QUIETE SERE D'AUTUNNO | CAPITOLO 7 GIOVEDÌ 14 NOVEMBRE |
Avevo messo il bel portamatite che mi aveva regalato Paolo sulla scrivania del mio ufficio, accanto al piccolo portaritratti di ebano scolpito in cui avevo conservato il disegno della capanna lasciatomi da Maurice, e avevo gettato via il vecchio portamatite di plastica. Era stato un regalo realmente gradito. Ho pensato che davvero, pur così diversi e non solo per il colore della loro pelle, sia Maurice che Paolo avevano la stessa tenerezza nei miei confronti. Anche il loro modo di accucciarsi contro di me dopo aver fatto l'amore era pressoché identico. Dopo più di venti anni, Maurice e il suo Daniel (erano ancora assieme!) continuavano a mandarmi un biglietto di auguri e una lunga lettera a ogni Natale. Maurice lavorava come ingegnere-capo alla TV nazionale nigeriana, Daniel era diventato sottosegretario nel ministero della Pubblica Istruzione. Erano sopravvissuti indenni ai vari rovesciamenti di regime politico di quella repubblica del centro-Africa. Ho dovuto smettere di pensare a Maurice e a Paolo, presto assorbito dal mio lavoro. Abbiamo appena avuto un'importante commessa dalla Marina Militare per un sistema di controllo elettronico per le navi. Perciò dobbiamo garantire la "sicurezza": isolare uno dei tre uffici, allestire un ufficio per l'addetto alla sicurezza, munire tutto il personale di uno speciale pass elettronico, tutti gli ingressi (sono solo due, per fortuna) di un rilevatore di impronte digitali sia in entrata che in uscita... e altre amenità del genere per garantire che il segreto militare non sia violato. È un po' una scocciatura, ma è anche una grossa commessa per la Sriplet, e un blasone per il mio DEA, perciò bisogna fare buon viso a cattiva sorte. Il nostro dipartimento logistica sta già stendendo i progetti per la parziale ristrutturazione interna in modo di ricavare l'ufficio per l'addetto alla sicurezza. Si ruberà un metro di spazio alla biblioteca, un metro alla stanza con gli armadietti in cui gli impiegati lasciano i loro cappotti e le loro cose, un metro all'archivio e infine un metro al laboratorio... et voilà: quattro metri per cinque di profondità, ecco i venti metri quadri richiesti per l'ufficio dell'addetto alla sicurezza con tanto di supercassaforte per i progetti. Il che vuol dire demolire tre muri e costruirne quattro, aprire una nuova porta, rifare i pavimenti, una buona parte dell'impianto elettrico, eccetera eccetera... Ma "per la patria", questo e altro. O meglio, per i soldi. D'altronde... è lavoro per il mio Dipartimento, e quindi il sostentamento per le circa ottanta famiglie che ne dipendono. Inoltre bisognerà isolare una parte del pianterreno, dell'officina, perché chi lavorerà per la Marina Militare non sia in contatto con gli altri. Devo anche provvedere a formare una squadra speciale di operai per la nuova sezione. Presto verrà un'ispezione dal Ministero della Difesa per vedere i progetti e dare il nulla-osta all'inizio dei lavori. Poi tre mesi di lavoro. Poi nuova ispezione, insediamento dell'ufficiale addetto alla sicurezza e finalmente l'avvio della nostra progettazione. Come mi ha fatto notare il nostro "beneamato" signor Presidente, una volta che saremo così attrezzati, potremo ottenere altre commesse dalle forze armate, dalla NATO e così via. Mi sento tanto un... guerrafondaio! Anche se il nostro lavoro non riguarda comunque gli armamenti. Durante la sosta per il pranzo, sono andato nella solita trattoria, "Al marcheggiano". Oggi era affollata, e c'era solo un tavolo libero accanto al passaggio fra la prima e la seconda saletta. M'ero seduto da poco e avevo dato il mio ordine alla figlia della proprietaria, quando ho visto entrare Turati e Cabrini. Si