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una storia originale di Andrej Koymasky


PRURITI DI UN VERGINE CAPITOLO 4 - TUTTE STORTE

Ettore per qualche giorno ripensò a quella serata così piena di emozioni incredibili, dall'incertezza iniziale quando Vittorio l'aveva agganciato, al piacere incredibile, inatteso che aveva provato, al terrore per l'arrivo dei genitori del compagno, alla gentilezza di quel receptionist di mezza età...

Aveva provato più emozioni in quelle poche ore che in tutta la sua vita. Ma si soffermava sempre più a lungo sul piacere che Vittorio aveva saputo risvegliare nel suo corpo, che gli aveva donato. Si rammaricava che fossero arrivati i genitori proprio quando era sul punto di perdere, finalmente, la sua verginità... "Se non è sfiga questa!" si disse.

Chissà come sarebbe stato? In quel momento era talmente eccitato che aveva desiderato essere penetrato, ma ora si chiedeva se gli sarebbe veramente piaciuto. Fottere, scopare, chiavare, inculare, prendere, metterlo... chissà quanti modi c'erano per dirlo? E che differenza c'era fra fare l'amore e fare all'amore? Forse fare l'amore era per l'appunto un'espressione di amore, e fare all'amore ne era, per così dire, solo la... brutta copia? Solo l'aspetto puramente fisico?

"Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona."
Gli vennero in mente questi versi dell'Inferno di Dante... Beh... certamente con quel Vittorio non c'era stato "amore", però grazie a lui aveva finalmente e realmente provato quel "piacer sì forte che ancor non m'abbandona"...

Gli sarebbe piaciuto rivedere quel Vittorio...

"Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era, e bello, e di gentile aspetto"...
Chissà perché gli venivano nuovamente alla memoria i versi di Dante?
"Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era, e figo, e di gentile aspetto:
mi presi con costui piacer sì forte,
che, dopo giorni, ancor non m'abbandona."
Non facevano la rima, ma era proprio così... Chissà cosa avrebbe detto la sua prof di lettere se le avesse recitato questi versi? si chiese sorridendo. "Dove li hai letti, Becarelli?" "In Paradiso, signora professoressa!" "Ma via, i primi due provengono dal Purgatorio e gli ultimi due dall'Inferno!" "No no, gliel'assicuro, professoressa: in Paradiso!"

Non riuscì a resistere per molti giorni, perciò con un'altra scusa, uscì dopo cena e andò nuovamente all'Encounter. C'erano pochi clienti, nessuno veramente interessante. Notò una rivista su uno dei tavolinetti liberi e andò a sedere lì. Dopo che il barista l'ebbe servito, si mise a sfogliarla lentamente. Come aveva immaginato era una rivista gay e anche piuttosto spinta, anzi, decisamente pornografica.

Si sentì formicolare il cuoio capelluto. Alcune fotografie erano volgari, ma altre erano decisamente belle! Come quei due, seduti sul letto uno di fronte all'altro, nudi, le gambe intrecciate, lievemente abbracciati, che si guardavano con un bel sorriso pieno di gioia e di tenerezza... Gli sarebbe piaciuto averne una gigantografia da appendere nella sua cameretta, sulla parete di fronte al letto.

Leggiucchiò qua e là qualche articolo e li trovò quasi tutti piuttosto squallidi, insulsi. Per non parlare delle inverosimili "lettere al direttore"...

"L'altro giorno al lavoro ho preso l'ascensore e con me è salito un bonazzo con un pacco favoloso. All'improvviso l'ascensore s'è bloccato e quello m'è venuto subito addosso e m'ha slinguazzato..." eccetera, con dettagliata descrizione di come il bonazzo l'aveva scopato con suo gran piacere, e che concludeva scrivendo: "... e ora mi chiedo, mica sarò per caso gay?"

Risposta del direttore: "... e mi dica dove lavora, che verrò a prendere quell'ascensore almeno una volta al giorno..."

