QUIETE SERE D'AUTUNNO | CAPITOLO 2 MARTEDÌ 12 NOVEMBRE, MATTINA |
Appena sono entrato in ufficio, Nella si è affacciata e mi ha salutato con il suo solito sorriso e uno squillante "Buongiorno, ingegnere!" "Oh, buon giorno a lei, Nella. Mi lasci cinque minuti per fare una telefonata, poi venga qui nel mio ufficio, per cortesia." "Certamente, ingegnere. Appena vedrò la lucetta rossa sul telefono spegnersi." Efficiente, come sempre. Mi sono tolto il leggero soprabito, sedutomi alla scrivania ho preso il telefono e composto il numero interno. Dopo esattamente cinque squilli, la voce della segretaria del mio collega ha risposto. "Pronto? Ufficio del dottor Bertinetti!" "Sono Dario Farini. Bertinetti è in ufficio?" "Oh, ingegner Farini... un attimo, controllo..." Un modo elegante per dirmi "vedo se ha voglia di parlare con lei". Dopo poco ho udito un clic, poi la voce baritonale di Bertinetti ha gridato nella cornetta: "Ohilà, Farini! Qualche grana?" Ridacchiando gli ho detto: "Non ti telefono mica solo quando ci sono grane, no? Comunque sta' tranquillo, Bertinetti, nessuna grana in vista. Ti ho chiamato per chiederti se sei riuscito a farmi avere quello stanziamento speciale di cui ho fatto richiesta..." "O grane o soldi!" ha ribattuto lui, ma in tono allegro. "Senti, Farini, ti giuro che ho fatto del mio meglio..." "Ma?" ho chiesto per incoraggiarlo a continuare, sentendomi già deluso e un po' irritato. Che aveva da essere così allegro se la risposta era un no? "Al primo giro dei fattorini ti mando la delibera." "Allora è un sì? Tutta la somma?" ho chiesto, sollevato e ancora un po' incredulo. "Fino all'ultimo centesimo, Farini! Non è stato facile, sai, ce l'ho dovuta mettere tutta per far approvare la tua richiesta." Voleva farmi pesare la cosa... "Grazie... Sapevo di poter contare sul tuo appoggio. D'altronde, se vogliamo restare all'altezza del nostro successo con l'ESA..." gli ho ricordato, per fargli capire che il favore non lo faceva a me, ma alla nostra ditta, se volevamo restare sulla cresta dell'onda. Non è uno stupido, il Bertinetti, ha capito immediatamente che cosa volessi dire, comunque prontamente ha ribattuto: "Quest'anno però ancora non abbiamo vinto nessuna gara..." "Semplicemente perché non ce ne sono in vista." gli ho detto. "Ma se non siamo pronti appena ne viene indetta un'altra..." "Sì, sì, Farini, d'accordo. Il fatto è che ogni dipartimento bussa a quattrini e non è facile accontentarvi tutti. Questa volta t'è andata bene." "Sì, Bertinetti, grazie. I miei riguardi alla signora... quando la vedi. Ciao e grazie di tutto." ho detto e ho troncato la comunicazione prima che potesse ribattere. Forse non avrei dovuto lanciargli quell'ultima frecciatina. Sapevo che non era in ottimi rapporti con la moglie, da quando lei l'aveva sorpreso con un'altra donna. Bertinetti era il classico capo che, avendo problemi in casa e visto che non riusciva a tenere testa alla moglie, si scaricava rendendo impossibile la vita ai suoi sottoposti in ufficio. Da una parte lo commiseravo: madama Bertinetti era un'arpia travestita da angelo della casa. Bah... ognuno ha i suoi problemi... Però io non avrei mai scaricato i miei crucci sui miei sottoposti. Avevo appena posato la cornetta del telefono, quando Nella è venuta a bussare ed è entrata nel mio ufficio: "Eccomi ingegnere." "Si accomodi, Nella. Dobbiamo trovare un rimpiazzo per il Baretti che ci lascia a fine mese. Chiami quelli dell'ufficio personale e dica