QUIETE SERE D'AUTUNNO | CAPITOLO 4 MERCOLEDÌ 13 NOVEMBRE, MATTINA |
Paolo, questa mattina, dopo aver fatto doccia e colazione con me, e dopo avermi ringraziato, è andato via, non prima però di esserci dati appuntamento per questa sera. Era stato lui, mentre preparavo la colazione per tutti e due, a chiedermi se ci poteva rivedere. Ho accettato subito. Mi era piaciuto molto come faceva l'amore, ero perciò contento di rivederlo e fare il bis. Sono andato in ufficio sentendomi più allegro del solito. Nella se n'è accorta subito. "Buongiorno, ingegnere. La trovo bene, stamattina." ha osservato. "Sì, Nella, mi sento pienamente in forma come non mi capitava da molto tempo." "Non si dimentichi della riunione che ha alle nove nella palazzina centrale. La Rinaldi, la segretaria del Presidente ha appena chiamato per raccomandarsi che porti la relazione del terzo trimestre. È tutto pronto sul suo tavolo." "Ma si può immaginare se mi dimentico di una simile cosa!" "Quello che ho detto io alla Rinaldi, ingegnere. Ma sa quant'è... pistina, quella donna." "Sì... proprio come il Presidente. Ognuno ha la segretaria che si merita. Io, per fortuna ho lei!" Nella ha sorriso, lievemente imbarazzata, ma con il suo solito senso dell'umorismo, mi ha chiesto: "Devo prenderlo come un complimento o come un rimprovero, ingegnere?" "Faccia lei, Nella. Sappia solo che ho un'alta stima di me stesso, e di conseguenza... anche di lei. D'altronde non per nulla l'ho voluta sempre con me, fin dal 1971." "Era esattamente il due aprile del 1971, quando mi hanno assegnato a lei, ingegnere." "Ah, non il primo d'aprile?" le ho chiesto, per stuzzicarla. "No, ingegner Farini... altrimenti l'avrei preso per un pesce d'aprile!" mi ha subito risposto con un'espressione di lieve presa in giro. Indubbiamente mi piaceva molto la signora Nella Franceschini! Preso il faldone con i rendiconti, sono andato alla palazzina centrale. Non m'ero messo il soprabito e nel breve tratto che separava la palazzina del mio dipartimento da quello dei "grandi capi" sono rabbrividito un poco. Ero uno dei primi ad essere arrivato. C'erano solo quell'antipatico di Carlucci, il direttore del dipartimento marketing, il dottor D'Alessio, il capo del personale, e la dottoressa Bergonzi, la sovrintendente alla logistica aziendale. A poco a poco, attorno al grande tavolo della sala riunioni della presidenza, sono arrivarti anche gli altri. Infine ha fatto il suo ingresso il presidente, seguito dalla signora Rinaldi, che ha preso posto alle sue spalle, un po' a sinistra, come al solito. La riunione ebbe inizio. Ognuno di noi ha presentato la propria relazione, illustrandola e rispondendo alle domande degli altri. Le cose per la Sriplet stavano andando abbastanza bene, nonostante il nostro beneamato presidente trovasse da ridire o puntualizzare su quasi tutto. Ma essendo l'unico non laureato fra di noi, credo che avesse un complesso di inferiorità e che perciò si comportasse così: per farci vedere che aveva tutto in pugno, e che ognuno di noi era poco più di "niente", senza di lui. Carlucci, che faceva di tutto per essere nelle maniche del Presidente, era il secondo a trovare qualcosa da criticare nell'operato di tutti noi. Non riuscendo a trovare nulla da ridire sulla mia relazione, alla fine ha commentato: "Non vedo però, nella sua relazione, ingegner Farini, niente che riguardi l'ingente finanziamento che ha chiesto e ottenuto." Con aria serafica, gli ho risposto: "Non mi sembrava necessario, dato che tutto era esaurientemente spiegato nella relazione speciale che due mesi fa ho inviato anche a lei in copia. Non ha avuto il tempo di esaminarla?" "Certo che l'ho esaminata, dato che sono una delle persone che ha dovuto esprimere un parere sull'assegnazione di quei fondi al suo Dipartimento!" mi ha risposto in tono acido. Comunque, dopo le solite discussioni, proposte e bla-bla d'obbligo, finalmente la riunione è stata