Sentì tintinnare il campanellino della porta. Entrò un giovanotto alto, muscoloso, con calzoni e giacca di pelle nera decorati con borchie e catene, un paio di baffi neri a manubrio e capelli cortissimi, anche neri. La giacca era aperta su un petto nudo e piuttosto villoso.

Il tizio andò a sedere due tavolinetti più in là, le gambe larghe, e fece un cenno al barista. Ettore si accorse che il nuovo arrivato lo stava guardando fisso, e si passava una mano sul petto in una lieve, lenta carezza. Si rimise a guardare la rivista, infastidito da quello sguardo sfacciato.

Dopo un po' sentì il bisogno di andare al gabinetto. Sul fondo della stanza c'era una porta grigia con su dipinto in rosso il cerchio con la freccia, il simbolo maschile. Si alzò e vi andò. Dentro c'erano due box sul fondo, un lavandino a sinistra e due orinatoi a destra. Andò a uno di questi, se lo tirò fuori e iniziò a orinare. Sentì quasi subito la porta d'ingresso cigolare.

Un uomo sulla quarantina si mise all'orinatoio accanto al suo, se lo tirò fuori e iniziò a masturbarsi. Ettore gli lanciò un'occhiata sentendosi al tempo stesso disturbato e vagamente eccitato, anche se quel tizio, fisicamente, non l'attraeva affatto.

L'uomo si girò verso di lui brandendo il membro duro: "Ti piace, ragazzo? Lo vuoi il mio cazzo?" gli chiese con un sorrisetto che probabilmente voleva essere libidinoso, allettante, ma che scoprì brutti denti storti e ingialliti dal fumo...

"No, grazie, ne ho già uno." rispose Ettore, ironico e nervoso, cercando di sbrigarsi.

"Ma mica te lo puoi mettere da solo, gioia bella! Dove lo vuoi, in culo, in bocca o in tutt'e due?"

"Ma lasciami in pace." disse seccamente Ettore.

"Quanto vuoi per farti inculare, marchettina?"

"Piuttosto divento etero!" esclamò infastidito e, rimessosi a posto, uscì in fretta dal cesso e tornò a sedere al suo posto.

Notò che il tizio vestito in pelle continuava a guardarlo fisso. Si sentì disturbato. Aveva sperato di incontrare di nuovo quel Vittorio, ma ancora non si era visto. Si chiese se dovesse aspettarlo ancora o se fosse meglio rinunciare. Non avevano avuto il tempo di darsi un appuntamento quando era scappato dalla finestra della sua camera, quindi non era affatto sicuro che arrivasse. Però non aveva ancora voglia di tornare a casa.

Vide l'uomo che aveva tentato di agganciarlo nel gabinetto uscire dal bar e tirò un silenzioso sospiro di sollievo. Vittorio fino ad allora rappresentava la sua unica esperienza... mezza esperienza per meglio dire, e gli era piaciuta moltissimo... a parte il finale. Toccata e fuga...

Sfogliò di nuovo la rivista fino a ritrovare la bella fotografia con i due ragazzi seduti uno di fronte all'altro e la contemplò: erano davvero belli! Davano l'idea di due ragazzi innamorati... Magari erano solo due pornodivi che non gliene importava niente uno dell'altro, due bravi attori. Però era una gran bella scena. Gli sarebbe piaciuto portarsi via quella pagina ma non poteva, non avrebbe saputo dove nasconderla, in casa.

Controllò l'orologio al polso e si accorse che s'era fatto tardi. Allora, lasciando con rammarico la rivista sul tavolo, si alzò, fece un cenno di saluto al barista e uscì. Si avviò verso casa. Aveva fatto pochi passi, quando sentì il campanello dell'Encounter suonare. Si girò e vide che ne stava uscendo il tizio vestito di pelle e borchie. Il giovanotto guardò nelle due direzioni della via, poi si avviò verso di lui. Ettore riprese a camminare a passo svelto.

"Ehi, fighetto, aspettami!" il tizio chiamò.

Fece finta di non aver sentito e accelerò lievemente il passo.

