Essersi accettato come gay non aveva risolto completamente i problemi di Ettore. Si sentiva un po' come chi ha avuto in mano un depliant pubblicitario sulla Nuova Zelanda e decide di visitarla, ma non riesce a trovare informazioni su come andarci. Ciononostante era deciso a intraprendere quel viaggio. Doveva trovare "l'agenzia viaggi" che gli proponesse un pacchetto interessante e conveniente.
Da che parte cominciare? Come fare? Vedere bei ragazzi o uomini e immaginare scene di sesso con loro, specialmente ora che aveva intravisto su internet quelle foto così esplicite, era diventato quasi automatico, qualcosa a metà via fra il divertimento e il segreto rifugio. Tutto questo aveva sviluppato in lui una speciale sensibilità.
Se prima, piuttosto ingenuamente, gli era sembrato di essere il solo ad avere certi desideri, certi problemi, certi pruriti, ora sapeva di non esserlo, quindi iniziava a riconoscere attorno a sé, o credere di riconoscere, quegli impercettibili segni che ti fanno intuire che "l'altro" potrebbe essere come te.
Così accadde che un giorno, mentre, uscito dalla palestra della scuola, con la tuta da ginnastica indosso e la borsa, s'era comprato un gelato e s'era fermato a gustarselo seduto su una panchina del parco in cui giocavano alcuni ragazzini sorvegliati da madri o nonni, notò che era per lo meno la terza o quarta volta che un tizio gli passava davanti e lo guardava.
Ettore lo osservò: doveva avere sui venticinque anni, era vestito con eleganza casual, raffinata, aveva un aspetto forse anche troppo curato, folti capelli castani, occhiali senza cornice, labbra atteggiate a un lievissimo sorriso. I loro sguardi si incontrarono e il sorriso dell'altro si accentuò un poco. Ettore sentì un lieve fremito percorrerlo. Il giovanotto gli si fermò davanti e gli rivolse la parola.
"Bella giornata, vero?"
"Uhm... sì."
"Uscito dalla palestra... o ci vai?"
"Vado a casa..."
"Sai che sei un bel ragazzo? È un po' che ti guardo."
Ettore sentì che stava cominciando a eccitarsi. Non riusciva a distogliere gli occhi da quelli dell'altro, come un topolino da quelli del serpente. Sentì che quel tizio voleva da lui... qualcosa... "quella" cosa. Non disse niente, continuò a guardarlo, serio, esitante, sempre più agitato.
"Ti andrebbe di... passare un po' di tempo con me?"
Ettore si alzò, quasi di scatto: "Devo andare a casa!" esclamò a voce bassa e si allontanò a passo svelto, sentendosi pulsare le tempie.
"Ehi! Aspetta. Dove vai..." gli disse l'altro mentre si allontanava.
Ettore girò il capo e vide che il giovanotto lo stava seguendo. Accelerò il passo.
"Aspetta! Dove scappi? Ehi, che ti piglia?"
Si mise a correre, traversò la via tagliando la strada a un'auto che frenò bruscamente e suonò il clacson, mentre alle sue spalle, risuonava nuovamente un "Ehi, aspetta!"
Corse, corse, corse sentendosi il cuore in gola, un forte calore indosso, un'incredibile tensione in tutto il corpo.
Dopo diversi isolati si fermò e si guardò indietro. Il tizio non si vedeva più. Ettore ansimava. Si passò una mano sulla fronte. "Quello... quello voleva scopare con me!" pensò. Tremando leggermente, traversò la via e andò a sedere sulla panchina della fermata del tram, ansando lievemente. Guardò di nuovo verso la direzione da cui era venuto ma il giovanotto non si vedeva. Emise un sospiro e chiuse gli occhi. E immaginò...
"Quello" gli correva dietro, lo raggiungeva, lo afferrava per un braccio e lo sospingeva dentro un portone aperto. Gli faceva percorrere un androne, lo spingeva in un sottoscala, gli metteva una mano fra le gambe e gli palpava l'erezione, guardandolo con un sorriso.
"Ehi, ragazzo, ce l'hai già duro... Hai voglia di fottere, eh?"
Lui rispondeva di sì e lasciava cadere a terra la sua borsa.
"Quello" lo spingeva contro il muro, lo baciava e una sua mano s'infilava sotto l'elastico dei calzoni della tuta, frugava, scivolava sotto l'elastico delle mutande, gli carezzava le natiche contratte e gli sussurrava "Te lo voglio mettere in culo!"
