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una storia originale di Andrej Koymasky


SAPEVA VERAMENTE AMARE CAPITOLO 1 - UNA COPPIA PERFETTA

Tomas fece per uscire dalla palazzina uffici della fabbrica quando notò che c'era una luce accesa in fondo al corridoio.

"Tanto, mica la pagano loro!" brontolò e si avviò per andare a spegnerla.

Giunto davanti all'ufficio contabilità, aprì la porta e stava per spegnere la luce, quando vide che c'era qualcuno: era Flavio Marzi, il capo-contabile italiano.

"Mister Marzi, ancora qui?" chiese un po' sorpreso.

"Oh, mister Walsh... devo finire la chiusura entro domani, così..."

"Ma... e gli altri?"

"Li ho mandati a casa. Posso cavarmela da solo... non potevo chiedergli di restare... gratis. E poi... la responsabilità è mia." rispose il giovane uomo con un sorriso schivo.

"Lei lavora troppo... Ma le sono grato, da quando l'ho assunta tutto è perfetto nel settore contabilità."

"Grazie, molto gentile."

"Beh, non esageri col lavoro, però: se si ammala, mi trovo nelle grane, senza lei!" gli disse Tomas e, salutatolo, uscì. "Devo dargli un buon aumento, se lo merita abbondantemente." pensò, mentre scendeva a prendere l'automobile.

All'inizio era stato un po' incerto ad assumere quell'italiano, forse per un po' di sciovinismo; però non solo il curriculum era ottimo, ma anche il colloquio era stato molto più soddisfacente che con gli altri candidati. Ora era molto contento di averlo assunto.

Prese il portachiavi e lo guardò con un sorriso, poi entrò in macchina e mise in moto. L'aveva ricevuto in regalo tre anni prima, per il suo mezzo secolo di età: un regalino da poco, eppure gli era il più caro fra tutti quelli che aveva ricevuto. Da una parte vi era un "50" in un cerchio di foglie di alloro in bassorilievo e dall'altra, in un angolino, tre minuscole lettere incise: "mob".

Si fermò al semaforo e, mentre aspettava il verde, guardò l'orologio: sarebbe arrivato a casa giusto per cena, come aveva promesso alla moglie. Guardò sul sedile accanto, quasi come per assicurarsi di non aver dimenticato la confezione di cioccolatini per Aine. Era uscito appositamente per comprarla durante l'intervallo di pranzo. Sorrise pensando che probabilmente la moglie, quando le avrebbe dato la scatola, gli avrebbe chiesto: "Ma che festa è, oggi?"... Ma sapeva che sarebbe stata contenta.

Salito in casa, entrò con uno squillante: "Ciao, Aine!"

"Ciao, tesoro. Tutto bene, oggi in fabbrica?"

"Sì. Tieni, questo è per te." le disse quando si incontrarono, porgendole la scatola di cioccolatini.

"Oh! Grazie. Ma che festa è, oggi?"

Tomas sorrise: "La nostra. Come ogni giorno." disse togliendosi la giacca e sfilandosi la cravatta.

Aine lo abbracciò e si scambiarono un tenero bacio. "Vieni, è pronto. Ah, ha telefonato Sean."

"Che dice? Come sta?" chiese mettendosi a tavola.

"Hanno trovato casa, finalmente. Traslocano nel prossimo week-end. Dice che... appena si saranno sistemati... vedranno di renderci nonni." concluse con un sorriso lieto.

"Ottimo. Ah, nella borsa ho le bozze del nuovo catalogo. Ti va di guardarlo, più tardi, e di dirmi che ne pensi?"

"Certo, volentieri. Davvero non puoi venire a Dublino, sabato e domenica? Sai che mia madre ti adora, sarebbe contenta di rivederti."

"Non posso, mi dispiace. Perché non la convinci a venire qui, lunedì, con te? Potrebbe passare una settimana con noi."

"Sai com'è mamma... chi la convince a lasciare i suoi gatti?"

"E tu dille di portarli, no? Dopotutto il tempo è buono e possono stare in giardino."

