QUIETE SERE D'AUTUNNO CAPITOLO 5
MERCOLEDÌ 13 NOVEMBRE, SERA

Quando, a sera, sono tornato a casa, mi sono messo subito a cucinare per me e per Paolo, che sarebbe dovuto arrivare verso le otto. Era già un po' che non cucinavo più: farlo solo per me non mi andava.

Avevo progettato una cenetta leggera ma gustosa. Speravo che Paolo la gradisse: avevo fatto male a non chiedergli se c'era qualcosa che non gli piacesse o che non potesse mangiare. Per sicurezza, avevo deciso di fare porzioni piuttosto abbondanti, in modo che se uno dei piatti non gli andava, potesse sfamarsi con gli altri.

Mi sono chiesto se apparecchiare in cucina o in sala... in sala era forse troppo formale... in cucina forse troppo intimo... Alla fine ho optato per la cucina, se non altro per comodità. Semplicemente, invece di tirar fuori le tovagliette all'americana, ho preso una bella tovaglia. Un onorevole compromesso.

Dal mini-stereo sulla credenza veniva la musica a basso volume del CD che avevo scelto: un concerto live degli Abba. A fianco avevo messo CD di altri generi musicali, per cambiare la musica se Paolo non avesse gradito quello che avevo scelto.

Alle otto meno dieci, hanno suonato alla porta. Sono andato ad aprire. Dio, quant'era bello! Mi ha salutato con un sorriso e, mentre lo facevo entrare, mi ha porto un pacchettino.

"Cos'è?" gli ho chiesto.

Non ho detto "non ti dovevi disturbare", m'è sempre sembrata una delle frasi più false che si possa dire quando si riceve un regalo.

"Una cosa che mi piace e che spero piaccia pure a te." mi ha risposto.

Anche la sua risposta mi andava a genio: quando ti dicono "Una cosa da niente" pare quasi che ti dicano che tu non meriti niente di valido, di bello.

L'ho guidato fino alla cucina, mentre scartavo il pacchettino. L'ho fatto sedere. Aperta la scatola di cartone ho visto il regalo che mi aveva portato: era un porta-matite cilindrico, grande più o meno come un bicchiere da acqua, fatto di corteccia di betulla cucita a mano.

"Viene dalla Russia. L'ho visto oggi pomeriggio e ho pensato che è bello e che ti può essere utile."

"È veramente bello, e credo che mi sarà davvero utile. In ufficio ho un porta-matite di plastica piuttosto bruttino, banale."

"Bene, sono contento che ti piace e che ti serve." ha detto con un sorriso.

"Piuttosto, dimmi, non dovevi avere un colloquio di lavoro, oggi?"

"Sì."

"Com'è andata?"

"Non lo so ancora, ma mi pare abbastanza bene. Mi hanno assicurato che avrò presto una risposta, positiva o negativa che sia. Spero che mi dicano di sì, perché mi piacerebbe davvero andare a lavorare in quella ditta. Certo che... mi hanno messo sotto torchio, ma non credo di aver fatto brutta figura. Bisogna solo vedere se gli altri che hanno esaminato sono meglio di me."

"Beh... terrò le dita incrociate per te, Paolo."

"Grazie. Mmmhhh che buoni odorini... Hai cucinato tu?"

"Sì... spero che ti piaccia tutto. Non t'ho neanche chiesto se ci sono cose che non puoi mangiare o che non ti piacciono."

"Nessun problema. Gli amici mi chiamano 'il lavandino', perché non c'è assolutamente niente che io non mangi!" mi ha rassicurato con un sorriso.

"Ottimo. Fra poco è pronto. Bevi vino?"

"Un po' mi fa piacere."

"Bianco, rosé o rosso?"

"Scegli tu quello che va meglio."

Abbiamo mangiato e Paolo ha assaporato tutto con evidente piacere e alla fine mi ha fatto i complimenti.

"Tratti sempre così bene i tuoi ospiti?" mi ha chiesto.

"No, solo quelli che mi piacciono molto."

"Beh, un bel complimento, allora. Grazie due volte. Anche tu mi piaci molto... oltre alla tua cucina."

"Ti puoi fermare qui con me anche questa notte?"

"Volentieri. Mamma non torna fino a domenica sera."

