"Avanti!" disse Aine.
Stanley, il capo ufficio progettazione entrò. "Ha cinque minuti, Mrs Walsh?"
"Sì, prego, si accomodi. Di che si tratta? Qualche problema?"
Stanley sedette sulla punta della sedia, eretto, quasi rigido: "Ecco, signora, è che... mi sento in dovere di dirle che, ne sono quasi certo, fra Brian Quinn e mister Micheal O'Brien c'è una relazione, diciamo... particolare."
"Oh, davvero?" chiese Aine, divertita, sollevando un sopracciglio e, non vista, premette il pulsante dell'interfonico fra il suo ufficio e quello di Micheal in modo che sentisse tutto.
"Sì, certe occhiate, certe telefonate... certi atteggiamenti..."
"Buon dio, mister Sadleir, li ha visti scopare su una scrivania? In ufficio?" chiese Aine fingendosi scandalizzata.
"Ma no, certo. Però..."
"Si baciavano in corridoio? O nel cesso degli uomini?" insisté Aine.
"Ma no, no, però..."
"Invece di lavorare, mister Quinn fa cose... riprovevoli, allora?"
"No, ma è evidente che..."
"Insomma, li ha sorpresi a fare cose non permesse dalla legge della nostra repubblica? O a dare scandalo?"
"No..." gemette l'uomo iniziando a comprendere di aver fatto un grosso sbaglio ad andare a parlare con la padrona della fabbrica.
"Allora, mister Stanley Sadleir... già, non l'avevo mai notato... SS... Dicevo... non le sembra del tutto inopportuno mettere il naso in cose che non la riguardano mi-ni-ma-men-te? Se le dà tanto fastidio avere un gay... o per meglio dire un sospetto gay, nel suo ufficio, e un altro come suo capo... capisco che lei intenda dare le dimissioni."
"Dimissioni?" chiese l'uomo sbiancando, sbalordito.
"Ah, no? Ah, bene, avevo capito male. Allora, mi scusi, qual è il problema?"
"Ma... per il buon nome della fabbrica..."
"Buon nome? Perché, nei nostri depliants vi è forse qualche accenno alla presunta relazione fra due degli impiegati di questa fabbrica? O nel catalogo dei nostri mobili? Di quale buon nome va parlando, mister SS?"
"No, è che... io credevo... pensavo che fosse giusto che lei sapesse... fosse a conoscenza... Certi comportamenti sono un'offesa..."
"Bene. Ora so, ora sono a conoscenza. La gente si offende quanto vuole vedere il male a tutti i costi. Se qualcosa la offende, mio caro mister SS, si giri dall'altra parte. Anche metaforicamente. Mister O'Brien è un ottimo collaboratore, mister Quinn un ottimo designer. Tanto mi interessa e tanto mi basta. E mi aspetto da lei che svolga altrettanto bene il suo lavoro... e che sappia essere più discreto di quanto è stato or ora. Oppure... che dia le dimissioni, se questa mia politica aziendale la turba oltre misura. Se non ha altro da dirmi..."
Stanley si alzò, biascicò un commiato e uscì dall'ufficio, con l'espressione di un cane bastonato.
Dopo poco Aine udì un lieve bussare alla porta che divideva i loro uffici e Micheal entrò.
"Non credevo che... che fosse divenuto così evidente quello che c'è fra Brian e me..." disse sedendo di fronte a lei, dall'altra parte della scrivania.
"Che vuoi, l'amore è come un faro... se ne vede la luce anche in pieno giorno. A questo punto... perché non la piantate di vivere in due case e di venire al lavoro separati. Ormai sono nove mesi che state insieme, no? La gravidanza è finita, è ora che ci sia il parto."
Micheal rise. "Ci stavamo pensando, Aine. Il fatto è che sia da me che da lui, per due, è troppo piccolo. Così si pensava di trovarci un altro appartamento."
"Oh, finalmente! Avete qualche preferenza riguardo al posto?"
"No. Se ci fosse del verde vicino, sarebbe bello, ma..."
"Sai... stavo pensando che la villa è troppo grande per me, ora che sono sola e così, anche se a malincuore, progettavo di venderla."
"Non credo che fra Brian e me avremmo abbastanza risparmi per comprarla, Aine."
"No, capisco, ma se... se la facessi ristrutturare in modo di ricavarne due spazi, due alloggi, uno per me e uno per voi due... io sarei contenta di tenerla, di rimanerci. A meno che non mi vogliate come vicina di casa..."
"Cavolo, sarebbe bello! Davvero tu saresti disposta..."
