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una storia originale di Andrej Koymasky


IL BEL RAGAZZO CAPITOLO 1 - UNA NORMALE GIORNATA

Serafino gettò indietro la testa e scoppiò in una fragorosa risata, scuotendo i suoi bei capelli biondi. "Troppo forte... troppo forte!" esclamò quasi con le lacrime agli occhi per il gran ridere. "Ma dove le trovi, Vale?"

"E come le racconta, poi!" esclamò Stefano ripiegato su se stesso e scosso dalle risate.

"Soprattutto come le racconta." aggiunse Alessio battendosi manate su una coscia mentre anche lui rideva. "Anche quelle che so già mi fanno scompisciare dal ridere quando le racconta lui."

Valerio, imperturbabile, serio, disse: "E la sapete quella della crisi finanziaria?"

"No, no, basta per favore. Io davvero me la faccio sotto se continui così!" lo interruppe Alessio.

Stefano bevve una sorsata dalla bottiglia, emise un piccolo rutto e la passò a Serafino. Valerio tirò fuori il pacchetto delle sigarette.

"Ehi, Vale, c'è scritto pure sul pacchetto che il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno!" gli disse Stefano.

"Beh, c'è scritto pure che fumare in gravidanza fa male al bambino... ma ancora nessuno dei miei clienti m'ha ingravidato!" rispose Valerio accendendosi la sigaretta. "E comunque..." aggiunse con espressione seria, "il bambino ancora mi si rizza regolarmente."

"Il fumo provoca il cancro..." insistette Serafino stando al gioco.

"Ah, ecco! Allora mia madre doveva stare fumando, mentre mio padre la scopava: io sono un cancro!" rispose Valerio, sempre con espressione seria, esalando uno sbuffo di fumo e guardandolo disperdersi nell'aria.

"E io sono un toro, lo sapete?" disse Alessio.

"Certo che lo sappiamo, abbiamo fottuto tutti con te." gli rispose Valerio, "Comunque neanche tu sei riuscito ad ingravidarmi."

"Tutti no. Mi manca ancora Serafino" rispose Alessio guardandolo con aria maliziosa.

"E lui mica si spreca con te: è il più bello sulla piazza e si sceglie chi vuole." disse Valerio.

"No, è che anche a Sera piace più metterlo che prenderlo." disse Stefano.

"Piantala di chiamarmi Sera. O Fino. Serafino e basta." protestò questi fingendosi seccato.

"Troppo lungo." disse Alessio.

"Gliel'hai misurato? Quand'è in tiro o quand'è moscio?" chiese Valerio ridacchiando.

"Nessuno di noi gliel'ha ancora mai manco visto!" si lamentò Stefano.

Serafino sorrise: "Io non mescolo mai affari e amicizia, lo sapete, no? Chi vuole, ha solo da pagare e lo accontento."

"Sei un gran bugiardo. Lo sappiamo tutti che a Emiliano glielo metti, e non venirmi a dire che ti fai pagare, da lui." disse Alessio.

"Beh... confesso che ho un debole per Emiliano."

"Per il suo culo, vorrai dire." insinuò Valerio.

"Per il suo culetto d'oro, d'accordo." ammise Serafino. "Ci sa fare. E comunque mi paga... in natura."

"Sera...fino, ti ricordi di chiedere al Forleo se mi fa un provino?" gli chiese Stefano.

"Te l'ho promesso, no? Glielo chiedo, però non ti fare illusioni, anche se accetta di vederti, non è detto che gli vai a genio. Lui ha un suo 'tipo' che gli piace fotografare."

"Io ci vado anche a letto, nessun problema." disse Stefano.

"Questa è l'ultima cosa. Anzi, non ci provare neppure. Leandro non s'è mai portato a letto nessuno dei suoi modelli."

"Ma non è frocio anche lui?" chiese Alessio un po' stupito.

"Certo che lo è, ma... che io sappia non ha mai scopato con nessuno di noi ragazzi."

"Ha una relazione fissa? È geloso, il suo amico?" chiese Valerio.

