IL VISCONTE E L'ATTORE | CAPITOLO 5 SEPARAZIONE |
Quando Edmund riuscì a liberarsi dai suoi impegni, andò di gran fretta all'ospedale. Quando entrò nella stanza, trovò William in lacrime e comprese. D'impulso lo abbracciò stringendolo a sé. "Non abbiamo neppure potuto darci un ultimo saluto..." mormorò fra i singhiozzi il ragazzo. Edmund gli carezzò i capelli: "Ma lui è sempre qui, con voi, e sarà sempre con voi." "Voi ci credete? Io non so... Peter non era un credente..." "Se esiste un aldilà, certamente è come dico... ma se non esiste, egli vive comunque nel vostro cuore, nel vostro affetto, nei vostri ricordi. Ogni volta che due esseri umani hanno la ventura di incontrarsi, di amarsi, ognuno diventa parte dell'altro." William si staccò gentilmente da lui: "Grazie... non immaginate quanto mi sono di sollievo le vostre parole. Ora... devo pensare al funerale." "Non vi preoccupate per questo. Se me lo permettete, William, me ne occuperò io." "Ve ne sarei veramente grato." "Avete detto che Peter non era un credente, perciò immagino che sia bene che le esequie non siano svolte in una chiesa." "Per me non avrebbe importanza, ma credo che Peter preferisca che sia come voi dite." "Lasciate fare a me..." "Ve ne sono grato." Edmund si informò dove fosse la migliore agenzia di esequie di Boston e vi si recò, fissando con gli addetti tutti particolari della cerimonia, dalla data all'affissione degli annunci funebri, ai dettagli della cerimonia, alla tomba. Volle che durante la cerimonia vi fosse musica, e trovò un pianista che eseguisse la Sonata numero 2 in do diesis minore opera 27 di Beethoven, conosciuta come "Al chiaro di luna". "Credete che sia un brano adatto?" gli chiese un po' stupito l'addetto alle esequie. "Certamente. Forse non sapete che questo brano è, di fatto, un addio alla vita... Un dolce addio, che può lenire la pena nel cuore di chi resta a piangere la dipartita del congiunto o dell'amico." "Riguardo alle decorazioni floreali, avete qualche preferenza, signore?" "Sì. Potete preparare dodici cuscini di rose rosse, gerbere gialle e gigli?" "Credo che sia possibile, signore." "Ottimo. Avete qualche suggerimento per la tomba?" "Possiamo in breve tempo far scolpire qualunque cosa desideriate." "Bene. Vorrei allora che facciate eseguire un plinto cubico con fregi alla greca, su cui si incideranno il nome e le date; sopra ad esso un'urna greca adornata da una ghirlanda di foglie di quercia e coperta in parte da un drappo... il tutto scolpito in marmo bianco." "Un ottimo simbolismo, signore. L'urna con il drappo è molto indicata per compiangere una persona deceduta in tarda età, e lo stile greco è adatto a ricordare un attore... E la quercia, simbolo di forza, onore, eternità e libertà, era venerata come tale dai druidi..." Fissati tutti i dettagli, Edmund tornò in ospedale. Il corpo di Peter Adams era stato già composto nella camera mortuaria e William era seduto accanto. Nonostante il ragazzo avesse gli occhi arrossati, non piangeva più. Edmund gli sedette accanto, in silenzio. "Ha un'espressione serena, non è vero?" "Sì, William, perché sapeva di avere il vostro affetto." "Mi mancherà molto... Ma dopo quanto mi avete detto voi... riuscirò a sopportare meglio la sua assenza." "Ne celebrerete la memoria ogni volta che calcherete la scena, William." "Sì... avete ragione." disse il ragazzo e gli prese una mano, stringendola lievemente. "Grazie per essermi così vicino in questo triste frangente, Edmund." Il funerale ebbe luogo e vi parteciparono molti bostoniani, oltre a tutta la compagnia teatrale. William chiese a Edmund di restargli accanto per tutta la durata delle cerimonie. Terminate le esequie, Edmund lo accompagnò a casa. "Devo chiedervi perdono, Edmund..." "Di che cosa?" chiese questi, lievemente stupito. "Di non sentirmi in grado... in grado di esprimervi quanto provo per voi... con tutto il mio... corpo." Edmund sentì il