"Ne sarei felice, perché così non la dovrei vendere. Te ne intesto la metà e..."
"Ne hai parlato con Deirdre e Sean?"
"Sì, certo, e se la volessi vendere, non avrebbero niente in contrario. Perciò neanche se ne cedessi metà a te."
"Sei molto generosa... e mi piacerebbe. Però prima devo sentire Brian. Credo che dirà di sì, però..."
"Logico. Ed è bello che tu lo voglia sentire. Parlatene fra di voi, poi fatemi sapere."
"Grazie per come hai trattato Stanley."
"Come? L'ho trattato nell'unico modo logico, mi pare. Non credo che proverà ancora a fare le sue... assurde denunce."
"Posso raccontarlo a Brian?"
"Come credi. Penso di sì. Stanley è in gamba come tecnico, come progettista... un po' meno per la mentalità che ha. Se sa stare al suo posto, intendo tenerlo, se no... ne farò a meno."
"Sì, sono d'accordo con te. Anche io lo apprezzo sul piano tecnico. Credo che dopo quanto gli hai detto, starà molto attento a come si comporta."
"Se lo fa, meglio per lui. Sai... pensavo di chiedergli di progettare un nuovo letto... Un letto pensato appositamente per farci l'amore, che potremmo chiamare Kamasutra..."
Micheal scoppiò a ridere: "No, per carità, non ci provare nemmeno, o gli farai venire un infarto."
"Però sarebbe una buona idea, no? Non l'infarto, il letto, intendo. Un letto che si possa opportunamente modulare a seconda di quali evoluzioni erotiche una coppia vi vuole provare a fare sopra..." insisté scherzosamente Aine.
"Bastano i buoni, vecchi, tradizionali cuscini, non credi?"
Quando si videro, Micheal parlò a Brian dell'offerta di Aine. Ne discussero un poco, accettarono e glielo comunicarono. Così Aine ingaggiò un architetto affinché stendesse un progetto per ristrutturare la villa, suddividendola in due alloggi. Volle che anche Micheal e Brian andassero da lei, quando incontrò l'architetto per discutere il progetto.
Poiché la villa era a due piani, Aine decise di dividerla a metà in verticale, sì che ognuno avesse la zona giorno a pianterreno e la zona notte al primo piano. Nella parte di Aine, leggermente più vasta, lei fece fare anche due stanze per ospitare i figli di Tomas se fossero andati a trovarla.
I lavori durarono quattro mesi. Quando tutto fu pronto, Micheal e Brian un sabato si trasferirono nella villa. A sera, dopo aver cenato tutti e tre assieme e chiacchierato un po', i due amanti si ritirarono nella loro parte.
"Sei contento, Brian?" gli chiese Micheal quando furono nella loro nuova stanza.
"Certo che lo sono. Aine è stata generosa, con noi. È molto bello, qui. Anche il giardino e la piscina. Tutto."
"Credo che Aine si sentisse un po' sola. Comunque, è vero, è stata molto generosa con noi due."
"Non pensa a risposarsi?"
"Pare di no, almeno per ora." disse Micheal attirando a sé l'amante ed iniziando lentamente a spogliarlo e a carezzarlo. "Anche se lei dice di non escluderlo."
"È ancora giovane, ancora una bella donna, e oltretutto ha un bel carattere. Non le dovrebbe essere affatto difficile trovare un marito." gli disse Brian iniziando a sua volta ad aprire gli abiti del suo uomo.
"Tu mi sposeresti se anche qui in Irlanda si potesse, come hanno appena deciso nel Regno Unito?" gli chiese Micheal cingendogli la vita e tirandolo a sé sul letto.
"Sì. Sì, ti sposerei. Ma vorrei una cosa intima, senza chiasso, semplice. Non vorrei finire su tutti i giornali come animali allo zoo. I tuoi genitori, Aine, due o tre amici stretti."
"Qui in Irlanda la chiesa cattolica è troppo potente, ancora. Non credo che sarà possibile... non presto, comunque."
"L'importante è che stiamo bene insieme, giusto? Matrimonio o no." sussurrò Brian attirandolo sopra di sé e cingendolo con braccia e gambe.
Si scambiavano lievi baci, quasi giocosi, ma in un crescendo di desiderio, di fremiti, di piacere e di passione. Ora non parlavano più, non le loro bocche, per lo meno; perché era sufficiente quanto stavano dicendo i loro occhi, i loro sorrisi, i loro corpi.