Poi, gli faceva calare calzoni e mutande e lo faceva girare... gli carezzava il culetto sodo e gli sussurrava in un orecchio: "Adesso te lo metto tutto dentro e ti sborro in culo..."
Ettore sentiva gli inquilini salire e scendere le scale, sopra di loro, ignari di quanto si stava per consumare nel sottoscala, porte sbattere, l'ascensore andare su e giù, voci... Poi sentiva qualcosa di duro, caldo, forte spingere, farsi strada prepotentemente in lui e...
Riaprì gli occhi sentendosi avvampare, respirando pesantemente. Si guardò intorno, preoccupato, vergognoso quasi come se quella sua fantasia fosse stata visibile a tutti i pochi passanti.
Oppure...
"Quello" lo bloccava quando s'era alzato in piedi, prima che potesse scappare e gli diceva: "Dai, che lo so che tu hai più voglia di me... vieni a casa mia e ci facciamo una bella fottuta. Non ti va?"
Lui annuiva e lo seguiva. Salivano una bella e ampia scala con la ringhiera di ghisa e il mancorrente di legno lucido, come nelle case di fine ottocento. Apriva una porta e lo introduceva in casa: un alloggio elegante, luminoso, arredato con un lusso un po' demodé...
"Posso offrirti qualcosa, Ettore?" gli chiedeva.
"Come sai il mio nome?"
"Ti osservo da molto, ti conosco. Sei un bel ragazzo e hai voglia di scopare. La tua prima scopata."
Un'eco sottile rimbalzava fra le pareti e riverberava nella stanza che, solo ora se ne rendeva conto, era arredata solamente con un grande letto bianco in centro: "prima scopata... ma scopata... scopata... pata... ta... ta... ta..."
Poi s'accorgeva di essere nudo. Guardava "quello" e ora anche lui era completamente nudo e fra le sue gambe si stava ergendo un bel palo grande, lungo, liscio, roseo, circonciso, con il glande più scuro e lucido del resto...
"Venticinque centimetri!" diceva "quello", fiero. "E litri di sborra solo per te..."
Poi, pur senza essersi mossi, erano sul letto, lui steso sul ventre, "quello" sopra che lo trafiggeva col suo palo duro premendolo così contro il bianco materasso, come fa un entomologo con una farfalla che trafigge con uno spillo, fissandola sul cartoncino bianco della sua collezione...
Ettore si scosse... Inalò ed emise un lungo, silente sospiro. Rizzò la schiena sentendosi girare un po' la testa, come se avesse un calo di pressione. Si alzò in piedi e fece alcune profonde inspirazioni ed espirazioni per ossigenarsi i polmoni e calmarsi. Lanciò un'ultima occhiata in direzione del parco. Scampato pericolo... o occasione persa?
Lentamente tornò a casa, pensieroso. Il membro gli stava gradualmente tornando morbido, palpitando lievemente. Aveva fatto bene o male a fuggire? Era stata una cosa saggia o da idioti? Entrò in casa. La madre lo salutò: "Ettore, esco per un'oretta ma torno prima di papà. La Gina ha già preparato la cena."
"Sì, mamma."
Andò in camera e posò le sue cose. Poi corse nello studio del padre, accese il computer, si collegò e cercò "incontri gay"...
Trovò un link: "Locali gay in Italia." Cliccò. Introdusse il nome della sua città nell'apposito spazio. Cliccò su "cerca"... comparve un elenco: bar, saune, cinematografi, luoghi all'aperto... Pensò di accendere la stampante e farne una copia... Il led rosso lampeggiò, la testina ebbe una serie di sussulti, quindi si accese il led verde e la testina iniziò a scivolare avanti e indietro, rapida, come la spola in un telaio, e uno dopo l'altro tre fogli uscirono con tutto l'elenco.
Cancellò dall'elenco della cronologia i "siti visitati" e i file temporanei, perché il padre non si accorgesse della sua intrusione. Spense tutto e tornò in camera, esaminando attentamente l'elenco.
Pensò che un bar era un luogo più sicuro e "neutro" che non una sauna, un cinematografo e molto più sicuro che non un luogo all'aperto. Si chiese se fosse meglio andare in un bar del centro o della periferia... La possibilità che qualche conoscente lo vedesse entrare era forse uguale... Cosa avrebbe potuto dire in casa se qualcuno diceva ai suoi di averlo visto entrare in un bar gay? Beh... che lui non aveva idea che fosse un bar gay... Perciò era meglio che provasse ad andare in un bar del centro.