disciolta. Il Presidente, prima che uscissi, mi ha fatto un breve cenno, convocandomi così nel suo ufficio. Voleva solo farmi sapere che dovevo a lui l'assegnazione dei fondi... voleva la mia gratitudine... e gliel'ho espressa. Poi mi ha ricordato, caso mai ne avessi avuto bisogno, della commessa della Marina Militare, di cui andava, probabilmente a buon diritto, tanto fiero. Finalmente sono potuto tornare nel mio Dipartimento. Uffa! Ero appena entrato nel mio ufficio quando Nella mi ha chiesto tramite l'interfonico se potevo ricevere l'ingegner Marco Stefani. Le ho detto di farlo entrare. "Direttore, ho esaminato questa mattina i tre ragazzi che l'ufficio personale ci ha mandato per prendere il posto di Baretti. Due ragazzi e una ragazza. Ho qui i loro curricula, e con ognuno le mie notazioni. Se volesse controllare e dirmi la sua decisione..." "No, ingegner Stefani, ho affidato tutto a lei perché ho piena fiducia nella sua capacità di decisione. C'è forse qualche problema?" "No, direi proprio di no. Uno dei due ragazzi, nonostante lavori da tre anni nel campo dell'elettronica... pare più un operaio specializzato che un tecnico. Non ha una solida preparazione di base. L'altro ragazzo e la ragazza non hanno ancora esperienza di lavoro nel nostro campo, comunque sul piano tecnico sono praticamente allo stesso livello, molto buono devo dire; però il ragazzo mi è sembrato più motivato, e soprattutto più valido su un piano umano." "Quindi, lei sceglierebbe quest'ultimo? Che cosa intende per maggiore validità sul piano umano?" "La ragazza mi ha dato un'impressione spiacevole perché cercava soprattutto di... compiacermi. Mi ha fatto pensare ad una... arrivista. Il ragazzo invece, cercava soprattutto di capire che cosa ci si aspetta da lui e di valutare se si sentiva in grado di garantirlo. Se mi permette una valutazione meno formale... la ragazza pareva disposta a vendere la madre pur di avere questo lavoro, il ragazzo invece voleva capire se si reputava adatto a questo lavoro e se gli sarebbe piaciuto lavorare con noi." "Forse la ragazza aveva più bisogno di un posto di lavoro che non il ragazzo." gli ho fatto notare. "Non credo, ho anche sondato questo aspetto. La ragazza è di famiglia più che benestante, i suoi hanno grosso negozio di elettrodomestici e lei vi lavora con un regolare e buono stipendio. Credo che volesse solo liberarsi dal rapporto con la famiglia." "Cosa più che legittima." "Sì, certo. Ma non era veramente interessata al lavoro che avrebbe dovuto svolgere qui da noi, a differenza del ragazzo. A lei interessava solo un 'qualunque' lavoro. Al ragazzo interessava il nostro lavoro. Sul piano tecnico sono alla pari, ma sul piano umano, sono convinto che il ragazzo sarebbe un acquisto di gran lunga migliore, per noi." "Come le ho detto, mi fido pienamente del suo giudizio, Stefani. Mi faccia mettere il nulla-osta, poi chieda alla signora Franceschini di mandare le carte all'ufficio personale perché assumano il ragazzo. Come si chiama? Non mi ha ancora detto il nome dei candidati." "Il ragazzo che avrei scelto si chiama Giovanni Renzi. Si è diplomato con cinquantanove sessantesimi, ha venti anni e per ora lavora come manovale. La ragazza è Adele Novaro, ha ventuno anni, si è diplomata con sessanta sessantesimi e fa la commessa. Quello che comunque ho scartato è..." "Non importa. Grazie." Per un attimo mi sono chiesto se Stefani, essendo gay come me, non si fosse lasciato influenzare nella scelta dal fatto che uno fosse un ragazzo e l'altra una ragazza. Poi mi sono detto che non era il tipo di fare queste valutazioni, neanche inconsciamente. Sono tornato a pranzo nella trattoria "Al marcheggiano" che avevo provato il giorno prima: questa volta il mio capo-officina e l'operaio non c'erano. Prima di tornare in ufficio, ho fatto una passeggiata. Non so perché, ma mi è tornato in mente il periodo immediatamente successivo al mio servizio militare.