"Ma se ti telefona e non ti trova in casa?"

"Non abbiamo il telefono. Non ce lo possiamo ancora permettere. Mamma ha fatto grossi sacrifici e anche qualche debito, per permettermi di studiare."

"E allora come fai per il lavoro, per sapere se ti assumono o no?"

"Ho chiesto se posso chiamare io. Mi hanno dato il numero di telefono dell'ufficio personale, però mi hanno detto di non chiedere prima di venerdì 15. Ancora due giorni. Mi piacerebbe proprio se mi assumono, non solo perché posso finalmente lavorare per quello che ho studiato, e la paga è migliore che a fare le pulizie, ma mi piace un sacco quello che fanno in quella ditta."

"Terrò le dita incrociate per te." gli dissi nuovamente. "Certo, io sono stato fortunato: pensa che mi avevano contattato prima ancora che mi laureassi, su segnalazione di un mio professore che faceva da consulente esterno per quella ditta. Così, il giorno dopo la laurea avevo già un lavoro. Oggi purtroppo non è più così facile."

"Oh, male che vada, continuerò a fare le pulizie e a mandare il mio curriculum in giro. Dopo tutto l'importante è avere un lavoro e fare bene quello che si deve fare."


Mi ero laureato a pieni voti e perfettamente in regola, senza andare fuori corso. Poco prima di un mese dalla laurea, la Sriplet m'aveva contattato, ero andato per un colloquio con l'ingegner Perotto, che allora era il direttore del Dipartimento Elettronica Applicata, che era stato appena aperto: a quei tempi in tutto si era solo una dozzina fra impiegati e operai.

M'aveva esaminato in lungo e largo, curiosamente alternando domande tecniche con altre di argomento generale, spiazzandomi un po'... L'ingegner Perotto era un uomo alto, asciutto, con sopracciglia cespugliose sotto cui i suoi occhi di ghiaccio ti scrutavano fino in fondo all'anima.

Era stato un capo valente, m'aveva letteralmente tirato su lui, sul piano tecnico. Pretendeva molto da tutti noi, ma si occupava sempre di ognuno dei suoi sottoposti. Era di poche parole, non gli sfuggiva nulla. Era anche pignolo, senza però mai rendersi pesante. E se si faceva bene il proprio lavoro, non lesinava le lodi. Ho imparto da lui anche a... fare il capo. Sei anni prima di andare in pensione, mi volle come vice-direttore, per lasciarmi il suo posto. Poi, appena fu in pensione, sorprese tutti andando in Africa come missionario laico. Nessuno aveva mai immaginato che fosse un uomo di chiesa.

Un paio di anni dopo che mi ero laureato... mi sposai con Clementina Mazzei, la sorella minore di mia cognata, che aveva cinque anni meno di me. In realtà era stata Tina a farmi una corte discreta ma assidua. Era una ragazza carina, semplice, molto affettuosa, intelligente. Nonostante io fossi gay... riuscì a farmi sentire attratto da lei e quando mi chiese di sposarla... pensai che tutto sommato poteva essere una buona cosa.

Per il primo anno riuscii anche a evitare di cercarmi una compagnia maschile... Stavo molto bene con lei e anche sul piano sessuale le cose parevano funzionare bene per tutti e due. Inoltre desideravo avere due o tre figli... L'idea mi piaceva molto.

Poi, quando avevo ventotto anni, conobbi Vincenzo. Faceva il cameriere in un ristorante, ma lo conobbi in treno, durante un viaggio di ritorno da Roma. Era salito poco dopo di me e s'era seduto di fronte.

Era un gran bel ragazzo, aveva ventitré anni, un casco di capelli ricci e neri, un sorriso da monello. Il treno partì e lui si mise a leggere un fumetto. Ogni tanto ridacchiava: mi piaceva guardarlo, il suo volto era affascinante. Nello scompartimento c'eravamo solo noi due.

Poco dopo essere partiti, arrivò il controllore. Vincenzo non riusciva a trovare il biglietto... era imbarazzatissimo, cercò dappertutto ma non lo trovò, perciò pagò la multa.

"Eppure l'ho fatto, non sto mica viaggiando a sbafo!" mi disse quando il controllore lasciò il nostro scompartimento.