"No, non ha nessuno. Per Leandro tutto il godimento è guardare, fotografare. Si eccita semplicemente a fare foto... Spesso, dopo, si chiude in camera e si sfoga da solo." spiegò Serafino facendo spallucce.

"Ma va là! Cazzo, con tutta quella bella carne a disposizione... da solo? Ma è malato, allora!" esclamò Alessio.

"Non siamo un po' tutti malati, Ale?" gli chiese Serafino con un sorrisetto. "Mica dico solo noi froci; tutti, a partire dal papa al netturbino. Tutta la nostra società è malata, in un modo o nell'altro. Leandro... Leandro è un esteta. Credo che è per quello che le sue foto hanno successo: perché sfoga lì tutta la sua libidine."

"Ma fa anche foto di gruppo? Orge? Scopate?" chiese Valerio.

"No, mai. Al massimo coppie, ma mai in pose porno. Solo foto artistiche. Vera arte. Non vuole neanche che i suoi modelli ce l'hanno ritto, quando fa le foto. Se a uno di noi gli viene duro, lui gli dice, seccato: vai in cesso e fatti una pugnetta, e torna quando ce l'hai moscio..."

I ragazzi risero.

"Io, qualche volta, ce lo piglio pure in giro. Lui sorride e mi lascia dire. Da ragazzo, Leandro fotografava i suoi amichetti nudi, poi andava a vendere le foto nei posti dove la gente andava a battere. Ha cominciato così. Tutto quello che guadagnava lo spendeva in macchine fotografiche, lenti, attrezzi. Poi ha avuto il colpo di culo: un turista americano, che gli aveva comprato le foto, era l'editore di una rivista per froci. Così ha cominciato a lavorare per gli americani. Adesso vende le sue foto in mezzo mondo, sia a privati che a riviste. Ha fatto anche una mostra a New York e un'altra a San Francisco."

"È così che s'è fatto la villa a Fregene? O era di famiglia?" chiese Stefano.

"No, se l'è comprata così, coi guadagni. Lui era figlio di contadini, una famiglia povera."

"E adesso c'ha i milioni!" disse Alessio.

"Molti meno di quelli che potrebbe. È un uomo generoso, ha aiutato un sacco di noi ragazzi, anche me. Adesso, per esempio, mantiene Emiliano all'università, gli paga tutte le spese, tasse e libri."

"Senza scopare in cambio?" gli chiese Alessio, incredulo.

"T'ho detto che non scopa con noi ragazzi; non scopa con nessuno, per quello che so."

"Cazzo, io darei di matto ad avere tanti bei pischelli nudi a portata di mano e non farci niente!" esclamò Alessio.

"Chacun à sa façon." disse Serafino facendo spallucce.

"Che cacchio stai dicendo? Parla come t'ha fatto mammeta, no? Che d'è sto sciachenasafasò?" chiese Alessio.

"Ognuno è fatto a modo suo." gli spiegò Stefano. "È francese."

"Chi?" chiese Valerio. "Chi è francese?"

"La frase, tonto!" rispose Serafino ridacchiando.

Valerio spense la sigaretta, prese la bottiglia e ne bevve l'ultimo sorso. Poi propose: "Che, raga, ci state a fare il gioco della bottiglia?"

"No, io devo andare." disse Serafino alzandosi dal sofà.

"C'hai un appuntamento?" gli chiese Alessio.

"Sì, un cliente. Uno che paga bene. Ci si vede, raga." salutò e uscì dall'appartamentino degli amici.

Stava bene con loro. Li conosceva da tre anni. Per meglio dire, aveva conosciuto prima Alessio, che allora stava lì con Valerio, ed era andato ad abitare con loro. Stefano era andato ad abitare lì solo l'anno prima, cioè poco dopo che lui li aveva lasciati perché era finalmente in grado di pagarsi un appartamentino tutto per sé.

Prese la sua bella moto rossa, si infilò il casco e partì. Si immise nel traffico caotico dell'ora di punta. Zigzagò fra le auto che procedevano quasi a passo d'uomo, bruciò un semaforo con la coda nel giallo e salì fino a Piazza Euclide. Fissò con la catena il casco e la moto a un lampione e andò a suonare al portone del bel palazzo dove era atteso.

