QUIETE SERE D'AUTUNNO CAPITOLO 9
DOMENICA 17 NOVEMBRE, SERA

Paolo è appena andato via, perché vuole essere a casa prima che arrivi sua madre.

Il week-end ad Asti è stato delizioso.

Appena arrivati in città, siamo andati in albergo, dove mio nipote Donato mi aspettava. Abbiamo posato i nostri pochi bagagli in camera, una bella matrimoniale in cui Donato aveva fatto mettere un gran mazzo di fiori, e scendemmo per parlare con lui.

Con mio nipote c'era Lino, il suo boyfriend, che ha ventisei anni, otto meno di Donato, e che fa il receptionist lì nello stesso albergo. Stanno assieme da sette anni, cioè da quando Lino s'è diplomato all'alberghiero e ha fatto domanda di assunzione nell'albergo dove lavorava mio nipote, proprio come capo del personale, prima di diventarne il direttore.

Sono una gran bella coppia, Donato e Lino, e a parte una breve crisi dopo tre anni che stavano assieme, non hanno mai avuto problemi. La crisi era scoppiata quando Lino aveva trovato Donato in camera che scopava con uno dei fattorini. Non aveva fatto tragedie, ne avevano discusso, cercando di capire assieme in che cosa ognuno di loro due avesse sbagliato per rendere possibile quella situazione.

Riuscirono a chiarirsi, capirono il motivo, decisero di restare assieme, perché si amavano. Donato trovò un posto per quel fattorino in un altro albergo. Dopo di allora fecero attenzione di parlarsi chiaramente prima che un problema potesse portarli a una nuova crisi.

Io avevo conosciuto Lino dopo poco più di un anno che stavano assieme. Donato me l'aveva portato a conoscere. Oltre a essere un ragazzo grazioso, intelligente e buono, Lino ha un gradevole senso dell'umorismo. È orfano di padre e di madre dall'età di dieci anni ed è stato allevato da uno zio... un gay represso che, quando Lino aveva quindici anni, avendo capito che anche il nipote era gay, non aveva trovato niente di meglio da fare che approfittare di lui ogni volta che sua moglie non era in casa. La cosa era cessata solo quando Lino, diplomatosi, aveva trovato lavoro in quell'albergo ed era diventato l'amante di mio nipote.

Quando Paolo, Lino e Donato si sono presentati, hanno detto solo i loro nomi, e io mi sono reso conto che non sapevo ancora come Paolo si chiama di cognome. Mi sono ripromesso di chiederglielo più tardi, ma poi mi è passato di mente. I tre si sono subito trovati reciprocamente simpatici.

Il tempo era discreto, perciò ho portato Paolo a fare un giro per Asti per mostrargli le molte bellezze della piccola città. Siamo tornati in albergo per l'ora di cena. Abbiamo chiacchierato ancora un po' con Donato e Lino, quindi siamo saliti in camera.

"Mi piacciono, tuo nipote e il suo ragazzo. Sette anni assieme... bello, no?"

"Sì. Forse più merito di Lino che di mio nipote. Comunque si vogliono bene, che è quello che conta."

"Sono fortunati a lavorare assieme, a vivere assieme. Non hanno problemi qui in albergo? Il personale non sospetta niente di loro due?"

"Sì, certo, sono fortunati. Tutti sanno di loro. Sarebbe impossibile non saperlo, dato che hanno un appartamentino insieme su all'ultimo piano dell'albergo. Pare che non abbiano mai avuto problemi col personale."

"Ma tuo fratello sa di Donato?"

"Sì... All'inizio non ha reagito molto bene... però poi ha accettato e ora lui e sua moglie trattano Lino come uno di famiglia. Marisa, mia cognata, ha accettato prima di mio fratello. Credo che sia stata lei a fargli cambiare idea."

"Se solo fossi sicuro che mia madre non ne soffrirebbe..." ha detto Paolo con espressione pensosa.

"Non puoi... sondarla, per vedere cosa ne pensa degli omosessuali? Non ne avete mai parlato, così, in generale?"