Mio fratello Francesco aveva lasciato l'aviazione militare, e era stato assunto come aiuto pilota all'Alitalia. Aveva comprato un mini appartamento non lontano dalla stazione centrale. Mi offrì di andare a vivere con lui, e dormire nella poltrona-letto che aveva in soggiorno: almeno gli avrei tenuta la casa aperta quando era altrove per lavoro. Accettai volentieri, anche perché iscrivendomi all'università avrei avuto pochi soldi. Inoltre con Francesco, che ha cinque anni più di me, ero sempre stato meglio che con gli altri fratelli. Francesco aveva la 'morosa', Marisa Mazzei, una ragazza di venti anni come me, non veramente bella ma simpatica, che a volte passava la notte in camera con mio fratello. Marisa lavorava come impiegata nella sede locale dell'Alitalia e si erano conosciuti così. Quanto a me... dopo aver lasciato l'esercito e quel mandrillo del mio tenente, mi mancava il sesso. Scoprii che nel cinema davanti al dopolavoro ferroviario si potevano, a volte, fare interessanti incontri, ma non potevo portarmeli a casa, anche perché, se pure mio fratello era spesso assente, tornava a casa nelle più imprevedibili ore e non mi andava che mi trovasse a letto con un ragazzo: non sapeva che io ero "dell'altra sponda" come si diceva allora. Quindi, anche se di rado, potevo concedermi qualche avventura solo se l'altro aveva un posto: non mi andava di consumare nei cessi del cinema, e meno ancora fra le poltrone, come più d'uno faceva. Però, poiché mi sentivo attratto solo da ragazzi giovani, questi raramente avevano un posto dove andare. Ricordo che frequentavo il politecnico da circa cinque, sei mesi, quando in quel cinema incontrai un bel ragazzo di un anno più vecchio di me, che mi agganciò... mi disse che era solo in casa, così lo seguii. Aveva la moto, mi portò da lui. Abitava in un bell'alloggio nella zona della vecchia periferia del secolo scorso. Mi disse che suo padre era preside di liceo e la madre professoressa di fisica e chimica nello stessa scuola. Lui era il minore di tre figli, aveva due sorelle maggiori già sposate e faceva l'università. Si chiamava Antonino, non Antonio, non era un diminutivo, mi spiegò. Mi portò subito sul suo letto, non so chi di noi due avesse più voglia! Dopo pochi ma piacevoli preliminari, e dopo essercelo succhiato per un po', mi chiese di metterglielo. L'unica mia esperienza era stata prenderlo, perciò lo feci volentieri... scoprii così che mi piaceva molto di più il cosiddetto ruolo "attivo". Gli detti dentro con vero entusiasmo e più vigorosamente lo facevo più Antonino guaiva felice. La testiera del suo lettino batteva a ritmo contro la parete ad ogni mia spinta. Quando infine raggiunsi un forte e bell'orgasmo nel suo caldo canale, anche lui venne e i nostri mugolii erano una incredibile sinfonia... o forse cacofonia. Ci rivedemmo alcune volte, sempre da lui, ma poi ci si perse di vista. Ebbi altre avventure, anche con un estroso giovane attore del Teatro Stabile, che mentre lo prendevo declamava brani di commedie! Ora è un attore affermato. Mi chiedo se continua ancora a recitare mentre si fa fottere. Poi, dopo circa un anno da che vivevo con lui, Francesco si sposò con la sua Marisa, presero un alloggio migliore e mio fratello mi lasciò continuare a vivere in quell'alloggetto. Così abbandonai la poltrona letto e mi installai nel letto da una piazza e mezza che era stato di Francesco. Ora avevo molta più libertà, perciò potei anche iniziare a portarmi a casa qualcuna delle mie conquiste. Avevo ventuno anni, quando conobbi Leopoldo. In realtà si chiamava Leopold Krueger, e io lo chiamavo Leo. Fu forse l'unico ragazzo che agganciai in un cesso... o per meglio dire, fu lui che agganciò me. Me lo toccò, mi chiese se mi piaceva farmelo succhiare. Gli chiesi se lo faceva per soldi e sembrò