"Chi è?" gracchiò una voce nell'interfonico.

"Serafino."

"Ah, bene. Sali." rispose la voce e il portone s'aprì con un ronzio.

Mentre aspettava l'ascensore, sentì il portone richiudersi con un tonfo ovattato. Si rassettò i bei capelli biondi con le dita e si aprì il giubbotto di pelle. Mentre saliva con l'ascensore, si guardò nello specchio della cabina, si fece l'occhietto e si sorrise. Sì, era un bel ragazzo, doveva ammetterlo.

Sulla porta dell'appartamento c'era il cameriere filippino. "Vieni, il console t'aspetta." gli disse.

"Mica sono in ritardo, no?" chiese Serafino controllando l'orologio.

"No. Ma il console comincia ad aspettare già mezz'ora prima." gli rispose il cameriere, guidandolo per i corridoi, fino alla libreria.

Quando vi fu introdotto, il console, che indossava una vestaglia di damasco grigio perla, era in piedi davanti alla finestra e guardava fuori. Si girò e guardò Serafino con un lieve sorriso: "Ah, sei qui." disse semplicemente, mentre il filippino richiudeva la porta alle sue spalle.

Era la quinta volta che andava da lui, e ogni volta il console indossava una vestaglia diversa. Serafino si chiese quante ne avesse. L'uomo gli andò davanti e gli mise una mano fra le gambe, palpandolo lievemente e gli sorrise. Era una specie di rituale che si ripeteva ogni volta. Fra poco sarebbe tornato il filippino con il vassoio con il tè e le paste.

Il console lo prese per mano e lo guidò fino alla sedia dallo schienale alto dietro alla scrivania; sedette e lo tirò a sedere sulle proprie gambe. Serafino si sfilò la giacchetta di pelle e l'appese allo schienale. Il console lo carezzò di nuovo fra le gambe, sulla patta dei calzoni di morbida pelle.

"Sei più bello di un angelo... proprio come il tuo nome." disse il console in tono sognante, col suo buffo accento straniero, sorridendo contento, come tutte le altre volte.

Serafino sorrise in risposta, meccanicamente, e gli infilò una mano sotto la vestaglia, a carezzargli il petto lievemente villoso attraverso la camicia di seta bianca. Sentì un capezzolo sotto i polpastrelli e lo sfregò lieve fra indice e pollice.

L'uomo emise un lieve sospiro: "Ma sei un diavoletto..." mormorò in tono soddisfatto.

Il filippino tornò con il vassoio, lo depose sulla scrivania e, in silenzio come era arrivato, se ne andò, dopo aver lanciato un'eloquente occhiata a Serafino.

"A Rizal piacerebbe portarti nel suo letto." disse ridacchiando l'uomo.

"Hai già scopato con lui?" gli chiese Serafino.

"Sì, ma solo i primi tempi. Non è il mio tipo."

"Allora, perché lo tieni?"

"Perché è fedele, ed è un ottimo servo. E poi perché è gay come me, perciò non ho problemi con lui quando... quando viene qui un bel ragazzo."

"E Rizal, si porta i ragazzi a letto?"

"Non qui dentro. Sa che non voglio estranei." disse il console.

Prese una delle paste e la accostò alle labbra di Serafino. Gli piaceva imboccarlo, ne traeva un sottile piacere erotico. Anche perché Serafino gli lecchettava le dita... Era un gioco che facevano ogni volta. Una mano dell'uomo iniziò a frugare sulla sua patta, aprendola lentamente. Mentre lo imboccava di nuovo, frugò con le dita nella patta aperta, le infilò sotto il minuscolo slip e s'impadronì del suo membro che iniziò a indurirsi. Il console sorrise, soddisfatto.

Quando lo sentì in forma, sussurrò, eccitato: "Fammi assaggiare questo tuo bel biscotto, Serafino."

Il bel ragazzo si alzò in piedi e il console si chinò su di lui, iniziando a dargli piacere con le labbra, la lingua, la bocca. Serafino gli prese la testa fra le mani e iniziò a muovere il bacino avanti e indietro, mentre l'uomo mugolava contento.

