QUIETE SERE D'AUTUNNO CAPITOLO 6
MERCOLEDÌ 13 NOVEMBRE, NOTTE

Paolo stava accucciato contro di me, la guancia appoggiata sul mio petto, e mi carezzava lievemente. Avevamo appena finito di fare l'amore e attendevamo, godendoci in silenzio i "postumi" del godimento che avevamo raggiunto assieme, che i nostri cuori e i nostri respiri tornassero alla normalità.

"Dio, se sto bene, così con te!" ha mormorato Paolo.

"Anche io, cucciolotto."

"Mi piace..."

"Fare l'amore con me?"

"Anche, certo. Ma che mi hai chiamato cucciolotto."

Gli ho carezzato i capelli. "Sei un cucciolotto. Come un micetto, vivace e appassionato quando... giochi con me, e poi tenero che fai le fusa come ora." gli ho detto.

Ha sollevato un po' il capo e gli occhi fino a incontrare il mio sguardo e ha ricambiato il mio sorriso. Mi ha carezzato una gota. Poi ha esalato un lieve sospiro.

"Quando tornerà mamma, non potrò più passare la notte con te... o per lo meno molto di rado." ha detto a voce bassa. Poi, in tono esitante, ha aggiunto: "Sempre che tu mi vuoi ancora con te, si capisce."

"Per ora non vedo nessun motivo per non volerti ancora qui... al contrario, ne vedo molti per volertici."

"Beh... farò in modo di non darti motivi per non volermi più. Sto davvero molto bene con te. Sono solo quarantotto ore, poco più, che t'ho incontrato, ma mi pare come se ti conosco da un pezzo."

"Visto che tua madre non torna fino a domenica sera, che ne dici se sabato dopo pranzo partiamo e andiamo assieme da qualche parte? Passiamo la notte fuori, e ti riporto in città per domenica pomeriggio."

"Bello!"

"Dove ti piacerebbe andare?"

"Non so... Fa un po' freddo, in questi giorni, il tempo non è granché bello, altrimenti mi piacerebbe se tu mi portassi al mare."

"Che ne dici se andiamo ad Asti? Ci sei già stato?"

"No... che c'è di bello ad Asti?"

"Tutta la città antica è bella. E c'è un alberghetto in cui sono già stato, dove possiamo prendere una sola stanza senza problemi. Hanno anche un ottimo ristorante. Se il tempo è bello, si va a passeggio, se è brutto, si va a vedere qualcosa e poi si sta in albergo..."

"A fare l'amore."

"Certo... ma quello anche se il tempo è bello." gli ho risposto sorridendo.

"Io... a dire la verità... avrei voglia di farlo di nuovo... adesso."

"Vuoi che domattina in ufficio io caschi dal sonno sulla scrivania?"

"Basta che non ti veda il tuo capo..." ha detto Paolo con un risolino. "Dai, non hai voglia, tu?" mi ha chiesto carezzandomi i genitali, che subito hanno cominciato a riprendere consistenza.

"Se fai così... la voglia sì che me la fai venire, monellaccio!"

"Non sono più un cucciolotto?" mi ha chiesto con espressione maliziosa ed è scivolato giù a darmi piacere con le labbra.

Mi sono arreso al suo desiderio... senza nessuno sforzo, anzi... Mi sono girato per dare a lui lo stesso piacere. Paolo è un gran bel ragazzo, anche nel reparto di cui mi stavo prendendo golosamente cura. Ha un membro di medie dimensioni, perfetto, liscio, dritto, forte, testicoli quasi glabri, sodi, è un piacere guardarlo, toccarlo, prenderlo fra le labbra o anche sentirselo muovere dentro.

Dopo un po' mi sono offerto a lui che prontamente si è immerso in me e ha iniziato a darmi piacere muovendosi dentro e fuori con lunghe e salde spinte. Mentre mi prendeva, mi sorrideva, lieto. Gli ho sfregato delicatamente i capezzoli e lui ha emesso un lieve gemito di gradimento.

Ogni volta che si immergeva in me, il suo forte palo sfregava contro la mia prostata mandandomi ondate di piacere per tutto il corpo. Se anche avevo "ceduto" al suo desiderio, ora ero io a esserne preda, e attendevo che raggiungesse l'orgasmo per poterlo prendere a mia volta. Spiavo sul suo bel volto i sintomi del crescere del suo piacere, nelle sue spinte che si facevano gradualmente più rapide ed energiche... e finalmente si è scaricato in me per la seconda volta, con un lungo, sommesso mugolio.

Allora l'ho fatto stendere sulla schiena, gli ho preso le gambe sulle spalle e l'ho infilato a mia volta, in preda a un forte desiderio. Quel ragazzo aveva il potere di farmi sentire di nuovo un giovanottello pieno di energia.