"No, non c'è mai stata l'occasione. E ho paura che se le chiedo cosa ne pensa... possa capire. Quando torna, domani sera, sarà un po' più difficile per noi due vederci... Praticamente impossibile passare tutta la notte assieme."

"Non esci mai la sera?"

"Sì, a volte... con gli amici, per andare in pizzeria o a ballare. Invece cha andare con la cricca, posso venire da te, se vuoi."

"Certo che voglio. Ma non pensiamoci, adesso. Abbiamo cose più importanti da fare." gli ho detto con un sorrisetto allettante.

"Giusto." ha sospirato e mi ha baciato.

Ci siamo messi a fare l'amore.

Il fatto di essere in una camera d'albergo, mi ha riportato alla mente un'avventura di undici anni prima...


Era il 1984. Mia moglie Tina, dopo tanti anni di separazione consensuale, aveva chiesto il divorzio, perché voleva risposarsi. Glielo concessi senza problemi. Io ero stato appena nominato vice-direttore al Dipartimento di Elettronica Applicata, e per l'occasione la ditta aveva dato un piccolo party in mio onore, a cui fu anche invitata una delegazione di tre ingegneri americani di una ditta nostra consociata che erano in visita alla Sriplet.

Durante il party, accanto a me era seduto uno dei tre yankee, un giovanottone di trentasei anni di nome Benedict Johnson o Johnston, non ricordo bene. Chiacchierammo per tutto il tempo di mille cose e di niente. Era simpatico e, pensai con un fremito, anche piuttosto sexy. A differenza dei suoi due colleghi, più anziani di lui, era un tipo estroverso.

Gli altri due americani a un certo punto ringraziarono, salutarono, e lasciarono il salone del party. Benedict invece rimase. Notai che beveva abbondantemente, e a un certo punto era un po' alticcio. Quando infatti, finito il party, si alzò in piedi, barcollò leggermente. Si afferrò con le mani sul bordo del tavolo e mi guardò.

Disse, la voce appena un po' impastata: "Il vostro vino è troppo generoso! Va giù troppo facilmente. E dopo essere andato giù... torna su e dà alla testa. Come faccio adesso a tornare in albergo senza perdermi per la strada? Forse è meglio se per cortesia mi chiama un taxi."

"Se vuole, la accompagno io con la mia automobile."

"Molto gentile. Sì, davvero molto gentile. Voi italiani siete sempre molto gentili."

Dovetti sostenerlo mentre andavamo al parcheggio, perché pareva sempre sul punto di perdere l'equilibrio. Doverlo toccare... mi provocò una gradevole erezione e diversi fremiti di piacere.

Quando arrivammo, lo accompagnai fin dentro la hall.

"Senta, caro ingegner Farini, questa è la mia chiave. Le dispiacerebbe accompagnarmi fino in camera? Non vorrei dare spettacolo di me con il personale dell'albergo."

"Volentieri." risposi sinceramente.

Lo accompagnai al terzo piano, aprii la porta della stanza e lo guidai fino al letto. "Eccoci qui. Riesce a spogliarsi da solo?"

"Forse, ma può essere più divertente se mi spoglia lei." ripose facendo un risolino sciocco.

Beh, mi sarebbe piaciuto, ma non mi andava di approfittare di una persona ubriaca. "Divertente?" chiesi un po' combattuto.

Mi gettò le braccia al collo e mi chiese: "Non le va di divertirsi un po' con me?"

"Lei è ubriaco..." mormorai, sempre più combattuto.

"E se non fossi ubriaco?" chiese con voce impastata, senza lasciarmi.

"Se ne potrebbe riparlare..." risposi esitante.

Sempre tenendomi le braccia al collo, si alzò in piedi e con voce chiara, guardandomi negli occhi, mi disse: "Non sono affatto ubriaco... ho finto... per poterci provare con lei... Io sono gay e lei mi piace molto!"

Lo guardai sbalordito, poi dissi: "Sì che è ubriaco!"