"Ehi, tu! Aspetta!" lo sentì ripetere. Dopo poco il tizio gli si affiancò: "Dove corri?"

"A casa. È tardi." rispose senza guardarlo.

"Ma no che non è tardi... ho voglia di fotterti. Dai che ci divertiamo, vieni con me."

"No."

Il tizio rise e con un fianco gli dette una spinta facendolo andare a battere contro la parete.

"Lasciami in pace. Che vuoi!" esclamò Ettore, allarmato, guardandolo con espressione infastidita.

"Voglio il tuo culo."

"Non è a disposizione." disse continuando a camminare.

"Sì che lo è. Non mi fare incazzare, vieni con me!"

"Ma levati dalle palle! Ho detto di no!"

L'altro lo afferrò per un braccio con forza, tanto da fargli male, continuando a camminare con lui: "Tu invece vieni con me e mi dai il culo!"

"Levami le mani di dosso!" protestò Ettore, allarmato, seccato, impaurito.

L'altro rise e lo sospinse in un vicolo laterale, poco illuminato.

"Lasciami o grido!" disse cercando di opporsi, di sfuggirgli.

"Grida, grida: penseranno che è un ubriaco... Sai che gliene frega alla gente!" gli disse l'altro, divertito, trascinandolo in un angolo semibuio.

Gli si addossò spingendolo contro il muro, e iniziò ad aprirgli i calzoni. Ettore iniziò a lottare per liberarsi, per fermarlo, ma l'altro era incredibilmente forte e mentre lo teneva contro il muro, stava riuscendo a sbottonargli i calzoni.

"Piantala!" urlò, "Aiuto! Aiuto!"

Il tizio, con una mossa veloce, lo fece girare bloccandolo contro il muro con le gambe e il corpo massiccio e premendogli una mano sulla bocca, mentre con l'altra continuava ad aprirgli i calzoni.

"Mi piace che provi a lottare, fringuello! Mi fai eccitare anche di più. Ma tanto non mi scappi, finché non mi sono levato la voglia." gli sibilò a un orecchio.

Radunando tutte le proprie forze, Ettore cercò ancora di liberarsi. L'altro gli tolse la mano dalla bocca ma gli afferrò lesto il collo e strinse, soffocando sul nascere il grido che aveva tentato di lanciare.

"Zitto e fermo, sennò ti ammazzo!"

Ettore temette che l'altro facesse sul serio e si immobilizzò, ora veramente spaventato e non tentò più né di gridare né di opporsi. Pensò, smarrito e tremante, che non era così che aveva immaginato di perdere la verginità! Mentre la mano continuava a tenerlo per il collo con una presa d'acciaio, l'altra mano era riuscita ad aprirgli la cintura e a sbottonargli i calzoni e, con una serie di strattoni, glieli aveva abbassati assieme alle mutande.

Ettore sentì un refolo d'aria sul sedere e gli venne la pelle d'oca. Lo sentì trafficare, il dorso della mano gli premeva a tratti e gli sfregava le natiche e capì che il tizio si stava aprendo la patta dei calzoni di pelle.

Poi sentì il membro duro del tizio sfregare fra le natiche cercando il foro nascosto e il tizio disse, con una risata chioccia: "Adesso te lo metto tutto nel culo. Ti conviene non provare a stringere, fringuello, che tanto te lo sfondo lo stesso!"

Quello iniziò a spingere ed Ettore si sentì perso, era terrorizzato... ma in quella si sentì un rumore di passi e quasi subito alcune voci gridarono.

"Porci schifosi, finocchi di merda!"

"Brutti maiali!"

"Andate a fare le vostre porcate da un'altra parte, bastardi!"

Ettore si sentì raggelare e guardò: quattro ombre avanzavano verso di loro continuando a insultarli. Il tizio lo lasciò immediatamente e corse via. Allora Ettore si tirò su in fretta i calzoni e, tenendoli su con entrambe le mani, scappò nella stessa direzione dell'altro, allontanandosi dalle quattro figure, ma appena il suo assalitore al primo incrocio girò a sinistra, lui girò a destra.