Dopo un po', il console si alzò in piedi, prese per un braccio il ragazzo e lo portò nella camera da letto. Si spogliarono in fretta. L'uomo gli porse un preservativo e si mise a quattro zampe sul letto, Serafino se lo infilò, gli salì dietro in ginocchio, lo afferrò per la vita e, lentamente, lo infilò spingendoglielo tutto dentro. Poi iniziò a battere con lunghi, forti e lenti va e vieni, mentre l'uomo si masturbava velocemente.

Il console iniziò a mormorare qualcosa in norvegese, la sua lingua. Serafino non aveva idea di cosa stesse dicendo, né gli importava. Pensava solo a eseguire il proprio lavoro in modo professionale, di accontentare l'uomo che così l'avrebbe chiamato di nuovo.

Gli prese i capezzoli fra le dita e li strofinò ad arte. L'uomo emise un lieto guaito, dimenando lievemente il bacino per meglio gustare quel "biscotto" che gli si agitava dentro. Serafino sapeva che doveva controllarsi per far durare quella cavalcata fino al momento in cui l'uomo avesse raggiunto il sommo del piacere. Allora si poteva lasciar andare anche lui.

Quando finalmente raggiunsero, quasi all'unisono, l'orgasmo, restarono immobili, attendendo che il membro del ragazzo, tornando alle dimensioni di riposo, si sfilasse dal caldo ricettacolo. Scesero dal letto e andarono a farsi una doccia, assieme, nell'ampio box di vetro, lavandosi l'un l'altro.

Mentre si asciugavano, il console gli chiese: "Giovedì prossimo, a quest'ora?"

"Sì, certo."

Tornarono in camera da letto e si rivestirono. Il console gli dette una busta chiusa che Serafino infilò in tasca. Poi l'uomo suonò il campanello. Rizal ricomparve, impassibile e, in silenzio, guidò Serafino fino alla porta.

"Mi ha detto il console che ti piacerebbe scopare con me." gli disse con un sorrisetto ammiccante.

Il filippino lo guardò e annuì, poi disse: "Ma io non posso darti tanti soldi come il signore."

"Peccato. Ma a te piace prenderlo o metterlo?"

"Qualsiasi cosa, con uno bello come te."

"Beh, ciao..." disse Serafino e scese.

Mentre era in ascensore stracciò la busta: c'era la solita somma, in biglietti da cinquanta euro, nuovi di banca come sempre. Li infilò nel portafogli. Uscì, riprese la moto, mise il casco e partì per tornare a casa.

Nella buca delle lettere c'era la bolletta della corrente elettrica e quella del gas. Le controllò: più o meno la solita cifra. Salì nel proprio appartamento. Si spogliò e infilò la tuta da ginnastica che usava in casa. Poi si mise a fare le pulizie, mentre mandava la lavatrice.

Non aveva portato mai nessun cliente lì in casa, e ben pochi dei suoi amici. Provava una specie di inconscia gelosia per il proprio spazio privato. Non gli andava di condividerlo con nessuno. Neanche per poche ore.

Stava passando la cera nel soggiorno, quando squillò il telefonino. Lo andò a prendere e riconobbe il numero.

"Ciao, Leandro." salutò.

"Ciao, bello. Vieni domani per le foto?"

"Certo. Chi ci sarà?"

"Ettore, Emiliano e Ugo. Alle nove, d'accordo?"

"Bene. Per tutta la giornata?"

"Sì, fino a dopo cena. Voglio scattare qualche posa anche a notte, sia nello studio che in giardino. Solo o con gli altri. Ho un'idea..."

"Che idea?"

"Ci sto lavorando. A domani."

"A domani."

Finì di dare la cera. Poi stese i panni lavati. Non aveva voglia di prepararsi la cena, perciò si infilò gli infradito sui piedi nudi, mise nella tasca le chiavi di casa e il portafogli e scese. Per le scale incontrò la vicina di pianerottolo e si scambiarono un sorriso e un cenno di saluto.

