto me solo perché... per quello che sente per me." "Al contrario, lui, per non fare parzialità, non l'aveva affatto scelta. Sono io che gli ho chiesto se lei non meritava di entrare nella rosa delle persone che mi aveva sottoposto. Ha dovuto ammettere che lei lo meritava. Abbiamo discusso, e alla fine io ho detto che lei mi sembrava il più adatto per essere il nuovo capo-squadra." "Grazie, signor direttore." "Il modo migliore di ringraziarmi... è tirare su il capo e cominciare ad avere stima per se stesso, Cabrini. Oltre a svolgere bene il suo lavoro, s'intende." Mi fa tenerezza quel ragazzo. Spero che riesca a drizzare di nuovo la sua spina dorsale. Certo che i genitori, a volte, sono i primi... nemici dei loro figli. Uscito dal lavoro, quando ho rivisto Paolo, gli ho chiesto che rapporto avesse con sua madre. "Ottimo... perché?" "Sa che sei omosessuale?" "No... forse lo immagina, visto che non parlo mai di ragazze. Magari prima o poi glielo dirò, ma non mi sento ancora pronto." "Quanti anni avevi, quando è morto tuo padre?" "Cinque... Non me lo ricordo quasi, se non fosse per le foto o per quello che mi racconta mamma. È cascato da un'impalcatura, faceva il muratore, è morto sul colpo. Mamma era incinta di due mesi ma, per il dolore, ha perso il piccino. Lei era casalinga, non aveva un mestiere. Allora ha trovato quel posto nell'impresa di pulizie. È in gamba, ora è capo-squadra. Certo che ha tirato cinghia per anni, per permettermi di studiare. E io lo capivo, anche quand'ero piccolo, perciò ho sempre studiato come un matto... per ripagarla dei suoi sacrifici. Spero di trovare un buon lavoro, per farla smettere di lavorare, perché si riposi un po'. La vita... l'ha consumata. Era una bella donna, sai? Beh... lo è ancora, ma la vita l'ha consumata." "Tua madre amava molto tuo padre..." "Si amavano molto tutti e due. Avevano una vita modesta, ma felice. È una donna molto forte, mia madre, di carattere, ma anche molto dolce. Io sono quasi sicuro che se le dico di me... mi vorrà bene come prima. Però non so se ne avrebbe un dolore, per questo non le ho ancora detto niente. Non vorrei darle un altro dolore, capisci?" L'ho abbracciato, forse per la prima volta, con affetto e tenerezza e senza nessun sottointeso sessuale. Lui l'ha sentito e mi ha sorriso con tale dolcezza che mi ha commosso. Paolo, che ha imparato dove tengo le cose, ha apparecchiato la tavola. Abbiamo cenato e come al solito lui ha gustato tutto quello che avevo preparato. Abbiamo rigovernato, siamo andati a guardare un po' la televisione e finalmente siamo andati a letto. "Domani all'una e mezzo, trovati qui sotto casa. Andiamo a mangiare in trattoria poi partiamo per Asti." gli ho detto carezzando teneramente il suo bel corpo nudo. "Chissà perché uno nasce che gli piacciono i maschi?" mi ha chiesto a un certo punto, dopo avermi baciato. "Ti dispiace?" "No, proprio per niente. Specialmente quando posso stare con uno che mi piace come te." "Cosa ti piace, di me?" "Sei un uomo... completo. Poi sei anche bello." ha detto, e ha aggiunto con un sorrisetto: "Poi... scopi anche bene." Ho apprezzato l'ordine in cui aveva elencato le sue ragioni. Paolo mi piaceva sempre più. Eppure non voglio legarmi a lui... non voglio più legarmi a nessuno, dopo l'ultima, cocente delusione. Dopo un po' che ci stavamo dando piacere a vicenda, gli ho infilato il preservativo sul bel membro duro e liscio come pregiata seta, e mi sono offerto a lui. Mi ha baciato, carezzato per tutto il corpo, poi si è spinto lentamente in me, guardandomi negli occhi e sorridendomi compiaciuto, con grande dolcezza. Nei suoi occhi grigio-verde, pareva che brillassero le stelle. Percepivo la sua virilità discendere in me, riempirmi, e provavo un crescente piacere. Quando mi era completamente dentro, ha iniziato a muoversi avanti e dietro con calibrata energia, e il suo sorriso si è accentuato, in risposta al mio. Gli carezzavo le forti braccia puntate sul materasso, i fianchi snelli, l'ampio petto, il ventre incavato, lo forti cosce... sentivo i suoi muscoli guizzare sotto i miei polpastrelli a ogni spinta. Quando mi sono reso conto che la sua eccitazione si stava intensificando in modo esponenziale, prima che non fosse più in grado di trattenersi, l'ho fatto fermare. "Non venire ancora, Paolo... Mi piace troppo come mi stai prendendo... voglio goderti in me più a lungo." Ha annuito, si è steso su di me e mi ha baciato, tenendomi il volto fra le mani. Poi ha staccato le sue labbra dalle mie quel tanto che gli permetteva di parlare. "Mi piaci troppo, Dario!" ha mormorato. "Anche tu, Paolo. Mi fai sentire di nuovo un giovanotto. Non mi stancherei mai di fare l'amore con te." Mi ha carezzato le gote poi, mettendosi in posizione, ha iniziato di nuovo a muoversi vigorosamente dentro di me, riportandomi subito in paradiso. L'ho fatto fermare altre due o tre volte, finché non gli è stato più possibile trattenersi. Si è lanciato allora in un veloce galoppo, che è culminato in una serie di forti getti, sottolineati da un lungo mugolio, mentre rovesciava indietro il capo e si tendeva tutto. Ho atteso che si calmasse un poco, poi Paolo mi ha infilato il preservativo e ci siamo scambiati le posizioni. La pendola all'ingresso stava suonando la mezzanotte quando a mia volta ho raggiunto l'orgasmo nel tenero ragazzo, quasi che ogni tocco sottolineasse le mie ultime spinte in lui. Sorridendogli, mentre mi rilassavo, gli ho detto: "Appena in tempo..." "Per cosa?" mi ha chiesto incuriosito. "Dopo la mezzanotte, un po' come Cenerentola, io cesso di essere un giovanottello e torno ad essere un vecchietto." "Sciocco. A me non piacciono i vecchietti! Tu invece mi piaci un sacco... anche dopo la mezzanotte. Una volta, forse, un cinquantenne poteva essere un uomo anziano, non più oggi. Non hai né un corpo né una mentalità da anziano, tu." "Ma ti rendi conto che ho più del doppio della tua età, Paolo?" "No, non me ne rendo proprio conto. Proprio per niente. Se io non sono troppo giovane per te, tu non sei troppo vecchio per me. È una cosa matematica, no?" "Ma ci sono pure i vecchietti che insidiano i ragazzini..." gli ho detto per stuzzicarlo. "In quel caso il ragazzino è troppo giovane e l'uomo troppo vecchio. Non è di sicuro il nostro caso. Non riesco proprio a capire perché tu insisti a dire che sei vecchio, nonostante io non ti trovo vecchio per nulla." Ho pensato che Paolo aveva usato con me quasi le stesse parole, e lo stesso tono che nel pomeriggio avevo usato con Cabrini...
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