"L'avrai perso..." gli dissi. "Capita. Peccato che hai dovuto pagare di nuovo e anche la multa."

"Beh... un po' mi scoccia per i soldi, certo, ma molto di più per la figuraccia... mi creda."

"Non hai affatto l'aspetto del furbetto. Credo che anche il controllore ti abbia creduto, ma non poteva fare altro che farti la multa."

"Grazie..." disse con un sorriso mesto.

"Di cosa?"

"Di avermi detto che lei mi crede."

"Però..." dissi, ricordandomi di quando, sempre più affannato, cercava dappertutto il suo biglietto, "non hai controllato nella tasca posteriore dei jeans."

"Oh, non ci metto mai niente, lì..." disse, ma si alzò in piedi e infilò una mano nella tasca.

Lo vidi illuminarsi, arrossire, tirò fuori la mano con il biglietto: "È qui! È qui! Dio, non ci ho mai messo niente... come ho fatto... perché l'ho infilato lì? Vede? Eccolo, il biglietto! Vede? L'avevo fatto davvero!"

Era talmente felice ed eccitato che ci mancava poco che si mettesse a ballare.

"Vai subito dal controllore, faglielo vedere e ti renderà i soldi e straccerà multa e tutto..." gli dissi.

"Crede? Pensa che lo farà?"

"Ma certo. Vai."

"Mi guarda lei il mio borsone, per favore?"

"Sì, certo."

Tornò pochi minuti dopo, con i soldi in mano: "Dio, sono più felice per aver fatto vedere al controllore che ero a posto che per i soldi... anche se sono contento di averli recuperati. Se non era per lei... Dio, la bacerei!"

Risi. "Ehi, attento! Potrebbe anche farmi piacere..." gli dissi a mo' di battuta.

Rise anche lui e sedette al suo posto. Poi disse: "Beh... se lei sapesse baciare bene... perché no?"

Lo guardai sorpreso, poi mi dissi che stava scherzando.

Lui mi chiese, con un sorrisetto malizioso: "L'ho scandalizzata?"

"No... no, affatto. Ma tu... sai baciare bene?"

"So fare bene un sacco di altre cose... oltre a baciare, mi creda."

"Io sono come san Tommaso..."

"Cioè?" mi chiese incuriosito.

"Non credo a quello che non tocco con mano."

"Ah. Beh... se vuole verificare... basta tirare le tendine, no?"

Mi alzai, chiusi la porta dello scompartimento, tirai le tendine, mi girai verso di lui che s'era alzato in piedi. "Sono pronto." gli dissi semplicemente.

Mi venne davanti, mi prese fra le braccia sospingendomi contro la porta e mi baciò... un bacio da mozzafiato, caldo, appassionato, profondo, a cui risposi con piacere.

"Lo sa che lei mi piace un sacco?" mi chiese sottovoce.

"Anche tu mi piaci."

"Dove scende?"

"All'ultima stazione."

"Anche io. Qui è troppo pericoloso dimostrarle altro ma, se lei fosse d'accordo... se ha un posto, quando siamo arrivati mi piacerebbe dimostrarle cosa altro so fare... Ma ora forse è meglio che facciamo i bravi ragazzi."

Sedemmo di nuovo, uno di fronte all'altro. Avevamo le gambe stese e intrecciate. Mi sorrideva in modo allettante, gli occhi gli brillavano come due ossidiane.

"Ho visto che lei ha la fede al dito... è sposato? Ha figli?"

"Sono sposato ma non ho figli. Ti fa problema?"

"No, no, per niente. Però non mi può portare a casa sua, immagino."

"No, certo. E casa tua?"

"Sto ancora in famiglia... siamo in sette, c'è sempre qualcuno in casa. Non ha un altro posto?"

"No..."

"Oh cavolo! Trovo un uomo bello come lei... e non so dove portarlo!" mi disse con aria sconsolata.

"Non mi dare del lei. Mi chiamo Dario."

"Io Vincenzo. Piacere. Mi piaci troppo... dai, Dario... dobbiamo trovare un posto!"

"Mi piacerebbe, sì... Ma se non stasera quando arriviamo... possiamo rivederci quando abbiamo trovato una soluzione. Che ne dici?"

