Aine fece le sue raccomandazioni alla cameriera, quindi guardò l'orologio: erano le dieci e quindici. Andò a togliersi i bigodini e iniziò a vestirsi per uscire. Si controllò allo specchio, si fece un sorriso soddisfatto, controllò di aver tutto l'occorrente nella borsetta e andò a salutare la governante.
"Quando ha finito, miss Gallagher, le spiace occuparsi anche di..." le stava dicendo, quando squillò il telefono.
Andò a rispondere.
"Mrs Walsh..."
Riconobbe la voce del segretario del marito: "Sì. Buon giorno Robert." disse allegramente.
"Potrebbe venire subito qui in fabbrica, per cortesia?"
Il sorriso di Aine si spense: aveva sentito un tono preoccupato nella voce dell'uomo: "Sì? Qualche problema, Robert?"
"Ecco, mister Walsh ha avuto un malore e..."
"Un malore? Che malore? Come sta? Che gli è accaduto?" chiese precipitosamente, a raffica e a ogni domanda il tono della sua voce saliva.
"Se potesse venire..."
"Avete chiamato un dottore? Non l'avete portato in ospedale?" chiese allarmata.
"Sì, il dottore è qui... non serve portarlo in ospedale... per ora. Se lei potesse venire e... decidere..."
"Mi passi mio marito."
"Non... non è in grado di... di parlare..."
Aine si sentì un formicolio sulla testa, trattenne il respiro, poi chiese, a voce bassa, piatta, temendo di conoscere già la risposta: "È... è ancora... vivo?"
"Venga, signora, per favore..." gemette la voce di Robert nel ricevitore. "E... prenda un taxi... è meglio."
"È ancora vivo?" insistette Aine in un tono quasi isterico, sentendo sudori freddi per tutto il corpo.
"Purtroppo... no, signora. Mi spiace... mi spiace terribilmente..." disse la voce nel ricevitore, in un singhiozzo a fatica trattenuto.
"Vengo..." rispose Aine e posò la cornetta, restando immobile, come una statua, la mano ancora sul telefono. "Non è possibile... non può essere vero..." gemette con una voce che non le sembrò nemmeno la propria.
"Signora..." disse la cameriera con voce squillante e allegra entrando nella stanza.
Aine si girò e la guardò, con espressione assente.
"Oh dio, signora!" esclamò la donna in tono preoccupato vedendo l'espressione del volto della padrona, "che c'è, si sente male?"
"Tomas... è morto."
"Il signore? Morto? Ma... ma via... ma se stava benissimo stamane quand'è uscito... Morto? Ma come? Dove?" disse la donna accostandosi ad Aine e prendendole un gomito con gentilezza.
"Hanno chiamato ora dalla fabbrica... non so... devo andare..."
"La accompagno io con la mia macchina, signora. Non deve guidare, in questo stato... Oh povera signora... Venga... venga..."
"Posso prendere un taxi..."
"No, no! Venga signora. Oh, povera signora... Dio quanto mi dispiace..."
La donna guidò Aine alla propria vecchia utilitaria e la condusse fuori città, fino alla fabbrica. Parcheggiò e la accompagnò all'interno. Tutto il personale era nei corridoi radunato in piccoli crocchi che parlottavano sottovoce, tutti con un'espressione smarrita. Quando riconobbero Aine, tacquero. Lei, sempre accompagnata dalla cameriera, entrò nello studio del marito.
Dentro c'erano solo Robert con un uomo che non conosceva, e il corpo del marito era steso sul divano.
"Mrs Walsh..." la salutò Robert, gli occhi rossi.
"Com'è successo, Robert?" chiese Aine con voce strana.
Lo sconosciuto parlò: "Sono il dottor Quinn. Credo... sono quasi certo che suo marito abbia avuto un infarto miocardico acuto."
Aine si inginocchiò accanto al divano: Tomas aveva un'espressione distesa, serena, quasi sorridente.
"Ha... ha sofferto?"
"Probabilmente no... probabilmente... una fitta, poi... quando ha cominciato a sentirsi meglio... Il tutto dev'essere accaduto in trenta, quaranta minuti." disse in tono incerto il dottor Quinn. "Sarà necessario fare l'autopsia..."