Decise che avrebbe potuto provare ad andare, per cominciare, al "Bar Encounter", non lontano dal parco e da casa sua, sotto il cui indirizzo c'era scritto "Ambiente giovane e misto, 17:00 - 02:00, chiuso il lunedì - staff amichevole - buoni incontri". Poche parole ma tutto un programma... Era anche il bar che apriva prima di tutti.
In realtà passò una settimana prima che si decidesse ad andarci. Così un pomeriggio si preparò, scegliendo gli abiti che gli sembravano più sexy fra quelli che aveva, ma non troppo vistosi, si controllò allo specchio, si pettinò indietro i bei capelli lunghi castano scuro. Quando si sentì abbastanza soddisfatto, disse alla madre: "Mamma, vado a studiare a casa di un compagno..."
"Va bene. Ma non fare tardi per cena... Ma... e i libri?"
"Li ha lui, non serve che io mi porti i miei."
Uscì e a passo svelto raggiunse il bar. Era ancora chiuso. Controllò l'orologio: erano solo le quattro e cinquanta. Dall'esterno l'aspetto del bar era... normale. Si guardò attorno. Dalla parte opposta della via, mezzo isolato più giù, c'era un altro bar, aperto, con il dehor. Andò a sedercisi e ordinò al cameriere una coca-cola. Si sentiva emozionato, un lievissimo tremito lo afferrò man mano che passavano i minuti.
Vide arrivare un giovanotto in pantaloni e giacchetta di jeans, una T-shirt rossa, i capelli neri molto corti, quasi a spazzola. Si fermò davanti alla serranda e l'aprì. Entrò. Dopo poco l'insegna al neon si accese. Ettore fece per alzarsi e andarvi, ma restò seduto, pensando che era meglio prima veder arrivare qualche cliente. Si sentiva nervoso, inconsciamente sfregava pollice e indice della mano destra, poggiata sul tavolinetto accanto al bicchiere.
Vide arrivare un ragazzo sui venti anni, biondo, capelli lunghi annodati in un codino, vestito con una polo verde con i bordini gialli e pantaloni morbidi marrone scuro, che entrò a passo deciso nel bar, salendo i tre gradini che vi erano all'ingresso. Si chiese se fosse uno dei camerieri o un cliente.
"Adesso vado..." continuava a ripetersi "Ancora qualche minuto... poi vado..." ma restava seduto, sentendosi sempre più nervoso. "Adesso vado..."
Ettore si chiese con quale dei due che erano entrati nel bar gli sarebbe piaciuto provarci... Li aveva visti da lontano, una decina di metri, non aveva potuto osservarli bene, comunque sembravano entrambi ben fatti.
Di tanto in tanto si guardava attorno, quasi temesse di veder passare qualche conoscente, qualche amico di famiglia... Poi vide entrare all'Encounter un terzo giovanotto: doveva avere sui trent'anni, forse un po' meno. Aveva jeans bianchi, stivaletti bassi, neri e una camicia di Valentino... o un'imitazione magari fatta in Cina? Aveva capelli castani, molto mossi, pettinati di lato, con la sfumatura molto alta. Prima di entrare si era guardato attorno un paio di volte.
"Adesso vado anch'io..." si ripeteva "Fra poco... fra poco vado..." Restava però seduto, come incollato alla sedia di metallo bianco e si sentiva sempre più nervoso.
Chissà se quei tre là dentro... o magari due di loro... No, mica si potevano fare certe cose in un locale pubblico... Magari uno dei due era scivolato dietro al bancone, s'era accoccolato giù dove nessuno poteva vederlo e... e lo succhiava al barista... Si eccitò e il suo tremito si intensificò.
Guardò l'orologio: erano già le cinque e ventotto... "Magari nel retro del bar... scopano..." pensò. "Oppure no, lì due si incontrano, parlano, combinano, poi vanno a casa di uno di loro e lì..." La sua fantasia galoppava. "Ma io mica posso portarlo a casa, purtroppo, e se non ha un posto lui..."
Aveva una crescente voglia di alzarsi e andare in quel bar, eppure si sentiva come paralizzato.
"Mi alzo e vado... entro e..." si ripeteva. Sentiva il membro premergli contro la patta, confinato dai panni, che richiedeva insistentemente la sua attenzione. Si guardò brevemente fra le gambe: non si notava nulla. Strano... forse perché era seduto: se si fosse alzato, ne era quasi sicuro, si sarebbe visto che gli era diventato duro.
