Così Micheal fu assunto come vice-direttore. Come aveva deciso Aine, mentre lei si occupava della parte amministrativa e finanziaria, Micheal si occupò della produzione e progettazione. Si inserì bene nella piccola industria, dedicandosi per prima cosa a conoscere bene sia il personale che le varie fasi del lavoro, dalla progettazione alla produzione.
Avevano gli uffici confinanti, sì che spesso si trovavano per discutere assieme la gestione della fabbrica ed entrambi avevano Robert come segretario. Micheal e Robert legarono subito, sia perché erano entrambi gay, sia per il loro buon carattere e la passione con cui lavoravano. Micheal conobbe anche Steve, il compagno di Robert.
Fino ad allora non aveva avuto una vera e propria vita sociale: in un certo senso aveva vissuto per Tomas, in modo di essere sempre disponibile ogni volta che questi poteva dedicargli parte del suo tempo. Questo non gli era pesato, grazie al forte amore che li aveva legati. Ma ora, solo, Micheal, un po' "trascinato" da Aine, un po' da Robert e Steve, iniziò finalmente ad avere anche una vita sociale.
Stava molto bene con Aine, un po' come fratello e sorella. Passavano abbastanza tempo assieme, anche al di fuori della fabbrica. Inizialmente parlavano spesso di Tomas, confrontando le loro passate esperienze con lui, ma gradualmente la figura dell'uomo divenne quasi come uno sfondo.
"Non ti manca?" le chiese un giorno Micheal, mentre passeggiavano lungo le rive del ramo nord del fiume Lee, nel Fitzgerald's Park.
"Un po'... E a te?"
"Abbastanza. Ma sto... riorganizzando la mia vita."
"Non hai ancora quaranta anni, sei giovane... Dovresti..." iniziò a dire Aine, ma poi tacque.
"E tu no?" le chiese Micheal, che aveva intuito che cosa stesse passando nella mente della donna. "Anche tu sei ancora giovane. E sei anche bella."
"Bella... lo ero, un tempo, sì... Ero una rosa, sai? Ora... sono solo una rosa sfiorita. Tomas mi portava spesso una rosa, dal gambo lungo lungo... una sola, ma perfetta. Era... molto romantico."
"Sì, è vero, lo era. A me però non ha mai regalato una rosa."
"Ti dispiace?"
"No... Mi bastava il suo sorriso... mi bastava sapere che ero io a farlo sorridere così. Era un bel regalo, ogni volta."
"Già, il suo sorriso. Tu, Micheal, sorridi... quasi come faceva lui. La stessa piega delle labbra, lo stesso modo di socchiudere gli occhi. Dio, a volte mi sembra così strano..."
"Cosa?"
"Abbiamo amato lo stesso uomo e ne stiamo parlando come se... come se fosse la cosa più... normale del mondo."
"Forse lo è. Perché lui ci ha amati."
"Era bello fare l'amore con lui." sussurrò Aine.
"Sì, era davvero bello. Perché con lui è stato amore vero, non solo sesso." le disse sorridendo Micheal.
Aine annuì. "Sei contento di lavorare con me nella sua fabbrica?"
"Sì, certo. Assieme, mandiamo avanti la sua opera. Credo che ne sia contento."
"Ma ti piace quello che stai facendo? Più che fare il tassista?"
"Sì... Lui mi parlava molto spesso del suo lavoro, che amava."
"Sì, anche con me. Forse anche per questo non è stato difficile inserirci."
"Tomas ha saputo mettere assieme un ottimo team di tecnici, di amministratori, di operai. E tutti gli erano affezionati."
Le cose in fabbrica andavano avanti bene. Aine si era dimostrata una manager decisa, accorta. Micheal sapeva intrattenere buoni rapporti con il personale, gratificandolo spesso con il suo esplicito apprezzamento per il loro lavoro. Specialmente lui, stava poco in ufficio, spendeva la maggior parte del suo tempo negli uffici e nei laboratori, e specialmente nell'ufficio progettazione.
Si era sentito subito attratto da Brian Quinn, il giovane progettista. Questi aveva venticinque anni, era alto, snello, aveva capelli tagliati corti, d'un biondo vagamente ramato, occhi celesti come un cielo di primavera e vestiva con istintiva eleganza.
Però Micheal aveva lottato contro questa attrazione, sia perché non poteva sapere se Brian avrebbe potuto corrispondervi, sia, e soprattutto, perché in cuor suo si sentiva ancora profondamente legato alla memoria di Tomas. Non si possono dimenticare in fretta venti anni di una relazione piena di amore.