loro che cerchino al più presto un perito elettronico, anche con poca o nessuna precedente esperienza di lavoro, ma ben preparato. Dica loro che appena hanno trovato i possibili candidati, avvertano lei in modo che possiamo fissare un colloquio a quei ragazzi. Li faccia esaminare dall'ingegner Stefani: mi fido totalmente del suo giudizio." "Certamente ingegnere. Pensavo che forse potremmo organizzare una festicciola di addio per il Baretti, non crede? Una cosa semplice, magari in laboratorio..." "Dovrei ringraziarlo per mollarci così?" le ho chiesto lievemente contrariato. "No, ingegnere... dovremmo ringraziarlo per il buon lavoro che ha fatto fino a ora. Lei stesso ha sempre detto che è un buon tecnico. Se ora ha trovato qualcosa di meglio di quanto la nostra ditta gli può offrire..." Dovevo ammettere che non aveva torto. Però non ero disposto a cedere così facilmente: "E allora, appena troverà qualcosa di meglio, Nella, anche lei mi mollerà come fa il Baretti?" Mi ha guardato con una lieve luce di ironia negli occhi e mi ha detto: "Se lei se lo meritasse... non ci penserei due volte ad accettare una migliore offerta. Anche se mi mancherebbe non poter più lavorare per lei." "Cos'è, una dichiarazione, signora Franceschini?" ho chiesto con un sorrisetto. "Ingegnere! Sono una donna felicemente sposata, dovrebbe saperlo!" mi ha risposto con un sorriso divertito. "E io felicemente divorziato!" Le ho assegnato altre incombenze, mi ha sottoposto la corrispondenza da firmare, poi è tornata nel suo ufficio. Poco dopo è arrivato il fattorino a consegnarmi la delibera dello stanziamento di fondi che avevo chiesto. Non avevo mai visto quel ragazzo e mi ha colpito immediatamente: pareva la copia carbone del mio tenente a naja... del tenente Garzellin. "Non l'ho mai vista qui... lei è un nuovo assunto?" gli ho chiesto. "Sì, signore, sono stato assunto da cinque giorni." "Come si chiama?" ho chiesto allora, pensando alla possibilità di una fortuita coincidenza... "Boni Donaldo, signore." Beh... logico. Per un attimo avevo pensato che potesse essere il figlio del mio tenente... Bella pellaccia, un vero fetente quel tenente, benché...
La mia prima volta che riuscii ad avere, o a subire, un rapporto sessuale fu durante il militare. A casa nostra, finito il liceo, si andava a fare subito il militare e dopo si entrava all'università, perciò fatta la visita di leva a diciotto anni, a diciannove partii per la naja. Mio fratello Francesco di cinque anni più vecchio di me, aveva fatto il sevizio militare in aviazione e, terminatolo, aveva messo firma, tanto più che gli permettevano di frequentare il Politecnico. Io no; non mi pesò fare naja, ma appena finita fui ben contento che non ce ne fosse di più. Dopo il Car, mi mandarono a Cuneo. Già durante la visita militare (a quel tempo ci si doveva spogliare completamente nudi e si passava da una stanza all'altra in tenuta adamitica) vedere tutti quei coetanei nudi era per me una croce e una delizia. Anche lì gli scherzi sui "froci" erano pesanti, tutti si atteggiavano a super-maschi. Anche perché se si era scoperti, si veniva riformati immediatamente e sui documenti veniva messo il timbro con la causale: "omosessualità" che ti restava addosso come un'etichetta infamante per tutta la vita. Ma nello stesso tempo c'era una specie di cameratismo virile che spesso si colorava di un certo erotismo, che non mi rendeva certo la vita facile. Piacevole, ma non facile. Alle docce a volte si