Cencio Amidei era un giovanotto di trentuno anni, un po' massiccio, con un volto non particolarmente bello, ma con occhi buoni e un sorriso gentile. Il suo amante, Benedetto Valente, era invece un bel ragazzo di venticinque anni, nativo di Genova, alto e snello con chiari occhi celesti e un volto regolare e dall'espressione maschia, ma con un carattere assai dolce.
Vivevano in un alloggetto in uno dei carrugi che conducevano al porto, non lontano dalla loro bottega; era composto da una cucina, in cui si entrava dalla porta del pianerottolo, che dava in una stanza di passaggio usata come deposito per le pezze più pregiate che preferivano non tenere in bottega, e da qui si passava nella loro stanza da letto.
Durante la cena a casa loro, Durante e Masino raccontarono la loro storia, poi fu la volta di Cencio.
"Io nacqui in Calimala della Seta. Mio padre faceva il sartore e da lui imparai il mestiere. Conobbi Andrea un giorno che andai ad acquistare con mio padre alcune pezze alla tessitura in cui lavorava. Io allora avevo vent'anni e Andrea dieciassette. Egli a quel tempo lavorava al telaio della saia da tre, quella che mio padre aveva da comperare. Notai subito che era un gran bel ragazzo e mi sentii attratto da lui.
"Io infatti già da tempo ero attratto da' ragazzi, per un paio d'anni mi ero buggerato un lavorante di mio padre, un ragazzo di sedici anni che però non lavorava più con noi da un paio di mesi, e pensai che mi sarebbe piaciuto assai buggerare Andrea... Però non potevo certamente fargli alcuna proposta lì, alla presenza di mio padre che nulla sospettava de' gusti miei.
"Per alquanti giorni non vi pensai più. Una sera assai tardi, sentendo l'urgenza di trovarmi un ragazzo, uscii e andai a cercare ne' vicoli che vi sono fra il Bargello e il Ponte alle Grazie. Vidi in un cantone un uccelletto che attendeva e m'avviai verso di lui. Proprio contemporaneamente a me, dall'altra parte del cantone, giunse accanto a quel ragazzo anche Andrea che, quando mi vide, mi disse: son giunto prima io, cercati altrove il tuo uccelletto. Io gli dissi: non è affatto vero, io son giunto prima di te. Sei tu ch'hai da cercare altrove.
"Il ragazzo disse: chi di voi mi paga di più, io vado con quello. Due bajocchi, disse Andrea. Due te ne do io pure, dissi subito. Allora il ragazzo ci disse: chi di voi ha un luogo ove andare? Io ti porto alla mia bottega, gli dissi prontamente. Io ti porto alla taverna, disse Andrea. E 'l ragazzo disse: tu per portarmi alla tua bottega non devi spendere altri bajocchi. Dammene tre e io vengo con te.
"Insomma, per farla breve, dopo un po' che si discuteva, alla fine arrivammo alla conclusione che avrei dato due bajocchi al ragazzo, altri due gliene avrebbe dati Andrea, e saremmo andati tutti e tre alla bottega di mio padre. Detto fatto, ci portammo l'uccelletto con noi, ci denudammo tutti e tre e lo prendemmo da' due capi, come un porcello allo spiedo, alternandoci Andrea e io dalle due parti finché, soddisfatti entrambi, il ragazzo se n'andò.
"Così Andrea e io si divenne amici, e perciò spesso si andava a cercare assieme e lo si faceva in tre. Logicamente io e lui non facemmo mai nulla fra noi, poiché ad entrambi piaceva buggerare ma non esser buggerati. Poi quando avevo ventisei anni, io decisi di lasciar Firenze e di venire a Genova, e dopo men d'un anno conobbi il mio Benedetto che qui vedete e ci mettemmo assieme."
Allora Benedetto raccontò la sua storia: "Io nacqui qui in Genova e anche mio padre era un cûxôu, o come dite voi, un sartore. Quando avevo quattordici anni, un mio cugino di dieciotto anni che faceva o mainâ, il marinaro, mi raccontò quel che si faceva sulle navi fra compagni e mi chiese se ci volevo provare con lui. Esitai un poco, però alla fine accettai e devo dire che mi piacque assai.
"Così, quando vedevo un bel marinaro che mi piaceva, ci provavo con lui e non pochi ci stavano a farmi assaggiare il loro belin, che voi chiamate vena... Tutto andò bene, finché, quando avevo dieciannov'anni, una sera mio padre mi sorprese sotto a uno di quei marinari che mi si stava agitando addosso e allora mi cacciò di casa. Per un poco vissi vendendo il mio culo, finché un giorno capitai nella bottega di Cencio e gli chiesi se gl'abbisognava un garzone.