sono guardati attorno, hanno parlato con la proprietaria che ha scosso il capo. Stavano per uscire, quando mi sono alzato e ho chiamato il mio capo-officina. "Turati!" Sono venuti verso il mio tavolo: "Oh, direttore..." "Perché non sedete al mio tavolo?" gli ho proposto. "Se non disturbiamo..." "Ma no, affatto. C'è posto per quattro e ci sono solo io." Poi mi sono rivolto alla proprietaria: "Signora Nerina, aggiunga due coperti per i miei collaboratori, per favore." Cabrini era un po' imbarazzato, comunque mi ha ringraziato. "Allora, Turati, ha... affittato la stanza in più che ha nel suo alloggio?" "Sì, direttore, l'ho affittata a Cabrini, qui..." mi ha risposto con un sorriso lieve. "Non gli piaceva la pensione in cui stava." "E da lei... risparmia anche. Giusto, Cabrini?" ho detto allora, un po' maliziosamente. Il giovanotto è arrossito lievemente ma ha annuito. Mi sono detto che ero perfido a metterlo così a disagio. D'altronde non poteva non sapere che io... so di loro due. Forse si chiedeva che giudizio io potessi dare sulla loro relazione. "Mi fa molto piacere, Cabrini, che lei si sia sistemato... meglio. Anche se avere il suo capo tutto il giorno a fianco... può essere... pesante. Ma il nostro Turati è una gran brava persona. Spero che non abbiate problemi." "Stiamo... bene, assieme, signor direttore." mi ha detto Cabrini arrossendo lievemente per la seconda volta. "Bene, me ne rallegro per tutti e due e vi faccio i miei migliori auguri perché continuiate a stare bene assieme, mi creda, Cabrini." Il giovanotto ha annuito e mi ha ringraziato. Turati l'ha guardato con occhi teneri e gli ha sorriso. Poi si è rivolto a me. "Noi possiamo soltanto ringraziarla, direttore, per la sua... comprensione. E anche per avermi suggerito l'idea giusta per risolvere il problema di cui le avevo parlato." "Poca cosa. D'altronde siamo alle porte del terzo millennio, no? Anche se purtroppo c'è ancora tanto pregiudizio... riguardo a certi argomenti. Come ho già detto, a me riguarda solamente la vostra validità come miei collaboratori, e fino a ora posso solo essere compiaciuto di avere un valente capo-officina come lei e un buon operaio come il suo Cabrini." "E noi di avere un capo come lei, mi creda." mi ha detto Turati. Abbiamo mangiato, chiacchierando del più e del meno, un po' di lavoro, un po' d'altro. Cabrini ha parlato poco o nulla. Era ancora un po' imbarazzato. Mi veniva voglia di dire al ragazzo: "ma dai, siamo tutti froci a questo tavolo!" ma non ho detto nulla. Un capo non può dare troppa confidenza ai suoi dipendenti, pur occupandosi di loro al meglio, possibilmente anche sul piano umano. Mi sono ricordato del problema della nuova squadra di operai per la commessa: "Turati, venga nel mio ufficio, per favore, verso le quattro. Dobbiamo parlare della ristrutturazione dell'officina per la commessa." Alle quattro si e presentato nel mio ufficio. Gli ho detto della necessità di formare una squadra, e gli ho chiesto di propormi un valente capo-squadra. Turati mi ha fatto tre nomi. "Serra è un ottimo operaio, ha molta esperienza; Latteri ha un buon ascendente sugli altri operai, ci sa fare; Berruto è quello che ha maggiore anzianità... Sarebbero tutti e tre adatti, penso." "Non mi ha proposto il suo Cabrini... eppure mi pare un buon operaio." "Sì, lo è, ma... non voglio fare favoritismi, direttore." "Questo le fa onore, però non deve neppure valutarlo meno degli altri solo per non fare favoritismi. Ha seri motivi per non includerlo nella rosa?" "No, affatto... È che non vorrei che lei pensasse..." "Turati, io mi fido del suo giudizio e penso che lei sia una persona corretta. Non sarebbe adatto Cabrini?" "Mah, sì... però lei capisce che ho una... predilezione per lui che potrebbe