Dopo poco che aveva suonato, il padre aprì la porta, già vestito per andare in ufficio. Lo fulminò con lo sguardo e disse, a voce bassa e minacciosa: "Ah, sei qui?"
"Ho dimenticato la chiave e..."
"E allora? E con questo?" lo investì il padre.
"Ho suonato di sotto, ma non rispondeva nessuno... Forse il campanello non funziona..."
"Potevi telefonare, no?"
"Sì, ci ho pensato, ma non ho trovato telefoni a gettoni..."
"Da qualsiasi telefono si può chiamare gratis il 112 o il 113 e potevi chiedere aiuto a loro!"
"Non ci ho pensato..."
"E già, tu credi di risolvere tutto così, dicendo che non ci avevi pensato!"
"Davvero, non ci ho pensato. Sennò lo facevo, papà."
Spuntò la madre, in vestaglia: "Ci hai fatto stare in pensiero tutta la notte, Ettore! Possibile che non ti rendi conto?"
"Mi dispiace, io... mica l'ho fatto apposta..."
"Ci mancherebbe pure che l'hai fatto apposta!" ribatté la madre con aria seccata.
"E che cavolo hai fatto tutta la notte, eh?" gli chiese il padre.
"Una persona m'ha trovato che cercavo di dormire al parco e mi ha ospitato a casa sua."
"E tu... tu sei andato a casa di uno sconosciuto?" gli chiese la madre guardandolo incredula.
"Beh... meglio che dormire al parco... È una brava persona..."
"Tu non ce la racconti giusta! Quando mai uno si prende in casa uno sconosciuto?" gli chiese il padre in tono minaccioso. "Cosa cavolo hai fatto tutta la notte? Dove l'hai passata? Con chi?"
"Ma te l'ho detto, papà... Pensavo di dormire lì al parco, poi..."
"Perché al parco? Non lo sai che di notte è il ritrovo di drogati e di omosessuali?"
"Non lo sapevo... e comunque non ho visto proprio nessuno."
"Perciò non è vero che hai incontrato quel tizio!" gli disse la madre in tono d'accusa, credendo di averlo colto in fallo.
"Nessuno a parte Giuseppe, volevo dire." rispose Ettore in tono esasperato.
"Giuseppe, chi?" gli chiese il padre.
"Non lo conosci... non lo conoscevo neanche io, prima di incontrarlo al parco."
"Non lo conosci e lo chiami per nome? Come un vecchio amico?" gli chiese la madre.
"Mamma! Adesso logicamente lo conosco. È stato gentile, molto gentile..." protestò il ragazzo.
"Come mai hai i capelli bagnati?" gli chiese la madre.
"Perché stamattina abbiamo fatto la doccia..."
"Avete... cosa?" gli chiese il padre inarcando le sopracciglia. "Vuoi dire... assieme?"
"Papà, aveva fretta di andare al lavoro e così, per risparmiare tempo..." rispose sempre più esasperato.
"E tu fai la doccia con uno sconosciuto? Non hai il minimo senso del pudore?"
"Ma che male c'è, papà..."
"Che male c'è... che male c'è... non la faccio più io, che sono tuo padre, con te da almeno dieci anni, e tu la fai con qualcuno che hai appena conosciuto... E... mica per caso... hai mica dormito con lui?"
"Sì, papà..."
"Nel suo letto!"
"Ne aveva uno solo..."
"Tu vai in un parco dove di notte ci sono solo omosessuali... e conosci un uomo, e vai a letto con lui? Cosa cavolo ha preteso da te, in cambio della sua... ospitalità?" tuonò il padre.
"Ma niente, non ha preteso niente."
"Un omosessuale... da un ragazzo attraente come te?" gli chiese la madre in tono beffardo. "Ma a chi la vuoi dare a bere, Ettore, eh? Cos'è, hai conosciuto il buon samaritano?"
