IL VISCONTE E L'ATTORE | CAPITOLO 2 IL FUTURO ATTORE |
Il visconte Edmund Villiers di Clarendon, uscito dalla Camera di Commercio di Boston, prese India Street e girò in Bread Street. Era la prima volta che si recava negli Stati Uniti, per curare gli affari di famiglia, e provava sentimenti contrastanti nei confronti delle ex-colonie e in particolare di Boston, la sua terza tappa. Da una parte era affascinato dall'opulenza che le città mostravano, dallo spirito d'intraprendenza degli abitanti, dall'aria di "nuovo" che lo circondava, ma dall'altra percepiva anche un'aria di provincialismo che lo faceva sorridere. Soprattutto era lievemente stupito, benché fosse un uomo d'affari, da quanto pareva che gli americani parlassero sempre di denaro, un argomento che le classi alte nel Regno Unito evitavano il più possibile. Pareva che lì tutto dovesse essere quantificato e valutato innanzitutto per il suo valore venale. Un inglese, mostrando un'opera d'arte, avrebbe parlato principalmente della sua antichità, della sua storia... un americano ne sottolineava soprattutto il costo, il prezzo... Parlando di un suo possedimento, un inglese avrebbe magnificato prima di tutto che cosa produceva, un americano invece sottolineava immancabilmente quanto rendeva... Non che il denaro non fosse importante, specialmente per un uomo d'affari come il visconte Villiers, ma la sua continua ostentazione lo disturbava leggermente. Estrasse l'orologio dal taschino e controllò l'ora. Ripassò mentalmente gli impegni di quella giornata, e si disse che doveva chiedere in albergo che gli procurassero una carrozza per la sera, per andare ad assistere a quello spettacolo al Boston Theatre. Sulla mappa della città aveva visto che dall'albergo al teatro sarebbe stata una breve passeggiata che avrebbe anche fatto volentieri, ma sapeva che avrebbe deluso i suoi anfitrioni se vi si fosse recato a piedi. Li avrebbe delusi e avrebbe rischiato di essere preso per avaro. Sembrava che il fatto di essere un visconte fosse giudicato un... merito e non semplicemente un caso della vita che l'aveva fatto nascere in una nobile famiglia invece che in una di umili origini... In questo, a dire il vero, americani e inglesi non erano molto diversi, si disse Edmund con un lieve sorriso. Nel suo girovagare si trovò in vista del "Boston Light", il faro del porto di Boston e si fermò a osservarlo. La torre, alta quasi 90 piedi, era affiancata dalla casa a due piani del guardiano che, con i suoi due aiutanti, al calare della notte doveva caricare di frequente il meccanismo a orologeria che faceva girare la grande lanterna a dodici facce munite di lenti Fresnel. Non immaginava, il visconte, che in quello stesso momento un'altra persona stava guardando, da una delle finestre di casa, l'alta torre del faro. Un'altra persona, che la sera stessa sarebbe entrata inaspettatamente nella sua vita. Era questi William Adams, un ragazzo di diciannove anni, figlio di quel Peter Adams che Edmund sarebbe andato a vedere esibirsi in "Il gladiatore" al Boston Theatre. In realtà William non era il figlio di Peter. L'attore l'aveva adottato quattordici anni prima, durante una tournée. William era il figlio di Greta Halvorsen, la costumista della loro compagnia, una immigrata norvegese che l'aveva avuto, senza essere sposata, da un attore di un'altra compagnia, un certo William Hutchings. Greta lavorava da un anno per la compagnia di Peter, e aveva sempre con sé il piccolo William, poiché non aveva nessuno a cui potesse affidarlo. Un giorno Peter, che doveva provare un nuovo costume di scena, era andato per la prova da Greta ed entrando nella stanza aveva sentito il piccolo William piangere sconsolatamente. Lo vide accoccolato accanto al corpo della madre, riversa sul pavimento, che la scuoteva chiamandola fra le lacrime. Peter era corso a soccorrere la donna, ma s'era subito accorto che era priva di vita. Aveva chiamato gli altri e, mentre questi discutevano sul da farsi, aveva preso in braccio il piccolo William, cercando di consolarlo. Il piccolo gli aveva cinto il collo con le braccia, poggiato il capo sulla spalla e aveva continuato a piangere. Il direttore della compagnia gli si era avvicinato e gli aveva detto: "Povero piccino, a soli cinque anni non ha più nessuno al mondo. Dovremo portarlo in orfanotrofio..." Peter era cresciuto in un orfanotrofio... e si sentì stringere il cuore. Decise perciò che non l'avrebbe assolutamente permesso, così lo adottò. Fu per William un padre severo