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una storia originale di Andrej Koymasky


SAPEVA VERAMENTE AMARE CAPITOLO 3 - UN'INCREDIBILE SCOPERTA

Finalmente, a metà pomeriggio, l'incaricato inviato dalla Castle Private Detective and Investigation Agency si presentò nell'ufficio di Aine.

"Allora?" chiese questa dopo i soliti convenevoli, sporgendosi lievemente sulla scrivania.

"Ecco, mrs Walsh..." iniziò l'investigatore, aprendo la borsa che aveva accanto a sé ed estraendone una cartelletta arancione sbiadito, che però pose in grembo, "Gill Abbey Street, come lei probabilmente sa, è lunga meno di trecento metri... vi sono poche abitazioni... e abbiamo individuato una sola persona le cui iniziali sono M.O.B. e che vi abita..."

"Bene."

"Questa persona, come lei ci aveva detto, è nata nel 1966..."

"Sì?" disse Aine chiedendosi il perché dell'evidente esitazione dell'investigatore.

"Inoltre... seguendo il soggetto della nostra investigazione... l'abbiamo visto andare a deporre fiori sulla tomba di mister Tomas Walsh, di suo marito..."

"Quindi è proprio lei." lo incoraggiò Aine sentendosi fremere lievemente e cercando di controllarsi.

"Pensiamo di poter dire di sì, però..." disse l'uomo, lievemente a disagio, e finalmente estrasse dalla cartellina una fotografia di grande formato e la posò sulla scrivania, sospingendola con due dita verso di lei.

Aine la guardò e... emise una specie di singhiozzo: "E questo, chi è? È... uno scherzo?" chiese a voce bassa, sentendo però chiaramente che non doveva esserlo.

"No, signora. Questo è Micheal O'Brien, di anni trentotto, di professione tassista, celibe, abitante al numero 12 di Gill Abbey Street, quarto piano."

"Ma è un... un uomo!" esclamò con voce stranita Aine, prendendo in mano la fotografia e osservandola con occhi sgranati, incredula.

"Indubbiamente." rispose in tono buffamente solenne l'investigatore.

"Indubbiamente..." fece eco Aine in un mormorio, cercando di arrestare il lieve tremito delle mani che sorreggevano la fotografia. "Perciò mio marito... Tomas era... aveva..." Posò la fotografia e si passò una mano sugli occhi, quasi a cancellare quell'immagine e ciò che implicava. "Ma... ne siete certi? Non vi è... non vi potrebbe essere un errore?"

"Malauguratamente no, signora Walsh. Non vi sono altre persone che abbiano quelle iniziali e che abitino in quella via e... e il soggetto è andato almeno tre volte a portare fiori sulla tomba di suo marito." disse l'uomo estraendo dalla cartellina altre fotografie, alcune polaroid scattate al cimitero, e sospingendole verso Aine.

"Un uomo..." lei quasi gemette. "Venti anni con... con un uomo..."

"Sono... cose che capitano, purtroppo, signora." disse a voce bassa l'investigatore. Poi estrasse dalla cartellina due fogli in formato A4 e li posò sulla scrivania: "Qui ci sono tutti i dati che abbiamo raccolto e la relazione della nostra investigazione."

Dopo che l'uomo ebbe lasciato l'ufficio, Aine riprese in mano la fotografia del segreto amante del marito e la guardò con attenzione: "Micheal O'Brien... sei tu M.O.B. non una donna... Buon dio! Un uomo! Com'è possibile?"

Era un bel giovanotto, dai capelli castano scuro con qualche riflesso biondo, ben pettinati, occhi che parevano del colore dell'acciaio eppure dolci, una lieve ombra di baffi sotto il naso dritto e proporzionato, sopracciglia folte e ben separate, una piega lievemente triste sulla bocca dalle labbra carnose e rosate...

Un discreto bussare alla porta la scosse: "Avanti!" Entrò il segretario. "Oh, Robert..." gli disse e, porgendogli la fotografia, gli chiese: "Ha mai visto questo giovanotto?"

"No, mai, signora..." rispose l'uomo dopo aver esaminato la fotografia, rendendogliela.

"E... sapeva che mio marito... era gay? Che questo era il suo amante?" chiese Aine, cercando di controllare il tremito della voce.

"Gay? Suo marito, signora? Non... non mi sembra possibile."

"Ah no? E perché non le sembra possibile? Perché non ci ha mai provato con lei? I capi ci provano sempre con le segretarie, si dice, no? Un capo gay... con un segretario maschio..." disse a voce sommessa, in tono amaro.

