Prima di decidersi ad andare di nuovo al bar Encounter, Ettore lasciò passare diversi giorni. Frattanto aveva pensato che avrebbe dovuto andarci più tardi, perché probabilmente ci sarebbero stati più clienti. Così un giorno disse ai suoi che quella sera dopo cena sarebbe andato a ballare con i compagni di scuola e che perciò sarebbe rientrato tardi.
Prima di uscire si preparò con particolare cura. Rasò accuratamente la lanugine di barba che aveva, impiegò più di mezz'ora a decidere che cosa indossare, oscillando fra abiti "normali" che non attirassero troppo l'attenzione, e un abbigliamento un po' più estroso per fare bella figura. Infine decise per un paio di levi's 501 stoned, una cintura di cuoio naturale a cinque capi intrecciati, una maglietta a maniche lunghe, celeste con un'ampia banda bianca orizzontale all'altezza del petto, mocassini di pelle nera sfoderati e senza calze, uno slip attillato... Si vestì e si controllò allo specchio.
Uscì e subito si sentì una lieve tensione addosso, e dentro la testa si ripeteva: "stavolta non scappo... stavolta non mi muovo... aspetto finché qualcuno m'aggancia..." cercando di convincersi e non sprecare nuovamente l'occasione.
Man mano che si avvicinava la bar, la tensione si trasformò in un lieve tremito. Giunto davanti alla porta esitò un attimo, poi risolutamente salì i tre gradini ed entrò. Il lieve tintinnare della campanella lo accolse e quasi tutti gli occhi si girarono verso di lui.
Cercando di avere l'aria di un cliente abituale, percorse con lo sguardo la sala finché vide un tavolo libero accanto al pilastro centrale. Andò a passo deciso a sedere, sentendosi tutti quegli occhi addosso. Dopo poco arrivò il cameriere.
Con un sorriso chiese: "Birra nera anche 'sta volta?"
A Ettore fece piacere che si ricordasse. "Sì, grazie." Notò che il cameriere indossava, questa volta, una camicia bianca con una cravatta rosa.
Dopo poco il cameriere gli portò la bottiglietta di birra, il bicchiere e una coppetta di patatine fritte. Ettore pagò. Cominciò a sgranocchiare le patatine. Al bancone erano seduti tre clienti, il cameriere chiacchierava con loro. Le gigantografie alle pareti erano illuminate da faretti a luce alogena. Bevve un sorso di birra. Aveva voglia di guardarsi attorno ma temeva di avere ancora gli occhi di tutti su lui e non voleva incontrare i loro sguardi.
Lentamente si rilassò. Sentì tintinnare la campanella della porta e guardò chi entrava. Distolse subito lo sguardo: era un tipo tutt'altro che interessante. Dopo neanche un quarto d'ora, qualcuno si fermò accanto a lui e una voce chiese: "Posso?"
Guardò in su: era un ragazzo fra i venti e i venticinque anni, capelli biondi pettinati con la riga, un volto non bello ma interessante, con un sorrisetto impudente che gli piegava le labbra, sguardo profondo... Aveva un bicchiere in mano. Ettore l'aveva intravisto, entrando, seduto in un angolo che parlava con un altro.
"Prego." mormorò Ettore.
Il giovane sedette e posò il bicchiere accanto al suo.
"Ciao, come stai?"
Che buffa domanda... "Bene." mormorò Ettore.
"Quanti anni hai?"
"Diciotto e mezzo."
"Studi, o che fai?"
"Studio."
"Non t'ho visto mai."
Ettore pensò che tutte e quattro le frasi erano perfetti esametri e facevano anche la rima... "Da poco ho trovato questo bar." rispose.
"Prima dove andavi?"
"In nessun posto... io..." disse e si interruppe.
"Io mi chiamo Vittorio. E tu?"
"Ettore."
"Lo sai che mi piaci un sacco?"
Ettore arrossì e abbassò lo sguardo. Per darsi un contegno bevve un sorso di birra.
"Io... ti vado a genio?" gli chiese Vittorio.
Ettore annuì. Non era niente male. Dalla camicia bianca, sbottonata e con le falde morbidamente annodate a vita, si vedeva un bel petto glabro e una catenina d'oro al collo. Dall'accento pensò che fosse d'origine sarda.
Una mano di Vittorio gli si posò su una gamba ed Ettore sussultò impercettibilmente. La mano non si muoveva. Il calore di quel contatto era piacevole. "Muovila più su... più su... più su..." pensava Ettore come in un ritornello, sentendosi sorgere una gradevole erezione, ma la mano non si muoveva.
"Hai voglia di scopare con me?" gli chiese Vittorio, sottovoce.
Ettore lo guardò sorpreso e arrossì nuovamente, fremendo, senza rispondere.