"Lui mi disse di no, io insistevo... entrò un marinaro per farsi consegnare non ricordo che e mi riconobbe: era uno di quelli che mi pagava per mettermisi sotto. Mentre Cencio era nel retro a cercare quello che il marinaro chiedeva, costui mi propose di andare con lui per dargli il mio culo... Io ero incerto, ma prima che rispondessi con un sì o con un no, Cencio tornò, servì il marinaro e questi, prima d'uscire, mi disse che m'attendeva fuori.
"Ma Cencio aveva sentito la proposta che m'aveva fatto il marinaro, così mi disse che se ci stavo a farmi metter sotto da lui, m'avrebbe anche preso come garzone di bottega. Accettai subito: mi premeva avere un buon lavoro e smettere di vendermi e pensai ch'era meglio uno solo che tanti. Così mi fece dormire nel retro della bottega. Quando chiudeva, prima di tornare a casa, si facevan le nostre cose sul pagliericcio, con reciproco grande gusto.
"Nel volgere di pochi mesi capimmo che fra noi v'era assai più che solo quel che si faceva all'ora di chiusura. Così io per primo glielo dissi, lui mi disse che aveva nei miei confronti il mio stesso sentire. Ma io, crescendo, sentii sorgere in me il desiderio d'essere anche io a buggerare... Cencio sentì ch'avevo un qualche problema e alla fine glielo confessai e gli dissi che sempre più forte provavo il desiderio di uscire per cercarmi un ragazzo da buggerare. Lui mi disse che non voleva ch'andassi con altri... e così, mi chiese se, lasciandosi anch'egli buggerare da me, sarei restato solo suo... ed eccoci qui, più fedeli d'una coppia sposata in chiesa e benedetta dal prete!"
"Vuoi dire... che voi due vi buggerate a vicenda?" chiese Durante spalancando gli occhi.
Cencio rise all'espressione stupita di tutti e due gli ospiti: "Certo, è così. E ci piace assai sia buggerare ch'esser buggerati. Io, prima di mettermi in caccia d'uccelletti, ero stato buggerato alcune volte dal prevosto della nostra parrocchia e non m'era spiaciuto. Però la mentalità comune era che se va bene lasciarsi buggerare quando s'è ragazzetti, diventando adulti s'ha solo a buggerare. Se non fosse stato per l'amore che mi lega al mio Benedetto, mai l'avrei accettato... come mai lo feci col mio amico Andrea. Ma ora son lieto d'essere a turno il ragazzetto del mio uomo e l'uomo del mio ragazzetto."
Passarono poi a parlare delle possibilità di trovare un lavoro per i due ragazzi.
"Vedete, qui a Genova, l'unico problema per un fiorentino, che non è certo il vostro, è che per legge è vietata l'assunzione di insegnanti che vengon da Firenze, per non mettere in ... pericolo la virtù dei giovani studenti. E pensate che un marinaro todesco mi disse che i sodomiti nel suo idioma son chiamati Florenzer, cioè fiorentini... Pare che la sodomia come e quanto si pratica nella nostra città sia ormai famosa in tutta Europa."
Masino e Durante risero: "Noi certamente non possiamo ambire a diventare insegnanti, dato che non si sa né leggere né scrivere... Come vi dicemmo, sappiamo solamente fare i servi."
"Però qui a Genova," disse Benedetto, "le famiglie ricche solitamente prendon per servi solo gente di Genova che già conoscono, e solitamente figli di servi. Ma dato che fra i nostri clienti abbiamo vari marinari e camalli, potremmo chiedere a loro se vi trovan lavoro."
"Marinari... io temo che non saprei da che parte cominciare..." obiettò Durante.
"Ma potremmo fare i... camalli, sono gli scaricatori delle navi, vero?" chiese Masino, "Mi pare che siamo tutti e due bastantemente robusti."
"È un lavoro pesante... La paga non è molto alta, però, guadagnando in due, potreste cavarvela..." osservò Cencio. "Fra i capi de' camalli ve n'è uno ch'è nostro cliente regolare e buon amico... essendo lui pure un sodomita. Potrei chiedergli di darvi lavoro, magari non troppo pesante i primi tempi."
"Mica... mica ci vorrà portare a letto con lui, però?" chiese Durante.
"No, ha 'l suo ragazzo, non v'ha problema. Si prese in casa il figlio d'un collega morto nel lavoro, che gli cadde indosso un carico schiacciandolo."
"E l'obbligò a darglisi?" chiese Masino.
"No, fu 'l ragazzo che una notte gli s'infilò nel letto e gli si offerse. Michele, così si chiama il nostro amico, dapprima non voleva, benché gli piacessero i ragazzi, ché l'aveva preso in casa quasi come un figlio. Ma Gilberto, il ragazzo, tanto fece e disse e insisté che alla fine Michele cedette e ora son dodici anni che vivono assieme."
"Quanti anni hanno, costoro?" chiese Durante.