"Se mi permette, signora..."

"Che cosa?"

"Posso sedere?"

"Certo."

"Ecco, vede... io... io sono gay... e suo marito lo sapeva. Ma non solo non mi ha mai fatto la minima proposta, ma mi ha sempre rispettato. E... se mi permette... parlava sempre e solo di lei e non di... altri o altre... Non posso credere che il signor Walsh..."

"Eppure ne sono certa. Ho trovato le lettere di questo giovanotto, un certo Micheal O'Brien, fra le cose di mio marito... Sono stati... amanti... per venti anni!"

"Incredibile..." sussurrò Robert. "O'Brien, ha detto? Sì... qualche volta è arrivata qualche telefonata, da parte di un O'Brien mi pare. Poche volte ma... Benché ci possono essere altri con quel cognome..."

"Né lei, Robert, né io, per tutti questi anni... Oh, davvero un segreto accuratamente conservato. Non il minimo indizio... Tomas ha condotto due vite parallele, molto ben separate. E io... io che credevo... che mi illudevo di conoscere Tomas..."

"Capisco la sua amarezza, signora, però... ora mister Walsh non può più difendersi, spiegare, aiutarci... aiutarla a capire. Resta comunque... resta tutto ciò che di buono e bello ha fatto. Tutti, mi creda, tutti qui lo stimavano, lo rispettavano, gli erano affezionati... come lui lo era nei nostri confronti. E, se mi permette, io posso dire, per quanto m'è stato dato di vedere e di capire, che... che suo marito era innamorato di lei. Era sicuramente innamorato di lei. Un uomo non può fingere per così tanti anni..."

"Eppure l'ha fatto!" disse Aine in tono stanco. "Perché?"

"Forse non lo saprà mai..."

"O forse lo scoprirò. Ho intenzione di andare a conoscere questo... questo Micheal O'Brien."

"Crede... crede che sia una cosa opportuna, signora?"

"Sì. Io mi sono accorta di conoscere solamente la metà di Tomas... Questo Micheal ne deve conoscere l'altra metà. Confrontandole... capirò finalmente chi era realmente Tomas. Con chi ho condiviso tanti anni della mia vita."

"Eppure, signora... un uomo non è fatto solo di due metà... ma di molte più."

"Comunque lo conoscerò meglio di prima."

"Ormai che è morto, signora... a che pro? Non è stata felice con suo marito, in tutti questi anni?"

"Mi sono illusa..."

"No, signora. La parte che lei ha conosciuto, con cui ha vissuto, era reale, non un'illusione. Mi scusi se mi permetto ma, dato che ha voluto mettermi a parte di... di tutto questo... Come ho sempre parlato chiaramente con suo marito, ora mi azzardo a dirle chiaramente quello che penso, col suo permesso."

"La ringrazio, Robert. Ma ormai ho deciso: voglio... devo incontrare questo Micheal O'Brien. Devo parlare con lui. Devo cercare di capire. Devo, capisce?" disse, salendo lievemente di tono ad ogni "devo" che pronunciava. "Lei non può capire..." aggiunse infine in tono sommesso e con voce stanca. "Che cosa era venuto a dirmi, Robert?"

"Mi scusi, signora... Ci sarebbero alcune carte che lei dovrebbe firmare." disse allora il segretario alzandosi, riassumendo un tono professionale e le sottopose i documenti illustrandoli con cura e rispondendo alle sue domande.

Quando il segretario lasciò la stanza, Aine riprese in mano il carteggio che l'investigatore le aveva lasciato.

Un uomo! L'amante segreto di Tomas era un uomo! Si chiese se questo fosse meglio o peggio che se fosse stata una donna... e non seppe darsi una risposta. Con una rivale avrebbe potuto confrontarsi su un piano di uguaglianza... ma con un uomo? Come confrontare due realtà così diverse sia su un piano biologico che psicologico?

"Un uomo non è fatto solo di due metà... ma di molte più," le aveva detto Robert.

Bene. Comunque, confrontandosi con quel giovanotto, avrebbe forse scoperto un pezzetto di più della personalità di Tomas. Meglio tardi che mai, si disse.

Tomas era stato un uomo virile, anche se dolce e tenero. Eppure, a giudicare da quelle fotografie, quel Micheal non sembrava affatto un tipo effeminato... Due uomini dall'aspetto virile, atletico... come potevano...