"Dio, che bello, Dario!" ha mormorato.

"Sì." ho confermato allegramente.

"Non so... neanche io... se mi piace di più... prenderti o... farmi prendere..." ha quasi ansimato.

"Proprio come a me." gli ho risposto in un soffio.

Ho pensato che non m'importava nulla se il giorno dopo mi sarei sentito stanco... ne valeva la pena!

Paolo stringeva lo sfintere ogni volta che arretravo e lo rilassava quando spingevo, accentuando così il mio piacere. Tolte le gambe dalle mie spalle, le ha divaricate al massimo e mi ha tirato giù a sé, per baciarmi. Le nostre lingue hanno giocato, dapprima lievi, poi ci siamo uniti in un profondo e appassionato bacio mentre continuavo a muovermi nel suo caldo e dolce canale.

Ho sentito l'orgasmo impadronirsi nuovamente di me, tutto il mio corpo era avvolto da un gradevole e crescente calore, i miei muscoli erano sempre più tesi, mi sono sollevato di nuovo per dare maggiore energia alle mie spinte e finalmente ho iniziato a schizzare in lui.

"Sì... dai... sì... così!" mi incitava a voce bassa e calda Paolo, sottolineando in quel modo ogni mia spinta.

Dopo l'ultima mia contrazione, mi sono abbandonato su di lui, ansante.

"Non sono più un ragazzino, io." gli ho mormorato, però sentendomi felice e soddisfatto.

"A me pare proprio di sì, invece. Non hai proprio niente da invidiarmi." mi ha risposto e mi ha abbracciato, quasi cullandomi.

Ci siamo addormentati così, le luci ancora accese, dolcemente spossati e finalmente sazi... almeno per un po'.

Mi sono svegliato che erano le tre e trenta. Il nostro abbraccio si era sciolto e ora Paolo giaceva supino, una gamba stesa, l'altra ripiegata, un'espressione serena sul bel volto. Sono sceso con cautela dal letto per spegnere la luce centrale, poi sono tornato a stendermi accanto a lui. Paolo ha emesso un lieve gemito e mi si è accoccolato contro, continuando a dormire.

Ho pensato che solo un altro ragazzo aveva saputo suscitare in me altrettanta tenerezza...


Avevo trentuno anni. Tina mi aveva lasciato da otto mesi. Al lavoro il direttore, l'ingegner Perotto, era riuscito a ottenere più personale, quindi ci aveva suddivisi in due uffici, nominandomi capo-ufficio. Proprio in quel periodo il nostro dipartimento fu trasferito nella palazzina ove è tutt'ora e dove allora avevamo spazio da vendere. E mi fu assegnata Nella come segretaria.

Ero stato promosso da poco quando un gruppo di studenti del politecnico, guidati dai loro professori, venne a visitare il nostro dipartimento. Notai subito un ragazzo alto e snello, del colore della cioccolata fondente, crespi capelli neri, un volto tondo e sorridente, luminoso, belle mani dalle lunghe dita. Aveva un modo di muoversi elegante e sensuale. Faceva più domande degli altri studenti, in un italiano sufficientemente corretto.

Mi sentii subito fortemente attratto da lui. Sentii che uno dei compagni lo chiamava Maurice... o Morris... Uno dei docenti che accompagnava i ragazzi era stato mio compagno di corso. Lo presi un attimo in disparte e gli chiesi chi fosse quel moretto.

"Viene dalla Nigeria, si chiama Maurice Bombata, ha venti anni ed è uno yoruba di Lagos. Ha una borsa di studio governativa."

"Fa domande pertinenti." notai.

"È un buono studente, si impegna molto. Se continua così, fra quattro anni si laurea e anche con buoni voti, secondo me."

"Vive in collegio universitario?"

"Sì, certo. La borsa di studio non gli permetterebbe di pagarsi un alloggio e per quanto ne so, la famiglia non è povera ma neppure benestante."

La visita finì, e, preso dai miei impegni, non pensai più a quel seducente ragazzo.

Poco più di una settimana dopo, una sera tardi ero nel parco del palazzetto dello sport per vedere se riuscivo ad agganciare un ragazzo per la notte, quando ne notai uno di colore che immediatamente mi richiamò alla mente il giovane nigeriano: non ne vedevo il volto, ma il suo modo di muoversi, di camminare era quello che ricordavo e che mi aveva colpito. Stava camminando quietamente nel marciapiede che costeggia il viale est, allontanandosi da dove ero.

Lo raggiunsi a passo svelto, e quando gli fui a fianco, lo guardai in volto: era proprio lui.

"Maurice?" lo salutai.

Mi guardò leggermente meravigliato, poi, in tono un po' imbarazzato, mi disse: "Ingegnere..."