potevano vedere poderose erezioni, spesso mostrate senza vergogna (al massimo con battute tipo: "chi viene stasera a puttane con me?" tanto per giustificarle o mascherarle) e di notte in camerata si poteva sentire il rumore ritmico di qualcuno che si masturbava in branda (con battute sussurrate nel buio, tipo "Stelvio, mettici il fazzoletto o il caporale ti pela vivo" e risatine divertite di tutti e Stelvio che protestava "mica me lo sto menando, stronzo!" ma rideva anche lui). Io non mi azzardavo a masturbarmi in camerata. Lo facevo solo al cesso e lo facevo sempre prima di farmi le docce, per sicurezza. Non eravamo in pochi ad andare al cesso prima della doccia... Ma i cessi erano cubicoli in muratura ben isolati dagli altri, perciò non si poteva vedere, sentire o intuire che cosa vi accadesse dentro... solo immaginare. Io però avevo scoperto una cosa. Un giorno ero dovuto andare a prendere le ramazze nello sgabuzzino che confinava con il locale docce. Sentivo le voci dei compagni che erano di turno a lavarsi, le risate, le solite battute salaci... quasi come se fossi anch'io lì con loro. Allora mi resi conto che nella parete divisoria c'era una porta che era stata chiusa e a cui era addossato lo scaffale. All'altezza del terzo ripiano dal basso, spostando i secchi di latta, vidi il foro della serratura. Li spostai ancora e mi ci infilai con la testa: la posizione era scomoda ma si vedeva discretamente dentro il locale docce: una ventina di corpi nudi si agitavano, lavandosi. Li avrei potuti vedere molto più semplicemente quando veniva il mio turno di far la doccia ma spiarli, non visto, dal foro della serratura rendeva la scena più eccitante e mi venne una bella erezione. Così mi sbottonai la patta, infilai una mano sotto le mutande e cominciai a masturbarmi lentamente... Ero talmente eccitato che venni quasi subito e solo per un miracolo riuscii a non bagnarmi i calzoni della mimetica. Dopo ripulii lo scaffale con lo straccio dei pavimenti e mi risistemai: non avevo mai goduto tanto! Altro è una fantasia pura e semplice a occhi chiusi, altro è una fantasia fatta a occhi aperti ammirando culetti e uccelli e palle abbondantemente esposti! Così, quasi ogni volta che ero di ramazza e c'era qualcuno nel locale docce, mi infilavo nello scaffale e mi masturbavo guardando e gustandomi le nudità dei miei commilitoni. Ce n'era più d'uno con cui mi sarebbe piaciuto potermi divertire! Quel mio sfogo segreto durava da circa tre mesi, quando... Mi stavo masturbando, l'occhio incollato al foro della serratura, quando entrò nello sgabuzzino (chissà per quale dannato motivo!) il tenente Garzellin e mi sorprese in un atteggiamento inequivocabile e a dir poco imbarazzante. "Allora, soldato, ci divertiamo a fare i guardoni?" chiese con tono sarcastico mentre io mi affannavo a rimettermi a posto, rosso come la brace. "Ti rendi conto che dovrei fare rapporto? Atti osceni in luogo pubblico..." Ricordo che pensai che lo sgabuzzino non è esattamente un luogo pubblico, ma tacqui cercando di pensare a cosa mi poteva accadere. Le previsioni erano una peggio dell'altra: il ridicolo, lo scorno, la riforma, la mia famiglia che cadeva dalle nuvole... o peggio. "Come ti chiami, soldato?" "Farini Dario, signor tenente." "Farini Dario... Bene, a rapporto fra mezz'ora nel mio ufficio. Sai dov'è no?" "Sì, signor tenente." "Non hai bisogno di cambiarti, così con la mimetica va bene." "Sì, signor tenente." ripetei io sull'attenti, cercando di