Aine non aveva mai avuto pregiudizi nei confronti dei gay... anche se in realtà non ne aveva mai conosciuto uno, almeno che lei sapesse. Ma una cosa è pensare ai gay in modo astratto, un'altra è scoprire che l'uomo con cui hai condiviso diciotto anni di vita, lo è. Gay o, per lo meno, bisessuale. Ed era evidente che la relazione con quel Micheal non era stata una questione di puro sesso, ma di... di amore.

Ma allora, Tomas aveva amato lei o quel Micheal? O nessuno dei due? Era stato solamente un egoista, aveva sempre e solo pensato a se stesso? O aveva amato tutti e due? Ma era possibile amare due persone? Sì, una moglie e un figlio, un fratello, un genitore... ma amare due amanti nello stesso tempo? Nello stesso modo?

Aine si sentiva profondamente confusa. Tutte le manifestazioni di affetto, di tenerezza, di amore, di desiderio che Tomas aveva mostrato verso di lei... erano false? Non le sembrava possibile... non per così tanti anni... Ma allora? E le aveva avute anche per quel giovanotto di cui solo ora lei aveva scoperto l'esistenza?

Un po' si augurava di non aver mai scoperto quelle lettere d'amore, le lettere di quel Micheal che le avevano rivelato una cosa talmente incredibile... Un po' si diceva che invece era bene che le avesse trovate anche se ora era così scossa per l'inattesa scoperta.

Quella sera stessa, tornata a casa, rilesse per l'ennesima volta tutte le lettere e i biglietti che il giovanotto per venti anni aveva mandato al marito.

Rileggerle ora che sapeva che non provenivano da una donna, gettava sul loro contenuto una luce nuova, diversa... Cercava di analizzarne il contenuto in modo distaccato, ma non ne era capace. Distaccato? Impossibile!

C'erano anche alcuni accenni, qua e là, a lei.

In una lettera, aveva scritto: "Non ti chiedo niente più di quello che mi puoi dare, so che ami tua moglie..."

"So che ami tua moglie"... dunque, Tomas l'aveva veramente amata...

"Quando dalla finestra vedo le tre guglie della cattedrale di St. Finbarre, penso a noi tre: tu, la più alta guglia, e le altre due tua moglie Aine e io. Assieme, siamo la cattedrale dell'amore, mio adorato Tomas." aveva scritto in un'altra lettera.

Quindi quel Micheal sapeva di lei e l'aveva accettata... ma lei, se avesse saputo dell'esistenza di quell'altro, avrebbe accettato lui? E perché Micheal sapeva di lei e non lei di lui? Tomas non l'aveva giudicata degna di sapere, di conoscerlo per quello che veramente era? Si era fidato di più di quel tale che di lei? Ma soprattutto, perché l'aveva sposata, se già da due anni stava con quel ragazzo?

"So che ami tua moglie", aveva scritto. Di un amore dimezzato? Limitato, comunque. Tomas... aveva tenuto per così tanti anni il piede in due staffe. L'aveva ingannata. Non aveva ingannato l'altro, che sapeva tutto, ma lei sì, tenendola all'oscuro.

Eppure Tomas le era sembrato sempre così... trasparente, così onesto. Oh che ingenua era stata! Si disse con un risolino basso, amaro, scuotendo mestamente il capo.

Se non avesse scoperto quelle lettere, non avrebbe mai sospettato di aver vissuto per diciotto anni... diciotto anni, cavolo! per diciotto anni accanto a un uomo che in realtà non conosceva... o per lo meno non conosceva quanto s'era illusa di conoscere.

Lei aveva dedicato tutta la propria vita a lui, ai suoi figli, al suo lavoro e lui... solo la metà di lui, perché Tomas s'era diviso fra lei e quell'altro. L'aveva defraudata di metà della sua vita.

Eppure, se non avesse saputo, non si sarebbe sentita defraudata, anzi... Indubbiamente Tomas era stato abile nel farla illudere che lei era tutto per lui. Sì, davvero abile.

Quel Micheal s'era accontentato di un amore dimezzato, limitato. Perché? Come può, chi ama, accettare una cosa del genere? Le sue lettere erano indubbiamente lettere d'amore, questo doveva riconoscerlo, ammetterlo. Chissà come erano le lettere che Tomas scriveva a Micheal? Cosa gli diceva, quando erano nell'intimità?