"Ti va?" insistette l'altro.
Ettore annuì, poi mormorò: "Però io... io non... non ho ancora..." e inghiottì a vuoto un paio di volte.
"Vuoi dire che... non l'hai mai fatto?"
Ettore scosse la testa e abbassò di nuovo lo sguardo. La mano sulla sua coscia strinse lievemente. Ettore lo guardò di nuovo. Vittorio sorrideva.
"La tua prima volta?"
"Sì." rispose con voce quasi strozzata.
"Neanche da ragazzino? Niente? Proprio niente?"
"Niente."
"Ma... ma hai voglia."
Ettore annuì.
"Con me... ti va?"
Annuì di nuovo. Poi chiese, con un filo di voce: "Dove?"
"Puoi venire da me. I miei sono fuori, tornano solo domenica, fra tre giorni. Non c'è nessun altro in casa."
"È... lontano?"
"No. Da qui, a piedi, cinque minuti. Hai tempo?"
"Ho detto a casa che andavo a ballare..."
"Ti piace ballare?"
"Così così... le ragazze non mi interessano."
"Ci sono anche disco gay."
"Davvero? Due ragazzi possono..."
"Certo. Anche baciarsi, limonare... Solo fare sesso non è permesso, ma tutto il resto sì."
"Cazzo!" mormorò Ettore sorpreso.
"Se vuoi, magari un'altra volta, ci andiamo insieme, che ne dici?"
Ettore annuì. Pensò che doveva essere forte ballare fra le braccia di un bel ragazzo. Strofinarsi uno contro l'altro come fanno i ragazzi con le ragazze... baciarsi... carezzarsi lì, in mezzo alla pista. Si eccitò completamente. Desiderò che la mano di Vittorio gli si posasse fra le gambe... ma forse non si faceva, in un bar, sia pure un bar gay. Finì di bere la sua birra.
"Voi bere ancora qualcosa... o vuoi che andiamo?" gli chiese Vittorio.
Lo guardò pensando che non voleva perdere tempo. Aveva quasi fretta di... fare qualcosa.
"Andiamo?" chise allora l'altro.
Ettore annuì. Si alzarono e dalla porta Vittorio salutò allegramente il cameriere "Ciao Franco..."
Il cameriere rispose: "Ciao ragazzi, buon divertimento."
Ettore arrossì, per quanto quell'augurio implicava. Uscirono. Vittorio lo prese lievemente per un braccio guidandolo verso casa sua. Quel contatto lieve ma intimo fece fremere Ettore. Camminarono in silenzio. Entrarono nel portone aperto di una costruzione degli anni trenta. Salirono sei gradini sulla destra e Vittorio aprì una porta su cui Ettore vide una targhetta "Stefano Sanna". Aveva ragione, quel ragazzo era sardo.
L'alloggio era arredato in stile anni cinquanta, con un certo buon gusto, mobili svedesi di colore scuro. Traversarono la stanza d'ingresso, passarono in un soggiorno, poi presero un corridoio e Vittorio lo guidò direttamente in una stanza piena si poster di aerei e con un lettino, una scrivania, uno scaffale con modellini di aerei, un armadio. Accese l'abatjour accanto al lettino poi girò dall'altra parte del letto e aprì la finestra. Ettore intravide che dava su un giardinetto confinante con la via posteriore, diviso da questa da una bassa inferriata.
"Eccoci qui..." gli disse con un ampio sorriso Vittorio.
"Sei appassionato di aerei?" gli chiese, fermo sulla soglia, quasi volesse perder tempo ora che era al dunque.
"Sì, e ho fatto il servizio militare in aviazione. Forse riesco ad andare a lavorare in Alitalia."
"Steward?"
"No, pilota." gli rispose tornando accanto a lui, portandolo accanto al lettino dopo aver spinto la porta chiudendola.
Lo abbracciò stringendolo a sé e gli sfregò lievemente le labbra contro le sue. Ettore era teso.
"Rilassati..." gli sussurrò Vittorio e lo baciò di nuovo, questa volta giocherellando con la punta della lingua sulle sue labbra.
"Non l'ho mai... fatto." mormorò Ettore, sentendosi al tempo stesso pieno di esitazione e di desiderio.
"Ma ne hai voglia, no?"
Ettore annuì. Vittorio gli infilò le mani sotto la maglietta e le passò sul suo ventre, sui fianchi, sulla schiena, poi sul petto e gli sfregò lieve i capezzoli. Ettore fremette e chiuse gli occhi, emettendo un lievissimo mugolio di resa. Vittorio gli sollevò la maglietta e lui alzò le braccia. Il compagno gliela sfilò lentamente e la lasciò cadere accanto al letto. Poi si chinò su di lui e giocherellò con le labbra e la lingua sui suoi capezzoli.