"Non ha preteso proprio niente!" gridò quasi. "E che ne sai tu se Giuseppe è omosessuale?" aggiunse poi, ma un lieve rossore e il fatto che abbassò lo sguardo, lo tradì.
Il padre lo afferrò per un braccio: "Cosa hai fatto, Ettore, con quell'uomo? Voglio la verità!" gli disse in tono minaccioso, scuotendolo violentemente.
"Abbiamo scopato tutta la notte!" gridò Ettore in tono di sfida. "E mi è piaciuto un sacco! Ecco cosa abbiamo fatto! Io sono gay, papà, che ti piaccia o no!"
Il padre lo lasciò come se si fosse scottato, lo spinse via da sé ed Ettore batté lievemente contro la parete del corridoio, dove erano ancora tutti e tre.
"Coooosaaaa?" gridò alterato.
"Io sono gay, papà. Lui non m'ha costretto a fare proprio niente. Gliel'ho chiesto io!" gridò in risposta Ettore, mettendosi a tremare per l'intensità della tensione che s'era creata.
Per un po' nel corridoio scese il silenzio. Un silenzio pesante come un macigno. Ettore pensò che non avrebbe dovuto lasciarsi sfuggire quell'ammissione, ma ormai era fatta.
Il padre gli dette un violento manrovescio, e Ettore sentì che l'anello gli lasciava una scia bruciante sulla pelle. Si toccò la guancia e, quando guardò la mano, vide che vi era un po' di sangue. Prese il fazzoletto dalla tasca e se lo premette contro la guancia.
Guardò il padre con occhi corruschi. "Cosa credi di risolvere, menandomi, eh?" gli gridò.
"Dio, che schifo!" mormorò la madre portandosi le mani sulle guance e guardandolo con occhi sbarrati. "Che schifo... fare quelle cose... con un uomo... con uno sconosciuto..."
"Io devo andare al lavoro, adesso." disse il padre con voce dura. "Quando torno, non ti voglio più vedere in questa casa! Non c'è posto, nella mia vita, per uno come te." aggiunse e presa la sua ventiquattr'ore uscì di casa sbattendo la porta.
"Ma come hai potuto fare una cosa del genere... con uno sconosciuto..."
"Perché, se lo facevo con un amico di famiglia, era meglio?" chiese Ettore, in tono ironico, di sfida.
"Ma almeno... almeno di' che ti dispiace, no? Che sei pentito, che so io! Sembri quasi... quasi... contento! Contento di essere un anormale! E da quant'è che fai quelle porcherie, eh?"
"Non mi dispiace, non sono pentito e non sono porcherie! Cosa credi, che l'abbia scelto io? Cosa credi, che mi faccia piacere a essere trattato... così, proprio da voi? Cosa credi, che sia contento che lui m'ha sbattuto via da casa?" gridò.
"E non alzare la voce! Se tu... se dici a papà che ti dispiace... magari riesco... però devi promettermi che non farai mai più quelle... quelle porcherie! Mai più."
"No che non te lo prometto, non ho nessuna intenzione di farle di nascosto e di prendervi in giro. Se non vi vado bene così... è molto meglio che me ne vada."
"Ma dove vai? Che pensi di fare? Ma non capisci che..."
"Se non trovo niente altro... andrò a battere il marciapiede, contenta?"
"Ettore! Ti ha dato di volta il cervello? Come puoi dire una cosa del genere?"
"Con lo stesso diritto con cui mi sbattete fuori di casa. E poi tu ti scandalizzi quando d'estate la gente abbandona i cani per la strada! Che ipocrisia! Per voi sono meno di un cane! Ma sta tranquilla, non ti faccio la pipì sullo zerbino di casa o contro l'angolo del mobile!"
"Credi d'essere spiritoso?" gli gridò la madre.