falsare il mio giudizio." "Il nuovo capo-squadra deve collaborare con lei nel migliore dei modi. E deve avere la sua piena fiducia. Inoltre Cabrini non è né fra i più giovani né fra i più anziani. Certo, se lei pensa che non sia la persona adatta, non posso che accettare il suo giudizio." "Onestamente, non credo... non penso di sopravvalutarlo, secondo me è un ottimo operaio." "Bene. Perciò si tratta di scegliere fra Latteri, Berruto, Serra e Cabrini. Mi dica ora i punti negativi di ognuno di loro." "Non ci sono veramente punti negativi, direttore. Berruto forse è quello che ha meno polso dei quattro... Latteri tende a fare qualche favoritismo, cioè ha simpatie e antipatie un po' troppo marcate, secondo me. Cabrini... deve solo avere più... fiducia nelle sue qualità, essere un po' più sicuro di sé e prendersela meno per quanto ancora non sa fare. Serra sarebbe il migliore, ma è cagionevole di salute e spesso deve prendere qualche giorno di permesso, il che diminuisce la sua continuità di impegno." Discutemmo, e alla fine gli dissi: "Bene, da quello che mi ha detto, mi pare che i più adatti siano Cabrini e Latteri. E poiché fra i due quello su cui lei ha il maggiore ascendente è certamente Cabrini, penso che sia lui la persona da promuovere a capo-squadra." "Non vorrei che..." "Turati, parliamoci chiaro: non è certo perché il ragazzo viene a letto con lei, mi scusi la franchezza, che diventerà capo-squadra. D'altronde lei non ha certamente fatto favoritismi nei suoi confronti, anzi, se non le chiedevo io di Cabrini, non me ne avrebbe neppure parlato. Apprezzo la sua correttezza, ma se Cabrini non deve essere favorito per essere il suo compagno, non deve neppure averne un handicap." "Lei è molto buono, direttore." "No, Turati. Io devo solo fare in modo che il nostro Dipartimento funzioni bene, né più né meno. Mi interessa di più essere un buon direttore che un direttore buono. Comunicherò all'ufficio personale la mia scelta del nuovo capo-squadra." "Posso dire a Pino... a Cabrini, che lei lo ha scelto come nuovo capo-squadra?" "Non ancora. Preferisco che lo venga a sapere quando riceverà la comunicazione dall'ufficio personale." "Grazie, ingegner Farini." "Grazie a lei, Turati." Uscito Turati, ho chiamato Nella e le ho detto di mandare la comunicazione all'ufficio personale che Cabrini sarebbe stato il nuovo capo-squadra, in vista della ristrutturazione del nostro Dipartimento. "Il Cabrini? Mi sembra un'ottima scelta, ingegnere!" ha commentato Nella. "Ah sì? E perché? Lo conosce?" le ho chiesto, incuriosito. "Non direttamene. Ma sa, io qui ho un po' il polso di come vanno le cose. Non ho sentito mai nessuno dei nostri ingegneri o periti lamentarsi del suo lavoro, rimandarglielo indietro. Pare che tutti siano contenti di lui. Quando dice che può finire un lavoro in tot giorni, è sempre puntuale o anche in anticipo sulle previsioni. In cinque anni da che lavora qui non è mai arrivato in ritardo, non ha mai chiesto neanche un'ora di permesso." "Non sapevo di avere un'agente dell'FBI alle mie dipendenze!" l'ho presa bonariamente in giro. "Eh! Quante cose non sa, lei, direttore!" ha scherzato in risposta la mia segretaria. "Ma vede, essendo io l'unica donna qui dentro, e poiché non ho mai fatto pettegolezzi... un po' tutti si confidano con me senza problemi." "L'unica donna? E la Salviati? E la Berti? La Rossi?" ho detto nominando le tre segretarie dei capo-ufficio. "Oh, quelle sono solo ragazzine. Non vede come tutti... o quasi, gli fanno la ronda?" "E... mi dica... che cosa sa di me?" le ho chiesto allora, con un sorrisetto. "Dopo tanti anni al suo fianco, so tutto di lei, mi creda, veramente tutto!" mi ha detto con un vago sguardo di sfida nei suoi occhi ridenti. "Oh, mio