cuore sussultargli in petto: "Io... io vi amo, William. Dal primo momento che vi vidi, siete entrato nel mio cuore." "E voi nel mio, credetemi. Però..." "Non fatevene un cruccio, posso comprendere." "Oso troppo... se vi chiedo di stringermi a voi ma senza... senza aspettarvi altro da me?" "Venite, venite fra le mie braccia senza problemi." William si rifugiò fra le braccia del giovane uomo, che lo cullò con tutta la propria tenerezza. Era stupito per il fatto che, nonostante i loro corpi fossero a così stretto contatto, non si stava eccitando. "Eppure... anche io vi amo... Credetemi!" sussurrò William. "Vi credo, e vi ringrazio di ricambiare il sentimento che avete acceso in me. Ma non vi preoccupate." "Quando lascerete Boston?" "La nave lascerà il porto fra tre giorni." "Così presto. Temo che..." "Vi ho detto di non preoccuparvi, William. Vi porterò via nel mio cuore." "E io vi albergherò nel mio, ve lo giuro!" Edmund pensò che era un peccato che, accortisi entrambi del reciproco sentimento e trovata la forza di confessarselo, la loro storia dovesse terminare sul nascere, anzi, prima ancora di potersi pienamente esprimere. Ma capiva anche che non poteva tentare di spingere la cosa oltre: non nel poco tempo che gli restava prima di dover lasciare le Americhe. Prima di partire andò ad acquistare un bel cartoncino e in elegante scrittura corsiva, vi copiò il sonetto numero ventisei di Shakespeare, che andò a cercare nella biblioteca pubblica, e lo mise in una busta che chiuse con il proprio sigillo:
"Signore del mio amore, che in vassallaggio Quindi, prima di recarsi al porto e imbarcarsi, andò a consegnare la busta a William. "Vi prego di aprirla solo dopo che la mia nave avrà lasciato il porto." gli disse. "Non volete che venga a salutarvi, alla vostra partenza?" "Se vi fa piacere... ne sarei oltremodo lieto." William lo abbracciò con delicatezza e gli depose un lieve bacio sulle labbra: "Non vi dimenticherò mai, Edmund!" "Né io potrò mai dimenticare voi." Quando il veliero si staccò dal molo, William ed Edmund si salutarono a lungo, agitando un braccio, finché il cinque alberi virò di prua compiendo un ampio arco nel golfo e prese il largo per iniziare la lunga traversata dell'Atlantico. Era soddisfatto per i buoni affari che aveva concluso negli Stati Uniti, il viaggio era stato fruttuoso, ma al tempo stesso si rammaricava di non aver potuto approfondire, in realtà neppure veramente iniziare, la relazione con William. Aveva ancora negli occhi l'immagine del ragazzo la prima volta che l'aveva visto comparire davanti al sipario per annunciare l'improvviso malore del padre adottivo e la sua sostituzione. Poi quando era ricomparso in scena vestito da gladiatore, perciò seminudo, e ne aveva potuto ammirare le belle forme. Il lungo viaggio fu senza storia. Quando fu finalmente di nuovo a Londra, fece una lunga relazione al padre su quanto era riuscito a combinare, facendogli vedere e illustrandogli i contratti che aveva stipulato. "E che mi dici, delle nostre ex-colonie?" gli chiese infine il padre, dopo avergli fatto i suoi complimenti. "Direi che essersi affrancati dal nostro miope dominio le abbia proiettate verso un grande futuro. Nei nostri confronti hanno il tipico atteggiamento dell'adolescente nei confronti del padre: non dico amore e odio, ma rispetto e sfida, forse. È un popolo fiero, con una cultura in ebollizione, in formazione. Ho avuto l'impressione che, in un certo senso, saranno sempre meno... anglosassoni." "Sono... rozzi come si dice?" "Non direi proprio. Mi hanno dato più l'impressione di avere il tipico atteggiamento dei... nouveaux-riches, per così dire. Comunque la mia sensazione è stata che sia, per certi tratti, una società affascinante. Il nostro errore, a parer mio, è stato trattarli come colonie, cioè territori e gente da sfruttare, invece di garantire loro tutti i diritti di cui avrebbero goduto nella madrepatria. Dopo