"No, mamma avrebbe sempre paura che scappino... Poi, sai, alla sua età, anche se sta abbastanza bene, non si muove volentieri da casa. Non è più la giramondo di un tempo, dopo la morte di papà."

Consumarono la cena chiacchierando piacevolmente. Poi, mentre miss Gallagher, la governante, sparecchiava, si spostarono in soggiorno a guardare un po' di TV, stando semiabbracciati sul divano, come sempre, e commentando sottovoce il programma che stavano guardando.

Era un servizio su come cambia, in bene o in male, il rapporto di coppia alla nascita di un figlio... e Aine si chiese perché a loro due non ne nascessero. Aveva fatto da madre ai due figli di Tomas, che quando loro si erano sposati avevano solo sei e quattro anni... però le sarebbe piaciuto avere un figlio tutto loro.

Aine aveva pensato di andare a fare una visita per capire quale fosse il problema, ma Tomas non aveva voluto: "Se verranno, sarò felice, ma se non verranno, andrà bene ugualmente."

"Ma se tu hai avuto due figli, significa che il problema è mio..." aveva insistito Aine, sentendosi un po' in colpa.

"Non è detto. Potrei essere diventato sterile io, magari quando ho avuto quella forte febbre... O semplicemente è soltanto un caso che non ne nascano: capita a volte che due persone fertili non riescano ad avere figli. Non devi farti problemi, amore."

Con dolcezza, Tomas le aveva fatto svanire il lieve senso di colpa che aveva provato: sì, era davvero un uomo eccezionale, molto buono e dolce, anche se forte. I diciotto anni di matrimonio erano stati molto belli per Aine... Sean e Deirdre la chiamavano "mamma" e la trattavano come tale, e questo aveva in gran parte appagato il desiderio di maternità della donna.

Una cosa che le piaceva di Tomas era come facevano l'amore: lui si regolava sempre in modo di raggiungere l'orgasmo solo dopo che l'aveva raggiunto lei... per quel che Aine ne sapeva, questa era una cosa piuttosto rara da parte dei mariti. Sì, era molto bello anche fare l'amore con Tomas. Si sentiva veramente amata... rispettata e amata.

Nel pensare questo, Aine provò una gran tenerezza per il marito, e assieme a ciò, anche il suo desiderio si risvegliò. Iniziò a carezzarlo lievemente, in modo sempre più intimo. Tomas sorrise e ricambiò le sue carezze. Guardarono il telegiornale della notte poi, spenta la TV, andarono in camera e iniziarono a fare l'amore. Nonostante fossero sposati da diciotto anni, continuavano entrambi a unirsi abbastanza spesso e con piacere.

La mattina seguente, quando trillò la sveglia, Aine aprì gli occhi. Guardò Tomas che ancora dormiva e sorrise: anche se aveva cinquantatré anni, era ancora un gran bell'uomo... Lo svegliò dolcemente, carezzandolo.

"Ciao..." disse Tomas con un sorriso, la voce ancora impastata dal sonno. "È già ora?"

"Sì, dormiglione."

"Che fai, oggi?"

"Vado all'associazione delle donne cattoliche."

"State preparando i premi per la lotteria di Pasqua?" chiese Tomas scendendo dal letto e stirandosi.

Aine ne ammirò il bel corpo atletico, nudo. "Sì, certo, come ogni anno. Come pensi di contribuire, quest'anno?"

"Come al solito, se per voi va bene: tre buoni sconto sui nostri mobili, uno da cinquecento, uno da mille e uno da mille e cinquecento euro."

"Sì, bene, sono sempre molto graditi. Dicono tutti che sei generoso."

"È un dovere, semplicemente. Quando gli affari vanno bene, si deve ridistribuire la ricchezza, prima di tutto dando buoni stipendi ai dipendenti, poi anche in altri modi, come questo."

"Magari tanti la pensassero come te. Le mie amiche mi invidiano, per avere un marito come te."

Tomas sorrise e andò in bagno a lavarsi. Aine sentì che in cucina la governante stava già preparando la colazione, poi sentì anche il rumore dell'aspirapolvere che la cameriera stava passando al piano di sotto.