Era una bella ragazza, Simona, doveva ammetterlo. Bella e simpatica. Studiava filosofia alla Sapienza. A volte la andava a trovare il suo ragazzo, un bonazzo di venticinque anni di nome Carlo che faceva il commesso a Montecitorio. Li sentiva scopare... il letto di lei cigolava a ritmo... a lungo... A volte li sentiva anche gemere in preda al piacere. Quegli appartamenti avevano le pareti di carta velina.

Qualche volta si era anche masturbato, sentendoli scopare. Si chiese come sarebbe stato fare sesso con Carlo... Gli sarebbe piaciuto vederlo nudo. Almeno una volta. Magari, se faceva un buchino nella parete... sorrise all'idea: non l'avrebbe mai fatto, logicamente. Era solo un'innocente fantasia. Poteva avere molti difetti, ma non era mai stato un guardone.

Entrato nella trattoria, salutò con un sorriso Anna, la figlia del proprietario che stava, come al solito, alla cassa. E come altre volte, lei lo spogliò con gli occhi.

"Serafino! Da mo' che non ti si vede." lo salutò col suo accento lievemente cantilenante.

"Eh, il lavoro..." rispose lui.

"Oh, sai, mica ho capito tu che lavoro fai?" chiese la ragazza continuando a guardarlo con malcelato interesse.

"Manco io l'ho ancora capito..." rispose il ragazzo, ridendo. "Una specie di... human resources manager..."

"Un che?"

"Un incaricato alle risorse umane..."

"E che sarebbe?"

"Mah... sai... uno che quando qualcuno ha bisogno di un servizio, fa in modo di farglielo avere."

"Ah. Ma almeno, guadagni bene?"

"Se ci so fare... sì." rispose e fatto un cenno di saluto, entrò nella sala.

Lì c'era il fratello di Anna, Eugenio, un ragazzo della sua età, non bello, ma con profondi occhi castani e un sorriso assai piacevole che gli illuminava sempre il volto.

"Ciao Genio. Dove mi metto?"

"Lì, ti va bene?" gli rispose il ragazzo porgendogli il menu.

Serafino sedette, gettò un'occhiata al menu poi glielo rese: "Fai tu, non ho voglia di scegliere. Un secondo, contorno, frutta, caffè e un quartino. Come vanno gli studi?"

"Vanno... Dopodomani ho l'esame di geografia linguistica."

"Preparato?"

"Mica tanto. Ma se mi dà almeno un venti, ringrazio e porto a casa." rispose Eugenio con una buffa smorfia.

"Io non so come fai tu, a studiare e lavorare."

"Mica lo so manco io!" rispose allegramente l'altro e andò a dare gli ordini in cucina, alla madre.

Mentre mangiava, Serafino scandagliava gli altri avventori della trattoria, in parte gente del quartiere come lui, in parte turisti. Riconobbe un altro dei clienti e si scambiarono un cenno di saluto. Poi vide entrare due giapponesi, o cinesi, non avrebbe saputo dirlo. A giudicare dall'età, sembravano padre e figlio, uno era sui quarantacinque anni e l'altro sui venti. O forse erano più vecchi, dato che gli orientali dimostrano meno età di quella che hanno.

Li osservò incuriosito. Il giovane aveva un'aria un po' troppo servizievole per essere il figlio dell'uomo, pensò. Magari era il segretario dell'altro... o l'amante? si chiese divertito. Continuò a osservarli di sottecchi. Il giovane parlava l'italiano abbastanza bene, tradusse il menu al più anziano, poi ordinò per tutti e due.

Quando Eugenio gli portò la frutta, gli chiese: "Quei due sono cinesi o giapponesi?"

"Giapponesi. Il vecchio lavora al centro culturale."

"L'altro è il figlio? Il segretario?"

Eugenio scosse la testa, si chinò e disse, sottovoce: "No, secondo me è il... il mantenuto. Quasi sicuro."

"Ah. Beh, contenti loro... Ma cos'è che te lo fa pensare?"

"Io li sgamo subito, i froci. E quei due lo sono, credi a me."

"E chi altri... qui dentro?" gli chiese Serafino, divertito.

"Stasera nessun altro. Quei due giapponesi vengono tutti i mercoledì e venerdì, da qualche mese. Non ci metto la mano su fuoco, però mi sa che non mi sbaglio..."