Sentiva dietro di sé le voci che continuavano a insultarli, ma non pareva che li stessero inseguendo, non sentiva il rumore dei passi. Con i calzoni tenuti su dalle mani, corse ancora, finché si sentì al sicuro. Allora si fermò e si risistemò i pantaloni. Gli tremavano le mani, il cuore gli batteva all'impazzata.

Si disse che era stato fortunato che fossero arrivati quelli, gli pareva che una fosse una donna, anche se le voci che aveva sentito erano solo maschili. Era sicuro di aver fatto bene a fuggire: quelli molto probabilmente non gli avrebbero creduto se avesse detto che era stato assalito, che stava per essere violentato.

Cavolo, pensò, questa fuga era stata anche peggio di quella di pochi giorni prima... Si massaggiò la gola e si chiese se gli avesse lasciato qualche segno. Giurò che non sarebbe mai più andato in quel bar, anche se gli sarebbe piaciuto poter incontrare di nuovo quel Vittorio... No, non ci sarebbe andato mai più!

Possibile che fosse così sfigato? si chiese. Andò a casa, però facendo un giro più lungo, scegliendo le vie più illuminate e frequentate. Quando arrivò sotto casa, frugò nelle tasche per prendere le chiavi. Si sentì gelare: non le aveva! Si chiese se le avesse dimenticate in casa o se le avesse perse quando il tizio gli aveva calato i calzoni, ma non ricordò di averne sentito il rumore, benché non poteva esserne sicuro. Oltretutto il tintinnare delle catene che quello aveva indosso avrebbe coperto il rumore delle sue chiavi che cadevano.

"Cazzo, e adesso cosa faccio?" si chiese.

Un po' esitante, suonò il campanello. Suo padre si sarebbe certamente incazzato come una spia, ma che altro poteva fare? Suonò di nuovo... nessuna risposta. Suonò più volte chiedendosi se per caso non funzionasse... Dopo un po' smise. Sì, doveva essere rotto.

Allora decise di telefonare. C'era una cabina telefonica dall'altra parte del viale, all'incrocio e vi andò. Ma vide che il telefono funzionava solo con la scheda telefonica o con la carta di credito e lui non aveva né l'una né l'altra.

"Cazzo, ma tutte a me capitano! Non me ne va dritta una, stasera!" disse ad alta voce, dando un pugno al telefono e facendosi male alle nocche. "Se mio padre m'avesse comprato il telefonino quando gliel'ho chiesto! Computer, no, telefonino, no, motocicletta, no! Siamo quasi nel duemila, cazzo! Con tutti i soldi che ha..."

Sedette sul marciapiedi: "E adesso che faccio? Che faccio? Che cavolo faccio?" si ripeteva a bassa voce, sconsolato, abbattuto, scoraggiato, avvilito.

Dopo qualche minuto si rialzò e si mise a camminare in cerca di un altro telefono, sperando di trovarne uno che funzionasse a monete. Dopo più di mezz'ora, però, non ne aveva visto neanche uno. Si guardò attorno, desolato.

"Porco mondo zozzo di merda!" gridò per scaricare almeno in parte la rabbia che si sentiva montare in corpo.

Dette un calcio a una lattina vuota che era sul marciapiedi, e la sentì rotolare via con un rumore che gli fece pensare a una risata di scherno.

Pensò che sarebbe potuto andare alla stazione ferroviaria per dormire in sala d'aspetto, poi si ricordò d'aver sentito dire che di notte la chiudevano. Era inutile che si facesse una lunga camminata rischiando di fare un buco nell'acqua.

Allora si avviò verso il parco, che era abbastanza vicino, sperando di trovare una panchina un po' appartata per stendercisi e dormire o almeno passare la notte... Proprio come i barboni delle barzellette, pensò con amara ironia.