ma anche pieno di affetto. Come già faceva la madre, essendo vedovo e senza figli e perciò solo, lo portava sempre con sé anche in teatro. Così il piccolo crebbe fra quinte, copioni e costumi. Dovendo girare per le sue tournée, Peter curò personalmente l'istruzione e l'educazione del piccolo. Quando preparava un nuovo pezzo teatrale, gli spiegava prima la storia, gli leggeva il testo, poi provava la parte. Quando William fu in grado di leggere correntemente, lo aiutò così a memorizzare le battute, che gradualmente lui stesso imparava a memoria. Crescendo, William e Peter discutevano anche sull'interpretazione, sull'azione scenica e il ragazzo era sempre più affascinato dalla recitazione. A sedici anni William ebbe il suo debutto sulle scene, in una particina secondaria, ma si sentì molto fiero quando Peter gli fece i suoi complimenti, cosa di cui non era prodigo e che perciò avevano un valore anche più grande. Fra i due vi era un grande affetto e un profondo attaccamento. Vi era anche una grandissima confidenza, basata su una totale sincerità. Perciò, sempre a sedici anni, quando William percepì con crescente chiarezza di essere attratto verso gli uomini e non verso le donne, lievemente turbato, poiché capiva che non era una cosa "normale", decise di parlane con il padre adottivo. "Peter... devo parlarti di un mio problema, quando hai tempo..." gli disse, lievemente esitante ma fiducioso. "Un problema, William? Ho sempre tempo per te, lo sai... Di che si tratta." "Non è facile..." "Nessun problema è mai facile, oppure non sarebbe un problema." gli disse l'uomo in tono incoraggiante. "Non... guardarmi, per favore, mentre te ne parlo." gli chiese a basa voce. Peter sorrise: "D'accordo, non ti guardo. Allora?" William invece lo osservava attentamente, per coglierne ogni minimo mutamento di espressione: "Vedi Peter... io ho capito che... sono sicuro che... io non mi sento attratto dalle donne!" Peter non cambiò espressione: "Beh... hai solo sedici anni, William..." "Sì, ma... vedi... mi sento invece... fortemente attratto... dagli uomini. Da certi uomini, per lo meno." si corresse arrossendo. "Attratto... in che senso?" "Nel senso che vorrei toccarlo... che mi toccasse... che mi toccasse intimamente, Peter, capisci?" "Vuoi dire... sessualmente?" chiese l'uomo senza battere ciglio. "Sì e... e mi sento... mi viene... mi si risveglia... mi diventa..." balbettò quasi il ragazzo. "Ti capita di avere un'erezione nel pensare a... certi uomini, vuoi dire." "Sì, ecco, proprio così. Ma mai per una donna, capisci? Che devo fare, Peter?" chiese in tono accorato il ragazzo. "Ti è già capitato di avere... di trovarti in intimità con un uomo?" "No, non ancora... anche se sento di desiderarlo sempre più fortemente. Perché, Peter? Perché non sono come gli altri?" "Nessuno di noi è come gli altri, William... ma capisco che cosa mi volevi chiedere: perché non sono come pare che sia la maggioranza degli altri. Giusto?" "Sì, giusto. Perché?" "Mi chiedi di spiegarti qualcosa che io stesso non capisco, William... Alcuni uomini hanno queste... tendenze, non molti, è vero, ma... non sei l'unico." "Davvero?" "T'ho mai mentito?" "No, mai. Ma che devo fare?" "William, innanzitutto voglio che tu sappia che nulla cambia minimamente nell'affetto e nella stima che nutro per te. Però devi anche sapere che il rapporto intimo fra due uomini, nella nostra società, è qualcosa che viene fortemente disapprovato, condannato, punito anche dalla legge. Pertanto... pertanto devi essere estremamente prudente, in queste cose... Cose che fanno parte di ciò che si fa ma non si dice, che non si deve assolutamente mai lasciar trasparire. Non avrai una vita facile, se sei come sei convinto di essere. Eppure... io ho avuto modo di conoscere persone di valore che condividono le tue stesse tendenze e che, nonostante tutto, vivono una vita serena, come mi auguro che tu stesso possa avere." "Ma, Peter... non c'è nulla da fare? Non posso cambiare?" "Non più di quanto tu possa cambiare il tuo genere, il colore della tua pelle, per quanto ne so io. Se tu sei come dici, la cosa migliore da fare è accettarti come sei, poiché nessuno mai ti stimerà se tu per primo non ti stimi. Un'altra cosa che devi assolutamente fare, però, è essere estremamente prudente." "Ma... Peter... e come posso capire chi altri è come me?" L'attore sorrise: "Se tu non me lo avessi detto, io non avrei mai potuto immaginarlo di te. A parte pochi uomini dall'atteggiamento effeminato... non è possibile