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una storia originale di Andrej Koymasky


I TRE BUDDA CAPITOLO 8
UNA DUPLICE VISITA

Goroh parcheggiò la sua fuoriserie fuori dal recinto dei templi del Sanbutsu-ji. Pellegrini, monaci di altri templi e turisti iniziavano ad affluire, in autobus, a piedi, con le loro auto private. I venditori stavano già allestendo i loro variopinti banchetti con cibarie, bevande, dolciumi, ricordi, oggetti d'artigianato.

Goroh pagò il biglietto di ammissione e consultando le piccole guide che aveva preso in albergo, si inoltrò a visitare i templi e i loro tesori, gradualmente inerpicandosi su per il Mitoku-san. Di tanto in tanto si fermava per scattare fotografie delle più suggestive vedute.

Notò un giovane novizio molto grazioso, che altri non era che Momosaki Takeichi, e gli fece una fotografia. Il novizio, accortosene, sorrise timidamente, proseguendo nel suo cammino. Goroh lo fermò con un gesto ed un saluto.

"È questa la via per il Nageire-do?"

"Sì, signore."

"Ci vuole molto per andarci?"

"Non molto, ma è proibito salire fin lassù. A un certo punto la strada è sbarrata. Andare oltre è troppo pericoloso."

"Ma si possono fare buone fotografie?"

"Sì, certamente."

Si salutarono con un lieve inchino e ciascuno proseguì per la sua via. Superato un ponticello a schiena d'asino, di legno laccato in rosso in stile cinese, Goroh continuò a salire, man mano incontrando sempre meno turisti e pellegrini. Respirava a pieni polmoni la buona aria di montagna e del bosco e si sentiva pieno di energia.

Di tanto in tanto si soffermava a fotografare altri templi e piccole cappelle di legno, che nei secoli i monaci avevano costruito qua e là, e continuava a salire. Non aveva comperato la guida che vendevano giù nel chiosco dopo il portale principale, l'avrebbe acquistata al ritorno. Gli piaceva di più fare così, anche se rischiava di perdere qualcosa di "importante", ma non voleva neppure lasciarsi condizionare da una guida. Leggendola dopo, vi avrebbe ritrovato qualcosa che aveva visto e ne avrebbe goduto una seconda volta.

La salita si faceva via via più ripida, ma non era un problema per le sue forti gambe. Di tanto in tanto un cartello indicava la direzione da seguire per giungere vicino al Nageire-do.

Incrociò alcuni yama-bushi, nei loro caratteristici, antichi costumi, che stavano scendendo verso valle e li fotografò.

Finalmente giunse in vista del famoso e antichissimo tempio. Man mano che si avvicinava, scattava fotografie, alcune con il grandangolo per cogliere tutto il dirupo, altre con il teleobbiettivo per inquadrare solo il tempio.

Era fiero della sua macchina fotografica digitale, l'ultimo modello, molto potente e raffinata, che gli permetteva di fare fotografie professionali di alto livello.

Finalmente giunse al punto in cui la strada era sbarrata. Il tempio incombeva sulla sua destra, quasi sopra di lui. Incredibile opera di ingegneria, tanto più se si considerava che era stato costruito 1300 anni prima! Tutto a mano, senza macchinari.

Intravide un movimento sulla veranda. Puntò l'obiettivo della macchina fotografica ed azionò lo zoom. Sul piccolo schermo l'immagine ingrandì come se stesse volando dritto sulla piccola figura: un monaco che camminava avanti e dietro. Ne seguì il movimento, ingrandendo ancora...

"Kiyoshi?" mormorò incredulo.

Scattò alcune foto a raffica, seguendo il movimento del giovane. Quando il monaco scomparve alla sua vista, fece scorrere indietro le immagini sul piccolo schermo, finché vide un'inquadratura del monaco a mezzo-busto.

"Kiyoshi! Sì, è proprio lui!"

Guardò, mentre il sangue gli affluiva alle tempie e pulsava con violenza, se ci fosse un modo per superare lo sbarramento, ma era costruito a regola d'arte. Vide il cancello che chiudeva il sentiero e lo tentò, ma era saldamente chiuso.