"No... oh no, non mi fa ridere proprio per niente. Credevo di avere dei genitori, e invece m'accorgo di avere solo due censori. Ma che ve ne frega di me, di quello che sento, che provo, che sono? Dio, non so se ridere o piangere per il brutto scherzo che vi ha fatto la vita, a voi due che vi siete sempre creduti una famiglia perfetta! Che stupido! Pensavo che poteste capire, accettarmi... che mi voleste bene abbastanza per... per superare i pregiudizi che avete verso i gay!"
"Non puoi pretendere che accettiamo che nostro figlio sia un degenerato, un anormale, un malato!"
"Io non sono diverso dagli altri ragazzi! Mica vado in giro vestito da donna, truccato come una... poco di buono, no? Io sono normalissimo, perché ho bisogno di amore, come tutti gli altri. Perché soffro, spero, piango, rido, scherzo, m'impegno a scuola come qualsiasi altro ragazzo. So che noi gay siamo solo una minoranza, e ho sperato di non farne parte, proprio perché so che la società... Ma non credevo che anche voi due... Vorrei solo essere accettato, non insultato, disprezzato... e proprio da voi due!"
"Ma Ettore! Se... se ti fai curare da uno psicologo, da uno psicanalista, forse..."
"Solo perché sono gay? Ché, forse, se mi piacessero le ragazze mi diresti di andare dallo psichiatra?"
"Non essere stupido: se ti piacessero le ragazze... sarebbe tutto normale, no?"
"Ma io sono normale, cazzo!" gridò.
"E non dire parolacce! E non gridare! Possibile che non sai ragionare? Che ti prende, all'improvviso? Fino a ieri era tutto normale, tutto andava bene, e ora..."
"Fino a ieri! Ma se sono almeno due anni, anzi di più, che sto male dentro... e voi non vi siete accorti di niente. Tutto normale, dici! Solo adesso mi sento normale, perché ho capito che se sono così, la cosa più logica è accettarmi come sono. Cos'è normale? Chi l'ha fissata la norma? In base a cosa? Scommetto che se avessi ammazzato qualcuno, mi avreste cercato un ottimo avvocato per evitarmi di pagarla, no? Non m'avreste cacciato di casa, no? Un assassino è più normale di un gay, per voi, evidentemente."
"Non dire assurdità..."
"No che non le dico. È meglio che levo le tende, che ci sto a fare ancora qui?" disse e andò in camera sua.
Prese un borsone, vi infilò i libri di scuola, il lettore CD, qualche abito fino a riempirlo.
La madre lo guardava dalla soglia: "Ma che credi di fare? Dove pensi di andare? Possibile che non si può ragionare, con te?"
"Vado a fa'n culo, ecco dove vado." rispose Ettore, scansandola e uscendo dalla stanza.
"Ettore... aspetta... parliamone... Magari puoi guarire..." gli gridò dietro la madre.
"No, me ne vado!"
"Guarda che questa casa non è un albergo! Se ti azzardi a uscire da quella porta..." gridò la madre.
Ettore uscì di casa sbattendo la porta. Scese le scale di corsa, uscì dal portone e si avviò a passo svelto verso il parco. Tremava, si sentiva vampate di calore addosso e la testa scoppiare. Aveva voglia di piangere per la delusione, per la rabbia, per il dolore. "Questa casa non è un albergo! Infatti, in albergo non ti chiedono con chi scopi per darti una camera." pensava, infuriato.
Raggiunse il parco. Vi si inoltrò, cercando di calmarsi. Teneva il borsone per le maniglie, appeso alla schiena e camminava, ora, a passo lento, guardando lo stradello su cui stava camminando, girando a caso. "E adesso che faccio? Che faccio? Che cavolo faccio?" continuava a chiedersi, desolato. "A casa non ci torno neanche morto! Ho diciott'anni, faccio quello che cavolo voglio. Neanche morto, ci torno!"
Calciò via un sasso, con rabbia. "Chissà perché ho preso i libri di scuola? Condizionato fino a questo punto... Non dovevo dirgli niente e continuare a fare tutto di nascosto! Recitare la parte della scimmia ammaestrata e farli contenti... fregati e contenti..."