capire da segni esteriori, da segni fisici se una persona condivide le tue tendenze o no. Però... vi sono lievi segni, impercettibili ai più, che possono farti sospettare di trovarti di fronte a una persona che preferisce accompagnarsi a un uomo piuttosto che a una donna. Immagino che, crescendo, te ne renderai conto da solo." "Quali segni?" "In un certo senso... Vedi, William, quando un attore è sul palcoscenico e recita una parte, se è un bravo attore sembra incarnare esattamente, perfettamente il ruolo che rappresenta, eppure... anche se l'uditorio ne resta convinto, affascinato e dimentica l'attore e vede in lui solamente il personaggio, un altro attore sa, sente, percepisce che il collega sta solo rappresentando, per quanto valentemente, una parte. Così è per coloro che sono come te: devono recitare, sul palcoscenico del mondo, della società, una parte... Capisci quanto sto cercando di dirti, William?" "Credo di sì. Perciò... devo imparare a recitare la mia parte e, al tempo stesso, individuare chi la recita?" "Così è mio caro ragazzo. Vedrai che, come stai validamente crescendo come attore di teatro, crescerai anche in questo altro tipo di... di recita." Il fatto stesso di averne parlato apertamente con Peter, di essere stato pienamente accettato da lui e di sapere che gliene avrebbe potuto parlare ogni qualvolta ne sentisse il bisogno, contribuì a ridare al ragazzo una grande serenità. Circa un anno dopo questo colloquio finalmente William riuscì a individuare e a capirsi con un altro ragazzo, un giovane attrezzista di venti anni di nome Geoffrey. Per alcune settimane i due iniziarono a saggiarsi prudentemente l'un l'altro, finché, sufficientemente sicuri di non compiere un passo falso, si dichiararono, si svelarono quasi contemporaneamente e si confessarono il reciproco desiderio. Geoffrey lo condusse allora nell'attrezzeria, che era il suo regno, e qui, nascostisi in un angolo riparato, lo prese fra le braccia e lo baciò, stringendolo a sé e facendogli sentire la propria erezione. Si carezzarono, si palparono quasi freneticamente, dando finalmente libero sfogo al reciproco desiderio. William, in modo più o meno cosciente, imitava quanto il compagno stava facendo con lui, imparando rapidamente e avidamente che cosa due uomini potessero fare per raggiungere la loro intimità. Si aprirono reciprocamente gli abiti, ammirando la parziale nudità dell'altro, carezzandosi e facendo così crescere la loro eccitazione e il loro desiderio. Poi Geoffrey si accoccolò davanti al ragazzo e iniziò a prendere cura, con mani delicate, labbra calde, e lingua dardeggiante del suo bel membro eretto. William chiuse gli occhi, lasciando sfuggire dalle labbra una specie di breve singhiozzo, sorpreso per l'intenso, inatteso piacere che l'altro gli stava così prodigando. Quindi volle provare a rendere al compagno lo stesso piacere e scoprì con un certo stupore che anche lui provava piacere nel prendere in bocca il forte attrezzo di carne dell'altro. Dopo un po' che si alternavano nel gratificarsi così l'un l'altro, Geoffrey lo fece girare, gli divaricò le piccole sode natiche e iniziò a lappargli e insalivargli il nascosto foro, preparandolo così al secondo atto della loro prima unione. Anche questo, nonostante inizialmente avesse pensato che fosse una cosa indecente, piacque incredibilmente al giovane attore, che presto fu tutto un fremito mentre attendeva che il compagno gli tentasse il vergine foro con altro, come immaginava che stesse per accadere. Infatti dopo un poco, Geoffrey si alzò, lo prese per la vita e gli si addossò. William sentì la punta del duro arnese dell'altro posarsi sul suo foro e iniziare a spingere. Si chinò leggermente in avanti, puntando le mani sulle ginocchia e cercò di rilassarsi, comprendendo istintivamente che meno resistenza avesse opposto, più avrebbe potuto godere quella prima, attesa invasione. Lo sentì iniziare a farsi strada e provò un lieve senso di fastidio, di pena, ma al tempo stesso anche di calore, di desiderio. Si sentiva diviso in due, il suo corpo tentava istintivamente di resistere, la sua mente gli mandava l'ordine opposto. A un tratto si lasciò sfuggire un breve e sommesso "ah!" e si irrigidì. Geoffrey si immobilizzò immediatamente. "Vuoi che smetto? Ti faccio male?" "No..." rispose con voce strozzata il ragazzo, "... no, vai avanti, voglio provare tutto, ti voglio dentro!" Geoffrey allora riprese a spingere mentre William s'imponeva di rilassarsi nuovamente. Con una serie di piccole