Giuntovi, vi si inoltrò e lo girò per trovare un posto che gli sembrasse adatto. Finalmente trovò una panchina non troppo lontana dal viale, protetta da questo da una siepe che ne circondava tre lati, e non troppo illuminata dai lampioni. Vi si stese, mettendosi su un fianco, con il dorso contro lo schienale. Il rumore delle auto che di tanto in tanto passavano nel viale non era certo adatto a conciliare il sonno.

Ridacchiò pensando che proprio mentre rischiava di essere violentato era stato insultato da quel gruppetto di passanti... Se lui fosse stato una ragazza invece che un ragazzo, quasi sicuramente quelli le avrebbero creduto se avesse detto loro che l'altro lo stava per violentare.

Mille pensieri, mille emozioni gli si affollavano nel cervello e gli rendevano difficile addormentarsi, nonostante si sentisse terribilmente stanco. Si rialzò a sedere, sentendosi la testa pesante. Girò attorno lo sguardo, il parco era deserto. Guardò l'orologio: erano le due e diciannove. Logicamente, a quell'ora, la gente normale era già tutta a letto... Già, la gente "normale"...

Vide un cane arrivare trotterellando verso di lui. Era un bel bastardino con un collare rosso. Il cane gli si fermò davanti, lo guardò per un po', poi sedette, sempre guardandolo, e agitando debolmente la coda.

"Ciao, cane. Anche tu sei rimasto chiuso fuori casa, stanotte?" gli chiese Ettore.

Il cane piegò di lato la testa ed emise un lieve guaito, quasi a rispondergli.

"Mica sari un cane frocio, per caso?"

Il cane rispose di nuovo con un breve guaito.

"Ah sì? Beh, siamo in due allora, io sono un frocio cane e tu un cane frocio. Ma dì, ci sono anche bar per cani froci?" gli chiese allungando una mano verso di lui.

Il cane si alzò, gli si accostò, gli leccò la mano un paio di volte. Ettore gli carezzò la testa e gli grattò la nuca. Poi batté sulla panca accanto a sé.

"Dai, salta su, vieni a tenermi compagnia."

Il cane saltò sulla panchina e gli si sedette a lato.

"Sei un cane intelligente. Chissà come ti chiami? Io mi chiamo Ettore. Ettore Becarelli. Sei un tipo di poche parole, tu, eh?"

Il cane si stese e gli appoggiò la testa in grembo.

Ettore lo carezzò.

Il cane emise un profondo sospiro.

Anche Ettore sospirò.

"Vita da cani, eh? Meno male che il tempo è buono. Ma tu, sei contento di essere gay? Io... me ne sono fatto una ragione, sai... Ci ho messo un bel po' ad accettare di essere gay, però me ne sono fatto una ragione. Certo che... almeno fino ad adesso, a parte un tale che si chiama Vittorio..."

Il cane ricominciò a scodinzolare lievemente.

"Lo conosci? Non fossero arrivati i suoi genitori... Proprio sul più bello... Che ne dici, tu, sono nato sotto una cattiva stella? Anche a te certi giorni non te ne va dritta una?" chiese.

Il cane sbadigliò.

"Che c'è, ti sto annoiando? Beh, devi avere pazienza, non sono proprio in vena, stanotte. Sai... proprio stanotte un tizio mi stava per violentare..."

Il cane abbaiò.

"Sì, hai ragione! Quello ne approfittava perché era grande e grosso. Stava quasi per riuscirci, sai? Magari se c'eri tu, mi difendevi... Vero che mi avresti difeso? Va beh che anche tu non è che sei tanto grande e grosso... Anche fra voi cani ci sono tipacci come quello che mi voleva violentare? Ma tu, dì un po', amico, hai già scopato o sei ancora vergine come me?"

Il cagnetto guaì quasi lamentosamente.

"Nooo, non ci credo, dai!"

Si sentiva veramente stanco.

"Fatti un po' in là, che provo a stendermi di nuovo..." gli disse.

Si allungò sul sedile della panchina. Il cane si spostò appena, poi si stese e gli si accucciò contro. Ettore gli mise un braccio attorno, stringendolo a sé. E finalmente, quasi senza accorgersene, si addormentò...


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