Sedette su una panchina e posò il borsone a fianco. Poi tirò fuori dalla tasca il portafogli e controllò: aveva solo 19.800 lire... il costo di poco più di una ventina di caffè. Pensò che avrebbe potuto vendere i libri di scuola... Poteva, a sera, andare all'Encounter a chiedere se lo assumevano come cameriere... o se gli potevano consigliare dove trovare un lavoro. Aveva detto alla madre che avrebbe battuto il marciapiedi, ma sinceramente non se la sentiva davvero, sperava di non dovere arrivare a quello...
Non era stata una cosa furba arrivare a quello scontro con i suoi... avrebbe dovuto prepararsi prima, in modo di potersene andare da casa con calma... Magari prima prendere la maturità, a cui mancava poco, poi cercarsi un lavoro... Ma, innanzitutto, non s'aspettava di essere sbattuto fuori così su due piedi e, inoltre, non era affatto dispiaciuto di aver detto ai suoi di essere gay.
Ma anche ammesso che essere gay fosse una malattia, mica ti sbattono fuori di casa perché scoprono che hai il cancro, no? "E poi, essere gay, non è una malattia!" si disse. Anche se la madre lo voleva mandare dallo psichiatra!
Si toccò la guancia dove il padre l'aveva colpito e sentì i piccoli grumi di sangue rappreso. "Ettore lo sfregiato!" disse a bassa voce con un risolino nervoso.
Guardò l'orologio: erano le undici e sei minuti. Il sei cambiò in sette. Era sempre stato affascinato dal cambiare delle cifre digitali... Rimase a guardarlo finché il sette cambiò in otto.
Pensò di saltare il pranzo, poi sarebbe andato a comprarsi un po' di pane e un frutto per fare cena... Se all'Encounter non gli davano o trovavano un lavoro, poteva andare alla stazione a chiedere soldi, come aveva visto fare qualche volta, con la scusa che aveva perso il portafoglio e doveva comprarsi il biglietto per tornare a casa... Giovane come era, quasi certamente l'avrebbero preso per un drogato... ma se ne fregava.
"Ho perso verginità e casa nello stesso giorno!" pensò con ironia. "Dovrei segnarlo sul calendario."
Si alzò di nuovo e fece un altro paio di giri per il parco, immerso nei suoi pensieri. A un certo punto passò davanti alla panchina dove aveva cercato di dormire la sera prima, dove aveva incontrato prima Totò, poi Giuseppe. Vi sedette. Pensò che forse poteva andare a chiedere ospitalità, almeno per un po', a Giuseppe. Ma, si disse, una cosa è fare una scopata con un ragazzo che non conosci, una cosa è ospitarlo. No, non poteva chiedergli una cosa del genere.
Però era stato molto bello fare all'amore con lui. Con la piena approvazione del suo cane... pensò sorridendo. Quando si erano lasciati, quella mattina, Giuseppe non gli aveva neanche detto che avrebbe voluto incontrarlo di nuovo...
Comunque, la notte prima, Giuseppe gli aveva offerto ospitalità senza conoscerlo, senza nemmeno pensare che fosse gay... S'era fidato di lui... o del suo cane... o di tutti e due. Era stato bene con Giuseppe... e l'aveva preso con delicatezza... gli era piaciuto davvero moltissimo. Sarebbe stato bello poterlo fare ancora con lui. Magari poteva passare da lui solo la notte... se a Giuseppe andava di farlo di nuovo con lui. D'altronde anche Giuseppe aveva detto che gli era piaciuto scopare con lui.