"Ieri sera non hai guardato le bozze del catalogo, Aine..." le disse il marito mentre si rivestiva.

"Avevamo qualcosa di molto più interessante da fare." disse con un sorrisetto la donna. "Me le puoi lasciare? Le guardo prima di uscire."

"Sì, va bene. Per pranzo torni a casa o mangi con le altre dame di carità?"

"Sai che non mi piace che ci chiami dame di carità... Sì, pranzerò con le amiche."

Tomas ridacchiò: "Sai che mi piace stuzzicarti e vedere come mi metti il broncio, no?"

Aine lo abbracciò e gli diede un bacio.

"Ecco, proprio per questo... Almeno facciamo pace con un bacetto." le disse Tomas.

Fatta la colazione, Tomas si recò in fabbrica, in ufficio. Chiamò subito la responsabile delle risorse umane e le disse che intendeva dare un aumento di stipendio al capo-contabile. Poi esaminò le carte che il segretario gli aveva messo sulla scrivania. Sbrigate le cose più urgenti, si recò nell'ufficio progettazione.

"Stanley, sono già pronti quei progetti di cui m'aveva parlato?" chiese al capo-ufficio.

"Sì, mister Walsh. Ecco, guardi: abbiamo sviluppato le bozze di Brian, tenendo conto delle sue osservazioni."

"Sembra in gamba il ragazzo, nonostante sia così giovane." disse Tomas iniziando a esaminare le tavole. "Sì, questa è davvero una bella linea per le camere dei ragazzi, degli adolescenti... sarà sicuramente un successo quando la esporremo ai saloni del mobile. Bene. A questo punto mi faccia fare il prospetto dei costi, in modo che si possa poi dare il via al più presto a questa nuova produzione. E faccia i miei complimenti a Brian. Anzi, no, vado a farglieli io di persona. Dov'è?"

"Oggi non è in ufficio: mi ha chiesto tre giorni di permesso per andare al matrimonio del cugino... siccome doveva essere lui il testimone, ho pensato di darglieli." disse Stanley in tono in po' incerto guardando Tomas.

"Ha fatto bene. Quando torna, mi avverta e mi ricordi di venire a fargli i complimenti."

"Lo farò senz'altro mister Walsh. Grazie."

"Grazie a voi. In due fate il lavoro di quattro."

Tomas scese nella falegnameria, indossò la mascherina per non respirare la polvere di legno, i vapori delle colle e dei solventi, e girò a salutare gli operai. Avendo un'ottima memoria, li chiamava tutti per nome e alternava domande sull'andamento del lavoro e su eventuali problemi, con domande più personali. La quasi totalità dei suoi dipendenti lo stimava e lo apprezzava per il suo modo di comportarsi, per il suo interessamento.

Tomas era un uomo che s'era fatto da solo. Il padre aveva una falegnameria alle porte di Cork. Lui vi aveva lavorato fin da adolescente, aveva imparato a fondo il mestiere fin dalla gavetta e, impegnandovisi con determinazione e intelligenza, aveva trasformato la piccola falegnameria del padre nell'attuale florida industria di arredamento, che ora aveva settantadue lavoratori fra operai e impiegati e che era in lenta ma continua espansione. Aveva anche saputo circondarsi di ottimi collaboratori.

Finito il giro, tornò nel proprio ufficio. Prese il telefono e compose un numero. Non rispose nessuno: guardò l'orologio e si disse che era troppo presto: evidentemente non era ancora in casa. Allora chiamò Robert, il segretario, e con lui sbrigò la corrispondenza.

Prima che tornasse in segreteria, gli chiese con un sorriso: "Come sta il suo Steve?"

"Un po' meglio, grazie; dovrebbero dimetterlo presto."

"Bene, me ne rallegro. Lo andrà a trovare, durante l'intervallo di pranzo?"

"Sì, certamente."

"Gli porti i miei auguri, allora." disse con un sorriso.