"Michele ha cinquantatré anni, e ventinove n'ha Gilberto. Credon tutti che siano padre e figlio, ché Michele riuscì a dargli il suo nome, ma in realtà sono amanti."
"Che bello!" disse Masino. "Che dici, Durante, si può almeno provare quel lavoro, nevvero?"
"Sì, certamente."
"Bene, ora andiamo a riposare e domani manderò Benedetto a cercare Michele e a parlargli." disse Cencio.
Stesisi sul pagliericcio che gli avevano preparato nella stanzetta intermedia, i due ragazzi si abbracciarono, si carezzarono e si baciarono nel buio totale della stanzetta.
Durante a un certo punto, sussurrò: "Sai, Masino, stavo pensando a Cencio e Benedetto..."
"Sono molto gentili e anche simpatici, nevvero? Cencio non è bello, ma gradevole, e Benedetto è puranco bello."
"Sì, concordo con te, ma è altro ciò a cui pensavo."
"Cioè?"
"Anche tu stai crescendo, hai oramai dieciott'anni."
"E?" chiese Masino che non capiva che c'entrasse questo con i due padroni di casa.
"E allora pensavo... se a te piacesse... a me farebbe assai piacere se tu... se ti andasse di buggerarmi... come fanno Cencio con Benedetto."
"Cioè... tu a me e io a te?" chiese stupito Masino.
"Non ti piacerebbe?"
"Non so... non vi ho mai provato."
"Potresti provarci, allora."
"Adesso?"
"Sì, certo."
"Ma tu... davvero lo vuoi?"
"Ne ho presi tanti... che mi piacerebbe finalmente godermi il tuo, oltre al tuo culetto delizioso. Hai un bell'attrezzo qui fra le gambe." gli disse carezzandoglielo da sopra la braghetta.
Non dissero altro. Gradualmente si tolsero di dosso l'un l'altro tutti gli abiti, carezzandosi e baciandosi per tutto il corpo, e quando furono entrambi ben eccitati, Durante si stese sulla schiena, portandosi le gambe contro il petto e si offrì al suo Masino.
Il ragazzo gli si addossò quasi tremante per l'emozione. Al buio, tentò di penetrare l'amante, senza riuscirvi, nonostante se lo fosse bene insalivato. Durante glielo guidò e Masino riprovò a spingere... sentì il calore dell'ano dell'amato sulla punta del membro: era una piacevolissima sensazione. Spinse... e si sentì affondare dentro, lentamente. Sentì la sua giovane e forte asta avviluppata da un intenso e piacevolissimo calore.
"Oooohhh..." mugolò sottovoce.
"Ti piace, amato mio?"
"Sì... è... è bello... Oh, mio Durante!"
"Spingi... spingi mio amato, non ti trattenere."
"Oh, Durante... amore... che bello!"
"Bene... dai!"
Quando Masino sentì i glutei dell'amante premergli contro il pube, schiacciargli lievemente e piacevolmente i testicoli, si fermò, respirò a fondo alcune volte, poi iniziò a ritrarsi e a spingerglisi ancora dentro, dapprima assai lentamente, quasi a gustare, ad analizzare le sensazioni nuove e straordinarie che stava provando, poi gradualmente accelerò il ritmo e presto si lanciò in un forte galoppo pieno di piacere.
"Che bello... che bello..." sussurrava di tanto in tanto.
Durante era felice per la gioia del ragazzo che amava, e si chiese perché non avesse pensato prima che doveva compiere quel passo. Anche a lui piaceva moltissimo, più che con tutti gli uomini che l'avevano preso, perché ora sapeva e sentiva che quello non era buggerare, ma amare con tutto il corpo.
In breve Masino raggiunse un orgasmo squassante e tremando come una foglia al forte vento autunnale, si scaricò nelle calde intimità dell'amato, gemendo forte, incurante che dalla stanza accanto lo potessero udire.
Poi si afflosciò quasi di colpo, ansimando.
"Non credevo che potesse esser così bello!" mormorò commosso, carezzò il volto di Durante e lo baciò profondamente. "Anche a te è piaciuto?" gli chiese poi in un sussurro pieno d'attesa.
"Sì, moltissimo."
"Anche se non ci so fare ancora bene, ché è la mia prima volta?"
"C'hai saputo fare perfettamente, mio amato."
"Anche per te è così bello, quando mi buggeri, allora?"
"Certamente."
"Perciò... d'ora innanzi... possiamo fare come Cencio e Benedetto, a turno?"
"Proprio così."
"Che bello! Se fossimo venuti a Genova solo per questo, ne sarebbe valsa la pena, nevvero, amato mio?
"Sì, proprio così."
"Oh, quanto t'amo!" esclamò lieto Masino.
Poi, calmatosi alquanto, gli si tolse lesto da sopra e a sua volta, con lieta urgenza, si offrì a Durante.
