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una storia originale di Andrej Koymasky


PRURITI DI UN VERGINE CAPITOLO 7 - EVOLUZIONE DI UN INCONTRO

Giuseppe lo portò a casa dove gli ripulì con attenzione la guancia e gliela medicò: "Un graffio abbastanza superficiale, per fortuna." gli disse.

Poi gli fece sistemare le sue poche cose, gli tirò fuori uno spazzolino da denti nuovo, un asciugamano.

"Non è meglio se ti metti a studiare, adesso? Se vuoi telefonare a un compagno per sapere cosa hanno fatto oggi, il telefono è lì..."

"Grazie."

"Come fai per giustificare l'assenza?"

"Sono maggiorenne, me la posso fare da solo. Posso dire che sono caduto e mi sono fatto male... il graffio basta per giustificarlo, no?"

"Esco un attimo per fare provviste."

"Vuoi che esca anche io?"

"Non è necessario..."

"Mi lasci in casa da solo? Ti fidi?"

"Se non mi fidassi non t'avrei proposto di venire a stare con me, no? Totò, andiamo?"

Il cane lo guardò e non si mosse.

Giuseppe rise: "Te l'ho detto che devo essere geloso di Totò!"

"Ma io... mica ci vado a letto con lui." gli disse Ettore con un sorriso dolce e un po' birichino.

Quando Giuseppe tornò, Ettore era in cucina, immerso negli studi. Si stava grattando la testa con una matita.

"Qualche problema?" gli chiese posando i sacchetti sul ripiano dei pensili.

"No, una prova d'esame per storia: Analizzate le due definizioni di 'guerra di logoramento' e 'guerra di posizione' nel corso del primo conflitto mondiale ed esemplificatele con puntuali riferimenti..."

"Mamma mia! Io non saprei rispondere!"

"Beh, ma la prof ce ne ha parlato bene e a lungo... sto solo cercando di ricordarmi, senza andare a guardare gli appunti."

"Ti piace studiare?"

"Sì... cioè, non tanto studiare, ma capire... Però per capire veramente non basta solo leggere, bisogna studiare, perciò... mi rassegno. Ti do fastidio, qui in cucina?"

"No no, affatto. E a te disturba se mi metto a trafficare per preparare la cena?"

"No, non ti preoccupare. Se hai bisogno di una mano..."

"Me la cavo, grazie. Se mai, comunque, te lo chiedo."

A Giuseppe piaceva guardare Ettore che studiava. Oltre a essere veramente un bel ragazzo, aveva un'espressione intensa, concentrata. Era contento di averlo in casa e sperava che fra loro le cose potessero andare bene. O per meglio dire, "sentiva" che sarebbero andate bene. Tutto il giorno, in banca, non aveva fatto che pensare a lui.

Si era rammaricato, quando s'erano lasciati quella mattina, di non avergli chiesto se si potevano rivedere. Chissà perché non l'aveva fatto? Quando poi l'aveva incontrato di nuovo là al parco, s'era sentito felice. Certo, in un primo momento aveva pensato solo che forse poteva farci di nuovo all'amore... Non immaginava certo che i suoi l'avessero cacciato di casa.

Cenarono, poi uscirono per far fare un giretto a Totò e frattanto chiacchierarono.

Tornati a casa, Ettore gli chiese se gli dispiaceva se avesse studiato ancora un po' prima di andare a letto. Giuseppe gli disse di no, di studiare tranquillamente, lui frattanto sarebbe andato a guardare qualcosa alla televisione.

Quando Ettore si sentì un po' stanco, chiuse i libri, li mise via e andò in soggiorno. Giuseppe gli sorrise e gli fece cenno di andarglisi a sedere in grembo.

"Cosa stavi guardando?" gli chiese sedendosi e cingendogli le spalle con un braccio.

"Il Mosè, con Ben Kingsley."

"Vuoi finirlo a vedere?"

"No... preferisco te. Ti fa male?" gli chiese sfiorandogli la guancia con le dita.

"No... Me n'ero quasi scordato."

"Domattina vai a scuola, no?"

"Sì, certo. Grazie a te."

"Te l'ha pagata tuo padre..."

"Se avesse saputo prima che sono gay col cavolo che me l'avrebbe pagata."

"Questo invece ti fa ancora male, vero?"

"Passerà. Anche te i tuoi t'hanno mandato via da casa, vero? Quanti anni avevi?"

"Diciassette. Ma mi ha preso in casa mio nonno, m'ha permesso lui di continuare a studiare... Ha dovuto rompere con i miei, pensa, perché pretendevano che mi cacciasse anche lui."

"Lo vedi spesso?"