dio! Allora sono nelle sue mani!" ho scherzato. "Non si preoccupi, ingegnere. Ormai dovrebbe sapere che può fidarsi totalmente di me. Non permetto mai alla squadra di pulizia di lavorare nel suo ufficio se non ci sono io presente." mi ha detto e il suo sguardo si è posato, per un brevissimo attimo, sulla cornice di ebano con il disegno di Maurice. Sì, molto probabilmente Nella sa veramente "tutto" di me... Tornato a casa, mi sono messo subito a preparare la cena per me e Paolo. Ha squillato il telefono. Mi sono chiesto se non fosse lui che mi diceva che non poteva venire. Mi sono asciugato le mani e sono andato a rispondere. "Zio? Sono Donato. Come stai?" "Donato! È un secolo che non ti fai sentire. Io sto bene, e voi?" "Noi bene. Però ti devo sgridare! Solo per caso ho scoperto che nel week-end vieni da noi... Hai una uova fiamma, zio?" "Non proprio... l'ho appena conosciuto. Però, anche se mi piace molto, dopo Lorenzo non voglio più niente di... serio." "Secondo me sbagli, zio. Non puoi chiuderti a riccio solo perché quello ti ha ferito." "E che, ti metti a farmi la paternale desso?" gli ho detto in tono semiserio. Ci siamo beccati ancora un po', poi mi ha detto che ci aspetta sabato pomeriggio. Poco dopo ha suonato Paolo: era in anticipo. "Sono arrivato troppo presto?" mi ha chiesto. "No, affatto. Entra." Mi ha porto un pacchetto. "Eh no, Paolo! Mica verrai ogni volta con un regalo, no?" gli ho detto, prendendolo. "E perché no? Non lo sai che un regalo fatto di cuore dà più gioia a chi lo fa che a chi lo riceve? Mi vuoi negare questo piacere?" "Beh... se la metti così... Non voglio negarti nessun piacere. Vieni, sto ancora cucinando." Il pacchetto conteneva un puffo, anzi, il grande puffo. "Ehi, ma io mica ho ancora questa barba bianca!" ho protestato scherzoso. "No, è vero... ma guarda come sorride: appena l'ho visto m'è sembrato di vedere esattamente il tuo sorriso, perciò non ho potuto fare a meno di comprarlo." "E come sorrido, io?" "Proprio come quel grande puffo, no?" ha risposto ridendo lieve. L'ho attirato a me e l'ho baciato. Lui ha risposto con calore al mio bacio, poi si è staccato da me: "Non far bruciare la cena... o cambio ristorante!" "Mi sa che tu vieni qui più per la mia cucina che per me." l'ho stuzzicato io. "Tombola! Sai che comincio a pensare che tu sia intelligente?" ha ribattuto prontamente, con occhi ridenti, mettendosi a sedere. Mi sono dedicato di nuovo ai fornelli. Lui stava seduto rilassato, appoggiato allo schienale, le gambe lievemente allargate e un po' stese, in una posa che me lo faceva sembrare più sensuale e desiderabile che mai. "A che pensi?" mi ha chiesto. "A te, evidentemente. Sai che quasi quasi spengo i fornelli e ti porto subito in camera?" "Tentatore... Io ti ci seguirei senza nessun problema, comunque." "Abbiamo tutta la notte... Ora credo che sia meglio rifocillarci per avere sufficienti forze." "Ti sei addormentato sulla tua scrivania, stamattina?" "No, al contrario. Non mi sono mai sentito così pieno di energie... grazie a te. E tu, al lavoro? Tutto bene?" "Sì. Come al solito. Anche se scopare non è proprio il mio ideale..." ha risposto, ma quando ha visto il mio sorrisetto, ha aggiunto: "Ehi, non in quel senso, Dario! Scopare su un letto mi è sempre piaciuto. Tu dovresti saperlo, no?" "Ah, meno male, ero già preoccupato... Ho già prenotato la stanza nell'albergo di Asti." "Ottimo. Ma davvero non fanno storie che prendiamo una camera matrimoniale?" "No, mai nessuna storia. Il direttore è mio nipote... inoltre è gay anche lui." "Il figlio di tuo fratello?" "E che, mi facevi già nonno? Ah, ecco perché m'hai regalato il grande puffo, allora!" Ha riso. "Mi sa che ho sbagliato regalo. Proprio non ti va giù!" Ci siamo