"No. Reggo molto bene il vino, so quanto posso bere e quando devo smettere. E anche lei è gay, crede che non ho notato come mi guardava?"

Mi tirò a sé e mi fece sentire la sua erezione e, logicamente, sentì la mia.

"Anche lei è gay e è anche su di giri quanto me..." disse e con una mano mi palpò fra le gambe.

"Lo sa che è un bel mascalzone?" gli dissi allora, ridendo.

"Certo che lo so. Ma in guerra e in amore tutto è permesso!"

Per tutta risposta, iniziai a sbottonargli la giacca. Sorrise e fece altrettanto con me. Quando fummo entrambi a torso nudo, si chinò su di me e prese a suggermi un capezzolo. Frattanto le sue mani si affaccendavano ad aprirmi i calzoni. Scese lecchettandomi il petto e il ventre. Inginocchiatosi davanti a me, mi fece calare i calzoni e, attraverso la tela dei miei boxer, mi mordicchiò il membro duro.

"Mancava il vino bianco, al suo party... me ne dia lei, ora." disse e calatemi anche le mutande, prese fra le labbra il mio membro duro e iniziò a succhiarmelo.

Poi smise, si rialzò. Mi fece girare e mi sospinse a sedere sul bordo del letto. Mi sfilò scarpe, calze, poi pantaloni e mutande. Si inginocchiò di nuovo fra le mie gambe e riprese a darmi piacere con la bocca. Ci sapeva fare, non era certo un novellino.

Quando però mi sentii pericolosamente vicino al punto senza ritorno, lo forzai a smettere e ad alzarsi in piedi. Gli aprii a mia volta i calzoni, glieli feci abbassare assieme alle mutande, e il suo membro circonciso saltò su, dritto e duro. A mia volta gli resi la cortesia.

"Anche a lei, Dario, piace il vino bianco, allora! Vino americano!" disse ridacchiando.

Annuii senza smettere di dargli piacere. Pensai che era un piacevole modo di festeggiare la mia nomina a vice-direttore. Benedict mi prese il capo fra le mani e iniziò a fottermi la bocca con gusto. Dopo un po' smise, finì di liberarsi degli abiti e con agilità salì sul letto, tirandomi a sé.

"A me piace essere fottuto, Dario. Se la sente di fare una vigorosa monta?"

"Sì... ma non aveva detto che voleva assaggiare il mio vino bianco?" gli chiesi, stuzzicandogli l'ano.

"Lo assaggerò dalla porta di servizio, invece che dalla porta di facciata." ridacchiò, agitando il bacino contro il mio dito inquisitore. Dopo poco si mise a quattro zampe, e, girando la testa a guardarmi, mi disse: "Faccia onore agli stalloni italiani!"

Lo inforcai con vigore suscitando da lui un "Sì!" entusiastico, e quando iniziai a battergli dentro, a ogni mia spinta dava una vigorosa controspinta. Fu davvero una monta scatenata... degna di un rodeo. Benedict venne senza essersi toccato, e subito anche io mi scaricai in lui.

Per un po' restammo immobili, frementi. Poi Benedict esalò un sospiro, si tolse, si stese, e mi disse, con espressione compiaciuta: "Un'ottima performance, Dario! Anche meglio del fattorino di questo albergo!"

"Si è fatto anche lui?" gli chiesi divertito.

"No, lui ha fatto me, e anche il cameriere del piano s'è prestato volentieri a darmi una buona fottuta. Ma lei è quello che mi ha dato più piacere. Dovrebbero farla direttore generale, secondo me. Ahhh! Stanotte dormirò come un angioletto!"

Risi. Scesi dal letto ed iniziai a rivestirmi. Quando lo salutai, mi fece "ciao" con la mano e fece il gesto di lanciarmi un bacio.


Domenica mattina Paolo e io abbiamo fatto un altro giro per Asti, poi abbiamo pranzato con Donato e Lino, quindi siamo saliti di nuovo in camera per fare l'amore prima di tornare a casa.