Ettore emise un mugolio un po' più forte: non avrebbe mai pensato di essere tanto sensibile lì, che potesse essere tanto piacevole essere toccato così. Quando si dava piacere da solo, tutta la sua attenzione era focalizzata sul membro, non aveva mai esplorato altre parti del corpo.
Le mani dell'altro si affaccendarono sulla sua cintura, l'aprirono, poi iniziarono ad aprire i bottoni della patta, uno dopo l'altro, lentamente. Ettore ne sentiva il lieve sfregare e premere delle dita contro la sua prorompente erezione, ancora prigioniera degli attillati slip di maglina di cotone... gli piaceva molto, tratteneva il respiro, fremeva in attesa.
Si sentì spingere i jeans fin sotto le ginocchia, poi le mani gli carezzarono le cosce, gli palparono i glutei e finalmente una mano si chiuse a coppa sul rigonfio davanti alle mutande e lo sfregò premendo. Ettore emise un altro mugolio, un po' più forte. Si sentiva la testa e il corpo in fiamme, avvertiva il pulsare forte e sordo del sangue nelle tempie.
Vittorio lo prese nuovamente fra le braccia e lo baciò, questa volta con maggiore vigore, e gli spinse la lingua nella bocca ed Ettore si sentì improvvisamente e lentamente sciogliere via di dosso tutta la tensione che l'aveva dominato fino a quel momento. Rispose timidamente a quel bacio intimo, sempre tenendo gli occhi chiusi, respirando a fatica tanto era emozionato.
Finalmente trovò la forza e il coraggio di sollevare le mani e le infilò lentamente, quasi timidamente, sotto la camicia del compagno: il contatto con la pelle liscia e nuda della schiena lo fece fremere fortemente. Le falde annodate della camicia si allentarono, si sciolsero e le sue mani poterono muoversi più liberamente. Puntando i piedi uno contro l'altro, si sfilò le scarpe e sentì sotto i piedi il freddo delle piastrelle del pavimento, che contrastò piacevolmente con il calore che si sentiva addosso.
Vittorio gli infilò le mani sotto gli slip e gli carezzò in modo possessivo le piccole natiche tese. Nella testa di Ettore risuonò un piacevole ritornello, una specie di spontanea filastrocca: "Il bel maschietto... mi porta là... Sopra al suo letto... mi prenderà... E ben lo so... mi fotterà... Oh, perderò... la verginità..."
"Mi vuoi scopare..." disse con voce soffocata dall'emozione.
Vittorio gli spinse giù anche le mutande e gli si accoccolò davanti: "Alza un piede, poi l'altro." gli disse.
Ettore obbedì, l'altro gli sfilò calzoni e mutande e finalmente fu completamente nudo. Poi Vittorio lo sospinse sul letto e, restando ritto lì accanto, iniziò lentamente a denudarsi in una specie di sensuale spogliarello. Ettore lo guardava assorto, godendosi la vista di quel corpo che si stava spogliando per lui... per lui.. per lui!
Vittorio salì sul letto, sopra di lui e i loro corpi aderirono, gambe fra le gambe, membro contro membro, ventre contro ventre, petto contro petto. Ettore gemette in preda a una crescente eccitazione.
"Tutto bene? Ti piace?" chiese in un sussurro, guardandolo con un sorriso allettante.
"Sì... da morire..." mormorò Ettore in un sospiro, carezzandogli il corpo e sentendosi in estasi.
Vittorio lentamente scivolò giù giù sul suo corpo, baciandolo, leccandolo, suggendolo e mordicchiandolo, mentre con le mani lo titillava nelle parti più sensibili del corpo. Ettore aveva chiuso nuovamente gli occhi e scuoteva la testa a destra e sinistra sul cuscino, godendosi le fortissime emozioni che l'altro gli stava donando.
Si sentiva tutto il corpo vibrare come le corde di un'arpa, si sentiva trasportare in una dimensione insospettata. Nessuna sua fantasia, non le foto che aveva visto né i racconti che aveva letto l'avevano preparato all'intensità del piacere che stava scoprendo.
Poi Vittorio raggiunse con le labbra, la lingua, la bocca il suo membro duro ed Ettore sussultò lanciando un alto mugolio strozzato, e gli sembrò di stare impazzendo per il godimento. Era talmente eccitato che in breve raggiunse un forte orgasmo ed emise una serie di bassi e intensi gemiti di piacere.
Si rilassò di colpo, ansimando pesantemente, ancora scosso di tanto in tanto da un forte fremito. Vittorio riprese il cammino su su per il suo corpo finché gli fu steso nuovamente sopra. Gli prese il volto fra le mani, lo baciò a fondo ed Ettore riconobbe il sapore mandorlato del proprio seme...