Mentre Micheal si lasciava afferrare e avvolgere dal crescente piacere, inconsciamente fece un paragone fra Tomas e Brian. Quanto erano diversi! Eppure, tanto era stato bene con Tomas, tanto ora stava bene con Brian. Si disse che era molto bello poter vivere assieme... peccato che non era stato possibile con Tomas, se non per pochi giorni quando facevano un viaggetto assieme.
Pensò che, mentre Tomas era stato forte come la roccia che nulla smuove, lui aveva piuttosto la forza dell'acqua che si adatta ma nulla arresta. E Brian aveva la forza del giunco, che si piega a ogni raffica di vento, ma si rizza di nuovo appena cessa... Tre tipi di forza così diversi...
Pensò che, in fondo, tutte le cose belle, all'inizio, assomigliano a favole. E che non esiste "la strada" per il vero amore, ma che la si costruisce camminandovi. Poi... cessò di pensare e si lasciò pienamente andare al gioco antico e sempre nuovo dell'amore. Un gioco che ogni volta gli provocava una gioia perplessa, stupita, piena...
I loro corpi si unirono intimamente, e assieme assaporarono la gioia di quell'ennesima unione. Entrambi si beavano del sorriso lieto dell'altro, mentre i loro corpi si muovevano all'unisono per donare all'altro il massimo del piacere, per comunicare all'altro la profondità e l'intensità del proprio amore.
Quando infine giacquero, lievemente ansanti per la lunga maratona d'amore, guardandosi lieti e soddisfatti, Brian tirò a sé il volto di Micheal, prendendolo fra le mani, e lo baciò teneramente sulle palpebre, sulla fronte, sulla punta del naso, sulle labbra.
"Non ti stancherai mai di me?" gli chiese in un sussurro.
"Dovrei?" gli chiese con aria birichina Micheal.
"Non so se saprò essere all'altezza di Tomas..."
"Che discorsi! Non esistono... altezze da raggiungere... non è il podio delle olimpiadi. Tu sei tu. E questo 'tu'... mi piace moltissimo."
"Non ti voglio perdere, ora che ti ho trovato."
"Basta che ci teniamo per mano e camminiamo assieme... e ci sediamo sul marciapiedi se uno dei due è stanco e aspettiamo che si riposi, e ci dividiamo i pesi quando l'altro è sovraccarico. Non è poi così difficile, fin tanto che non ci si dimentica che si è in due. Fin tanto che si pensa in termini di 'noi', più che di 'io'."
"Tu hai più esperienza di me..."
"No, ho solo più anni..." gli rispose sorridendo Micheal. "O forse, abbiamo solo esperienze diverse. Tu hai l'esperienza di tre amanti, e di diverse avventure... Io quella di un solo amore, ma durato venti anni... Forse, mettendole assieme, riusciremo a fare bene. Io non mi sono mai chiesto quanto sarebbe durata con Tomas. Ho solo fatto in modo di ricominciare ad amarlo ogni volta che pensavo a lui, che lo incontravo, che stavo con lui. Giorno dopo giorno... dopo giorno... dopo giorno..."
"Non ti sei mai sentito stanco di lui? Di stare con lui?"
"A volte sì, e allora mi chiedevo: ma lo ami, nonostante questa stanchezza? E ogni volta la risposta è stata un sì. E allora la stanchezza era superata e gradualmente passava. Qualcuno dice che il vero amore non deve mai richiedere sacrifici. Non è vero, è una gran cavolata. Qualunque lavoro, qualunque sport, qualunque hobby, se perseguiti seriamente, spesso richiedono sacrifici per giungere a un risultato. Perché non l'amore?"
"Sai che con gli altri tre... non si è mai parlato dell'amore? Cioè, ci si diceva anche 'ti amo', ma non si sono mai fatti questi discorsi, come adesso con te. Tu ne parlavi, con Tomas?"
"Certo, quando capitava se ne parlava. Nella nostra società si parla forse troppo spesso di sesso e troppo poco di amore. Ovunque: in famiglia, a scuola, fra amici... ma quello che è peggio, fra amanti. Il sesso può essere bello, certo, ma quanto più importante è l'amore!"
"Scopare con uno sconosciuto può darti soddisfazione, ma farlo con chi ami... ti porta in paradiso." commentò Brian con espressione sognante, carezzandogli lieve il petto.
"Sì, farlo perché ami... esprimere l'amore grazie al corpo... ci rende veramente uomini. Ognuno di noi 'è' in relazione agli altri. Perciò la relazione d'amore, che è la più completa e totalizzante, ci rende più completi e migliori."
"Non ti voglio perdere, ora che ti ho trovato..." ripeté Brian, "Ci terremo sempre per mano, vero?"
"Fin tanto che sapremo amare, certamente lo faremo."