tutto, all'inizio delle loro rivolte, chiedevano proprio questo, come diceva bene il loro slogan: niente tasse senza rappresentanza. Se avessimo concesso loro l'autogoverno, invece di mandar loro un governatore imposto dall'alto..." Il padre scosse il capo, disapprovando chiaramente le idee del figlio, ma non controbatté nulla e tornarono a parlare di affari. Edmund riprese la sua solita vita. Dopo il famoso scandalo dell'anno precedente, il cosiddetto "caso Boulton e Park" in cui era stato coinvolto anche il console americano in Edinburgh, John Safford Fiske, accusati di "cospirazione internazionale per commettere sodomia", Edmund era diventato estremamente prudente nel cercarsi le sue avventure galanti. Benché la pena di morte per sodomia fosse stata abolita esattamente dieci anni prima, si rischiavano ancora fino a dieci anni di prigione. Per puro caso un giorno, ascoltando nel club che frequentava una parte di una conversazione fra altri due membri, venne a sapere dell'esistenza di un pub, il "Green Cockspur" in Gresham Street, che si trovava alle spalle della cattedrale di St. Paul, dove giovani delle più diverse classi sociali si recavano per trovare compagni con cui dedicarsi "all'abominevole vizio della sodomia"... I due dicevano che la polizia avrebbe dovuto intervenire per far cessare un simile scandalo, una simile vergogna, ma pareva che il proprietario avesse influenti appoggi in alto loco... Edmund decise che doveva andare ad esplorare quel luogo "di perdizione". Infatti da quando era tornato dagli Stati Uniti non aveva più avuto occasione di avere incontri sessuali. Così un pomeriggio, indossati abiti che non tradissero la sua classe sociale, andò a cercare quel pub. Percorse alcune volte su e giù la via, ma non ne vide traccia. Finché attraverso un portone aperto vide, all'interno del cortile, un'insegna con su dipinto un galletto su uno sfondo verde. Entrò, traversò il cortile e spinse la porta del pub. Si trovò in un ambiente rumoroso dall'aria vecchia e non molto pulita, ma ai tavoli sedevano parecchi ragazzi fra i diciotto ed i venticinque anni. Molti lo guardarono, mentre entrava, e il chiacchiericcio per un attimo sembrò diminuire, per poi riprendere come prima. Andò al bancone e chiese una birra, quindi andò a sedere a un tavolo libero. Ne aveva sorseggiata un po', quando un ragazzo sui venti anni, alto e snello e dalle fattezze regolari, con un gran casco di capelli neri, gli si accostò con un sorriso. "Attendete qualcuno... o siete solo?" gli chiese. "Sono solo..." "Posso allora offrirvi la mia compagnia?" "Prego, sedete." Il giovane rise ma sedette. "Che ho detto di... umoristico?" gli chiese Edmund guardandolo con un sorriso. "E la prima volta che venite qui, non è vero?" "Sì... perché?" "Lo immaginavo. Alla mia offerta di farvi compagnia... avreste dovuto rispondere, se foste stato interessato a me: sì, dove? e non semplicemente offrirmi di sedere con voi." "E se invece non fossi stato interessato a voi?" gli chiese divertito. "Mi avreste risposto che attendevate qualcuno." "Una specie di... parola d'ordine, dunque?" "Possiamo chiamarla così..." "E v'è altro che dovrei sapere?" "Beh... sì. Per esempio, credo che potrebbe interessarvi se chi vi offre la propria compagnia è un mercenario o no..." "Ah, e come si chiede?" "Voi chiedete: posso offrirvi qualcosa? E l'altro, se è un mercenario vi risponde: quel che vi aggrada... Se non lo è, vi risponde: una birra, grazie; o qualcos'altro che preferisca bere." "E se fosse un mercenario... quanto gli dovrei offrire?" "Dipende da voi, quanto sareste disposto a spendere. Gli direste una cifra e l'altro o accetta o vi fa una controproposta." "E... posso offrirvi qualcosa, allora?" "Un ginger ale, grazie. Che fate per vivere?" "Lavoro nel commercio..." rispose vagamente Edmund. "E voi?" "Sono tipografo." "E non dovreste essere in tipografia, a quest'ora del