Poi Vittorio gli sussurrò con un sorriso: "E adesso... adesso fotto il tuo bel culetto."
"Sì."
Vittorio lo stava mettendo in posizione, quando si sentì un rumore provenire dall'appartamento e una voce di donna disse: "Vittorio? Dove sei?"
"Starà dormendo..." disse una voce d'uomo.
Vittorio s'irrigidì, salto giù dal letto ed esclamò con voce strozzata: "Cazzo, papà e mamma! Scappa, svelto. Vai via..."
Ettore si sentì morire. Saltò giù dal letto e raccolse i propri abiti.
"Svelto, dalla finestra, via!" gli disse con urgenza Vittorio, "Cazzo, dovevano tornare domenica..."
Ettore, i suoi panni e le scarpe in mano, guardò giù dalla finestra: un salto di un paio di metri, su un tratto erboso. Sentendosi scosso da vampate di gelo e di calore, sedette sul davanzale, girò fuori le gambe e saltò giù. Mentre atterrava sull'erba, sentì che Vittorio chiudeva la finestra.
Cercò di vestirsi in fretta, guardandosi attorno e su verso le finestre, timoroso che qualcuno lo stesse guardando. C'era poca luce. Era talmente eccitato e spaventato che quasi non riusciva a rivestirsi. Infilò i calzoni di cui abbottonò solo il bottone a vita, poi mise gli slip in una tasca, si infilò le scarpe e la maglietta e di nuovo si guardò attorno e su verso la casa, tremando per lo spavento.
Quindi, caminando rasente al muro, raggiunse la cancellata di cinta. Non era molto alta. Vi si arrampicò scivolando un paio di volte, riuscì a issarvisi, portò le gambe dall'altra parte e scese. Guardò su e giù per la via: non stava passando nessuno.
Allora si allontanò correndo più veloce che poteva, sentendo un sordo martellare nella testa, ansimando profondamente, tremando come una foglia sotto la tempesta. Si fermò solo quando fu lontano diversi isolati. Si appoggiò contro il muro di una casa e respirò a fondo più volte, cercando di calmarsi. Si premette una mano dal lato del cuore, quasi come per impedirgli di scoppiare.
Calmatosi un poco, si abbottonò la patta dei jeans, chiuse la cintura. Spinse più a fondo gli slip, che in parte penzolavano fuori, nella tasca. Si guardò nuovamente attorno. Dal fondo della via stava arrivando una donna con un cane al guinzaglio. Si staccò dal muro e prese a camminare. Si sentiva ancora fortemente agitato.
Raggiunse il viale, dove il traffico gli dette un senso di normalità. Si fermò di nuovo, respirò a fondo, rumorosamente, più volte, poi si figurò cosa sarebbe accaduto se non avessero sentito arrivare i genitori di Vittorio, se Vittorio avesse già cominciato a fotterlo... e scoppiò in una risata isterica, e lacrime iniziarono a colare sulle sue gote.
S'incamminò verso casa. Tutti i negozi erano chiusi, anche i bar. Provava il bisogno di bere qualcosa di forte. Prima di tornare a casa doveva calmarsi del tutto. Guardò l'orologio: mezzanotte era passata da quasi venti minuti. Si passò le dita nei capelli, per risistemarli. Si accorse di stare sudando, nonostante la sera non fosse particolarmente calda.
Passò davanti alla porta di un albergo. Entrò e chiese al receptionist se il bar fosse aperto.
"Mi spiace, ma è aperto solamente per i clienti... Ma... si sente male?"
Ettore annuì.
"Sieda lì... vedo se posso portarle qualcosa... cosa si sente?"
"Debole..."
"Vuole un cordiale, allora? Qualcosa di forte, di alcolico?"
"Magari..."
"Attenda un attimo..."
La parete di fronte era a specchio ed Ettore vi si guardò: era pallido come uno straccio. Dopo poco il receptionist tornò con un vassoietto e un bicchiere.
"Ecco, prenda. È cognac."
"Grazie."
Prese il bicchierino e sorseggiò. Era buono, forte... Il receptionist lo guardava con espressione lievemente preoccupata.
"Come va?" gli chiese quando posò il bicchiere.
"Un po' meglio."
"Se vuole restare seduto ancora un po'... Vuole che le chiami un taxi per riaccompagnarla a casa?"
"No grazie... non abito lontano da qui. Quanto le devo per il cognac?"
"Oh, lasci perdere. Che vuole che sia..."
"Grazie."
Dopo qualche minuto, sentendosi più calmo e padrone di sé, ringraziò di nuovo e si avviò verso casa.