Si sentiva incerto su cosa fare. Da una parte, onestamente, gli avrebbe fatto comodo essere ospitato da Giuseppe, dall'altra gli sarebbe piaciuto fare di nuovo all'amore con lui. Se avesse dovuto scegliere fra le due cose, cosa avrebbe scelto? Non ci pensò troppo: avrebbe preferito farci all'amore! Per dormire, per passare la notte, finché il tempo era buono, poteva farlo all'aperto... poi... Aveva sentito dire che dalle parti della Stazione Centrale c'era un ricovero per i barboni dove si poteva avere un letto, un pasto... male che andava avrebbe potuto provare lì.
Era immerso in questi pensieri quando, improvvisamente sentì un abbaiare festoso: guardò e vide Totò precipitarsi verso di lui. Poco dietro c'era Giuseppe! Il cane gli si fermò davanti e lo annusò fra le gambe, scodinzolando eccitato. Ettore rise e lo carezzò, allontanandolo gentilmente, un po' imbarazzato a essere annusato proprio lì.
Frattanto arrivò Giuseppe che lo salutò e gli sedette accanto.
"Ettore! Adesso capisco perché Totò s'è messo a correre! Come stai?"
"Bene, grazie. Buono, Totò, buono..." disse poi al cane, stringendo le gambe per tenerlo un po' lontano dalla patta dei calzoni.
Il cane sedette a terra e gli poggiò la testa sulle ginocchia.
"Davvero, Totò fa quasi più feste a te che a me! E ti obbedisce." gli disse allegramente Giuseppe. "Quasi quasi divento geloso. Sei uscito da scuola?"
"No, non ci sono andato, stamattina..."
"Come mai?"
"Casini a casa... Mio padre m'ha sbattuto fuori."
"Ma va! E perché? Solo perché hai passato la notte fuori? Mi dispiace... Mica è colpa tua se sei rimasto chiuso fuori, no?"
"No, è che... stamattina gli ho detto che sono gay e... non l'ha presa bene proprio per niente."
Giuseppe gli sfiorò il graffio con il sangue rappreso: "Ah, lui t'ha fatto... questo?"
"M'ha dato un ceffone e aveva l'anello con la pietra al dito e così..."
"Mi dispiace..." ripeté Giuseppe. "Ma magari gli passa..."
"No... Io comunque a casa non ci torno. Fra lui e mia madre... non so chi l'ha presa peggio. No, non posso tornare a casa... anzi, non voglio."
"E come fai?"
"M'arrangerò..."
"Ti andrebbe di... di venire a stare con me e Totò?" gli chiese con un sorriso gentile.
"Ma non mi conosci ancora... ti fidi? E poi... non è una scocciatura?"
"Totò non la pensa così e se non gli do retta ho paura che non me la perdonerebbe mai."
"No, dai, seriamente... Io... in qualche modo penso di cavarmela... Ho portato via i libri di scuola e se vado a venderli..."
"Ma tu ci verresti a casa con noi?" insisté Giuseppe. Poi aggiunse: "Io ne sarei molto contento. Tu mi piaci molto, Ettore."
"Se davvero mi vuoi..." disse sentendosi commosso, grato, contento.
Totò abbaiò.
"Vedi, ti vuole anche lui!" gli disse Giuseppe. "Però dobbiamo fare un patto, tu e io."
"Che patto?"
"Visto che hai i libri, e che ti mancano solo un paio di mesi per gli esami, tu domattina riprendi ad andare a scuola, e ti prendi la maturità."
"Devo andarmi a cercare un lavoro... devo mantenermi..."
"Dopo che hai preso la maturità, eventualmente. Io non sono ricco, ma non ho problemi di soldi, ho un buono stipendio. Mangiare da solo o in due non è una grossa differenza. E poi... magari stando insieme, chi sa... possiamo anche scoprire che stiamo bene... Che ne dici?"
Ettore annuì e disse a voce bassa, commosso: "Tu quasi non mi conosci e... mi tratti meglio dei miei genitori..."
"Che c'entra. Io sono gay e ti posso capire... E poi mi piaci. Neanche i miei m'hanno mai perdonato di essere gay."