QUIETE SERE D'AUTUNNO | CAPITOLO 3 MARTEDÌ 12 NOVEMBRE, SERA |
Uscito dall'ufficio, a fine giornata, ho deciso di andare a cenare in una trattoria che aveva aperto da poco e di cui avevo sentito parlare bene. Era fra la Sriplet e casa mia, fra la ferrovia e il parco del palazzetto dello sport. Non avevo voglia di andare a casa e farmi da mangiare. Inoltre dopo aver cenato, quando sarebbe stato abbastanza buio, potevo fare una passeggiata fino al parco, dove sapevo che si batteva, per vedere se mi trovavo qualche buon bocconcino da portarmi a letto. A differenza che nel lungo-fiume dove prima delle undici, mezzanotte, era difficile trovare compagnia, avevo scoperto che lì già verso le nove, le dieci c'era movimento. Inoltre lì non c'erano ancora marchette. Qualche volta me n'ero anche pagata una, ma raramente alla fine ero veramente soddisfatto. Preferivo chi veniva con me per me e non per i miei soldi. Ho mangiato bene, il prezzo e il servizio erano buoni. A un certo punto ho visto che ad un altro tavolo c'erano Turati, il capo-officina, con un operaio di venticinque anni, Cabrini, abbastanza caruccio, e il loro atteggiamento era, almeno per me, inequivocabile. Non m'avevano visto entrare, li avevo perciò osservati a mio agio e... se quei due non stavano flirtando, io ero un marziano! Quando Turati ha pagato per tutti e due e si sono alzati, passando davanti al mio tavolo, mi hanno visto. Turati era imbarazzato, Cabrini è arrossito... confermando i miei sospetti. "Ingegnere... anche lei qui?" mi ha detto il capo-officina guardandomi con espressione incerta. "Sì, si mangia bene." ho risposto con aria indifferente. Erano già abbastanza imbarazzati tutti e due. Perciò ho aggiunto: "Non vi avevo visti, quando sono entrato." "Beh..." ha detto il Turati visibilmente sollevato per la mia ultima frase, "Buona notte, ingegnere... a domani." "A domani, Turati. Arrivederci, Cabrini. Mi fa piacere che il mio personale... fraternizzi. Divertitevi." ho detto allora, tanto per lanciare una frecciatina, ma con aria assolutamente "normale". Il ragazzo è arrossito di nuovo dandomi così una ulteriore conferma che ci avevo visto giusto. Turati però aveva capito, perciò, esitante, mi ha detto: "Ingegnere... io... noi..." "Tutto bene, Turati, non ha niente di cui preoccuparsi. A me interessa solo che voi due continuiate a lavorare bene come avete sempre fatto. La vostra vita privata non riguarda né me né altri in ditta, siete entrambi maggiorenni." "Grazie... ingegnere. Buona notte." ha detto allora Turati e i due piccioncini sono usciti. Ho pensato che Cabrini me lo sarei portato volentieri a letto anche io, se non fosse stato un mio operaio. Finito di cenare, ho fatto i complimenti alla proprietaria assicurandole che di tanto in tanto sarei tornato a mangiare lì, ho pagato, lasciato una mancia per la cameriera, probabilmente la figlia, e sono uscito. Lasciata l'automobile dove l'avevo parcheggiata, mi sono avviato a piedi verso il parco. Erano soltanto le nove. Camminando lentamente, vi sono arrivato in una decina di minuti. L'ho girato tutto, passando soprattutto nelle zone meno illuminate, logicamente. Il parco era ancora deserto. Era la terza volta che lo giravo, quando ho cominciato a vedere altri "passeggiatori" serali. Ci si incrociava, ci si lanciava un'occhiata soppesandoci, valutandoci, ma non ce n'era ancora nessuno che mi interessasse. Ho guardato l'orologio: s'erano fatte le dieci. Ho deciso di sedere su una panchina accanto a un lampione, per essere lasciato in pace, a metà strada fra le due entrate del parco per vedere chi altri arrivava. Verso le dieci e venti, ho visto entrare un ragazzo alto e snello, dalla silhouette attraente e dall'andatura atletica. S'è inoltrato nel parco dalla parte opposta alla mia. Mi sono chiesto se alzarmi e seguirlo per vederlo più a vicino e valutare se poteva interessarmi... ma non l'ho fatto. Dopo una decina di minuti ho visto una figura venire verso di me e ho riconosciuto il ragazzo che era