Vide un quarto giovane arrivare ed entrare all'Encounter. Questo aveva una camicia a righe bianche e blu con un gilet blu aperto davanti, calzoni blu più scuro, scarpe da ginnastica anche blu con profili bianchi. Aveva capelli castani, ricci, un orecchino ad anello all'orecchia sinistra.
Dopo poco il giovanotto con la camicia di Valentino uscì dal bar, da solo, e si allontanò a passo svelto, andando dalla parte opposta a dove Ettore era seduto. Altri entrarono e uscirono dall'Encounter, solo due uscirono in coppia, tenendosi lievemente sottobraccio, ridendo e chiacchierando animatamente. Erano entrati da soli... chissà se avevano un appuntamento lì dentro o se si erano appena conosciuti, piaciuti... e ora stavano andando a scopare?
Ettore aveva notato che nel complesso non avrebbe affatto sospettato, se li avessi visti altrove, che tutti quelli che fino ad allora erano entrati in quel bar potessero essere gay.
"Desidera altro?" gli chiese il cameriere del bar dove era seduto.
Ettore quasi sussultò, lo guardò, poi guardò l'orologio: erano le sei e diciotto.
"No, grazie..." disse, pagò la consumazione, si alzò e andò via.
Si avviò verso casa: non aveva trovato il coraggio di entrare all'Encounter. Mentalmente si dava del cretino, ma le sue gambe, quasi avessero una volontà propria, lo allontanavano da quel bar gay. Durante tutta la cena rimase in silenzio, assorto, pensieroso.
"Che hai stasera, Ettore?" gli chiese il padre a un certo punto.
"Niente..."
"Qualche problema a scuola?" insisté il padre.
"No, no, va tutto bene."
"Sembra che sei così... preoccupato, sei così silenzioso, stasera."
"Ma no, papà. Ho studiato molto e mi sento un po' stanco, è tutto." mentì Ettore sperando di essere convincente.
"È il suo ultimo anno di liceo... si avvicina la maturità." fece notare la madre.
"Devi decidere che facoltà vuoi frequentare, Ettore." gli disse il padre.
"Mah... lingue orientali, forse. C'è anche il corso di cinese e pare che... ho sentito dire che sia il professore che il lettore sono in gamba..." disse un po' incerto.
"Può essere una buona idea. La Cina si sta aprendo all'occidente e ci sarà sempre più bisogno di esperti che conoscano bene la lingua." commentò il padre. "Comincia ad andare in facoltà a informarti, Ettore, in modo di fare in tempo la pre-iscrizione."
"Sì, papà." rispose, ma la sua testa era altrove, era ancora là, a guardare la gente che entrava e usciva dal bar gay.
Un paio di quelli che aveva visto gli era sembrato attraente, gli altri mediocri, uno solo brutto... Comunque erano tutti giovani... Chissà che cosa voleva dire "ambiente misto"? Aveva pensato che volesse dire che fosse frequentato anche da ragazze, ma non ne aveva vista entrare nessuna. O voleva forse dire che ci andavano gay, etero e bisessuali?
Tre giorni dopo Ettore era di nuovo seduto nel dehor dell'altro bar e teneva d'occhio l'entrata dell'Encounter. Questa volta esitò solo per una mezz'ora, poi si decise. Guardò su e giù per la via, attendendo che non vi fossero passanti. Traversò la strada, arrivò davanti al bar gay... e di nuovo esitò. Non si vedeva l'interno, perché la porta aveva vetri colorati in una vetrata con disegni geometrici. Si guardò nuovamente attorno e finalmente salì i tre gradini ed entrò.
Il bar consisteva in un'ampia sala quadrata con un pilastro in centro. Sulla sinistra c'era il bancone con alti sgabelli. Un solo cliente vi sedeva e stava chiacchierando con il barista, quello che l'altra volta aveva aperto il locale, che ora però indossava una canotta nera molto scollata da cui emergeva una lieve peluria.
C'era una dozzina di tavolinetti rotondi, con due o tre sedie ognuno, e solo tre clienti seduti, isolati, distanti l'uno dall'altro. Quando era entrato, una campanellina aveva tintinnato e tutti gli sguardi s'erano posati su di lui. Ettore si sentì vagamente a disagio. Andò a un tavolinetto libero, il più distante dagli altri, e sedette.