"Ti ricordi di me?"

"Sì, alla Sriplet... Però non ricordo suo nome... Scusi."

"Sono Dario Farini. Come mai qui a quest'ora? Non ha già chiuso il collegio universitario? Sei rimasto chiuso fuori?"

"Sì... rimasto chiuso fuori."

"E che fai, pensi di passare la notte all'aperto?"

"Io no ho denaro per pagare albergo."

"Ma qui... non sai chi ci viene, di solito? Per che cosa?" gli chiesi allora.

Sembrò ancora di più imbarazzato, infatti abbassò lo sguardo, poi ammise: "Sì, so. Ma che può fare, io?"

"Lo sai e... speri che qualcuno... ti offra di passare la notte... con lui?"

"Che può fare, io?" ripeté scuotendo il capo.

"Ma tu, Maurice... accetteresti di... fare quelle cose con uno sconosciuto?"

"Non dispiace fare cose. Dipende da uomo, se gentile..."

"Vuoi dire che ti piace farlo con un uomo?"

"Se gentile..." ripeté, sempre senza guardarmi.

"E... lo faresti con me?" gli chiesi allora, non credendo alla mia fortuna.

Mi guardò sorpreso, poi, a voce bassa mi chiese: "Ma a lei piace fare cose con ragazzo? E anche con ragazzo nero?"

"Nero, bianco o verde, poco importa. Sì, mi piace... e tu mi piaci. Se ti va... puoi venire a casa mia. Però, se non ti va, puoi venire ugualmente: ho un'altra stanza e puoi anche dormire da solo."

Fece un timido sorriso e disse: "No, da solo, no. Se ingegnere piace Maurice, io piace ingegnere... Penso che ingegnere è uomo bello e gentile."

"Bene. Veni, allora."

"Grazie. Io piace molto ingegnere, quando visto prima volta in Sriplet, non pensavo ingegnere piace Maurice." disse, ora con un ampio sorriso. Poi corrugò la fronte, e disse: "Ma io non fa cose per denaro, ingegnere. Mai fatto per denaro!"

"D'accordo, Maurice. Va bene. Hai qualche amico con cui lo fai?"

"No, da circa uno anno io mai trovato. Solo una volta venuto qui ma uomini che voleva me non volevo io e uomini che volevo io non voleva me... Qualcuni anche detto che io sporco negro... Anche se io fa doccia ogni giorni!" concluse con un buon senso dell'umorismo.

"E in Nigeria, avevi un amico?"

"Sì, ho amico molto carissimo, che me preso in casa e me pagato tutto liceo... E che molto bello in suo letto, anche. Quando preso me, io quattordici anni, quando venuto in Italia io diciannove anni, che fa cinque anni io e lui. Io, quando prende laurea torna da lui."

"Più vecchio di te, perciò."

"No vecchio lui. Lui mio maestro quando prima di quattordici anni. Lui dieci anni più di io. Credo che ha sua età, ingegnere. Lui preso in casa e pagato studi. Io innamorato di lui e una notte andato in suo letto e lui dice tu troppo giovane, e io dico, non tanto io già fatto con miei amici io voglio fare con te... E lui dopo io rotto scatole tante notti, una notte dice e va bene, come tu chiede! Così io diventato suo boyfriend sempre fedele... ma adesso lui manca me e così... Io scrive sempre lui lunghe lettere e detto io troppo solo e lui detto Maurice cerca amico italiano, io contento, però io aspetta te, ritorna quando finito studi. E io ritorna perché ama lui e ama mia Nigeria."

Ora che le cose erano in chiaro con me, era diventato loquace, e sorrideva spesso... e lo desideravo anche più di prima.

"Ingegnere non ha ragazzo boyfriend?"

"No, nessuno. Ne ho avuto qualcuno, ma è finita. L'ultimo circa un anno fa."

"Ah, uno anno come io! Difficile stare soli, vero?"

"In questo anno ho avuto qualche avventura, però."

"Ah, bene, meglio, allora. Mio amico di Nigeria, Daniel Oshodi... Oshodi significa guerriero..."

"E il tuo cognome, che cosa significa?"

"Io Bombata. Bombata significa conquistatore."

"Io invece Farini, che pare venga dalla farina per fare il pane..."

"Allora ingegnere buono come pane."

"Spero. Ma non chiamarmi ingegnere, chiamami Dario e dammi del tu."

"Sì? Posso? Molto gentile... Dario, è anche molto bello a miei occhi. Però... Daniel molto bello a mio cuore!"

"È logico, ne sei innamorato."

"Sì, innamorato."

Arrivati a casa, lo portai nella mia camera dove ci spogliammo, stando ai due lati del mio letto. Lui ripiegava accuratamente gli abiti e li metteva sulla sedia. Mentre ci denudavamo ci si guardava e quando fummo nudi, inalberavamo entrambi una bella erezione.