Tacquero, godendo la reciproca vicinanza, inseguendo ciascuno i propri pensieri, lasciandosi cullare dalla gradevole percezione di essere al sicuro fra le braccia dell'amato. Scivolarono lentamente, impercettibilmente nel sonno e le loro membra nude, gradualmente, si intrecciarono di nuovo...
Quando, la domenica mattina, Micheal si svegliò, ancora nel dormiveglia cercò con un braccio il corpo del suo ragazzo. Non c'era. Aprì gli occhi sentendosi improvvisamente sveglio e si alzò a sedere, guardandosi attorno.
Brian era ritto davanti alla finestra, completamente nudo, dietro la leggera tenda di velo, le gambe un po' divaricate, le braccia rilassate ai lati del corpo e la luce del primo mattino ne contornava la silhouette di un sottile filo di luce argentata. Pensò che era una visione bellissima. Rimase a contemplarlo per alcuni secondi, sentendo una forte commozione: era bellissimo ed era suo!
Silenziosamente scese dal letto, gli giunse alle spalle, scostò la tenda e lo cinse fra le braccia. Brian ebbe un lievissimo sussulto, ma poi, senza girarsi, senza parlare, gli si addossò rilassandoglisi contro e reclinando un poco indietro il capo, poggiandolo sulla spalla dell'amato.
"Come stai?" gli chiese Micheal in un sussurro.
"Mai stato meglio. E tu?"
"Che ne dici?" chiese con voce soffice, stringendolo lievemente a sé. Poi gli domandò: "Che stavi guardando? Pensando?"
"Il cielo... e pensavo che è bello... luminoso... sì, luminoso come il nostro amore."
"Verranno anche giorni di pioggia, di nuvole, di nebbia."
"Sì e verrà anche il buio della notte, certo. Ma passeranno... e il cielo tornerà ad essere bello e luminoso. Ma mentre per quel cielo possiamo solo aspettare... per il nostro cielo, possiamo anche farlo tornare luminoso noi."
"Vero."
"Ci vestiamo, Micheal? Fra poco Aine ci chiamerà per fare colazione assieme. L'ho già vista che andava a tagliare alcuni fiori nel giardino."
"Ancora un momento. Mi piace tenerti così."
"Sì..." mormorò Brian.
E Micheal sentì che in quell'unica, lieve sillaba, c'era tutto un mondo. C'era gioia, donazione, piacere, meraviglia... ed era più colmo di sentimento del "sì" che si pronuncia quando ci si sposa... Una sola sillaba, ma più pregna di significato di un lungo discorso.
"Mi ami?" chiese Brian in un sussurro.
"Certo."
"Perché mi ami?"
"Perché sei tu."
"Quanto mi ami?"
"Con tutto me stesso."
Brian si girò fra le sue braccia, fino a fronteggiarlo. Gli cinse la vita e lo tirò a sé. Le loro labbra si sfiorarono lievi come farfalle. I loro occhi brillarono come pietre preziose. Sui loro volti fiorì un sorriso soffuso di dolcezza.
"Saremo ancora capaci, fra venti anni, di stare assieme così?" gli chiese Brian con voce piccina.
"Solo venti?" chiese con un sorriso lieve Micheal.
"Mi basterebbero... per cominciare."
"Posso solo prometterti che farò del mio meglio."
"Mi basta. Anche io farò del mio meglio, te lo giuro!"
"Perché sei così bello, Brian?"
"Perché sono tuo."
Dal giardino sorse la voce di Aine: "Ragazzi? Vestitevi e venite, la colazione è quasi pronta!"
Restando semiabbracciati, si affacciarono alla finestra: "Dobbiamo proprio vestirci?" chiese scherzosamente Micheal.
"Certo, o mi farete svenire la povera miss Gallagher!"
"Solo lei? Non tu?" le chiese ridendo Micheal.
Aine non rispose, fece un gesto con la mano come per scacciare qualcosa e, ridendo, rientrò nella villa.
"Chi è miss Gallagher?" chiese Brian mentre andavano verso il letto per rivestirsi.
"La governante di casa Walsh, una vecchia zitella. Credo che lavori per loro da una dozzina di anni."
"Non c'era, ieri sera."
"No. Credo che avesse preso un paio di giorni di permesso."
"Quanto personale ha, Aine, qui in villa?"
"Tre, la governante, un giardiniere tutto fare e sua moglie, la cameriera. Abitano tutti e tre laggiù, nella dependance, sopra il garage."