Perciò, nonostante ogni volta la vicinanza del bel Brian lo turbasse lievemente e piacevolmente, manteneva con il giovane designer una certa formale distanza, sia coscientemente che inconsciamente. Non era facile, perché non solo Brian era, per i suoi standard, decisamente attraente, ma anche perché era importante per Micheal curare in modo particolare l'ufficio progettazione e se anche preferiva rivolgersi al capo-ufficio, Stanley, non poteva evitare di discutere i progetti con Brian.
Aine, più conosceva Micheal e lavorava con lui, più provava una crescente simpatia nei suoi confronti: non si trattava di attrazione fisica, che comunque sapeva non poter essere corrisposta, ma piuttosto di un sentimento assai simile a quello di una sorella maggiore. Quindi si rese gradualmente conto che Micheal, dopo ogni incontro con il personale dell'ufficio progettazione, era vagamente turbato.
Provò, con molto tatto e con un'astuzia tutta femminile, a sondarlo per capire da che cosa provenisse quel lieve turbamento. Poiché secondo lei Stanley era un bell'uomo e aveva più o meno la stessa età di Tomas, in un primo momento pensò che fosse lui la sorgente di quella sensazione. Ma sondando ad arte Micheal, si rese conto che in realtà l'amico si sentiva attratto dal più giovane Brian.
Lo capì anche grazie al fatto che Micheal, ogni volta che si parlava del personale dell'ufficio progettazione, sembrava evitare di soffermarsi a parlare di Brian... pur dovendo riconoscere il suo valore come progettista. Tanto era stata incapace di capire che Tomas aveva avuto un altro amore oltre lei, tanto ora invece aveva sviluppato una speciale sensibilità. Questo anche grazie alle lunghe conversazioni con Micheal.
Così, proprio per l'affetto fraterno che sempre più forte provava per lui, unita alla visione romantica che aveva della vita, cercò di capire se il problema derivasse da una "non disponibilità" di Brian o da un timore di esporsi da parte di Micheal. Perciò iniziò, con varie scuse, a cercare di incontrare Brian e a studiarlo. Presto ebbe una crescente sensazione che il giovane designer potesse essere gay, e anche, in qualche modo, interessato a Micheal.
Quando infine ne fu quasi certa, affrontò l'argomento con lui, però, come era nel suo carattere, senza prenderlo di petto, ma girandovi attorno, lanciando sottili messaggi all'amico. E infine un giorno, con la sua elegante grafia, scrisse un biglietto e lo lasciò sulla scrivania di Micheal.
"Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
"Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
"Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di sfuggire ai consigli sensati.
"Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
"Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
"Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
"Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
"Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
"(Martha Madeiros)
"Lentamente muore anche chi rifiuta di riconoscere quando è tempo di lasciar fiorire l'attrazione che sente crescere nel proprio cuore, e si rifugia nell'ingannevole tepore dei ricordi...
"Aine"
Micheal lesse e rilesse quell'inatteso messaggio. Poi, il foglio in mano, andò a bussare allo studio di Aine.
"Cosa mi vuoi dire con questo?" chiese, agitandolo lievemente.
"Mi pare chiaro..."
"E perché io e non tu?" chiese quasi sottovoce Micheal, sedendo di fronte alla scrivania e guardandola con aria assorta.
"Perché tu hai qualcuno che ti interessa e che secondo me è interessato a te. Io non ancora. Se l'avessi, io non mi rifugerei in un ricordo, per quanto bello. La vita continua, deve continuare."
"Tu... ti risposeresti?" chiese un po' stupito Micheal.
"Certamente. Ti sembra tanto strano? Proprio tu mi hai detto che si possono amare due persone allo stesso modo, no? Ho amato Tomas, l'ho veramente amato, ma questo non mi impedisce di poter amare eventualmente un altro uomo. Non lo tradirei se mi risposassi. Quindi, perché non tu?"
Micheal scosse lentamente il capo, poi con un filo di voce disse: "Ma non so se... se anche lui..."
"Brian? Secondo me è fortemente attratto da te: vi sto osservando da tempo. Ma è ancora un ragazzo, e per di più un tuo dipendente... non credo che si azzarderebbe a fare lui il primo passo. Quindi tocca a te farlo."
"Io ero un ragazzo, quando ho fatto il primo passo con Tomas..."