messi a tavola. Mi piaceva l'allegria di Paolo, il suo senso dell'umorismo, la sua battuta sempre pronta. Poi ha voluto aiutarmi a rigovernare. Siamo andati a guardare un po' la TV, seduti fianco a fianco, semiabbracciati. Lui aveva appoggiato il capo sulla mia spalla, e commentava con me le notizie del telegiornale. Poi hanno trasmesso un documentario sulla Grande Muraglia cinese. Paolo ha cominciato a carezzarmi lievemente... fino a farmi dimenticare il pur interessante documentario. È venuto sulle mie gambe, mi ha baciato. Presto ha sentito la mia erezione premergli sotto. "Dai... portami di là... io non resisto più!" mi ha bisbigliato. Lasciando il televisore acceso, l'ho guidato fino alla mia stanza. Anche io non resistevo più, né avevo voglia di resistere. Ci siamo denudati l'un l'altro, lentamente, baciandoci per tutto il corpo man mano che lo scoprivamo. L'ho attirato con me su letto. Quanto mi piaceva Paolo! Mi sono detto che dovevo godermelo, finché fosse durata. Nonostante mi sentissi fortemente attratto sia dalla sua personalità, che dal suo corpo, che dal suo modo di fare l'amore, continuavo a ripetermi che quella era solo un'avventura migliore di altre. Non so perché, la mente è spesso un mistero, mi tornò in mente Marco, il maestrino...
Era il 1975. Maurice era andato via da poche settimane. Mi sentivo solo, ora che m'aveva dovuto lasciare. Era una sera di fine estate. Mi sentivo irrequieto. Decisi di uscire per cercarmi un compagno, un'avventura che mi aiutasse a lenire la mia solitudine. Andai al parco del palazzetto dello sport, dove avevo incontrato Maurice. Lo girai tutto, senza vedere nessuno che mi attraesse in modo particolare. Mi stavo chiedendo se tornare a casa, fare un altro giro lì o provare al parco del lungofiume, quando lo vidi arrivare. Indossava pantaloni e giacchetta di jeans aperta su una maglietta color crema. Aveva capelli neri, lisci, con una frangia aperta sugli occhi e in centro un ciuffetto che gli disegnava una virgola fin sul naso. Man mano che mi giungeva più vicino, alla forte luce di un lampione, notai che le sue iridi erano di un azzurro-acciaio, aveva labbra dolci, da baciare! Anche lui mi stava guardando, mentre ci si avvicinava. Quando mi fu quasi di fronte, fece un lieve sorriso: "Scusa, mi puoi dire che ora è?" "Mancano cinque minuti a mezzanotte." "Grazie. Una gradevole serata, questa, vero?" mi chiese. "Potrebbe diventarlo anche di più." gli dissi guardandolo dritto negli occhi, con desiderio. "Sì, è vero. Specialmente se si è in buona compagnia. Tu... aspetti qualcuno?" "Forse... aspettavo proprio te... non so." Sorrise: "E sono arrivato, sono qui. Hai un posto?" Lo portai a casa. Non ci eravamo neppure sfiorati. Lui si guardò attorno, poi mi disse: "Io mi chiamo Marco." "Io sono Dario. Sei bello." "Anche tu. Quanti anni hai? Io ne ho ventuno." "Trentacinque. Hai fretta?" "No. Non m'aspetta nessuno. Posso togliermi la giacchetta? Fa caldo qui da te." "Anche tutto il resto." gli dissi ammiccante. Sorrise: "Ma... qui? Non è meglio se mi porti in camera?" Dopo poco eravamo stesi nudi sul mio letto, abbracciati e ci si stava baciando a fondo, frementi, pienamente eccitati. Gli palpai il bel culetto sodo e con un dito gli stuzzicai il buchetto. "Mi vuoi prendere?" mi chiese. "Se ti piace... A me piace tutto." "Sì... preferisco prenderlo, io. Da davanti, se per te va bene." mi disse carezzandomi il membro durissimo e fremente. Restando abbracciati, lo feci stendere sulla schiena. Marco allargò le gambe permettendomi di inserirvi le mie. Il mio membro spinse un poco fra le sue natiche e il lenzuolo. Sentivo il suo membro palpitare con vigore contro il mio ventre. Sciolsi il mio abbraccio e mi sollevai un poco. Marco