Quando, al tramonto, l'ho lasciato davanti a casa sua, prima di scendere, ha posato una mano su quella che avevo sulla leva del cambio e mi ha guardato a lungo, in silenzio, sorridendomi. Poi ha emesso un lieve sospiro.

"Grazie, è stato un piacevolissimo week-end. Peccato che devo tornare a casa... Ma ci vediamo, ancora, vero?"

"Sì, lo spero proprio. Hai qualcosa da scrivere? Ti lascio il mio telefono di casa, così mi chiami, quando puoi venire. Sai che normalmente, dopo le cinque, sono a casa. A volte però andrò a cenare in trattoria. Da solo, non mi va tanto di farmi da mangiare."

"Peccato che io non ho il telefono in casa. Comunque mi farò vivo io, ti chiamerò... Grazie di tutto, Dario. Spero di poterti rivedere presto."

L'ho guardato entrare nel portone della casa popolare in cui abitava, si è girato a farmi un ultimo cenno di saluto, ho rimesso in moto e guidato fino a casa mia. Solo allora mi sono ricordato che volevo chiedergli come si chiamasse di cognome, ma mi era di nuovo sfuggito di mente. Beh... avrei avuto un'altra occasione.

Mentre stavo aprendo la porta dell'appartamento, ha squillato il telefono. Irrazionalmente, ho sperato che fosse Paolo. Sono andato in fretta a rispondere. Era Donato.

"Rientrato bene?"

"Sì, senza problemi. Sono appena rientrato, stavo aprendo la porta quando hai chiamato."

"Sei solo?"

"Sì, certo. Paolo è dovuto rientrare, stasera."

"A Lino e a me, quel ragazzo ha fatto un'ottima impressione. Pensi di metterti con lui?"

"È un caro ragazzo, sto bene con lui, ma... dopo Lorenzo, non voglio più legami. Ho sofferto troppo, quando mi ha lasciato."

"Secondo me sbagli, zio. Secondo me Paolo è dieci volte meglio di Lorenzo."

"Sì, così se mi metto con lui e poi mi lascia, ci starò dieci volte più male! No, il gatto scottato gira al largo dal fuoco."

"Lino è d'accordo con me. Fai un errore a non metterti con Paolo. Quel ragazzo ci è piaciuto molto."

"L'avete appena visto... magari vi sbagliate. Comunque, non ho nessuna intenzione..."

"Chi fa l'indigestione... non smette di mangiare per non farla di nuovo."

"E chi è che smette di mangiare. Con Paolo ci scopo, no? Mi piace scopare con quel ragazzo, mi piace molto. Anche chiacchierarci, si capisce. Ad Asti siamo stati bene assieme. Ma non voglio avere più nessun legame."

"Beh... fai come ti senti, zio. Buona notte."

"Notte. Dai un bacio da parte mia al tuo Lino."

Mi sono spogliato, ho indossato una vestaglia e sono andato ad accendere il televisore. Ma non prestavo attenzione al programma... ripensavo a Lorenzo.


Avevo quarantacinque anni quando lo conobbi e lui diciannove...

Io stavo tornando a casa dopo aver passato due piacevoli giorni al mare. Ero a metà strada, era tardo pomeriggio, quando sul ciglio della nazionale vidi un ragazzo che faceva l'autostop. Accostai, misi in folle e tirai giù il vetro del finestrino dalla sua parte. Mi chiese dove andassi. Anche lui stava cercando di tornare in città. Lo feci salire.

Indossava un paio di calzoni di leggera tela beige e un camiciotto a righine marrone chiaro e scuro. Aveva capelli cortissimi, con la sfumatura alta, castano scuro, sopracciglia arcuate, leggere, più sul biondo, occhi azzurri, labbra ben disegnate, lievemente curve in giù, un volto ovale che però andava sul triangolare. Era giovane.

"Studente?" gli chiesi.

"No... militare di leva. All'ospedale militare. Faccio il portantino."

"Quindi hai diciannove anni, venti..."

"Diciannove. Ho appena preso la matura."