"È morto... l'anno dopo che mi sono laureato. I miei avevano avuto la faccia tosta di venire al funerale e allora... li ho cacciati via io! Non se ne volevano andare... ma ci sono riuscito."

"Come?"

"Gli ho detto che se non se ne andavano subito, io avrei detto ad alta voce, a tutti, che io sono frocio e che loro m'hanno cacciato e hanno rotto con il nonno... Sono andati via in fretta e furia. Non volevano perdere la faccia. Hanno preferito perdere il padre e il figlio che perdere la faccia."

"Così... siamo senza famiglia, sia tu che io..." gli disse pensieroso Ettore.

Giuseppe gli diede una lieve carezza, e avrebbe voluto dirgli "ma forse, mettendoci assieme, possiamo diventare una famiglia, tu e io..." Ma non gli disse nulla, temendo di spaventarlo, di farlo fuggire. Possono, due solitudini, incontrandosi, colmare a vicenda i vuoti dell'altro? Semplicemente stando assieme, certamente no, ma se si amano... è l'amore che di due solitudini ha il potere di fare una pienezza.

"A che stai pensando?" gli chiese Ettore, appoggiandogli il volto fra la spalla e i capelli.

"A noi due..." avrebbe voluto rispondere Giuseppe, ma si trattenne, gli sembrava una risposta troppo trasparente, perciò rispose con un'altra verità: "Che sono contento che tu sia qui."

"Anche io." mormorò Ettore.

Giuseppe si chiese perché le parole "ti amo!" gli premevano alle labbra. Come poteva dirgli seriamente parole così importanti, così compromettenti, se non dette a cuor leggero, quando in fondo si conoscevano appena? "Perché è più facile dire: ho voglia di scopare con te, piuttosto che dire: ti amo?" si chiese Giuseppe. Forse perché con Antonio se le erano dette anche troppo facilmente? Forse perché con Ettore sperava che potesse nascere qualcosa di più serio, di più duraturo?

Ettore gli carezzò il petto, attraverso la tela degli abiti e Giuseppe fremette. Sentiva in quel ragazzo una tenerezza grandissima, sentiva per quel ragazzo una grandissima tenerezza. E desiderio, certo, anche desiderio.

Le loro carezze si fecero gradualmente più intime. Più intime e più audaci. Ettore iniziò a tracciare un sentiero di piccoli baci, salendo dal collo via via su, sulla guancia, finché le loro labbra si incontrarono e si unirono in un bacio caldo, intimo, profondo.

"Mi porti di là?" gli chiese Ettore in un sussurro, quando le loro labbra si staccarono.

Appena si alzarono dal sofà, Totò immediatamente si alzò dal tappeto, li guardò poi li precedette trotterellando verso la camera da letto e si stese con un guaito felice sullo scendiletto.

I due si spogliarono l'un l'altro, sorridendosi, poi Giuseppe salì sul letto, sedendo con la schiena appoggiata allo schienale, le ginocchia sollevate e lo attirò a sederglisi in grembo, fronteggiandolo. Si baciarono di nuovo, mentre Ettore sfregava lievemente il sedere contro il membro eretto, caldo e duro del compagno.

Poi Ettore si sollevò, prese dal comodino il gel e i preservativi che erano restati lì dalla sera prima, si preparò, preparò Giuseppe e, tenendogli fermo in posizione il forte palo, scivolò con la schiena sulle sue gambe ripiegate, calandosi giù e facendosi lentamente impalare grazie al peso del proprio corpo.

Mentre lo accoglieva in sé, emise un lungo e forte sospiro pieno di piacere. Quando gli fu nuovamente seduto in grembo, Giuseppe lo strinse fra le braccia, e quasi cullandolo, lo prese con dolce calma, di sotto in su, a lungo. Ettore gli aveva cinto il collo con le braccia e, puntando sui piedi, molleggiava su e giù per accompagnare i movimenti del giovane uomo.

Continuarono a dedicarsi uno all'altro così, baciandosi e sentendosi entrambi felici. Giuseppe non stava solo godendo del corpo del ragazzo, ma anche del suo sguardo luminoso e lieto. Dopo parecchi minuti, si scaricò in lui con un lungo mugolio, poi anche Ettore raggiunse l'apice del piacere, solo pochi istanti dopo.

Restarono per un poco a guardarsi, sorridenti, soddisfatti e di nuovo Giuseppe trovò difficile bloccare le parole "t'amo!" al limitare delle labbra, ma il suo cuore le gridò.

Si stesero, si sistemarono, Giuseppe spense la luce, si abbracciarono e s'inoltrarono assieme, rapidamente, nel mondo dei sogni...