entrato poco prima. Mi è passato davanti e mi ha lanciato una lunga occhiata ma è andato oltre. Ho pensato che non dovevo essere il suo tipo, non aveva lanciato il minimo segnale. A meno che fosse semplicemente un tipo timido. Era molto avvenente, attraente, aveva una bella faccia da bravo ragazzo, pulito. Di nuovo mi sono chiesto se alzarmi e seguirlo, e stavo per farlo, quando il ragazzo si è fermato, girato, ed è tornato verso di me. Quando è giunto accanto alla panchina dove ero seduto, si è fermato: "Buonasera... posso sedermi qui con lei?" Cazzo, sì! ho pensato, ma ho detto, molto più correttamente: "Prego." Si è seduto a una buona spanna da me: "Bella serata, per essere quasi a metà novembre, vero?" "Sì, gradevole." gli ho risposto con un sorriso. Ora potevo osservarlo meglio: aveva capelli castano scuro, mossi, non lunghi, né pettinati né spettinati. Le sopracciglia erano dritte, ben separate, di un castano più chiaro dei capelli. Gli occhi di un verde-grigio molto chiaro. Naso leggermente grosso, ma non brutto, labbra morbide, ben disegnate, lievemente curve in su, un volto trapezioidale che gli dava al tempo stesso un'aria dolce e virile. "Lei... sta aspettando qualcuno?" mi ha chiesto. Stava evidentemente cercando di agganciarmi e la cosa, piuttosto inconsueta alla mia età da parte di un ragazzo così giovane, mi ha fatto piacere. "Non più." ho risposto, sperando che cogliesse il sottointeso. "Non l'ho mai vista, qui." "Neanche io, o mi ricorderei certamente di te." "Grazie." "Ti spiace se di do del tu?" "No, affatto, anzi..." Avrei voluto dirgli: "vieni con me?" ma ho preferito aspettare che fosse lui a fare eventualmente la proposta. Mi incuriosiva vedere come avrebbe fatto. "Vieni spesso qui, tu?" gli ho chiesto. "Abbastanza. Ma è raro trovare qualcuno che..." ha iniziato a dire e ha distolto lo sguardo. "Che?" l'ho incoraggiato. "Con cui avere una piacevole... conversazione." ha concluso e mi ha guardato di nuovo. "Ah, una conversazione." ho commentato a bassa voce. "Per... cominciare a conoscersi." "Già." ho detto e mi sono chiesto se così non lo stessi scoraggiando. "Io mi chiamo Paolo..." "Piacere. Dario. Quanti anni hai?" "Venti. Sono... troppo giovane?" mi ha chiesto esitando. "Al contrario. Una bella età... anche se te ne davo due o tre di più." "Lei... posso cercare di indovinare?" Ho sorriso: "Provaci." "Quarantacinque... poco più?" "Dieci di più. Sono... troppo vecchio?" gli ho chiesto nel suo stesso tono, con un sorriso. "No, affatto. Li porta molto bene." "Potrei essere tuo padre." "No... cioè, sì, come età. Ma non... non cerco un padre, io. Piuttosto un amico." "Non sarebbe più logico, come amico, uno della tua età?" "Per giocare a calcio, forse. Ma per qualcosa di più serio... preferisco uno come lei." ha affermato guardandomi nuovamente dritto negli occhi. "Lei ha detto che non sono troppo giovane per lei... posso sperare... che mi permetta di conoscerla meglio?" "Perché non cominci con il darmi del tu, allora?" "È un... sì?" "Mi piaci molto, Paolo. Anche io avrei piacere di conoscerti meglio. Ti va di andare altrove, assieme? In un bar, tanto per cominciare, dove posso offrirti qualcosa?" "Tanto per cominciare, sì. Qui vicino c'è il bar Tukano, che non chiude fino a mezzanotte. C'è già stato?" "No, ma se lo conosci tu, per me va bene. Hai tempo, stasera?" "Sono in libera uscita." ha detto mentre ci alzavamo e ci si avviava. "Libera uscita? Sei militare?" gli ho chiesto un po' stupito. "No, un modo di dire. Figlio unico di madre vedova, niente militare. Ma mia madre è al paese, dai parenti, per tutta la settimana e comunque non mi controlla più l'ora di ritirata, da un paio di anni." Siamo entrati nel bar. Ha voluto offrire lui e l'ho lasciato fare. Ci siamo seduti ad un tavolinetto. "Che fai, studi o lavori?" gli ho chiesto. "No. Lavoro in un'agenzia di pulizie con mia madre, ma sto cercando un lavoro migliore. Ho mandato il mio curriculum a diverse ditte e una ha risposto. Domani ho un colloquio