Dopo poco arrivò il cameriere: "Che ti porto, bello?" gli chiese con un ampio sorriso.
"Una... una... birra scura..."
"OK. Sei maggiorenne, no?"
"Sì."
Ettore si guardò attorno. Luci riflesse rischiaravano l'ambiente senza disturbare. Le pareti erano decorate da ampie strisce verticali bianche e grigio perla separate da sottili righe grigio più scuro. Sulle pareti vi erano gigantografie di circa un metro per uno e mezzo, con fotografie in bianco e nero di coppie di giovani e bellissimi uomini, più o meno vestiti, semiabbracciati, che si guardavano o si baciavano: altamente erotiche senza essere pornografiche, che non lasciavano dubbi su che tipo di bar fosse quello. Musica a basso volume sorgeva da chissà dove.
Il barista gli portò la bottiglietta di birra scura e il bicchiere e tornò al suo posto dopo avergli dato il resto. Il tizio seduto al bancone parlò con il barista poi si girò a guardare Ettore, con un lieve sorriso sulle labbra. Ettore pensò che era un tipo sexy.
"Quello vuole scopare con me..." pensò. "Vuole scopare... scopare me... scoparmi..." e questa parola era come un ritornello che lo affascinava e lo turbava contemporaneamente.
Bevve un terzo della birra. Il tizio si girò a parlare con il barista, sottovoce. Il barista guardò verso Ettore e sorrise, poi disse qualcosa al cliente. Ettore bevve un altro terzo della sua birra. Il tizio si girò di nuovo a guardarlo e il suo sorriso si accentuò. Ettore si sentì arrossire. Stava per bere il resto della birra quando il tizio scivolò giù dallo sgabello, girandosi e andando verso di lui mentre il suo sorriso si accentuava.
Ettore fu afferrato dal panico: si alzò quasi tremando e, senza guardare nessuno, andò verso la porta e uscì di fretta. Scese i tre gradini e si fermò, respirando appena. Poi, temendo che quello uscisse e lo trovasse lì, si allontanò in fretta e girò al primo angolo. Si fermò di nuovo. Era davanti alla vetrina di una cartoleria e il proprietario stava tirando giù la serranda. Guardò l'orologio: erano le diciannove e trenta.
Tornò in fetta a casa, in modo di non fare tardi per la cena: chi l'avrebbe sentito, se no, il padre?
Ma quello che l'aveva fatto fuggire dal bar non era stata la preoccupazione di fare tardi a cena: in quel momento non ci aveva pensato affatto. E allora, perché era fuggito? Perché aveva voglia di incontrare qualcuno, di farci qualcosa e invece era scappato col cuore in gola?
Arrivò a casa con due minuti di ritardo, padre e madre erano già seduti a tavola e stavano parlando. Il padre gli lanciò un'occhiataccia ma non disse niente. La madre riempì i piatti, continuando a parlare con il marito. Ettore non li ascoltava. Rispose al "buon appetito" della madre e si mise a mangiare, la testa piena di quel tizio che stava andando verso di lui, là all'Encounter...
Chissà come sarebbe stato scopare con quel tizio? Non era niente male, ma... D'altronde, meno male che era uscito, o avrebbe fatto anche più tardi a cena e sarebbero stati guai... Però... com'era passato in fretta il tempo! Non se ne era accorto.
Mentre mangiava, gradualmente si calmò. Per nascondere il proprio turbamento, mormorò: "Buona questa feta coi gamberi, mamma. Meglio del solito."
La madre lo guardò con un sorriso, compiaciuta per il complimento: "La Daria m'ha dato una ricetta migliore. Sai, lei ha lavorato per otto mesi ad Atene e così l'ho data alla Gina..."
Ettore si chiese chi fosse Daria: la madre ne aveva parlato come se lui dovesse conoscerla... Ma non osò chiedere, temendo di non ricordare chi fosse solo a causa del tumulto che ancora aveva nella mente.
Quando, un paio di ore più tardi, andò a letto, si masturbò lentamente, chiudendo gli occhi e immaginando che quel tizio andava al suo tavolo, senza dire una parola lo faceva alzare, gli calava i calzoni, lo faceva piegare a novanta gradi sul tavolinetto e lo fotteva, mentre il cameriere e gli altri clienti guardavano, sorridendo e la musica di sottofondo ritmava le spinte con cui il giovanotto gli batteva dentro...