"Dopo il militare, farai l'università?"

"Mi piacerebbe, ma forse non posso. Dovrò cercarmi un lavoro."

"Beh, se ci tieni, puoi studiare e lavorare. Non pochi ragazzi lo fanno."

"Non so ancora... può darsi."

"Cosa ti piacerebbe studiare?"

"Legge. Mi piacerebbe diventare avvocato."

"Caspita! Non è uno studio facile."

"Per questo non credo che lavorare e studiare sia così semplice."

"I tuoi non ti possono dare una mano?"

"Sono contadini... ma non padroni, braccianti. Non ce la fanno. Ancora grazie che ho potuto fare le superiori. I miei fratelli sono operai in fabbrica, si sono sposati, sono andati via da casa. Io sono il più piccolo."

"Hai la ragazza?" gli chiesi.

Si girò a guardarmi sorpreso, poi disse: "No."

"Scusa, non volevo mettere il naso nelle tue cose." gli dissi.

"Che c'entra... È solo che... Lei è sposato?"

"Divorziato... dopo una lunga separazione."

"Io non mi sposo." dichiarò.

Non commentai.

"Io sono gay." aggiunse poi.

Questa volta fui io a lanciargli una occhiata sorpresa. "Beh, allora siamo in due." gli dissi allora.

"Ci speravo."

"Perché?"

"Perche mi piaci." rispose passando al tu, e sorrise. "E se ti piaccio anche io... non devo rientrare fino alle dieci."

Lo portai a casa mia, direttamente in camera. Avevo una gran voglia di "assaggiarlo". Ci spogliammo quasi in fretta, ci stendemmo sul letto e lo abbracciai. Mi baciò, deliziosamente, con arte, facendomi subito andare su di giri.

Eravamo stesi su un fianco, io avevo le gambe fra le sue. Sollevò quella sopra piegandola e spinse il culetto a sfregare sul mio palo duro.

"Mettimelo, dai... fammelo gustare tutto!"

Curvai in su il bacino, lui scese con una mano a guidarmelo sulla meta, spinsi... glielo infilai dentro... lui socchiuse gli occhi e si morse un labbro emettendo un basso "mmmhhh" e tolse la mano perché glielo spingessi più a fondo.

Quando iniziai a pomparglielo dentro, mi baciò con passione, un'espressione beata gli si dipinse in volto, e fremette con forza. Staccò le labbra dalle mie e sussurrò: "Dio, mi piace!"

Ricordo che pensai, mentre continuavo a stantuffargli dentro con crescente piacere, che non ci eravamo neppure detti il nome...

"Sì... sì... così!" mi incitava il ragazzo, "dio quanto mi piace... dio che bello... dai... dai!"

Non avevo davvero bisogno di essere incitato, lo prendevo con vigore e il suo godimento nel farsi prendere faceva aumentare velocemente anche il mio, sì che dopo poco mi scaricai in lui con forti spinte. Mi stavo rilassando, appagato, quando anche lui venne.

Dopo un po' il ragazzo mi disse: "Cavolo, se m'è piaciuto!" poi con un risolino aggiunse, "Non so nemmeno come ti chiami..."

Ci presentammo lì, nudi su mio letto. Poi lui guardò l'orologio: "Ti dispiace portarmi all'ospedale militare?" Ci rivestimmo, e l'accompagnai. Prima di scendere dalla mia auto mi chiese: "Se mi lasci il numero di telefono... mi piacerebbe rivederti."

Ci rivedemmo. Per tutta la durata della naja, Lorenzo praticamente passò con me tutte le sue libere uscite e permessi. Se avvertiva, poteva stare anche la notte fuori, a volte, purché rientrasse la mattina per le otto. Così ogni tanto passava la notte con me.

Era simpatico, allegro, aveva un'intelligenza vivace, era molto grazioso sia di volto che di corpo. A letto gli piaceva solo essere preso, ma baciava bene e gli piacevano i sessantanove, quindi per me non vi erano problemi. Era schietto, franco, non diceva mai una bugia, al massimo non rispondeva a una mia domanda. Gradualmente mi innamorai di lui.