"Ma non era il tuo datore di lavoro. Però il tuo problema non è che lui sia giovane o che sia un tuo dipendente, ma che, dentro di te, non vuoi fare un torto a Tomas, o per meglio dire alla sua memoria. Non è forse così?"
Michael annuì lievemente. "Non ho ancora avuto il tempo di elaborare, di metabolizzare il dolore della sua perdita. Non sufficientemente, per lo meno. Poter parlare di Tomas con te mi ha aiutato, certamente, ma... è passato appena un anno."
"Ma ora ti senti attratto da Brian. Per me... non solo non c'è niente di male, anzi, è bello... la vita continua..."
"E tu dici che anche lui..."
"Non credo proprio di sbagliarmi. Comunque, se io fossi in te, ci proverei."
"Se fosse una ragazza, sarebbe tutto molto più semplice..."
"Sì, è vero. Devi solo essere più prudente. Ma soprattutto non sfuggirlo come stati facendo. Devi iniziare ad aprirti con lui, a... comunicare e vedere come reagisce. Su, via, non credo di dover essere io a insegnarti!"
"Io, a parte qualche avventuretta da adolescente prima di incontrare Tomas, ho avuto solo lui..." mormorò Micheal.
"Hai paura di essere rifiutato?"
"Forse. O comunque, se Brian non è gay, di infastidirlo... e magari anche di scoprire troppo le mie carte qui sul posto di lavoro. Sai quanto la mentalità corrente sia ancora omofoba."
"Mica devi andare da lui e dirgli chiaro e tondo cosa provi, no? Comincia però ad aprirti gradualmente con lui, in modo di vedere come reagisce. Naviga a vista..."
Micheal rifletté sulle parole di Aine. Quando aveva a che fare con Brian, cercò di iniziare a trattarlo con maggiore spontaneità, ma non gli era facile, proprio perché non si può essere "spontanei" per una decisione. È una contraddizione in termini.
Quando Micheal lo guardava negli occhi, Brian li abbassava, e quando era questi a guardarlo negli occhi, li abbassava Micheal, quasi in fretta. Si parlavano guardando i disegni, i progetti, le schede tecniche. Le discutevano, si scambiavano commenti gentili, ma era come se ancora un fossato li dividesse. Non si eran mai toccati, sfiorati, neppure stretti la mano, e si davano ancora del lei, rivolgendosi l'uno all'altro per cognome.
Aine non era più tornata sull'argomento, per delicatezza, per rispetto, però continuava a osservarli e a chiedersi quanto ci avrebbero messo a fare un passo uno verso l'altro e soprattutto chi l'avrebbe fatto per primo. Li vedeva bene assieme ed era sempre più convinta che anche Brian potesse essere gay: non ne aveva le prove, era soltanto una specie di "sensibilità" che aveva sviluppato a poco a poco.
Giunse l'inizio del mese di maggio.
Micheal era in casa, un sabato sera, solo come al solito. Si sentiva agitato, teso, irrequieto. Sentì risvegliarsi in lui il desiderio: da troppo tempo non aveva più avuto nessun rapporto fisico, sessuale, dopo la morte di Tomas.
Non aveva mai messo piede, fino ad allora, in un locale gay. Pensò che doveva decidersi a iniziare a frequentarli, anche solo per trovare un'avventura, per placare almeno il lato fisico del proprio desiderio, della propria solitudine. Non gli bastava più sfogarsi sotto la doccia, chiudendo gli occhi e sognando di essere ancora fra le braccia di Tomas.
Andò a cercare nella libreria una pubblicazione su cui sapeva che c'era una mappa di Cork con su segnati i locali gay. Dopo un po' la trovò. Guardò i simboli... in un primo momento pensò di andare al Cork Sauna o all'Alliance... ma poi decise che forse era meglio andare in un bar, un pub. C'era The Bodega, il Raven, il Long Island, l'Instinct, il Loafer... Decise per l'Instinct: il nome gli pareva appropriato e non era lontano da casa sua.
Prese l'auto e guidò fino a Market Lane. Quando giunse all'indirizzo, vide che sulla porta vi era un cartello con un avviso: il locale s'era trasferito poco lontano, in Sullivan's Quay. Vi si recò.
Entrò nel locale con passo deciso e si fermò poco oltre la porta. Era affollato, luci diffuse, non forti, un brusio ovattato rotto di tanto in tanto da una risata, una voce un po' più alta, un richiamo. Si guardò attorno incuriosito. C'era qualche coppia semiabbracciata, due si stavano anche baciando... sorrise, pensando che era una scena piacevole.