"Non sei circonciso." notai un po' sorpreso. "Non sei musulmano?"

"No, io cristiano, anglicano come mio Daniel."

Aveva un corpo completamente glabro, e anche sul pube i peli erano minuscoli ricciolini fitti fitti. Era forse un po' magro, però i muscoli del petto e del ventre erano ben delineati e la pelle era liscia e, scoprii quando salimmo sul letto e ci abbracciammo, setosa, gradevolissima da accarezzare.

"Tu mio primo uomo bianco." ridacchiò Maurice.

"E tu sei il mio primo uomo nero." gli dissi prendendogli il membro in mano mentre anche lui afferrava il mio.

"Perché voi dite uomo nero per dire uomo cattivo?" mi chiese a un certo punto, dopo che ci eravamo baciati, e che ci si era uniti in un piacevolissimo sessantanove.

"Non c'entra niente con voi africani, per quello che ne so io. L'uomo nero per far paura ai bambini, è nero come il carbone, come la notte, come il buio più totale. Tu comunque non sei un nero, sei color cioccolato."

"Anche tu non bianco, ma rosa... bel rosa come fiore di rosa. Tu vuoi mettere tuo bel bastone rosa in mio culetto cioccolata? Per favore?"

"Sì, Maurice, ma voglio anche il tuo bel bastone cioccolata nel mio culetto rosa."

"Però prima chiesto io!" mi disse con un sorriso birichino, mettendosi a quattro zampe.

Lo presi e lui mi si spingeva contro, con evidente piacere, e a ogni mia spinta mormorava qualcosa che non capivo.

"Che stai dicendo?"

"At last... finalmente..."

Poi fu lui a prendere me, e volli che mi prendesse da davanti. Mi piaceva guardare il suo sorriso mentre mi batteva dentro con gentile virilità. Mi piacque vederlo raggiungere l'estasi dell'orgasmo dentro di me, fremendo, tremando per tutto il corpo, mentre mi si spingeva dentro per un'ultima volta con tutto il suo vigore.

Poi, quando ci stendemmo, abbracciati, rilassandoci appagati, si accoccolò contro di me, una guancia appoggiata sul mio petto, un sorriso beato sul bel volto. Ci addormentammo così.

Cominciò a passare sempre più spesso le sue notti con me, e io ero via via più conquistato dalla sua dolcezza, dalla sua bontà, come pure dalla sua intelligenza.

Così alla fine, tre mesi dopo quella prima notte, gli proposi di lasciare il collegio universitario e di venire a vivere con me, in modo che non dovesse spendere la sia pur modesta retta al collegio, e lo aiutai anche nei suoi studi.

Tre volte l'anno, gli facevo fare una telefonata in Nigeria al suo Daniel: in occasione del proprio compleanno, di quello di Daniel e del Natale-Capodanno.

Per i quattro anni fino alla sua laurea, fu un compagno delizioso. Si laureò a pieni voti, feci per lui una bella festa di laurea e di addio. Poi lo accompagnai all'aeroporto per il suo definitivo ritorno in Nigeria. Fu un addio pieno di emozione.

Poco prima di oltrepassare il controllo dei passaporti, mi consegnò una busta, e mi disse: "Aprila solo quando sei a casa, per favore."

"Sì, Maurice. Buon viaggio. Scrivi, qualche volta... Mi farà piacere."

"Certo! Più di qualche volta. Addio, Dario!"

"Addio, Maurice."

Attesi fino a quando l'aereo rollò sulla pista e s'alzò in volo, agitando il braccio sperando che dal suo posto potesse vedere il mio ultimo saluto. Poi tornai a casa.

Qui giunto, sedetti in salotto e aprii la busta che mi aveva dato. C'era un cartoncino su cui aveva scritto, in perfetto italiano, con la sua grafia all'inglese, in cui le "I" maiuscole sono un riccio e le "T" maiuscole sono come le nostre "I" maiuscole:

"Carissimo Dario,

Dirti grazie per questi quattro anni che hai voluto passare con me è troppo poco.

Voglio che tu sappia che se non fossi stato innamorato del mio Daniel, mi sarei innamorato di te.

Ti auguro di trovare un ragazzo che sappia amarti come veramente tu meriti.

Ma sappi che nella capanna del mio cuore, c'è e ci sarà sempre un giaciglio per il mio Daniel,

ma c'e anche, e ci sarà sempre, una fiamma accesa per te. Il tuo Maurice."

Sul retro aveva disegnato, in modo veramente artistico, a colori, una capanna aperta, con dentro una stuoia a mo' di giaciglio e accanto un focherello.

Piansi.


DIETRO - AVANTI