Aine pensò che in fabbrica non c'era nulla di urgente: il giorno dopo, perciò, avrebbe potuto avvertire Robert che non sarebbe andata in ufficio e si sarebbe così potuta recare a incontrare quel Micheal. Doveva andarci. Doveva conoscerlo, parlargli.

Chissà a che ora poteva trovarlo in casa? Prese la relazione dell'agenzia di investigazioni e vide che il giovanotto era un tassista in proprio, non era consociato con un servizio di taxi. Quindi poteva fare gli orari che voleva.

Nella relazione c'era anche il numero di telefono di Micheal: avrebbe potuto telefonargli e chiedergli un appuntamento...

No, non se la sentiva di affrontarlo per telefono. No, voleva vederlo in volto, voleva vedere la sua espressione, la sua reazione. Sarebbe andata a casa sua, avrebbe suonato alla sua porta, l'avrebbe costretto a starla a sentire, ma anche a parlare. Recandosi là abbastanza presto, la mattina seguente, al numero 12 di Gill Abbey Street, al quarto piano, aveva buone probabilità di trovarlo in casa.

Prima di andare a dormire chiamò la fabbrica e lasciò nella segreteria telefonica un messaggio per Robert, avvertendolo che la mattina seguente non sarebbe andata in ufficio. Lasciò detto di chiamarla al cellulare solamente se ci fosse stato qualche cosa di urgente.

Rigirandosi sul letto, Aine si chiedeva come avrebbe reagito al doppio tradimento del marito se l'avesse scoperto quando questi era ancora vivo. Doppio, sia perché aveva un amante, sia perché era un amante del proprio sesso...

Che cosa avrebbe fatto, come avrebbe reagito? Non sapeva darsi una risposta. Avrebbe litigato con Tomas? L'avrebbe lasciato su due piedi? Avrebbe cercato di discutere con lui, di... di capire perché? Ma ora lui era morto... e lei, ora, voleva capire perché. Lo doveva a se stessa: doveva capire che cosa lei era veramente stata per Tomas.

Non capiva, non riusciva a capire. Si accorse, quasi stupita, che non odiava Tomas per quanto le aveva fatto. Forse perché è difficile odiare qualcuno che non c'è più, con cui non ci può più essere nulla? No, non lo odiava. Ma si sentiva... ferita? Ingannata? No, neanche questo. Ma allora? Che cosa sperava di trovare, di ottenere da un confronto con quel Micheal?

Eppure sapeva che quell'incontro doveva avvenire.

Tanto prima della morte del marito s'era sentita amata, realizzata, serena al suo fianco, tanto ora si sentiva spiazzata, come sospesa in bilico su un precipizio: chi e che cosa era stata, lei, per Tomas in quei diciotto anni? Scoprire che lui era stato diverso da come l'aveva conosciuto, ora faceva sentire diversa anche lei. Diversa, sì, ma... come?

Ognuno di noi costruisce la propria personalità ponendosi in relazione con gli altri, specialmente con "l'altro"... Perciò, rendersi conto che Tomas era diverso da come lo aveva sempre creduto... la faceva sentire, le faceva scoprire che anche lei era diversa.

Eppure, proprio su quel letto su cui ora stava, sola, al buio, senza riuscire a prendere sonno, quante volte avevano fatto l'amore... e ogni volta le era sembrato un vero atto di amore, non solo piacevole sesso. Poteva essersi sbagliata, ingannata per tanti anni? Poteva Tomas aver finto così bene per anni? E a che pro? Non l'aveva sposata per soldi, lei non ne aveva; non era restato con lei per i figli, non ne avevano avuti.

È vero che lei aveva fatto da madre ai figli di primo letto di Tomas... Li amava come fossero stati figli suoi, e anche Sean e Deirdre la trattavano da madre, la chiamavano mamma, le volevano bene.

Ecco... Sean e Deirdre... Avrebbe dovuto dire anche a loro ciò che aveva scoperto riguardo al loro padre? Da una parte, pensava, avevano il diritto di sapere, ma dall'altra si chiedeva se, rivelando loro quella incredibile verità, non li avrebbe feriti. E a che pro?

Dormì poco e male, quella notte. Quando finalmente la sveglia trillò, si alzò e andò in bagno: aveva un'espressione stanca, gli occhi lievemente cerchiati. Si vide... brutta. Con gesti esperti, dopo avere fatto una doccia, iniziò a truccarsi per far scomparire dal volto i postumi di quella notte agitata.