Quei due stavano insieme da sei anni. Tomas l'aveva scoperto per caso, perché un giorno, mentre Robert era al gabinetto, contrariamente al solito aveva risposto lui al telefono con un laconico "Sì?" e Steve aveva salutato con uno squillante "Ciao, amore!"

"Scusi, ma... chi parla?" aveva chiesto Tomas.

Quando Steve aveva capito l'equivoco, aveva riagganciato dopo uno "Scusi, ho sbagliato numero...", ma Tomas aveva visto sul piccolo schermo del telefono che la chiamata proveniva da casa di Robert e aveva intuito come stessero le cose. Aveva sorriso e fatto spallucce, e non ci aveva più pensato.

Più tardi Robert aveva ricevuto una nuova chiamata da Steve, che doveva avergli spiegato l'accaduto, così il segretario era andato a parlargli, imbarazzatissimo. Tomas gli aveva detto che non aveva assolutamente nulla di cui preoccuparsi. In seguito, gradualmente, Robert aveva iniziato ad aprirsi con lui e gli aveva anche raccontato qualcosa riguardo a se stesso ed a Steve.

Pareva che la gente provasse un istinto quasi irrefrenabile di confidarsi con lui... Forse perché Tomas era un buon ascoltatore, forse perché non giudicava nessuno, forse per la sua gentilezza non formale e per la sua umanità.

Stava esaminando alcune riviste di arredamento quando, improvvisamente, Tomas sentì un acuto dolore al costato, al centro del petto, dietro lo sterno. Aveva difficoltà a respirare, perciò si alzò a fatica e andò alla finestra e l'aprì. Gli vennero sudori freddi, poi il dolore sembrò attenuarsi diffondendosi tutto attorno, verso la gola, le braccia, lo stomaco.

Si appoggiò al davanzale con entrambe le mani sporgendosi lievemente fuori e si sforzò di respirare a fondo, più volte. Gradualmente si sentì meglio. Si terse la fronte con il fazzoletto e tornò a sedere alla scrivania, lasciando la finestra aperta.

"Mah... sarà stato un improvviso abbassamento della pressione..." si disse. "Devo andare a farmela controllare."

Si abbandonò contro lo schienale, quindi, sentendo che tutto era passato, riprese a occuparsi delle sue carte dimenticando quel piccolo, spiacevole incidente.

L'orologio da polso vibrò: lo guardò e sorrise. Si strinse di nuovo la cravatta, infilò la giacca e scese a prendere l'auto per andare a pranzare al solito ristorantino sul fiume Lee, come faceva da innumerevoli anni.

Terminato il lungo intervallo per il pranzo, mentre guidava verso la fabbrica di mobili si sentiva molto bene, rilassato e lieto, quasi come se fosse ringiovanito di dieci anni. Salutò con un cenno e un sorriso l'addetto alla sbarra d'accesso del parcheggio interno, lasciò l'auto e salì in ufficio.

Anche il pomeriggio passò e Tomas tornò a casa. Come sempre salutò con uno squillante: "Ciao, Aine!"

E come sempre, la moglie rispose, andandogli incontro con un sorriso: "Ciao, tesoro. Tutto bene, oggi in fabbrica?"

"Sì. L'ufficio progetti ha terminato la linea delle camerette per teenagers. Sono sicuro che sarà un successo. Quel Brian è un vero artista, anche più in gamba di Stanley. Hai avuto un po' di tempo per guardare le bozze del nuovo catalogo?"

"Certo, te l'avevo promesso, no? Bello... anzi, perfetto, direi. Hai fatto bene ad affidarlo a un designer, questa volta."

"Sì... sai, l'ha progettato Brian Quinn, lo stesso che ha proposto la nuova linea delle camerette. Ha solo ventitré anni, ma è un vero talento. Ha studiato design a Londra, poi si è specializzato a Milano, con una borsa di studio."

"Quel ragazzo di Belfast, orfano? Quello per cui m'avevi chiesto di trovare una stanza, no?"