"Ma... ma stava bene... non ha mai avuto niente... Com'è possibile?" gemette Aine, carezzando lievemente il volto cereo del marito.
"Forse il signor Walsh non ha dato peso a fenomeni pregressi, signora." spiegò il medico in tono basso. "Anche se il segretario mi ha detto di non avere avuto mai sentore di precedenti disturbi."
Bussarono alla porta: era arrivata l'ambulanza per portare il corpo di Tomas all'ospedale per gli esami del caso. Aine, accompagnata dalla cameriera, seguì l'ambulanza fino all'ospedale.
Mentre attendeva, telefonò ai figli di Tomas, per avvertirli.
Il giorno seguente giunsero sia Sean con la moglie dalla Scozia e, a sera, anche Deirdre con il marito dalla Francia.
L'autopsia confermò la morte per infarto. Sean si occupò di organizzare i funerali, a cui parteciparono tutti i dipendenti della fabbrica, amici, conoscenti e che furono celebrati dal vescovo, il molto reverendo John Buckley, nella cattedrale cattolica di S. Mary e S. Anne.
Finiti i giorni del funerale, Aine si recò nuovamente alla fabbrica e riunì i quadri.
"Con l'accordo dei figli di Tomas, ho deciso di prendere il posto di mio marito: dobbiamo fare del nostro meglio per dare continuità e successo a quanto aveva intrapreso. Dovrete assistermi, in modo che io possa rendermi conto in dettaglio dell'organizzazione. Tomas discuteva spesso con me riguardo alla gestione della fabbrica, però altro è sentirne parlare, altro è prendere il suo posto e agire. Penso e spero di poter contare sulla vostra collaborazione."
Tutti si dissero lieti per la decisione di Aine: avevano infatti temuto che lei volesse vendere tutto, dato che né Sean né Deirdre volevano occuparsi della fabbrica.
Per prima cosa Aine parlò a lungo con ognuno dei responsabili dei vari settori. Nel frattempo iniziò a esaminare accuratamente tutto quanto Tomas teneva nel suo ufficio.
Fu così che, alcuni giorni dopo che aveva preso in mano la direzione della fabbrica, trovò un cassetto chiuso, di cui non trovava la chiave. Chiamò Robert, che le disse che non aveva idea di dove fosse la chiave né di che cosa contenesse quel cassetto. Allora Aine fece chiamare un fabbro perché lo aprisse e ne sostituisse la serratura.
Quando finalmente fu aperto, Aine vide che conteneva solamente una voluminosa cartellina ad alette di plastica azzurra, chiusa con un doppio cordoncino elastico. La aprì e vide che conteneva una serie di biglietti e lettere, tutti scritti con la stessa grafia, e leggendo l'inizio di alcuni di essi, si sentì impallidire e formicolare il cuoio capelluto...
Iniziavano tutti con "Mio dolce amore..." o parole simili.
Controllò le date: spaziavano dal 1984 al 2004! Venti anni!
Le firme erano sempre una "M" o la sigla "mob"...
Dunque... Tomas aveva avuto un'amante, da ben due anni prima che sposasse lei... Scosse il capo, incredula. Non le sembrava possibile, non riusciva a crederci.
Richiuse quasi precipitosamente la cartellina, nonostante provasse l'impulso di leggere tutte quelle lettere e biglietti, ma si riservò di esaminare il tutto una volta tornata a casa. "Mio dolce amore..." non c'era nessun dubbio, Tomas aveva avuto un'altra donna!
Ma perché? Era sempre sembrato felice con lei... era sempre sembrato innamorato... Niente aveva mai dato adito ad alcun sospetto.
"Mio dolce amore..."
Ma chi era quella donna che lo chiamava dolce amore? E perché Tomas aveva conservato tutte le sue lettere, in ufficio.
Chiamò Robert. "Mi dica, lei ha lavorato come segretario di Tomas fin dal 1981, giusto?"
"Sì, signora."
"Le risulta che Tomas... che avesse... un'amante?"
Robert la guardò con espressione stupita e scosse il capo: "No... no signora. Perché?"
"Ora che è morto... non è più tenuto a tenere il segreto." insisté Aine.