quasi offeso. Gli chiesi se veniva a casa mia e accettò. Per via mi disse che a lui piaceva sia metterlo che prenderlo, e gli dissi che mi andava bene. Volle spogliarmi lui, e lo denudai a mia volta. Aveva un corpo non più efebico ma non ancora pienamente virile, comunque bello. Mi disse che avrebbe compiuto diciotto anni due mesi dopo. Dopo un po' di gradevoli preliminari, si stese sul ventre e mi chiese di metterglielo. Calai su di lui e lo penetrai alla prima spinta, liscio come l'olio. Gli feci girare il capo e lo baciai, mentre cominciavo a pompargli dentro e lui mi suggeva la lingua mugolando felice. Poi lui mi fece mettere a quattro zampe e mi prese a sua volta: ci sapeva fare, me lo fece gustare a lungo, portandomi gradualmente a una nuova forte erezione e a un secondo, gradevolissimo orgasmo. Restammo nudi sul letto, per riposarci un poco. Mi raccontò di sé. Suo padre era in galera perché aveva partecipato ad alcuni attentati contro i tralicci dell'alta tensione, poiché faceva parte del gruppo irredentista del Sud-Tirolo. Lui non vi aveva mai voluto prendere parte: aveva ottimi amici fra i compagni dell'etnia italiana e si sentiva italiano. Così era fuggito di casa con la complicità della madre, poco prima che arrestassero il padre, e ora lavorava come lattoniere con un fratello della madre da cui anche abitava. Mi disse che aveva avuto i suoi primi rapporti sessuali completi con alcuni compagni della squadra di calcio della parrocchia, quando aveva quattordici anni. Era stato il capitano, un bel ragazzo italiano di diciassette anni che l'aveva introdotto a quei "giochi" e quando aveva visto che Leo vi partecipava volentieri e senza remore, l'aveva introdotto al loro "gruppo segreto", composto di altri quattro ragazzi tutti fra i suoi quattordici anni e i diciassette del capitano. Mi raccontò che, benché spesso lo facessero tutti assieme, raramente era un'orgia, e preferivano farlo a coppie, anche se ogni volta con un diverso compagno e nella stessa stanza con le altre coppie. Disse che era eccitante fare sesso mentre altre due coppie lo facevano a pochi centimetri di distanza. Aveva sedici anni quando era andato via da casa. In quell'anno prima di incontrare me, aveva avuto diverse avventure, ogni volta con un diverso ragazzo che aveva sempre agganciato ai cessi come aveva fatto con me. Pochi gli dicevano di no e solo uno l'aveva insultato e gli aveva dato un pugno... la maggioranza ci stava volentieri. Leo e io ci piacemmo a vicenda, così ci scambiammo il numero di telefono e prendemmo a frequentarci abbastanza assiduamente. Leo era sempre pronto ad accettare i miei inviti a venire da me, e anzi spesso era lui a telefonarmi per chiedermi se poteva venire. Così, per circa due anni, Leo divenne il mio ragazzo fisso, anche se sapevo che a volte, specialmente quando io non ero in città, aveva ancora qualche avventura. Avevo ventitré anni e lui diciannove, quando mi disse che doveva smettere di incontrarsi con me. Aveva conosciuto un ragazzo di ventisei anni (il figlio di un grosso industriale, uno pieno di soldi, da cui era andato con lo zio per rifare gli impianti idraulici) che lo voleva come ragazzo e che lo aveva fatto assumere dal padre come cameriere nella loro villa. Il padre del suo nuovo compagno sapeva bene perché il figlio volesse Leo in casa... e aveva accettato senza battere ciglio. Preferiva che il figlio avesse il suo ragazzo in casa, piuttosto che andasse a cercarselo in luoghi pubblici. Così, persa la più che piacevole compagnia di Leo, io mi gettai di nuovo a cercare avventure, anche perché avevo scoperto che si poteva battere in certi parchi della città, cosa che mi piaceva molto più che non cercare un compagno in quel cinema o, peggio ancora, in uno squallido cesso. Leo era stata l'unica eccezione.