"Io... lo farei anche adesso, tanto sono su di giri... Un mio amico ha una mansarda, e qualche volta me l'ha già prestata per... ma quando arriviamo è troppo tardi per chiedergliela."

"È il tuo ragazzo?"

"No, siamo solo amici. Lui ha la ragazza, mica è un frocio perso come me. Però sa di me e non gli fa problema. Siamo veramente amici. Io ci avevo provato con lui, con Claudio, ma... niente da fare, purtroppo. Lui fa il pubblicitario, ha più o meno la tua età. Io faccio il cameriere, non guadagno abbastanza per pagarmi una mansarda. Anche perché devo dare la busta in casa, quando il padrone mi paga."

"Pensi che te la presterà per domani sera?"

"Spero di sì..." disse, poi si alzò, venne a sedere accanto a me e mi posò una mano su una coscia, carezzandomela lieve. "Posso... toccarti lì?" mi chiese con un sorriso allettante ed esitante al tempo stesso.

"Rischi grosso... Poi ti salto addosso." gli risposi scherzando.

"Forse hai ragione, ma... solo all'idea di farlo con te... mi manda su di giri."

"A chi lo dici! Sei molto sexy."

"A me... piace fare un po' di tutto... e con calma... Non mi son mai piaciute le sveltine... A te?"

"Idem."

"Perfetto." disse allegramente e la sua mano si posò sulla mia patta, a coppa, e palpò lievemente la mia erezione. "Mmmhhh." mormorò. Puntò un piede contro la maniglia della porta perché non potessero aprirla dall'esterno, poi mi disse, sottovoce: "Dammi un altro bacio, dai!"

Lo accontentai volentieri... Sì, sapeva baciare veramente bene... Sentimmo voci avvicinarsi nel corridoio e ci staccammo a malincuore. Le voci passarono oltre.

Arrivammo. Ci scambiammo il numero di telefono. Gli dissi che, se avesse risposto mia moglie, doveva solo dire che era Vincenzo, un operaio della mia ditta.

Mi chiamò all'ora di pranzo e, poiché speravo che fosse lui, andai a rispondere io. Mi disse che aveva avuto la chiave dal suo amico. Fissammo l'appuntamento per le sette e mezzo. Avvertii Tina che quella sera dovevo restare a cena fuori.

Finalmente ci trovammo. La mansarda era piccola, quasi completamente occupata da un materasso matrimoniale posato a terra. Ci spogliammo con mani febbrili e il desiderio, trattenuto così a lungo, bruciava nei nostri corpi. Nudi, lo sospinsi sul materasso e mi stesi su di lui. Ci baciammo a fondo, a lungo. Ci carezzammo e palpammo per tutto il corpo con crescente passione.

Dopo un anno che non stringevo più a me un corpo maschile, mi pareva di essere al settimo cielo. Vincenzo aveva il fuoco nelle vene. Dopo un po' che ci si dedicava uno all'altro, mi si mise a cavalcioni del bacino e si fece prendere a smorzacandela. Mi cavalcò a lungo, muovendosi ad arte per darmi e ricevere il massimo del piacere. Mi guardava con occhi luminosi, le gote lievemente arrossate per l'eccitazione, un sorriso gioioso sul bel volto da monello.

Poi, dopo che io, afferrato dalle forti contrazioni dell'orgasmo, mi fui scaricato in lui, si sfilò lesto, mi sollevò le gambe e mi prese con altrettanto lieto vigore, e in breve, tanto era eccitato, si scaricò a sua volta dentro di me.

Giacemmo abbracciati, ansanti, appagati.

"Dario, sei fantastico, sei un vero maschio, tu."

"A dire il vero... hai fatto tutto tu... Tu sei un vero torello, comunque."

"Non t'è piaciuto?" mi chiese con espressione sorpresa.

"Sì che m'è piaciuto."

"La prossima volta... lascerò fare tutto a te, così siamo pari... Sapessi che fatica ho fatto per non menarmelo, aspettando di poterti incontrare di nuovo! Sai che l'ho avuto duro quasi continuamente, per queste ventiquattro ore?"