Si fece largo fino al bancone e ordinò una birra. Pagò e, il boccale in mano, si girò scandagliando il locale con lo sguardo per trovare un posto un po' più libero, con meno gente, dove andare a mettersi. Non pareva che ci fosse nessun angolo libero. Lentamente, facendosi di nuovo largo fra gli avventori, si diresse verso una parete dove pareva ci fosse un po' più di spazio.
A un tratto si sentì urtare e si girò. Si sentì avvampare, sgranò gli occhi e mormorò: "Brian... Mister Quinn..."
Il giovane lo guardò sorpreso e imbarazzato: "Mister O'Brien..."
"Buona sera." disse Micheal riprendendosi dalla sorpresa e sentendosi un forte calore per tutto il corpo. "Viene spesso, qui?"
"Beh... ogni sabato... non l'avevo mai vista... Dove va, solitamente?" chiese ancora un po' imbarazzato il giovane uomo.
"Nessun posto. È la prima volta che..."
"Ma anche lei..." chiese confuso Brian.
"Sì, sono gay, ma non sono mai andato in nessun locale." si affrettò a spiegare Micheal. "Ero in una relazione, non avevo bisogno di... di altro."
"Era? Vi siete lasciati?"
"No... cioè... lui è morto."
"Oh... mi spiace... da molto?"
"Poco più di un anno... siamo stati assieme per venti anni, sa?"
"Venti? Sempre assieme? Un vero... matrimonio."
Micheal sorrise: "In un certo senso..."
"E così, ora... è solo."
"Sì."
"Deve essere dura dopo venti anni... Ma allora quando vi siete messi assieme, lei era un ragazzino."
"Sì, più giovane di lei... avevo diciotto anni. Lui... era più vecchio di me. E lei... anche lei è... solo?" chiese Micheal cercando di controllare il lieve tremito della mano che sorreggeva il boccale.
"Sì, dopo tre storie brevi e finite male. Sì, sono solo, ora."
"Tre? Ma lei... ha solo ventiquattro anni e già tre storie..."
Brian sorrise: "Quasi venticinque. Ho cominciato assai presto. Il primo è stato il mio allenatore di nuoto... Avevo quattordici anni... Poi gli altri due."
"E, se posso permettermi, l'ultimo? Da tanto vi siete lasciati?"
"L'ultimo? Ci si è lasciati due anni fa. Era terribilmente geloso... mi era sempre più difficile sopportarlo... finché un giorno, tornando a casa, l'ho trovato a letto con il mio migliore amico! Geloso, lui! È proprio vero che... chi sospetta gli altri è perché ha qualcosa da nascondere."
"Vivevate assieme?"
"Sì, a casa sua. Così poi mi sono trovato un buchetto per stare da solo. Un monolocale in Washington Street."
"Ah, non lontano da casa mia. Abito in Gill Abbey Street a due passi dalla cattedrale."
"Da San Finbarre?"
"Esatto."
"Vi abitava con... lui?"
"No, da solo. Lui... aveva famiglia, non poteva abitare con me."
"Famiglia?" chiese Brian, "Vuol dire che era... sposato?"
"Già."
"E siete rimasti assieme per venti anni?"
"Le sembra strano? Eravamo veramente innamorati, tutto qui."
"Ma non le sarebbe piaciuto poter vivere con lui?"
"Certo, ma non era possibile, perciò... andava bene così. Bisogna prendere dalla vita quello che ci dà e godercelo. La contentezza o la scontentezza ce la fabbrichiamo da soli."
Due avventori lasciarono libera una panca così Micheal e Brian vi sedettero. Una loro gamba sfiorava quella dell'altro e Micheal provò un lungo, piacevole fremito, ma cercò di vincere il desiderio di spingerla di più contro quella dell'altro.
"A parte l'allenatore di nuoto, dato che io ero ancora un ragazzino, con gli altri due ho vissuto assieme. Il secondo era uno studente come me, avevamo affittato una stanza assieme. Poi lui, dato che era un egiziano, quando si è diplomato è tornato in Egitto..."
"Peccato..."
"Sì. Ma lo sapevamo fin dall'inizio che sarebbe finita così, perciò... Oltretutto lui era bisessuale, voleva sposarsi, mettere su famiglia. In Egitto aveva una ragazza che gli aveva scelto la famiglia. A volte ci si scrive ancora, cioè, ci si manda e-mail. Ha già due figli."