Rivestitisi, scesero a pian terreno e andarono nella stanza da pranzo di Aine. Era già apparecchiato per tre e davanti a ogni posto c'erano i fiori che Aine aveva raccolto poco prima in giardino. Sedutisi a tavola, arrivarono la governante e la cameriera con due vassoi colmi di ogni ben di dio e iniziarono a servirli. Aine scambiò poche parole con loro, poi si misero a mangiare la colazione.
Quando le due donne uscirono, Aine disse: "Avete due belle facce, radiose."
I due amanti si guardarono e si sorrisero.
"Ho creduto opportuno dire al personale che state assieme, che siete una coppia. Comunque l'avrebbero capito." annunciò Aine.
"Hai fatto bene." le disse Micheal.
"Come... hanno reagito?" chiese Brian.
"Miss Gallagher ha detto: ah, bene. Niente altro. Mister Byrne, il giardiniere, e la moglie, hanno detto che se sta bene a me, non c'è nessun problema."
"Ma non l'hai ancora detto né a Deirdre né a Sean, vero?" le chiese Micheal.
"Se sarà opportuno, preferisco dirglielo di persona, quando verranno a trovarmi."
"Come credi che la penderanno?"
"Li conosco abbastanza per pensare che la prenderanno bene. Però, come ti ho detto, non credo che sia opportuno che dica loro di Tomas. Se è facile accettare la sessualità di un estraneo... credo sia meno facile accettare quella del padre."
"Tu... l'hai accettata, però." le fece notare Micheal.
"Non è stato semplice, lo confesso. Ma sì, l'ho accettato. Soprattutto grazie a te, Micheal, alle tue parole. Non è facile superare i condizionamenti e i pregiudizi che si hanno fin da piccoli. Forse, da sola, non ci sarei riuscita."
"Evidentemente non avevi forti pregiudizi, e comunque eri disposta ad ascoltare, a capire." le disse Brian.
"Chi non è disposto ad ascoltare e a capire è... è già morto. E io sono viva, grazie a dio!" esclamò allegramente Aine.
"Perché c'è tanto pregiudizio, al mondo?" chiese Brian.
"Perché il pre-giudizio è un giudizio che ti viene servito bello e confezionato, e tu lo fai tuo senza dover faticare neanche un poco. Il giudizio, invece, è qualcosa che fai fatica a formarti e di cui comunque non puoi mai essere sicuro al cento per cento." gli rispose Micheal.
"Proprio così. In passato ho avuto modo di conoscere due giudici. Uno era sempre 'certo' sui giudizi che emetteva. Non ha mai avuto crisi di coscienza, mai. L'altro invece continuava a chiedersi se il giudizio che aveva emesso fosse veramente 'giusto'... Inutile dire che il secondo era il più degno di fare il giudice, anche se certamente non ha avuto una vita facile." disse Aine.
Finito di fare colazione, uscirono in giardino.
"Comunque..." disse Aine, "gli ultimi venti anni hanno visto un graduale slittamento riguardo a come i gay sono considerati nel mondo occidentale."
"Ah sì? Dici?" le chiese Micheal.
"Sì, mi sono documentata, sai? Su internet. Beh, ho visto che mentre una volta eravate identificati unicamente per i vostri gusti sessuali, fisici, ora si sta riconoscendo sempre più che l'esperienza centrale di ogni gay è la stessa di quella di ogni etero, cioè l'amore. Un amore che fa impazzire, che umilia, che esalta, proprio nello stesso modo per un gay o per un etero. E questo mi fa sperare che il pregiudizio gradualmente scompaia."
"Ma ultimamente il papa ha scritto nella sua enciclica che l'amore omosessuale è un amore debole... perciò meno valido, di seconda categoria." obiettò Brian.
"E chi se ne frega di cosa dice quel Benedetto da Roma!" esclamò Aine.
"Ma come, proprio tu che vai sempre in chiesa..." le chiese Micheal lievemente ironico.
"In chiesa, ai preti, io do il mio obolo, mica il mio cervello." rispose allegra Aine. "E poi, basta guardare voi due per capire che il vostro non è per niente un amore di seconda categoria. Anche papa Benedetto parla solo per pregiudizio."
"Ma facendo così, mette frecce all'arco degli omofobi." le fece notare Micheal.
"Sì, credo che tu abbia ragione, purtroppo. Benché gli omofobi in genere non hanno bisogno che qualcuno gli dia frecce: se le costruiscono da soli. A proposito, Brian, Stanley come si comporta con te?"
"Correttamente, anche se un po' freddamente. Non c'è nessun problema."
"Bene. Buon per lui." disse Aine e gli scoccò un caldo sorriso.