si tirò le gambe ai lati del torso, facendo ruotare un po' in su il culetto. "Dai!" mi sussurrò. Mi misi in ginocchio accoccolandomi sui talloni e mi chinai su di lui. Gli divaricai le chiappette e mi abbassai a leccare il foro nascosto, preparandolo. Gemette un basso "sì...". Lo preparai a lungo, stuzzicandolo con la punta della lingua e con le dita. Fremeva sempre più forte. "Dai... mettimelo." implorò quasi. Mi sollevai. Aveva gli occhi chiusi e si passava la punta della lingua sulle belle labbra. Guidai il mio membro sul foro e iniziai a spingere. Mi si schiuse sotto e mi accolse emettendo un lieve gemito di piacere. Mi immersi in lui in un'unica, calma ma determinata spinta, finché sentii le sue natiche contro il mio pube. Mi fermai, sistemandomi meglio. "Dai..." mormorò di nuovo. Iniziai a sfilarmi, poi a spingerglielo nuovamente dentro, avanti e dietro, e lui, gli occhi sempre chiusi, sorrise compiaciuto. "Oh... che bello." sospirò, agitando lievemente il bacino, facendo palpitare l'ano e il membro a ogni mia spinta. "Ti piace, Marco?" "Sì, molto. Sai fottere bene. Sì, mi piace." Man mano che il piacere si rafforzava in me, i miei va-e-vieni divennero più vigorosi, rapidi, appassionati. Marco iniziò a scuotere lievemente il capo a destra e sinistra e le sue gote lentamente si imporporarono man mano che l'eccitazione aumentava in lui. Le sue mani salirono al mio petto e mi sfregò i capezzoli. Riaprì gli occhi e mi sorrise. "Anche tu mi piaci, Marco." Annuì. Il suo respiro si fece gradualmente più profondo, il suo corpo si tese... e si scaricò fra i nostri corpi in una serie di forti getti. Il suo orgasmo, quasi immediatamente, scatenò il mio. Mi spinsi in lui fino in fondo e, con un basso mugolio, gli versai dentro tutto il mio tiepido liquore. Lui mi strizzò con più vigore i capezzoli duri, senza farmi male anzi accentuando il mio piacere. Quando capì che avevo sparato la mia ultima cartuccia, mi cinse il collo con le braccia e mi tirò a sé. Ci baciammo a fondo, a lungo, finché entrambi fummo rilassati. Mi tolsi da sopra a lui stendendomi al suo fianco e lo presi di nuovo fra le mie braccia e le mie gambe. Sentivo l'umido scivoloso del suo seme fra i nostri ventri e i nostri petti. "Andiamo a farci una doccia?" gli proposi. "Sì... fra poco... È stato molto bello. Mi lasci dormire qui con te?" "Volentieri. Ma domattina mi devo alzare alle sette, per andare al lavoro." "Anche io devo andare a scuola. Va bene." "Fai l'università?" "No... sono maestro alle elementari." "Ti piace insegnare?" "È il mio primo anno... però mi piace molto. Ho solo un incarico annuale. Se... se metti la sveglia alle sei, sei e mezza... potremmo di nuovo fare l'amore. Ti va?" Annuii e lo baciai di nuovo. Così cominciò la nostra relazione. Dopo un mese accettò di venire ad abitare con me. Quando tornavo a casa dall'ufficio lo trovavo impegnato a correggere i compiti, a preparare la lezione per il giorno seguente. Nel pomeriggio voleva pulire casa, la teneva a specchio. A volte mi faceva vedere i pensierini, i disegni dei suoi scolari. Ebbi l'impressione che, nonostante la sua giovane età, fosse un ottimo insegnante. Era abbonato ad alcune riviste di pedagogia e spesso ne discuteva con me gli articoli. Per due anni fu riconfermato nel suo posto di insegnamento. Poi un insegnante di ruolo gli prese il posto. Ne fu dispiaciuto, ma era riuscito a portare i suoi ragazzini fino in quinta. Quello che però dispiacque a tutti e due fu che il nuovo posto di insegnamento che gli fu assegnato era in una piccola scuola di montagna, a più di sessanta chilometri dalla nostra città perciò, dopo tre anni di piacevole relazione, ci si dovette lasciare.
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