Quando stava per terminare il servizio militare, gli proposi di venire ad abitare da me. Accettò. Decisi di pagargli io gli studi. Accettò nuovamente, con buona grazia. Oltre a studiare, mi teneva la casa pulita, andava a fare la spesa... Non mi chiedeva mai una lira e dovevo insistere io per comprargli gli abiti, per fargli avere qualche soldo in tasca.

Facevamo l'amore quasi ogni notte, comunque dormiva sempre con me. Io ero sempre più innamorato di lui. Anche al di fuori del letto, si stava molto bene assieme. Era tenero, affettuoso, un po' come un micetto; quando si guardava assieme la TV mi sedeva in grembo e si faceva coccolare.

Diventando più adulto, si faceva anche più bello. Si faceva sempre in quattro per farmi contento anche nelle piccole cose. Quando tornavo a casa dal lavoro, smetteva qualsiasi cosa stesse facendo, mi veniva incontro e mi abbracciava, mi baciava, poi mi aiutava a cambiarmi... Voleva sempre fare il bagno assieme a me e ci si lavava a vicenda.

Studiava seriamente e passò tutti gli esami nei tempi previsti con buoni voti: aveva una media poco superiore a ventotto/trentesimi.

Nel 1990, in luglio, io fui promosso direttore del Dipartimento di Elettronica Applicata, prendendo il posto dell'ingegner Perotto che era andato in pensione e Lorenzo si laureò, con pieni voti e dignità di stampa. Ero fiero di lui.

Grazie ad alcuni comuni amici, lo feci assumere nel più famoso studio legale della città perché potesse fare pratica, e il titolare dello studio, un "principe del foro", alcuni mesi dopo mi ringraziò per avergli mandato un collaboratore così valente e prezioso. Tutto andava a gonfie vele, io mi sentivo l'uomo più felice della terra.

E venne il 1993. Lorenzo era un gran bel giovanotto di ventisette anni, elegante, raffinato, affascinante. Era il mese di ottobre.

Una sera, mentre eravamo a cena, mi disse: "Dario, io devo lasciarti."

Lo guardai stupito, per un attimo pensai che stesse scherzando ma la sua espressione seria mi fece capire che non scherzava affatto. "Perché? Che è successo?"

"Mi sono innamorato. Vedi... io ti voglio bene, sinceramene, ma non sono mai stato innamorato di te. In questi otto anni sono stato splendidamente con te. Capisco che ti sto dando un dolore, ma..."

"Adesso che sei sistemato... non hai più bisogno di me." gli dissi con amarezza.

"No, Dario. Non ti ho mai sfruttato. Non puoi dirlo, non puoi pensarlo. Non ti ho mai chiesto niente, ho accettato quello che mi volevi dare cercando anche di limitare la tua generosità. Credo di aver ripagato quello che hai fatto per me..."

"Facendomi sfogare a letto?"

"No. A letto... era bello per te quanto per me. Ma facendo tutto quanto potevo per farti stare bene. Non puoi negarlo. Non ti ho sfruttato, onestamente. Però... anche se sono stato molto bene con te, anche se ti stimo, anche se provo affetto per te... non mi sono innamorato di te, non ci posso fare niente. Mi dispiace Dario, so che ti sto facendo del male... ma non posso rinunciare alla mia vita solo per non danneggiare la tua."

Nonostante il profondo dolore, capii che non aveva torto. Non potevo chiedergli di rinunciare a quello di cui si era innamorato, e tenerlo legato a me.

Così Lorenzo mi lasciò, e io decisi che non mi sarei mai più legato a nessuno. Mi ributtai a cercare avventure: per gli otto anni in cui ero stato con Lorenzo, non l'avevo mai tradito... neanche solo con il pensiero. Cercai avventure con un certo cinismo, godendomi quelli che trovavo e poi dimenticandoli appena trovavo qualcuno che mi pareva più desiderabile, più piacevole.


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