"Che ci fa, Kiyoshi, lassù?" chiese ad alta voce.

Poi si girò e, di corsa, scese verso valle. Doveva vedere l'abate del tempio chiedergli perché Kiyoshi stesse lassù, che cosa ci facesse, quando vi era andato. Chiedergli di mandarlo a chiamare. Doveva vederlo, voleva vederlo, voleva parlargli. Ora che l'aveva ritrovato, non l'avrebbe perso più. L'avrebbe riportato con sé a Kyoto!

Giunto, ansante, eccitato, giù al monastero, chiese immediatamente di essere ricevuto dall'abate. Il novizio che aveva fotografato salendo, Momosaki Takeichi, gli disse che l'abate in quel momento era molto indaffarato, comunque lo fece accomodare nella saletta d'attesa.

Prima che Momosaki uscisse dalla stanza, Goroh gli disse: "Dì all'abate che sono il professor Ohmori Goroh, primario di patologia oncologica all'Ospedale Universitario di Kyoto. Questo è il mio biglietto da visita."

"Certo, signore." disse con espressione seria il ragazzo che, all'udire quel nome, ricordò il racconto di Kiyoshi.

"E dimmi..." continuò Goroh, facendolo fermare di nuovo, "Chi vive al Nageire-do?"

"Mudoh-sama... un eremita."

"Da quanto tempo?"

"Il signor abate risponderà a tutte le sue domande." disse il novizio e con un inchino salutò e uscì dalla stanza.

Takeichi corse subito a cercare l'abate, gli dette il biglietto da visita e, se pure un po' esitante, gli raccontò quanto Kiyoshi gli aveva narrato riguardo al motivo per cui aveva voluto chiudersi nell'antico eremitaggio.

L'abate annuì: ora molte cose quadravano. Ringraziò il novizio e gli disse di non portare il tè all'ospite, avrebbe mandato un altro novizio.

"Devo... andare ad avvertire Mudoh-sama?" gli chiese Takeichi, preoccupato.

L'abate ebbe un lieve sorriso: "Sempre di fretta, sempre di corsa, voi ragazzi. No, non ancora. Ogni cosa a suo tempo... Lascia che mi interessi io di tutto."

L'abate si occupò di altre cose, lasciando passare un'ora abbondante, e infine si recò nella stanza in cui il professore lo attendeva. Dopo alcuni convenevoli, come l'etichetta richiedeva, Goroh ando dritto allo scopo della sua richiesta di udienza.

"Reverendo Akiyama Yoshitaka-Jushoku, sono venuto a riprendere il mio allievo e collaboratore, il dottor Kimura Kiyoshi. Lo mandi a chiamare, per cortesia."

"Non c'è nessun dottor Kimura qui nel nostro tempio." disse l'abate.

"Come no? L'ho visto, è su al Nageire-do, l'ho fotografato, guardi..." disse l'uomo accigliandosi, accese la macchina fotografica e gli mostrò sul piccolo schermo l'immagine nitida di Kiyoshi.

"Ah, sta parlando del giovane eremita Mudoh, che ha chiesto di essere ammesso agli ordini sacri qui nel nostro Tempio."

"Non mi dica che non sapeva che il suo nome è Kimura Kiyoshi!"

"Il suo nome era... Venne qui per cercare la pace del cuore, della mente. Perché lo vuole turbare?"

"Vi è uno speciale legame fra me e quel ragazzo. Mi sono preso cura di lui più di quello che avrebbe fatto un padre, gli stavo facendo fare una brillante carriera, mi deve molto. Ne ho fatto il mio assistente."

"Tutto ciò, evidentemente, non interessa più il giovanotto, direi."

"Mi deve gratitudine. È scomparso senza dire nulla a nessuno... una pazzia giovanile."

"La... pazzia, come la definisce lei, non ha età, e ciò che è pazzia agli occhi di alcuni è saggezza a quelli di altri. Se ha scelto di ritirarsi dal mondo..."

"Lo faccia scendere, me lo lasci incontrare. Tornerà con me a Kyoto, ne sono certo."