"Ma no, le giuro! No, non credo proprio che..."
"Quel cassetto di cui non si trovava la chiave... conteneva questa cartellina. Lettere d'amore che riceveva da una donna... che ha ricevuto per almeno venti anni e che ha accuratamente conservato."
"Non... non ho mai avuto sentore, signora... davvero, mai."
"Non riceveva telefonate da una donna? Telefonate personali?"
"No, che io sappia. Le telefonate in arrivo passavano praticamente tutte attraverso me, e... posso escludere che... Chiaramente, dopo che gli passavo la linea, non stavo in ascolto, però... se una voce femminile, sempre la stessa, avesse chiamato, avrei anche potuto pensare che... No, signora, lo escludo."
"Eppure queste lettere..." disse Aine con espressione stanca, battendo la mano sulla voluminosa cartellina azzurra.
"A me, mi creda, ha sempre e solo parlato di lei, signora. E mi sembra così strano che... Quando parlava di lei, lo faceva sempre con evidente affetto, direi."
"Eppure, queste lettere..." ripeté Aine quasi sottovoce.
"Sono sicuro, signora, se mi permette, che suo marito era... innamorato di lei." insisté il segretario.
"L'ho sempre creduto anche io... Eppure... per venti anni... prima ancora di conoscere me... Perché non ha sposato lei, allora? Non... non capisco, davvero non capisco. E lei, Robert, in venti anni... non ha mai sospettato nulla."
"Mai, davvero. Per questo mi pare incredibile che... Magari... lei lì ha solo le lettere di quella donna... magari lei era innamorata del signor Walsh, non ricambiata..."
"E Tomas avrebbe conservato tutte le lettere, per venti anni? E lei avrebbe continuato a scrivergli, per venti anni, senza speranza? Lo crede davvero possibile?"
"No..." dovette ammettere Robert.
"Le iniziali M.O.B. le dicono nulla?" chiese Aine.
"No... Nulla."
"Va bene, grazie. Le leggerò con calma... voglio trovare questa donna."
"Non sarebbe meglio, signora... non sarebbe meglio che le distruggesse, a questo punto? Che non ci pensasse? Ormai..."
"No... voglio sapere... ho il diritto di sapere!" disse Aine in tono determinato.
Tornata a casa, Aine aprì la cartellina, ne estrasse tutte le lettere e i biglietti e iniziò a leggerli, in ordine cronologico. Di tanto in tanto prendeva qualche appunto, trascriveva qualche frase, cercando di capire, di scoprire chi fosse quella M.O.B.
Era evidente che si vedevano, che si incontravano, e anche che... che facevano l'amore. Era anche evidente che quell'altra donna sapeva di lei.
"Non ti chiedo niente più di quello che mi puoi dare, so che ami tua moglie..."
"Non ti preoccupare per me, la felicità che mi dai è tutto ciò che posso chiedere..."
"So che non potremo mai vivere assieme, e mi va bene così, ma non posso rinunciare a te, tanto quanto tu non sai rinunciare a me. Prendiamo dalla vita quello che ci può dare..."
Aine di tanto in tanto scuoteva il capo, incredula, incapace di capire. Avrebbe voluto avere lì anche le lettere che Tomas scriveva a quella donna, per capire meglio.
"Il tuo biglietto di auguri per i miei trenta anni mi ha fatto un piacere enorme, e l'ho baciato e ribaciato, sperando di potere baciare te, presto..."
Era datato 1996, quindi quella donna era nata nel 1966, aveva sei anni meno di Aine... e s'erano conosciuti quando quella aveva diciotto anni e Tomas trentatré. Una ragazzina...
Perché Tomas non aveva sposato quella MOB, invece che lei? Perché aveva sposato lei ma aveva continuato a vedere quell'altra?
"Quando dalla finestra vedo le tre guglie della cattedrale di St. Finbarre, penso a noi tre: tu, la più alta guglia, e le altre due tua moglie Aine e io. Assieme, siamo la cattedrale dell'amore, mio adorato Tomas."
"So che non puoi fare a meno di lei, e mi va bene. Sono felice così, credimi. Come stai dando a lei tutto ciò di cui ha bisogno e a cui ha diritto, così lo stai dando anche a me..."