Nel pomeriggio, in ufficio, a un certo punto Nella mi ha chiesto se potevo ricevere Turati, il capo-officina. Io non pensavo neanche più al nostro incontro in trattoria. L'ho fatto entrare. Aveva un'aria imbarazzata, e ho pensato che forse c'era qualche grana in officina. "Si accomodi, Turati. Mi dica... Qualche problema in officina?" "No, ingegnere, è una questione... privata. Vede, ingegnere... io... l'altra sera quando mi ha visto con Pino... con Giuseppe Cabrini... Volevo solo spiegarle..." "Ah, per questo voleva vedermi? Le ho detto che la sua vita privata e quella di Cabrini, fin tanto che svolgete bene il compito per cui siete stati assunti..." "Sì, certo, e la ringrazio. Lei certamente ha capito che cosa c'è fra me e quel ragazzo." "E, appunto, non mi riguarda. Siete entrambi maggiorenni, dopo tutto. Oltretutto lei non è neanche sposato, perciò..." "Il fatto è che... Cabrini e io... siamo... una coppia da tre anni e... ci piacerebbe abitare assieme, però temiamo che... vedendo che lui viene ad abitare da me... sa com'è qui nel Dipartimento, ci si conosce tutti... e gli altri potrebbero venire a sapere, immaginare, capire e... non tutti sono comprensivi come lei, direttore." "Sì... posso capirla, ma... non vedo che cosa ci posso fare, io. Posso solo garantirle che la mia segretaria sarebbe riservata almeno quanto me. Però, certo, non è detto che non si venga a sapere. Ma se non date motivo qui al lavoro a chiacchiere, il fatto che abitiate assieme..." "Lei... ha più esperienza di noi e forse potrebbe suggerirmi un modo per... per evitare... per fare in modo che può sembrare logico che Pino, che Cabrini, viene ad abitare con me... Mi scusi se mi permetto... ma lei è sempre stato così gentile con tutti e anche con noi due..." "Dove abita, ora, Cabrini? In famiglia?" "No, i suoi sono in Abruzzo. Lui ha una stanzetta in una pensione, poco lontano da qui." "E lei, Turati, dove vive?" "Nella casa dei miei, che me l'hanno lasciata quando papà è andato in pensione e sono tornati al paese." "Presumo, perciò, che il suo appartamento abbia almeno due camere da letto." "Sì, due, è esatto..." "Bene. Lei sparga la voce qui al Dipartimento, che cerca qualcuno a cui affittare una stanza... e se anche ricevesse più di una richiesta, può sempre dire che Cabrini gliel'ha chiesto prima... e così dire che l'affitta a lui. Inoltre Cabrini potrebbe realmente tenere le sue cose nella stanza... in modo che se qualche compagno di lavoro vi venisse a trovare... Mi capisce, no? È piuttosto semplice, non crede?" Turati si è illuminato: "Come ho fatto a non pensarci! Ha ragione, direttore. Faremo così... Magari, se lei permette, potrei mettere un foglietto nella bacheca degli avvisi, per rendere più... credibile la cosa, e così... La ringrazio, la ringrazio davvero molto." "Una sola cosa, Turati: qui al lavoro, lei resta il capo di Cabrini e deve trattarlo esattamente come gli altri, non fare nulla che possa sembrare una parzialità... Capisce che questo è molto importante." "Oh, non dubiti. Cabrini lavora bene, e sodo, e mica lo dico solo perché... È veramente uno dei migliori operai, glielo garantisco." "Bene, mi fido del suo giudizio. Auguri, Turati, auguri... a tutti e due." gli ho detto, congedandolo. Sarò romantico, ma il Turati m'aveva fatto tenerezza. Ma al tempo stesso non mi era sembrato opportuno dirgli che la mia "comprensione" viene dal fatto che sono gay come lui.
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