"Perché vuole turbare la quiete... che con tanta difficoltà pare stia finalmente trovando? Non ne vedo un buon motivo, egregio professore."

"Devo incontrare quel ragazzo e farlo ragionare. Non può gettare via così tutto quanto io ho fatto per lui."

"Lo ha già fatto."

"Lei non può tenerlo prigioniero qui!"

"Non lo tengo prigioniero, mi creda. Oh, parla forse dello sbarramento sul viottolo che porta al Nageire-do? Ma Mudoh-san ne ha la chiave, potrebbe uscirne in qualsiasi momento volesse."

"Prigioniero... psicologicamente, intendo. Quel ragazzo è mite... non è un debole, però... si lascia guidare da un uomo forte."

"Come lei, sensei?"

"Certamente. Sotto la mia guida diventerà un medico stimato, rispettato, onorato."

"E se tutto ciò non lo interessasse più?"

"Non è possibile. Lo conosco molto bene."

"Cosa rara conoscere bene qualcuno, quando è tanto difficile conoscere se stessi! Non crede che Mudoh-san stia appunto cercando di riuscire a conoscersi? Glielo vuole forse impedire?"

Improvvisamente Goroh cambiò tattica: "È la prima volta che ho il piacere di visitare il vostro splendido insieme di venerabili templi."

"Sì?" chiese l'abate, imperturbabile, in tono cortese.

"Ho notato che alcuni necessitano di un restauro, per riportarli al loro antico splendore."

"Certamente. Facciamo del nostro meglio per mantenere e tramandare ai posteri quanto i nostri antichi ci hanno lasciato. Ma non sempre i mezzi sono adeguati."

"Sarei lieto di fare una cospicua donazione per restaurare una delle costruzioni del Sanbutsu-ji."

"È così importante, per lei, poter ottenere quanto vuole?"

"Convinca il ragazzo a tornare con me... o mi lasci parlare con lui per convincerlo."

"Che cosa è il ragazzo per lei?"

"Il mio assistente... il mio protetto... più di un figlio..."

"Sì, ma che altro?"

Goroh esitò un attimo, poi disse: "Mi ha promesso... di... Si è affidato a me... totalmente."

"Era il suo amante?" chiese l'abate in tono piano.

Goroh non rispose direttamente: "Mi sta altrettanto a cuore sia quel ragazzo... sia contribuire alla vostra opera per il restauro dei monumenti di questo santo luogo."

"Vedo... vedo... molto encomiabile. Noi eleviamo le nostre preghiere per i nostri benefattori: è l'unica cosa che possiamo dare... in cambio."

"Non le sto proponendo un baratto!" reagì il professore in tono sostenuto. "Le sto solo chiedendo di aiutarmi a riavere quanto..."

"Le appartiene?"

"... quanto mi sta a cuore. Mi creda, sono disposto a tutto per riavere con me Kimura Kiyoshi."

"Lo vedo... lo capisco. Oggi è una giornata speciale, la mia carica mi impone di occuparmi di cose più... urgenti. Sia nostro ospite, egregio professore e le prometto che domani andrò a parlare con Mudoh-san e se accetterà di venire a parlare con lei, non sarò certo io a oppormi. Una sola giornata in più di pazienza, di attesa."

Goroh restò per un attimo pensieroso, poi fece un breve inchino in segno di accettazione. L'abate lo salutò e uscì, Chiamò un novizio e lo incaricò di portare il professore in una delle stanze per gli ospiti e di restare al suo servizio finché fosse restato nel monastero. Quindi tornò a occuparsi dei riti e della festa.

Prima, però, chiamò Momosaki Takeichi e gli chiese se fosse capace, quando andava a portare il pranzo a Kiyoshi, di non lasciargli capire che uno dei suoi amanti era ospite del monastero. Il ragazzo promise che non si sarebbe lasciato sfuggire nulla con il giovane eremita.

Quando portò a Kiyoshi il vassoio con il cibo e l'acqua, questi lo accolse con un lieve sorriso.