Passò poco più di un mese prima che Giuseppe non fosse più capace di trattenere quando ormai ardeva nel proprio cuore. Non fu mentre facevano l'amore, né subito dopo. Accadde una mattina, quando Giuseppe svegliò Ettore per prepararsi tutti e due per andare al lavoro e a scuola.

Quando Ettore aprì gli occhi e, incontrato il suo sguardo si illuminò in un bellissimo sorriso, Giuseppe gli disse, incapace di trattenersi oltre: "Ti amo! Dio quanto ti amo!"

Negli occhi di Ettore brillarono due lacrime e mormorò, con voce rotta dalla commozione: "Oh... anch'io! T'amo da morire!"

Si baciarono con trasporto. Rischiarono di fare tardi tutti e due, anche se quella mattina avevano saltato la colazione...


Ettore superò gli esami di maturità anche meglio di quanto avesse previsto: con il massimo di voti. Andarono a festeggiare assieme, poiché Giuseppe aveva chiesto e ottenuto un giorno di permesso dal lavoro, andando a mangiare in una trattoria lungo il fiume e logicamente portando con loro Totò.

Mentre mangiavano, Giuseppe gli chiese: "E adesso, che studi vuoi fare?"

"Voglio cercarmi un lavoro, non posso continuare a pesare su di te."

"Perché mi offendi?" gli chiese Giuseppe assumendo un'espressione adontata.

"Offenderti? Io? Come?"

"Dicendo che mi pesi! Tu non mi pesi proprio per niente, non lo sai ancora? Non l'hai ancora capito?"

"Ma no, è che..."

"Ma no, proprio niente! Uno non fa il liceo classico per smettere di studiare. O mi dici che cosa ti piacerebbe studiare oppure... oppure io divorzio da te!"

"Io... avevo fatto la pre-iscrizione a lingue orientali, ma..."

"Hai cambiato idea? Non ti piace più?"

"No, non è quello, mi piacerebbe, però..."

"Ettore! Guardami nelle palle..." gli disse Giuseppe trattenendo a stento le risa, "... degli occhi! Se mi vuoi veramente bene, tu frequenti lingue orientali!"

"Giuseppe... non ti pare che..."

"Non mi vuoi fare contento?"

"Sono quattro anni di studio..."

"Sono troppi per te?"

"No, ma per te..."

"Lo sai che ho un ottimo stipendio, no? Lo sai che basta per tutti e due. Non mi vuoi fare felice?"

Ettore alla fine dovette cedere, anche se con piacere. Così iniziò a frequentare cinese e hindi. Studiò con passione, riuscendo a dare tutti gli esami nelle giuste sessioni, e si laureò in corso, con un'ottima tesi sul cinema cinese ottenendo nuovamente il massimo dei voti...


Quando festeggiarono il decimo anniversario del loro primo incontro, con Totò che ormai era vecchio ma sempre con loro, invitando tutti gli amici, Giuseppe era diventato vicedirettore di un'importante filiale della banca e Ettore era stato assunto da cinque anni nell'ufficio relazioni con l'estero della stessa banca, incaricato dei rapporti con l'Estremo Oriente.

In banca tutti sapevano che Giuseppe e Ettore erano amanti, e la cosa non aveva causato nessun problema: erano entrambi stimati e rispettati sia dai colleghi che dai superiori.

E Ettore ebbe la sua piccola rivincita...

Il commendator Becarelli, il padre di Ettore, aveva richiesto alla banca, in cui senza che lui lo sapesse lavorava il figlio, un grosso finanziamento per delocalizzare in Cina parte della produzione della sua industria. Preparata la documentazione richiesta, discussala con il direttore della filiale, questi gli disse che era tutto in ordine e che ora mancava solo l'approvazione della sede centrale, e specificatamente dell'ufficio rapporti con l'estero, a cui mandò tutto il dossier.

Quando Ettore se lo trovò sulla scrivania, prima ancora di leggere gli incartamenti riconobbe il logo della ditta del padre. Si sentì formicolare il cuoio capelluto. Si recò subito dal direttore generale.

"Dottor Grazioli, io non posso prendere una decisione su questa richiesta. Deve farla esaminare da qualcun altro." gli disse.

"E perché, dottor Becarelli?"

"Perché il richiedente è mio padre e potrei essere influenzato, nel mio giudizio, dai miei rapporti con lui."

Il direttore sorrise: "Lei è indubbiamente una persona corretta, dottor Becarelli. Corretta e... molto competente. D'altronde lei è il nostro esperto riguardo al mercato cinese, perciò è l'unico che può valutare seriamente questa richiesta. Mi fido completamente di lei, quindi la prego di esaminare il dossier e di dare il suo parere motivato."