non tremare troppo visibilmente. Mezz'ora dopo, puntuale da spaccare il secondo, bussavo alla porta con la targhetta: "Tenente Rodolfo Garzellin - Servizi Logistici" "Avanti!" "Soldato Farini Dario a rapporto, signore." "Ah, bene. Chiudi la porta. Riposo, soldato, riposo. Dobbiamo parlare, io e te." Ero restato ritto accanto alla porta. "Allora? Cosa hai da dirmi?" Tacqui. Cosa gli potevo dire? Niente. "Sorpreso a spiare i compagni nudi nelle docce e in atto di masturbarsi... Ti rendi conto? Sei omosessuale, Farini?" Non potevo dirgli di sì, anche se ormai non credo avesse molti dubbi. "Sì, vero? Ti eccita vedere i tuoi compagni nudi. Cosa ti eccita, dimmi? I loro culi? O piuttosto i loro cazzi? Mentre ti masturbavi, cosa fantasticavi, di incularli o di essere inculato, magari da tutti? O di succhiarlo a tutti? Eh?" chiese con un sorrisetto. Aveva una faccia da schiaffi che, se non fosse stato un mio superiore... e se non stessi rischiando brutte conseguenze, gli avrei dato volentieri un pugno sul muso. Lui si alzò in piedi da dietro la scrivania, mi venne davanti, sempre col suo sorrisetto, e mi guardò dalla testa ai piedi. Poi disse: "Eppure non si direbbe, a guardarti, che sei un frocio, Farini. Ma l'apparenza inganna, vero?" e dicendo così mi girò attorno. Ero talmente teso che non registrai il lieve scatto della serratura che si bloccava, mentre lui mi passava alle spalle accanto alla porta. Mi tornò davanti, il suo sorriso immutato. "Allora, Farini, hai perso la lingua?" "No... signore." mormorai confuso abbassando lo sguardo. "Allora, cosa preferisci? Inculare o essere inculato? Succhiare o essere succhiato? Rispondi, frocio!" "Non lo so, signore, io non ho mai fatto... quelle cose." "Mai fatte? Mi prendi per il culo?" "No, signor tenente, davvero..." "E allora, come mi spieghi quello che stavi facendo infilato dentro lo scaffale? Vuoi dire che non ti stavi masturbando, per caso?" "Sì... quello sì." "Guardando maschi nudi." "Sì." "E questo non fa di te un frocio?" "Credo... credo... di sì... signore." "Bene. Almeno non cerchi di farmi fesso. Però dici che non hai mai preso un cazzo in bocca." "Esatto, signore." "Ma ti piacerebbe..." Non risposi. Quello pareva si stesse divertendo a torturarmi, come il gatto col topo: mi dicesse come intendeva punirmi e basta. Voleva sbattermi fuori? Lo facesse una buona volta! "Ma ti piacerebbe, sì o no?" "Non lo so, signore." "Non lo sai. Perché non hai mai provato. Ma vorresti provarci, scommetto." Silenzio. Andò a sedersi su una delle due poltroncine sotto i ritratti del Presidente della Repubblica e del Capo di Stato Maggiore. "Vieni qui davanti, Dario." mi disse. Notai che invece di chiamarmi per cognome m'aveva chiamato per nome. Buon segno o il preludio ad un'altra partita fra gatto e topo prima di essere sbranato? Obbedii. "Lo sai che ti potrei deferire al tribunale militare?" Addirittura! pensai, ma mi resi conto che poteva davvero farlo. "Oppure deferirti all'Organo Disciplinare." Un po' più verosimile, anche se comunque voleva dire essere cacciato con vergogna. Mi chiesi se poteva avere conseguenze sulla carriera di mio fratello: m'avrebbe ucciso. Non che mio padre sarebbe stato più tenero. "Oppure darti semplicemente... diciamo un mese di cpr con una scusa." Beh, me la sarei cavata con poco. "Oppure far finta di non aver visto niente." Oh! Uno spiraglio? O mi voleva solo far illudere per poi colpire più secco? "Dipende tutto da te, Dario." "Da me, signor