spinte, finalmente vinse l'istintiva resistenza dello stretto sfintere e iniziò a insinuarsi nel caldo nido. William tremava lievemente, in parte per il disagio fisico che persisteva, ma in parte per la crescente eccitazione e desiderio. Finalmente la punta del membro superò la stretta porta e iniziò a scivolargli dentro, lentamente, in un'inarrestabile avanzata. La punta, dilatando lo stretto, inviolato canale, raggiunse e sfregò contro il punto magico e William emise un sommesso "sì..." che incoraggiò il compagno. Finalmente gli fu completamente dentro e William sentì il riccio pelo del pube dell'altro solleticargli la pelle. "Dai... dai..." invocò allora. Geoffrey gli carezzò il ventre, il petto, gli pizzicò delicatamente i capezzoli e iniziò a muoversi avanti e dietro, dapprima con movimenti brevi e gentili, poi via via più lunghi, vigorosi, finché si lanciò in una veloce danza. "Ti piace?" gli chiese, ansando lievemente. "Molto..." "Dopo... lo metti tu a me?" "Sì..." Quando Geoffrey ebbe raggiunto l'orgasmo in lui, lo fece girare di nuovo e lo baciò, quindi gli si offrì. William pensava di incontrare in Geoffrey la stessa resistenza, invece affondò in lui alla prima spinta, senza nessuna difficoltà. Provò nuovamente un fortissimo piacere, un intenso calore e si lanciò in un forte e veloce va-e-vieni, pensando che non avrebbe mai creduto che fare sesso potesse essere qualcosa di tanto piacevole. E divenne anche più che piacevole quando anche lui raggiunse l'orgasmo. Mentre si ricomponevano gli abiti, Geoffrey gli chiese con un sorriso: "Allora, ti è piaciuto, William?" "Molto più di quanto prevedessi." "Lo faremo ancora, no?" "Con vero piacere." "Molto bene. Mi sei piaciuto molto, sai?" gli disse il giovane con un ampio sorriso. Quella sera stessa, quando tornò a casa con Peter, William gli disse: "Sai... ho avuto la mia prima esperienza sessuale, oggi... L'ho fatto con Geoffrey." L'anziano attore sorrise poi inarcò un sopracciglio: "Vedi, non avrei mai detto che Geoffrey avesse le tue stesse tendenze. Ebbene... ne sei soddisfatto?" "Molto. E stato assai più gradevole di quanto potessi pensare, di quanto avessi previsto." "Me ne compiaccio. Siate solo prudenti... perché immagino che lo farete ancora." "Sì, certo." "Dove... l'avete fatto?" "Nell'attrezzeria." "Non è il luogo più sicuro, William. Perché la prossima volta... non lo inviti a venire qui in casa? Io... potrei andare a fare un giro, in modo di lasciarvi la vostra intimità." "Davvero lo faresti?" Peter sorrise: "Ti pare tanto strano? Anche se ho passato da molto tempo la tua età, ricordo ancora quanto fosse difficile avere un posto in cui portare le mie ragazze." "Ne hai avute molte?" "Diciamo... a sufficienza, almeno fino a quando ho conosciuto quella che poi ho sposato." "Ma ora che sei nuovamente solo?" "Vuoi sapere se ho una donna? No. E non mi chiedere perché... io stesso non ti saprei rispondere, anche se non è che mi mancherebbero le occasioni. Diciamo che... che mi sono calmato. Non ne sento la necessità. Bah. Ti andrebbe di aiutarmi a prepararmi per la parte di Claude Melnotte?" "Certo. Mi piace il copione di 'The Lady of Lyons; Or, Love and Pride'. Edward Bulwer Lytton doveva conoscere bene la società francese della fine del secolo scorso." "Penso di sì, ma non saprei dirti se per conoscenza diretta o perché s'era ben documentato. Bene, cominciamo. Dunque, Claude apre la porta e, rivolto verso l'esterno, dice: Come! Non entrate, amici miei! Bene, bene, c'è qualche bagatella per compiacere ciascheduno. Buona giornata a tutti voi, buona giornata." "Sì, poi Claude entra e..." "Gioisci con me, cara madre! Vinsi il premio! Non mancai neppur un solo colpo! Non è grazioso, questo fucile?" "La vedova risponde: Pfff! Ebbene, che vale, Claude?" "Che vale! Che vale una medaglia per un militare? Che vale! Tutto! La gloria è inestimabile!" "Peter... il testo dice una decorazione e un soldato, non una medaglia e un militare..." "Ne sei sicuro? Dammi il testo, lasciami vedere... Sì, hai ragione tu: una decorazione per un soldato. Ah, William, come sempre tu impari le mie battute più velocemente e più perfettamente di me! Diventerai un ottimo attore..." "Alla tua scuola, Peter, chiunque diventerebbe un grande attore." "No, ragazzo mio, no, non è così. Il fatto è che tu hai molto talento, William... più di quello che avevo io alla tua età, credimi. Tu un giorno sarai anche più famoso di quanto sia io."
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