Fatta la colazione e presi accordi con la governante per i lavori da fare, uscì, prese l'auto e si recò immediatamente in Gill Abbey Street. Parcheggiò in vista della cattedrale anglicana di San Finbarre. Lanciò un'occhiata alle sue tre guglie in stile neogotico e le tornò in mente il brano della lettera di quel Micheal... "Quando dalla finestra vedo le tre guglie della cattedrale di St. Finbarre, penso a noi tre: tu, la più alta guglia, e le altre due tua moglie Aine e io. Assieme, siamo la cattedrale dell'amore"...

Assieme... la cattedrale dell'amore? Sia pure irrazionalmente, desiderò che in quel momento ci fosse un terremoto che facesse crollare quelle tre guglie! Il terremoto certamente c'era, nel suo cuore.

Guardò i numeri delle case. Prima ancora di individuare il 12, notò un taxi parcheggiato lì accanto: doveva essere quello dell'amante del marito... quindi doveva essere in casa. Bene. Traversò la via a passo spedito, giunse di fronte al numero 12... e si fermò.

Il cuore le batteva furiosamente. Provò l'istinto di girarsi, scappare, correre via, lontano... Restò immobile, il respiro breve e veloce come se avesse corso. Sollevò il braccio per suonare al campanello con la targhetta "O'Brien" e le sembrò pesante come se fosse stato di piombo.

Proprio un attimo prima che premesse il pulsante di lucido ottone, udì uno scatto e il portoncino si aprì. Aine sussultò e guardò la porta, il cuore in gola. Ne uscì una ragazza che le lanciò un'occhiata e si allontanò veloce. Prima che il portoncino si richiudesse, Aine lo sospinse ed entrò.

Un piccolo androne squallido, una stretta scala coperta da una moquette color mostarda che aveva conosciuto tempi migliori, con il mancorrente di legno, portava ai piani superiori.

Salì i gradini... ogni tanto qualcuno emetteva un lieve scricchiolio che pareva sottolineare il tambureggiare del suo cuore. Si sentiva le tempie in fiamme. Al primo piano fu assalita da un acuto odore di cavoli... Pensò che era strano un simile odore di primo mattino. Al secondo piano dovette scavalcare un gatto a strisce di tre colori, steso sul gradino, che la guardò con espressione indifferente, senza battere ciglio, senza muoversi.

Al terzo piano sentì il lieve vagito di un bambino provenire da dietro una porta dipinta di verde, mentre tutte le altre erano di un uguale color vinaccia scuro... E finalmente fu al quarto piano. E trovò la porta con la targa di ottone ovale su cui era inciso "Micheal O'Brien" su una sola riga, il solco dell'incisione riempito di vernice nera.

A lato della porta, il pulsante del campanello. Restò ferma un attimo. Dall'interno non proveniva nessun rumore. Si chiese se quel Micheal stesse ancora dormendo... Fece spallucce e premette con decisione il pulsante. Invece dello squillo che s'attendeva, udì un armonioso din-don... Attese, quasi trattenendo il respiro.

Stava per suonare nuovamente, quando sentì armeggiare dietro la porta.

Quando si aprì, lo riconobbe immediatamente: indossava una veste da camera blu sotto cui spuntavano i calzoni di un pigiama a righine grigie, aveva i capelli un po' scarmigliati, ma non aveva un'espressione assonnata.

"Mrs Walsh..." mormorò il giovane uomo, guardandola con espressione decisamente stupita.

"Mi conosce..." mormorò Aine.

"Sì... certo. Ma lei... lei sapeva di me?"

"No. L'ho scoperto solo dopo... Non mi fa entrare?"

Il giovanotto si fece di lato: "Sì, certo... si accomodi."

Aine entrò e si trovò in un piccolo soggiorno. Era estremamente modesto, se non addirittura povero, ma notò che era incredibilmente ordinato e pulito. Al centro c'era un tavolo tondo con tre sedie attorno. Un lieve odore di caffè aleggiava nella stanza. Sentì Micheal richiudere la porta, poi le fu accanto.

"Se si vuole accomodare..." le disse scostando una sedia.

"Ha tempo? Tempo per me?" chiese Aine mentre anche Micheal sedeva quasi di fronte a lei.

"Tutto il tempo che vuole, signora. Anche se... non la aspettavo... non sono neanche presentabile..."

"Oh... che importa. Non sono qui per fare salotto." disse la donna in tono sostenuto.

"Lo immagino. Tutto il tempo che desidera, mrs Walsh." ripeté Micheal in tono sommesso ma sicuro.


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