di lavoro... spero che mi assumano, anche se non ho ancora esperienza. Ma si deve pur cominciare, no? Spero proprio che mi assumano, mi piacerebbe lavorare là." "Certo. A venti anni non si può pretendere che tu abbia già esperienza di lavoro. Ti auguro di avere fortuna." "Non ho voglia di pensarci... fino a domani. Dovrò farmi bello, per il colloquio di lavoro, vestirmi in modo più classico." "Bello lo sei già... e anche vestito così, non faresti affatto brutta figura." gli ho detto. "Io... ti assumerei subito!" Ha sorriso: "Prima dovrebbe esaminarmi, no?" "Non avevamo concordato di darci del tu?" "Sì, scusa. Comunque... non ti andrebbe di... esaminarmi?" "Certo che mi piacerebbe farti un esame... a fondo. Non vedo l'ora di scoprire i tuoi talenti nascosti." "Per me... sono pronto. Quando vuoi." "Ma non mi hai ancora dato il tuo curriculum." ho scherzato, "Quali sono le tue... specialità?" "Sono molto... versatile." ha risposto con un sorriso ammiccante, dolce, delizioso. "Bene. Andiamo allora. Voglio verificare se quanto promette il tuo curriculum corrisponde a verità." L'ho portato a casa mia. Eravamo ancora nell'ingresso, c'eravamo tolti io il soprabito e lui il giacchetto, allora mi ha preso fra le braccia, mi si è spinto contro e mi ha baciato. Baciava molto bene e ho sentito con piacere che era già eccitato. "Sai baciare proprio bene e non fumi. Due punti a tuo vantaggio." mi ha detto. "Ma non ero io che dovevo esaminare te?" "L'esame è reciproco, quando si vuole essere assunti, no?" "Non hai affatto torto, Paolo. Sai che sei proprio bello?" "Non hai ancora visto... il resto." "E che aspetti a farmelo vedere?" "Qui?" "No, hai ragione... vieni." L'ho condotto in camera da letto. Paolo ha iniziato subito ad aprirmi gli abiti e ci siamo spogliati l'un l'altro. Alternando carezze e baci, ci siamo tolti tutto di dosso. Quando eravamo nudi, mi ha detto: "Hai un bel corpo, Dario, proprio bello!" "Mai quanto il tuo." gli ho risposto sospingendolo sul letto e salendovi con lui. "Non hai fretta, vero?" gli ho chiesto. "Anche tutta la notte, se vuoi... ma domattina devo tornare a casa presto, per prepararmi per quel colloquio di lavoro." "Io di solito mi alzo alle sei e mezza, per andare in ufficio, in modo di avere il tempo di fare una doccia e colazione in tutta tranquillità." "Ottimo, anche per me. Sempre che ti piaccia come faccio l'amore e che dopo mi lasci dormire qui con te." "Sta a te meritartelo." gli ho detto con un sorriso allettante. "Farò del mio meglio." E l'ha fatto davvero. Mi piaceva molto Paolo, perché anche lui prendeva l'iniziativa ed era dolce e virile al tempo stesso. Mi piaceva per i preliminari a cui si era dedicato senza fretta. In modo spontaneo, senza bisogno di dire nulla, a un certo punto ci siamo trovati allacciati, stesi su un fianco, uniti nel perfetto cerchio di un gradevolissimo sessantanove. Ci sapeva fare, sono pochi quelli che lo sanno succhiare nel modo giusto... che poi non è succhiare... Già, chissà perché si dice sempre succhiare? Poi, prima di giungere al punto senza ritorno, ci siamo girati e abbracciati, ci siamo baciati giocando con le nostre labbra, le nostre lingue, carezzandoci ed esplorando i nostri corpi con le mani, con i nostri stessi corpi. Paolo ha visto i preservativi sul mio comodino, ne ha preso uno e me l'ha infilato, mi ha fatto stendere sopra di lui, mi ha cinto la vita con le forti gambe e mi si è offerto. Finalmente l'ho preso... Mentre scivolavo in lui mi sorrideva, mostrandomi di gradire il modo in cui lo stavo penetrando. Senza volermi vantare, so di saperci fare, eppure pochi sono capaci, specialmente fra i ragazzi più giovani, di farti sentire che non sei solo un "toro da monta", ma uno che sa dare il piacere mentre lo prende. Paolo era uno di questi pochi, mi stavo rendendo conto con un senso di apprezzamento. Mi sono mosso in lui in modo che mantenesse sul suo bel volto il sorriso seducente con cui mi stava accogliendo. Poi mi sono tolto prima di giungere al