Ettore sapeva che il "la prego" del dottor Grazioli equivaleva a un ordine, perciò si rassegnò e tornò in ufficio. Esaminò attentamente gli incartamenti e, onestamente, pensò che il progetto fosse valido e fornisse sufficienti garanzie. Allora chiamò il direttore della filiale del padre e gli disse che, prima di dare o non dare il suo avallo, era necessario che "il commendator Becarelli" si presentasse alla sede centrale per discutere qualche ultimo particolare e, che chiedesse del dottor Fazzini, che era un suo giovane collaboratore. Poi chiese a Fazzini, quando fosse arrivato il commendator Becarelli, di portarlo nel suo ufficio, passando per la porta della segreteria, in modo che non vedesse la targa del suo nome sulla porta...

Due giorni dopo Fazzini lo chiamò all'interfonico: "Dottore, il commendator Becarelli è qui."

"Lo accompagni nel mio studio... come le ho detto."

Quando si aprì la porta e il padre vide Ettore, si fermò interdetto poco oltre la soglia.

"Entra, accomodati." gli disse Ettore in tono neutro, senza alzarsi dalla sua scrivania.

"Ah... sei tu che devi decidere." disse l'uomo, aggrondato. "Non sapevo che..." e sedette davanti alla scrivania.

"Vedi, papà, se io ti dessi il nullaosta, potrei essere accusato di favoritismi... se non te lo dessi, potresti pensare che mi voglio vendicare di te per il modo osceno in cui m'hai trattato..."

"Sono passati tanti anni... Se solo tu avessi affrontato il... il problema in un modo più adulto..."

"Ah, non mi avresti cacciato di casa."

"Ma no, certo. Non potremmo, Ettore, vedere di ristabilire..."

"Metterci una pietra sopra?" chiese con un sorrisetto ironico Ettore.

"Ecco, sì... Dopo tutto... Ecco... ammetto di aver sbagliato, di essere stato troppo impulsivo..."

"Ah. Pur di avere la mia firma, ora sei disposto a venire a Canossa? Ma chi mi dice che tu ora non sia altrettanto impulsivo in questa tua richiesta di finanziamento?"

"Ho capito. Non mi vuoi dare la firma per vendicarti di me. Se avessi saputo prima..."

"Tu lo faresti, giusto? Ti vendicheresti al posto mio. Perciò essendo io tuo figlio, presumi logicamente che io sia come te, giusto?"

"Non puoi proprio dimenticare... perdonare?" chiese l'uomo, fortemente a disagio.

"E tu? Hai perdonato me per essere gay? Hai dimenticato?"

"Ma sì... ma sì, certo..."

"Per questo, in questi dieci anni mi hai cercato, mi hai fatto cercare, giusto?"

"No..." disse ancora più a disagio l'uomo. "Ma neanche tu ti sei mai più fatto vivo..."

"Sei tu che mi hai cacciato, non io che me ne sono andato. Sarebbe toccato a te, non a me. Sbaglio?"

"Mah... no... ti capisco... hai ragione... D'altronde, se sei fatto così... Un uomo vale per... per quello che è... non per..."

"Non per la sua sessualità?"

"Esatto."

"Oh, adesso mi capisci, adesso ho ragione. Ma vedi, un figlio gay non era degno di restare a casa tua, non lo potevi accettare... però ora sei disposto ad accettare che il dottor Becarelli, che deve mettere la firma sulle tue carte, sia gay... non ti pone più nessun problema..."

"Beh, me la sono voluta. Ho sbagliato e ora... me la vuoi far pagare."

"Ma anche se sono tuo figlio... così come sessualmente non sono come te... anche moralmente non sono come te. Avrei la tentazione di fartela pagare, certo... Ma il tuo progetto è valido perciò, anche se a malincuore... l'ho approvato."

Il padre lo guardò sorpreso, poi mormorò, confuso: "Grazie Ettore... Io... Io vorrei poter..."

Ettore si alzo in piedi: "Io ho da lavorare, adesso." gli disse con espressione dura. "Vattene, non ti voglio più vedere in questo ufficio! Non ti voglio più vedere. Hai la mia firma, non avrai niente altro da me, sul piano personale. Non c'è posto, nella mia vita, per uno come te. Fuori!"

Il padre uscì con la coda fra le gambe, in fretta, rosso in viso.

Ettore sedette. Prese il telefono e digitò un numero.

"Giuseppe?"

"Sì Ettore..."

"Ti amo! Ti amo tanto."

"Anche io... È... andata bene?"

"Sì, è uscito proprio ora. E adesso mi sento veramente bene!"


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