Così Vincenzo divenne il mio ragazzo. Dopo poche volte ce ci si vedeva nella mansarda del suo amico, io affittai un piccolo ma grazioso monolocale arredato, dove ci si trovava ogni volta che avevamo voglia di fare l'amore... il che era abbastanza spesso. Trovammo anche un certo equilibrio nel modo di prenderci l'un l'altro, sì che fu sempre più piacevole per tutti e due. Comunque Vincenzo restò sempre un torello focoso quando ci si univa, che fosse lui a prendere me o io lui... e un cucciolotto tenero e affettuoso dopo che ci eravamo sfogati.

Ma Tina iniziò a sospettare qualcosa... Logicamente pensò che avessi un'altra donna. Non so se mi fece pedinare o se lo fece lei, non me lo disse mai. Ma una volta, proprio mentre Vincenzo e io stavamo facendo l'amore, dopo circa due anni che la nostra relazione continuava, lei bussò alla porta del monolocale.

Sentii la sua voce dire: "Apri, Dario, so che sei lì dentro! Apri!"

Vincenzo sbiancò e io, probabilmente, pure. Ci staccammo, ci rivestimmo in fretta e furia mentre Tina continuava a bussare... e infine andai ad aprire e lei entrò.

Rimase un attimo interdetta nel vedere che con me c'era un ragazzo. Poi, con voce incredibilmente calma, disse a Vincenzo: "Ti spiace andare via, ora? Io e mio marito dobbiamo parlare."

Vincenzo mi guardò, incerto. Gli feci un cenno di assenso. Così il ragazzo uscì e si tirò dietro la porta.

"Sediamo." disse Tina, sempre calma.

"Io, Tina..."

"No. Prima lascia parlare me. Poi ti starò a sentire." mi disse.

Annuii.

"Da un po' sospettavo che tu mi tradissi, Dario. Certo, non immaginavo che fosse con... un ragazzo, ma in fondo la cosa non fa molta differenza. Hai trenta anni, non sei più un ragazzino. Evidentemente sai quello cha fai. Altrettanto evidentemente, io non ti bastavo... anzi, proprio il fatto che tu lo stavi facendo con un ragazzo e non con una donna, mi fa capire che davvero io non ti potevo bastare. Non so se tu ti sei sposato per nascondere la tua omosessualità, o se a te piace... giocare nei due campi. Però, vedi... io non me la sento di condividerti né con una donna né con un ragazzo. Non voglio fare scandali, non ti voglio mettere in difficoltà. Però non me la sento più di... di essere tua moglie. Perciò ci separeremo... dicendo semplicemente che è per... incompatibilità di carattere. Senza colpe, senza che gli altri abbiano a sapere il perché di questa decisione, neanche le nostre famiglie. Penso che tu sia d'accordo con me."

"Tina..." le dissi allora, grato che mi lasciasse un'onorevole via di uscita, "mi dispiace se ti ho ferito. Io ti sono stato fedele... per il primo anno. Però... io mi sento fortemente attratto verso il mio stesso sesso. Non te l'ho detto prima di sposarci... non per ingannarti, ma perché ti volevo bene e pensavo di essere in grado di restarti fedele... ma non gliel'ho fatta."

"Non ti giudico, Dario. Tutto sommato, sei stato un buon marito... però... visto che fortunatamente non siamo riusciti a mettere al mondo un figlio... ora la cosa migliore è separarci. Senza rancori, Dario... solo un po' di delusione da parte mia, credo che tu possa capirlo. Io non ti giudico: se sei fatto così... non ci puoi fare niente. Ti credo quando mi dici che hai cercato di essermi fedele, ti credo che speravi di riuscirci ma... visto che non gliel'hai fatta, è meglio che ci separiamo."

"Se... se vuoi il divorzio per farti un'altra famiglia... per me va bene... logicamente."

"D'accordo, ma per ora no. In caso, ne riparleremo. Quando torni a casa, per cortesia, vai a dormire nella stanza degli ospiti, finché io non mi sono trovata un'altra sistemazione."

"Se preferisci... posso restare qui... Basta che ci porto le mie cose..."

"Non è affatto necessario. Siamo due persone civili, intelligenti, non credo che la convivenza per qualche tempo sarà un problema."

Così finì il mio matrimonio. Credo che Vincenzo si fosse preso un grosso spavento, perché anche lui mi disse di lasciar perdere, che non se la sentiva più di vedermi.


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