"Ora prendimi tu! Dammi anche questo, di piacere!"
"Che ti piace di più, ora ch'hai provato in tutti e due i modi?"
"E l'uno e l'altro. Non saprei scegliere, come se tu mi chiedessi se preferisco il mio occhio di dritta o quello di manca. Uno dei due basta, ma averli entrambi è meglio! E tu?"
"Per me è lo stesso: purché sia tu e non altri... mi piace aver due occhi, per usare il tuo paragone!"
"Chissà perché nessuno prima d'oggi ci aveva detto che così, nei due modi, è meglio assai?"
"Non lo so, davvero. Credo che sia, forse, perché chi buggera si sente più uomo di chi è buggerato. Eppure io mi son sempre sentito uomo sia quand'ero buggerato che quando io lo facevo con te. Ma al tempo stesso, mi sento veramente uomo solo ora che posso fare entrambe le cose con te."
"E questa sera hai fatto anche di me un uomo completo, quindi."
Quando infine anche Durante ebbe raggiunto un piacevole orgasmo nel suo ragazzo, si rimisero gli abiti, si abbracciarono mettendosi su un fianco uno di fronte all'altro e s'addormentarono felici: la loro nuova vita era iniziata splendidamente.
Un paio di giorni dopo cominciarono il loro lavoro come scaricatori al porto, agli ordini di Michele. Questi era un uomo burbero, ma dai suoi occhi traspariva una luce di bontà. L'uomo, a cui avevano raccontato la loro storia, li prese a ben volere, e presto divennero buoni amici anche di Gilberto. Su suo consiglio si fecero passare per cugini, sì che fra i camalli eran chiamati "i cûxin fiûrentin".
Continuarono a dormire in casa di Cencio e Benedetto, finché, risparmiando sul loro salario, riuscirono a prendere in affitto una stanzetta in un seminterrato e raccogliendo qua e là cose scartate da altri e gettate via e riparandole ad arte, riuscirono anche ad arredarla decentemente.
"Certo," disse una sera Durante, mentre stanchi morti per il lavoro si rilassavano, "qui non è bello come quando si serviva a palazzo Rucellai o io da messer Valiani."
"Ma neanche brutto come quando s'era in prigione con Andrea e Jacopo." gli disse con un sorriso Masino.
"E il lavoro è assai pesante."
"Ma stiamo diventando forti e ce la caveremo."
"Avrei voluto poterti offrire una vita migliore, Masino."
"L'unica cosa che veramente conta per me me la stai offrendo: l'amore tuo. Io sono contento che siamo qui, in un posto tutto nostro, a Genova."
"Certo che questi genovesi parlano proprio in modo strano... Io, quando dicevano belin, credevo che volessero dire grazioso e invece qui è quello che noi chiamiamo vena..." rise Durante.
"Beh, il tuo paletto è bellino." rise Masino.
"E il tuo bello! Ma sai cosa mi piace più di tutto in te?"
"Il mio culetto?"
"No. Mi piace, ma..."
"Allora... come faccio da mangiare."
"No no. Cucini bene, ma..."
"Allora... non so... Cosa?"
"Che non ti lamenti mai, che sei sempre allegro, e che mi vuoi bene."
"Di che avrei a lamentarmi? Prima di conoscere te... nessuno mi voleva veramente bene. Tu sei la mia allegria. Tu m'hai fatto scoprire quant'è bello amare, oltre che essere amati."
"Tutto sommato siamo stati fortunati. Proprio nel momento peggiore della nostra vita, abbiamo conosciuto Andrea e Jacopo, poi Cencio e Benedetto e grazie a loro anche Michele e Gilberto."
"E la tua mamma che m'ha accettato quasi come un figlio. Mi dispiace che l'abbiamo dovuta lasciare a Firenze."
"Anche a me. Però non potevamo fare altro. Che si poteva fare noi a Firenze? A me non andava più di vendermi per le vie, e che tu dovessi chiedere l'elemosina, specialmente ora, poi, da quando ci siamo accorti di esserci innamorati. E là nessuno accettava di darmi un lavoro. Firenze sarà, come dice Cencio, la più famosa città di sodomiti delle terre d'Europa, ma non è certo un paradiso per noi poveracci: lo è solo per quelli che son ricchi e potenti."
"Non è così per ogni cosa? Mica solo per noi sodomiti."
"Sì, hai ragione, mio dolce Masino. Ma pensi che un giorno cambieranno, queste cose?"
"Io credo di sì... Io credo che un giorno due come noi, che si amano, potranno anche sposarsi..."
"Un bel sogno... E quando avverrà un simile cosa?"
"Chissà? Diciamo fra... cinquecent'anni?" disse Masino, e lo baciò, spingendolo giù sul pagliericcio. Poi aggiunse: "E noi aspetteremo cinquecento anni, giusto?"