tenente?" "Se mi sai convincere... pregare... Sei disposto a pregare?" "Pregare?" chiesi senza capire dove volesse arrivare. "Sì... mettiti in ginocchio davanti a me, come davanti ad un santo, e pregami." disse con un sorriso divertito. Mi chiesi se fosse matto, ma... in fondo non mi avrebbe visto nessuno... forse voleva solo umiliarmi, sentirsi potente... così scivolai silenziosamente in ginocchio davanti a lui. "Più vicino, Dario..." disse allargando le gambe per farmi spazio... e finalmente capii! Quello voleva farselo succhiare da me. Esitai... ma poi mi dissi: non è quello che hai sempre sognato? e m'incuneai fra le sue gambe. "Bene, così... pregami... pregami Dario, fammi sentire come usi bene le mani, le labbra, la lingua per pregare... convincimi." Allargò di più le gambe, scivolando lievemente in avanti col bacino, e notai che la sua patta era gonfia e palpitava: non avevo bisogno di altro. Gli occhi fissi sul visibile rigonfio, allungai le mani e gli aprii la patta. Gli sbottonai le mutande e glielo tirai fuori, semieretto e lo sentii, caldo nella mia mano, farsi rapidamente sodo: il primo membro virile che potevo toccare, vedere da vicino! "Così, bravo, Dario... Convincimi." mi disse, mi pose le mani sul capo guidandomi lentamente verso il suo palo ora completamente eretto e duro. Schiusi le labbra, tirai fuori la lingua e lo leccai in punta dapprima quasi timidamente: la sensazione era a dir poco piacevole. Lo lappai, lo leccai. "Sì... succhialo, adesso, fattelo arrivare fino in gola, fammi godere, Dario." ansimò quasi. Mentre me lo lasciavo scivolare tutto in bocca muovendo la lingua istintivamente, pensai: "caspita, se mi piace!" Mi ricordo che mi chiesi se me lo avrebbe anche messo in culo, ma per il momento mi gustavo quelle sensazioni incredibili: il mio primo cazzo, il mio primo maschio, il mio primo sesso! Dopo pochi minuti, mi disse: "Non male, anche se sei un po' troppo imbranato. Che mi dici, forse di culo andrebbe meglio, no?" Non risposi, lo guardai, il suo membro ancora in bocca. Lui si alzò in piedi: "Eh, che ne dici? Vediamo se il tuo culo è meglio, soldato?" "Come comanda, signore!" risposi a quel punto. Ma sì, mi dissi guardando il membro eretto, duro, lucido della mia saliva. Tutto sommato non era troppo grosso... mi sentii pronto a perdere la mia verginità. Mi fece alzare in piedi, mi aprì i calzoni, mi scoprì il sedere, mi fece appoggiare con le mani alla scrivania, mi venne alle spalle... mi lubrificò il foro con la saliva e cominciò subito a spingermelo sul foro. Non ci mise molto a vincere la mia istintiva resistenza, ci sapeva fare. Lo sentii iniziare a entrare... Sentii il suo alito su una mia orecchia. "Rilassati, Dario... rilassati... lasciami entrare." disse afferrandomi per la vita e spingendo con maggiore vigore. Si tolse, ci mise altra saliva e tornò alla carica. Ripeté l'operazione due o tre volte e infine, quasi all'improvviso, iniziò a scivolarmi dentro. Emettemmo tutti e due un basso gemito. Dopo poco mi stava stantuffando dentro con vigore, respirando con forza, facendomi sobbalzare a ogni spinta. Mi dava fastidio quell'invasione... eppure mi piaceva. Mi mise una mano davanti e cominciò a masturbarmi... il piacere aumentò. Quando finalmente godemmo tutti e due, si tolse e mi ordinò di ricompormi. Quella fu la prima di molte, vigorose fottute a cui mi sottoposi sempre più volentieri. Finché fui congedato.
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