Micheal aveva voglia di toccarlo, di abbracciarlo, di dirgli quanto lo desiderava, ma ne era incapace. Si sentiva teso, nonostante ora stessero chiacchierando amichevolmente.
A un certo punto Brian gli disse: "Non avrei mai immaginato che anche lei fosse gay, mister O'Brien..."
"Neanche io di lei. Ma... non potremmo chiamarci per nome, darci del tu?"
"Sì, grazie, Micheal... Mi fa molto piacere. Mi ha detto Stanley che secondo lui il tuo segretario, Robert, è gay..."
"Sì, è vero, e ha un ragazzo con cui vive da diversi anni, che si chiama Steve. Sono davvero una bella coppia."
Continuarono a parlare per tutta la serata, un po' di se stessi, un po' di politica, di musica, di cinema, un po' del loro lavoro, di sport, di vacanze, di libri... Il tempo passò rapido, piacevole per entrambi.
A Micheal, Brian piaceva sempre più man mano che imparava a conoscerlo un po' più intimamente, ma non riusciva a dare corpo, sostanza, azione al desiderio crescente che provava nei suoi confronti. A volte guardava altre coppie che flirtavano apertamente e provava un lieve senso di invidia, e avrebbe voluto farlo con Brian, ma qualcosa lo bloccava ancora, lo tratteneva.
"Quale è per te il senso della vita?" gli chiese improvvisamente Brian.
"Cavolo, questa è la domanda delle cento pistole! Il senso della vita... non saprei... è forse costruirsi giorno dopo giorno... diventare sempre più... uomo, degno di questo nome. E... e è amare, o cercare di amare meglio che si può, ogni giorno più del giorno prima. E per te?"
"Io... ancora me lo sto chiedendo. Molti si interrogano sul senso della vita. Io sono ancora giovane e riguardo a questo argomento non mi so ancora esprimere in modo... esauriente. Però ho deciso di cercare veramente ciò che per me è importante, di cercarlo nella totalità delle azioni che compio nell'arco della giornata.
"Ecco, almeno per ora, per me il senso della vita è alzarmi la mattina per andare a lavorare, dare il meglio di me e imparare qualcosa di nuovo, di utile. Per me il senso della vita è volere bene a tutte le persone che mi stanno accanto, anche quelli che con me non si comportano nel migliore dei modi. Per me il senso della vita corrisponde a un desiderio: vivere in un mondo dove tutti si vogliono bene, si amano e si apprezzano indipendentemente dalla razza o dalla religione sapendo che tutti siamo della stessa carne e delle stesse ossa."
"La vediamo in un modo assai simile, allora." commentò Micheal con un lieve sorriso compiaciuto.
Quando il barista fece il "last call", decisero di uscire. Camminarono un po' lungo il fiume Lee, finché giunsero alla vecchia auto di Micheal.
"Hai qualche impegno, domani?" gli chiese Micheal.
"No, niente di particolare."
"Ti va allora di venire a pranzo a casa mia?"
"Cucini tu? Sai cucinare?" chiese Brian, con un sorriso.
"Me la cavo..."
"Non sei un... un grande cuoco?"
"Assolutamente no!" rispose ridendo Micheal. Poi chiese: "Deluso?"
"No, al contrario. Allora vengo a mangiare da te."
"Davvero? Credevo che..."
"Sì, perché quando uno di noi uomini si crede un grande cuoco, dopo averti offerto un pranzo o una cena, lo vedi che sta lì a guardarti con l'aria di un artista, e aspetta... anzi, pretende che tu lo copra di lodi. Non ti invita per il piacere di stare con te, ma solo per essere lodato. Ti invita solo per... se stesso. Perciò, se non sei un grande cuoco e mi inviti... lo fai davvero solo per stare con me."
Micheal sorrise: "Certo. Ora che... che stiamo diventando amici... mi piacerebbe poter approfondire questa amicizia. Comunque non rischi di avvelenarti, se vieni a pranzo da me."
"A che ora devo venire?"
"Fai tu, qualsiasi ora va bene. Prima di mezzogiorno? Poi magari passiamo il pomeriggio assieme."
"Sì, Micheal, grazie. Possiamo anche concludere il pomeriggio andando al cinema. Che ne dici?"
"Ottimo. A domani, allora."