giorno? Che dice il proprietario che siete assente?" gli chiese Edmund un po' incuriosito. "Oh, sono io il proprietario da che mio padre si ritirò al paese lasciandomi casa e bottega. Così di tanto in tanto ora mi posso concedere una breve assenza, se non vi è qualche problema particolare al lavoro." "Quindi... vivete da solo?" "Sì, e posso finalmente avere qualche piacevole incontro in casa, senza problemi. Gradireste venire a... vedere dove abito?" gli chiese il giovane con un sorriso colorato di malizia. Camminarono per pochi minuti in direzione di Blackfriars, inoltrandosi nel dedalo di viuzze. Salirono al terzo piano di una modesta costruzione e finalmente furono nell'appartamento del giovane tipografo. Per via s'erano presentati, dicendosi l'un l'altro solamente il nome. Neil, il tipografo, lo condusse subito nella camera da letto: "Eccoci qui, Edmund. Mettetevi comodo... Vi piace baciare?" "Sì." "Baciatemi, dunque." Edmund lo prese fra le braccia e Neil gli si premette contro con forza, facendogli sentire la propria erezione. Si baciarono e iniziarono a spogliarsi l'un l'altro. Tanto Neil gli era sembrato tranquillo e quieto fino ad allora, tanto ora si dimostrava focoso e passionale. Quando furono nudi, Neil lo attirò sul letto vi si stese sul ventre, allargando le gambe e divaricandosi le natiche con entrambe le mani e, girando il capo a guardarlo, con una luce di lussuria negli occhi, gli disse: "Buggeratemi!" Edmund si stese su di lui e gli si immerse dentro con un'unica sapiente spinta, quindi iniziò a prenderlo con piacere. Neil gli si agitava lievemente sotto in modo di aumentare il reciproco godimento: era chiaro che aveva una notevole esperienza. Quando Edmund ebbe raggiunto il proprio piacere, si separarono e si misero a sedere sul letto. "Come vi piace godere, Neil?" gli chiese. "Ho già raggiunto il mio godimento..." gli rispose il giovane con un sorriso compiaciuto. "Siete stato fantastico... e siete un bell'uomo..." gli disse carezzandogli lieve il petto. "Avrei piacere se ci si potesse incontrare ancora." "Forse al Green Cockspur, ora che ne conosco la via..." "Potreste passare nella mia tipografia, durante le ore di lavoro, e se mi è possibile, vi posso condurre nuovamente qui. Che ne dite?" Così Edmund e Neil iniziarono a frequentarsi. Ma Edmund continuava a pensare a William: gli era spiaciuto doverlo lasciare e non aver neppure avuto la possibilità di farci l'amore almeno una volta. Avevano appena fatto in tempo a dichiararsi la nascita del reciproco sentimento d'amore. Pareva che, nonostante la lontananza, quel sentimento invece di attenuarsi come forse avrebbe dovuto, si rafforzasse. Oltre che Neil, Edmund conobbe ed ebbe gradevoli incontri intimi con altri, eppure a nessuno riusciva ad affezionarsi veramente, per quanto piacevole fosse fare sesso con loro. Spesso, in quella terra di nessuno che è il dormiveglia che precede il sonno, rivedeva il sorriso di William Adams, il suo corpo seminudo sul palco, vestito da gladiatore, risentiva la sua voce... Si sentiva come qualcuno che, afferrate con ambo le mani le sbarre del cancello di un meraviglioso giardino, lo ammira desiderando ardentemente entrarvi, addentrarvisi, ma sa che il cancello è chiuso, il passo gli è irrimediabilmente impedito. Un senso di forte nostalgia allora lo assaliva. Avrebbe voluto poter tornare negli Stati Uniti, a Boston, da William Adams, ma non era un viaggio agevole né breve, né vi era un buon motivo per giustificarlo. Si diceva e ripeteva che avrebbe dovuto rassegnarsi e cercare perciò qualcuno lì a Londra, qualcuno che lo amasse e a cui dare il proprio amore, eppure gli pareva impossibile trovarlo. Sapeva che non vi sarebbe riuscito fin tanto che non si fosse tolto dalla mente, e soprattutto dal cuore, quel bellissimo, dolce, giovane attore. Eppure non ne era assolutamente capace...
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