Sì, si disse Aine... ma lei sapeva tutto di me, io niente di lei.
"La casa in Gill Abbey Street mi piace troppo per lasciarla. Non ti preoccupare per me: anche se l'alloggio è modesto e piccolo, ci sto molto bene, specialmente quando tu ci puoi venire e puoi stare un poco con me..."
Questa lettera era datata 1998, forse abitava ancora lì... ma a che numero? E come si chiamava questa misteriosa donna?
Aine voleva a tutti i costi trovarla. Voleva incontrarla, conoscerla, capire chi fosse e come e perché si fosse legata al suo Tomas. "Suo"... anche se ora aveva scoperto di averlo sempre condiviso con un'altra.
Il giorno seguente, perciò, telefonò alla Castle Private Detective and Investigation Agency, fissò un appuntamento e, forniti loro i pochi elementi che aveva, chiese di scoprire chi fosse questa M.O.B. e il suo esatto indirizzo.
Il fatto di aver preso in mano la gestione della fabbrica assorbiva tutte le sue energie e i suoi pensieri. Si era accollata un compito grande, ma era determinata e tutto il personale della fabbrica, specialmente i quadri, parevano fare del tutto per facilitarle il compito che si era assunta.
Dalle reazioni e dal comportamento dei collaboratori nei suoi confronti, Aine capì quanto il marito fosse stato stimato, apprezzato, anche amato da tutto il personale.
Quando però a sera tornava a casa, ricominciava a pensare alla "doppia vita" del marito e questo le provocava una profonda sensazione di disagio, la disturbava fortemente.
"Avrà avuto figli, da quella?" si chiese improvvisamente. "Nelle lettere non c'è mai nessun riferimento a figli loro... " si disse e, ripresa la cartellina azzurra, si mise nuovamente a leggere attentamente tutte quelle missive.
Per la prima volta si rese conto, coscientemente, che non c'era neppure una fotografia. In realtà Tomas non aveva mai avuto una passione per le fotografie, anche quelle di loro due erano molto rare.
Aine si chiese fino a che punto lei realmente avesse conosciuto l'uomo che aveva sposato, che aveva avuto al fianco per ben diciotto anni. Eppure... le era sempre sembrato un uomo così "trasparente", franco, sincero... Se qualcuno in passato le avesse detto che Tomas la tradiva, non ci avrebbe creduto, avrebbe messo la mano sul fuoco per la sua fedeltà.
"Dio, possibile che io sia stata così ingenua da non accorgermi mai di niente? Da non sospettare mai niente?" si chiese ad alta voce. "Sono io un'oca o era lui un attore perfetto?"
Si alzò e, con un gesto di stizza, si scompigliò i capelli, scuotendo bruscamente il capo ed emettendo un gemito, in parte di rabbia e in parte di delusione.
"E quando mi diceva: ti amo... stava pensando a quell'altra?" gridò, in tono acuto, alle stanze deserte della bella e grande villa. Poi, quasi in un lamento, a voce bassa, aggiunse: "Capisco se avesse fatto una scappatella... se avesse avuto un'avventura... ma per venti anni... cavolo, venti anni!"
Andò all'angolo bar, prese una bottiglia di liquore senza nemmeno guardare che fosse, ne aprì il tappo e ne ingollò una grossa sorsata. Le andò per traverso, e si mise a tossire, spruzzando il liquore attorno, e gli occhi le lacrimarono. Posò la bottiglia e si portò un fazzoletto davanti alla bocca, continuando a tossire, mentre le scendevano lacrime e si sentiva il volto in fiamme.
"Merda, merda, merda!" esalò appena riuscì a riprendere fiato, e tornò a sedere sulla poltrona, quasi di schianto, asciugandosi le lacrime.
Cosa avrebbe fatto se gli investigatori che aveva pagato avessero trovato quella donna? Sarebbe andata da lei, questo era certo. Ma poi? No... niente scenate. A che sarebbero servite, ormai? Avrebbe cercato di capire... Sì, doveva capire chi realmente fosse stato Tomas.