punto in cui non avrei più saputo trattenermi e a mia volta mi sono offerto a lui. Anche ora che avevamo scambiato le parti, non potevo che apprezzare come ci sapesse fare. Mi sono detto che, nonostante la sua giovane età, doveva avere molta esperienza... per mia fortuna. Ero sempre più contento di aver incontrato quel ragazzo veramente delizioso. Durante una pausa fatta di lievi carezze e teneri baci, gliel'ho chiesto: "Devi avere parecchia esperienza, tu, per fare così bene l'amore." "Io, Dario? No... la mia prima volta è stata solo due anni fa." "Impossibile! Allora... hai avuto parecchi uomini." "Tu sei il... quarto, no, il quinto con cui faccio l'amore. Davvero ti piace farlo con me?" "Incredibile! Mi piace molto! Com'è allora, che sai fare l'amore così... bene? Hai seguito un corso speciale?" Ha riso e scuotendo lievemente il capo. "Forse... forse sono solo stato fortunato a incontrare uomini che sapevano fare l'amore, non so. Ma in un certo senso ho seguito un corso speciale, con il mio primo uomo." "Ti va di raccontarmi del tuo primo uomo e del suo... corso speciale?" gli ho chiesto, incuriosito. "Sì... Avevo diciotto anni... da un paio di anni avevo capito di essere gay, però... a me piacciono solo uomini maturi, e volevo che il mio primo uomo fosse... uno a posto. Voglio dire... Sai... Quelli che per prima cosa ti mostrano il cazzo, o ti mettono subito le mani addosso... o agitano la lingua come se fossero... beh, hai capito, no... mi facevano solo scappare via. Io, già da ragazzino, prima ancora di provare il desiderio, prima ancora di capire e accettare di essere gay, ho sempre giudicato le persone dal loro sorriso, dai loro occhi... Il sorriso e gli occhi dicono molto di una persona. Così, anche se il desiderio era sempre più forte... fino a quando avevo diciotto anni, poco prima di compierli, non avevo provato né accettato di farlo con nessuno, perché nessuno mi pareva... la persona giusta. Il mio primo uomo... aveva trentanove anni, era il mio allenatore di pallavolo. Era sposato... ma avevo intuito che era attratto da me. I suoi occhi, il suo sorriso mi dicevano che poteva essere la persona giusta. Era un allenatore severo, ma si faceva in quattro per noi ragazzi, e non solo sul piano atletico. Ero sempre più convinto che doveva essere lui il mio primo uomo. Però lui, anche se sentivo di piacergli, anche fisicamente voglio dire, non faceva mai nulla per... per provarci. Quindi un giorno che lo incontrai fuori dalla palestra, gli dissi che gli dovevo parlare. Anche se ero quasi certo che lui mi desiderava, non me la sentivo di chiederli chiaro e tondo se voleva essere il mio primo uomo. Così gli dissi che avevo bisogno di un consiglio: un mio carissimo amico s'era preso una cotta per un uomo sposato... ma siccome non aveva ancora mai fatto nulla, non sapeva come fare per fargli capire che desiderava che fosse lui ad introdurlo, a guidarlo, a fargli sperimentare la sessualità completa... Credo che capì immediatamente che quel mio "carissimo amico" ero io... però stette al gioco. Mi disse che il mio amico doveva essere certo che quello fosse l'uomo giusto per lui e che, una volta sicuro, doveva proporglielo tranquillamente... proprio come qualsiasi ragazzo potrebbe provarci con una ragazza. E allora, ancora un po' titubante... gli chiesi se voleva essere il mio primo uomo. Non accettò subito, come forse avevo sperato. Parlammo a lungo, ma senza più nasconderci dietro a "carissimi amici". E infine accettò di portarmi a casa sua e di farmi avere la mia prima esperienza. Fu molto gentile, delicato. Non mi prese subito, mi preparò a lungo, per diversi incontri, facendo talmente salire in me il desiderio di essere preso che quando infine lo fece, fu una cosa molto piacevole. Ma a quel punto mi disse che era meglio che troncassimo il nostro rapporto... perché lui l'aveva fatto solo perché io lo desideravo e l'avevo pregato di farlo, ma per lui ero... troppo giovane."
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