"Sì, Aine. Gli hanno ammazzato i genitori quando era un ragazzino, in un attentato; gli zii allora l'hanno preso in casa e gli hanno pagato gli studi. Per andare a studiare a Londra, aveva poi fatto il ragazzo di sala in un night... Infine, una volta preso il diploma, ha vinto una borsa di studio a Milano."

"E com'è che è venuto a lavorare per te, Tomas?" chiese la moglie mentre si mettevano a tavola.

"Aveva visto la nostra produzione al Salone Internazionale del Mobile di Milano e gli era piaciuta... Così mi mandò alcuni suoi disegni, assieme al curriculum, chiedendomi se ero interessato ad assumerlo. È stato un ottimo acquisto."

"Quello che mi piace di te, Tomas, è che sai sempre tutto dei tuoi dipendenti. Per te non sono semplicemente numeri ma... sono un po' come membri della tua famiglia."

"Mi stai dando del paternalista?" le chiese con un sorriso lieve. "E poi, solo questo ti piace di me?"

"Ma no, lo sai bene. Comunque, oltre che come marito, mi piaci anche come... padrone, come dirigi la tua fabbrica. E mi piace anche che mi racconti quello che ti succede, che fai in fabbrica."

"Piuttosto, com'è andata oggi a te, con le tue dame di carità?"

"Tomas! Lo sai che non mi piace che ci chiami così!" protestò Aine fingendo di essere seccata.

Si guardarono e scoppiarono a ridere: piaceva a tutti e due, a volte, punzecchiarsi un po'.

"Beh, comunque, com'è andata?"

"Molto, molto bene. Quest'anno la lotteria sarà anche più ricca degli altri anni."

"E a che cosa destinerete i fondi, questa volta?"

"Continueremo logicamente a sostenere le due scuole tecniche in Madagascar e nelle Filippine, dove sono i nostri missionari. Poi, tutto quello che ricaveremo in più, a partire da quest'anno lo investiremo nella Banca Grameen del Bangla Desh per il microcredito."

"Ottimo, ottimo. Queste sono le vere azioni per la pace nel mondo, più che mettere le bandiere con l'arcobaleno alla finestra o fare cortei. Solo dando ai più poveri il modo di costruirsi una vita decente si può ottenere la giustizia e la pace. Azioni così, ci vogliono, e non parole!"

"Sì, Tomas. Eppure tante volte, di fronte alle miserie del mondo, ci si sente così inadeguati, così impotenti. Ci sono tante cose che sarebbe giusto fare, ma purtroppo nessuno di noi può farle tutte."

"Ma se ognuno di noi facesse anche solo quel poco che è in grado di fare... Purtroppo c'è ancora troppo egoismo, nel mondo. Proprio per questo dobbiamo cercare di fare sempre di più."

"E renderci conto che quanto riusciamo a fare è sempre troppo poco." commentò Aine.

"A volte... mi chiedo se io faccio abbastanza par te." disse a un certo punto Tomas.

Aine lo guardò sorpresa: "Perché? Io... io sto molto bene con te. Non mi manca nulla... specialmente il tuo affetto, non me l'hai mai fatto mancare."

"Mai... in tutti questi diciotto anni?"

"Oh, Tomas! Sei il marito migliore del mondo! Almeno... per me lo sei, e questo è ciò che conta, no? Perché hai questi stupidi dubbi?"

"No... così... A volte me lo chiedo, ecco. Tu sei una donna molto in gamba, una moglie splendida e sei anche stata una vera madre per i miei figli. Così... mi chiedo se io sono capace di darti tutto quello di cui hai bisogno e che meriti."

Aine si alzò dalla sedia, fece spostare Tomas e gli sedette in grembo, abbracciandolo.

"Io... io ti amo, Aine." sussurrò Tomas.

"Sì, lo so. E anche io ti amo."

Miss Gallagher, che era entrata per sparecchiare, li guardò con un sorriso pieno di tenerezza: nonostante fosse una "vecchia zitella", provava per i padroni ammirazione, rispetto e affetto. Non per niente da anni lavorava per loro.


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© Matt & Andrej Koymasky, 2012