"Merda! Diciotto anni con lui e... Quando mi ha chiesto di sposarlo, stava già con quella da due anni... Perché? Perché, eh? Oh, Tomas, quanto vorrei averti qui, adesso, per sentire da te, dalle tue labbra perché. Cosa ti dava lei che non potevo darti io? Sembravi così... contento di stare con me, così innamorato..."
Decise di andare a letto. Ma non riusciva a prendere sonno e continuava a girarsi e rigirarsi, irrequieta, la testa piena di pensieri che si accavallavano incessantemente.
"Però stava con me, mica con quella... Questa era casa sua... E poi... possibile che abbia recitato per diciotto anni? Perché recitare, poi? Se non stava bene con me... poteva separarsi... divorziare... Dopotutto lui non è che fosse un cattolico praticante, poteva divorziare, no? E non avevamo neanche figli nostri... Perché allora è rimasto con me?"
Si girava e si rigirava sul letto, nel buio della stanza.
"E gli piaceva fare l'amore con me... E era bello fare l'amore con lui, ci sapeva fare... Però faceva anche l'amore con quella Mob o come cavolo si chiama... Ma chi amava, in realtà?"
Infine riuscì ad addormentarsi. Quando suonò la sveglia, si sentiva lievemente intontita. Andò a fare una doccia, poi aprì alla governante. Insistette ancora con lei che prendesse una copia della chiave di casa, ma la donna rifiutò di nuovo.
"No, signora, preferisco così: è una responsabilità troppo grande... Mentre finisce di prepararsi, le preparo la colazione..."
"Non ho molto appetito, questa mattina..."
"No, no, deve mangiare regolarmente! Specialmente adesso che tutto è sulle sue spalle, signora."
"Sabato, anche se è il tuo giorno libero... puoi venire? Mi dovresti aiutare a mettere via tutti gli abiti di mio marito, in modo che possa portare i migliori in parrocchia per i poveri. Preferisco non farlo da sola..."
"Certo, signora, non si preoccupi, verrò anche sabato."
Aine andò a finire di prepararsi. Come al solito, si controllò accuratamente allo specchio. Andò a fare colazione, prese le chiavi dell'auto di Tomas e scese. Mentre guardava distrattamente il portachiavi, s'accorse della minuscola sigla incisa sul retro, vicino al bordo: "mob"! Dunque... quel portachiavi era un regalo dell'amante di Tomas! Lei aveva creduto che se lo fosse comprato da solo... in realtà non gliel'aveva detto Tomas, l'aveva pensato lei...
Arrivata in ufficio, fu subito presa dalle mille cose di cui doveva occuparsi. Stava iniziando ad avere le idee abbastanza chiare su come mandare avanti la fabbrica. Certamente Tomas s'era circondato di elementi validi, senza i quali lei non avrebbe saputo dove mettere le mani. Istintivamente, pareva che tutti avessero riversato su di lei il rispetto e la stima che avevano avuto per il padrone: ora stava a lei non deluderli e meritare il loro sostegno.
Ne sentiva tutta la responsabilità, ma era una donna forte, energica, determinata, e non se ne preoccupava.
Era mattina tardi quando Robert le passò una telefonata: era l'agenzia investigativa.
"Mrs Walsh?"
"Sì... avete qualche risultato?"
"Se potesse venire da noi... o ricevere lì da lei il nostro incaricato..."
"Ma avete scoperto chi è?" chiese Aine, sentendosi elettrizzata.
"Preferiremmo parlarne di persona. Forse abbiamo trovato qualcosa, però... preferiamo non parlarne per telefono."
"Ma l'avete trovata?" insisté Aine.
"Forse sì, signora. Molto probabilmente."
"Potete mandare subito qualcuno qui da me, in fabbrica?"
"Se per lei va bene, verso le quattro del pomeriggio..."
"Sì, benissimo. Sarò certamente in ufficio per quell'ora."
Aine si sentiva agitata. Finalmente avrebbe saputo... "Molto probabilmente"... perché? C'era ancora qualche dubbio? Dopo tutto, una donna di trentotto anni, le cui iniziali erano M.O.B. e che abitava in Gill Abbey Street... o l'avevano individuata o no. Che senso aveva quel "molto probabilmente"?
Non le restava che aspettare le quattro del pomeriggio.