"C'è una gran confusione, giù a valle." disse il ragazzo guardandolo, mentre Kiyoshi iniziava a mangiare.

"Che fortunatamente non giunge fino a quassù."

"Oggi non potrò fermarmi: c'è molto da fare giù, con tutti i pellegrini che sono venuti."

"Va bene." rispose Kiyoshi. "Se non puoi portarmi la cena, la posso anche saltare."

"No, per quello il tempo lo trovo, logicamente. Solo che non mi posso fermare."

"Va bene." ripeté Kiyoshi con un lieve sorriso.


Quando, nel primo pomeriggio, il poeta e calligrafo Kobayashi Shinji scese dal taxi di fronte al portale principale del recinto del tempio, questo era già pieno di torme di pellegrini e turisti. Andò subito a bussare al monastero. Al monaco che gli aprì, diede il suo biglietto da visita.

"Capisco che oggi è un giorno in cui il signor abate è certamente molto occupato, ma una importante questione mi ha portato qui da Kyoto. Le spiace chiedergli se mi può concedere udienza?"

Il monaco lo fece accomodare nella saletta di attesa. Dopo poco gli portò un tè e alcuni dolcetti.

"Akiyama-jushoku la prega di pazientare un poco, poi la riceverà."

"Ringrazi per me il signor abate per la sua cortesia. Attenderò quanto è necessario. Mi spiace doverlo disturbare in un giorno come questo."

L'abate, avuto il biglietto da visita di Shinji, ebbe un fugace sorriso e mormorò fra sé e sé: "Ecco il secondo amante.. o il primo, in ordine di tempo. Pare che oggi sia un giorno davvero peculiare."

Appena ebbe un po' di tempo, l'abate si recò a incontrare il poeta.

"Sono molto onorato di ricevere una sua visita, Kobayashi-sensei. Ben tre delle sue preziose opere sono conservate nel nostro monastero."

"L'onore è mio, reverendo Akiyama-jushoku. Mi spiace disturbarla in un giorno come questo, la ringrazio di volermi dedicare un po' del suo prezioso tempo."

"Le posso essere utile in qualche cosa, Kobayashi-sensei?"

"Per quasi un anno ho cercato... una persona che amo e che era scomparsa. Per un puro caso ho scoperto che ora è qui con voi. Sto parlando di Kimura Kiyoshi. Come sta, il ragazzo?"

"Bene. Ora vive come eremita su al Nageire-do... per ritrovare la pace del cuore e della mente."

"Pace che io, evidentemente, non sono riuscito a dargli."

"Nessuno la può dare a un altro. Ognuno la deve cercare in se stesso."

"La cosa che più mi importa è che ora stia bene. Però... mi farebbe piacere poterlo anche incontrare."

"Per riaverlo con sé?"

"Per chiedergli se desidera tornare con me. Evidentemente Kiyoshi aveva bisogno di un periodo di solitudine per vedere più chiaramente in se stesso. Se questo tempo gli fosse stato sufficiente... e se è ancora disposto ad accettare il mio affetto e a darmi il suo... mi sentirei l'uomo più fortunato di questo mondo."

"E se invece..." iniziò a chiedere l'abate.

"Rispetterei la sua decisione, è chiaro. Anche se con vero dolore, mi creda. Per me Kiyoshi è molto importante... e spero di esserlo ancora per lui. Pensa che sia possibile e opportuno che io lo incontri?"

"Non so ancora, Kobayashi-sensei. Oggi è un giorno particolare, la festa... i riti..."

"Chiedo perdono... appena l'ho rivisto alla TV... mi sono precipitato qui senza riflettere."

"Se lei, sensei, volesse graziosamente accettare la nostra ospitalità... Io domani andrò parlare con Mudoh-san, come ora lo chiamiamo, e vedrò se vorrà venire a incontrarla."

"La ringrazio di cuore per la sua cortesia, Akiyama-jushoku. Attenderò volentieri fino a domani."

L'abate chiamò un altro novizio mettendolo al servizio del poeta, assegnò una stanza anche a Shinji, e tornò a occuparsi delle sue incombenze.


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