"Beh, contenti loro..." ripeté Serafino facendo spallucce.

"Sicuro, finché non ci provano con me, va tutto bene."

"Con me qualcuno ci prova..." gli disse Serafino spiandone la reazione.

"Eh, è che tu sei un bel pischello, ci credo che ti muoiono dietro sia femmine che maschi... Pure Anna ti muore dietro." gli disse Eugenio, ridacchiando.

"Ma va!" esclamò Serafino, fingendosi sorpreso. "Ma Anna c'ha il ragazzo, no?"

"E che vuol dire... Tu ce l'hai la ragazza?"

"No. Non voglio catene ai piedi. Sto bene così. Né ragazza né... ragazzo!"

Eugenio rise e si allontanò.

Serafino pensò che gli sarebbe piaciuto provarci col giapponese più giovane, era caruccio; non l'aveva mai fatto con un asiatico. Neanche con un negro, a dire il vero.

Terminata la cena, andò a pagare, scambiò qualche battuta con Anna, poi tornò a casa. Accese il televisore: c'era "L'isola dei famosi". Non gli interessava molto quella trasmissione, però c'era Walter Nudo... un bel fustaccio e con un cognome che era tutto un programma. Trentatré anni, un corpo da fare invidia, decisamente erotico. Serafino sperò che vincesse lui.

Finito il programma, fece un po' di zapping. Non c'era niente di interessante. Spense, tirò fuori dallo sgabuzzino gli attrezzi e fece un po' di esercizi, come ogni giorno, per tenersi in forma. Era importante che curasse il corpo, era il suo prezioso strumento di lavoro.

Quando smise era lievemente sudato. Si denudò e andò a fare una doccia, senza insaponarsi, solo per lavar via di dosso il sudore. Si asciugò tamponando la pelle, senza sfregare, in modo che mantenesse un po' di umidità: gli aveva spiegato Leandro che era meglio fare così.

Leandro se ne intendeva, indubbiamente. Si prendeva sempre cura dei "suoi" ragazzi, dispensando consigli che andavano dalla dieta alla cura del corpo, dalla salute ("mai sesso senza il guanto, ragazzi, con l'aids non si scherza!") alla cultura ("e andate qualche volta a vedervi un museo, ragazzi, che Roma n'è piena!"). Era un po' come un padre, o uno zio, per tutti, in un certo senso.

Si infilò fra le lenzuola e spense la luce. Chi più chi meno, tutti erano affezionati a Leandro Forleo. Una volta uno dei ragazzi l'aveva derubato... gli altri erano andati a cercarlo, l'avevano trovato e l'avevano riempito di botte, ordinandogli di non farsi più vedere. Poi avevano riportato la refurtiva a Leandro, che comunque non l'aveva voluto denunciare.

Riandò con la memoria alla prima volta che aveva incontrato Leandro, o per meglio dire quando Leandro l'aveva notato. Serafino aveva appena compiuto diciotto anni. Era sera tardi, e stava battendo al parco di Montesacro; da poco un'altra marchetta era salita sull'auto di un cliente, così era rimasto solo.

Leandro era arrivato con la sua panda 1000 bianca e gli si era fermato accanto. Serafino s'era chinato a guardarlo: aveva pensato che non era malaccio... anche se aveva sperato fosse qualcuno più giovane.

"Ciao. Come ti chiami?" gli aveva chiesto l'uomo.

"Col mio nome." gli aveva risposto Serafino.

Leandro aveva riso: "Sei molto bello. Senti, io sono un fotografo e mi piacerebbe se tu posassi per me."

"Nudo su un letto, ci scommetto." gli aveva risposto ironico Serafino.

"Forse anche. Questo è il mio biglietto da visita. Ti va di venire domani mattina da me?"

Serafino aveva preso il biglietto: "A Fregene?"

"Sì, certo. C'è l'autobus..."

"Ho la moto. Domattina? A che ora?"

"Se vieni verso mezzogiorno, fai pranzo con me."

"Non mi chiedi cosa faccio, quanto costo?"

"Parleremo di prezzi domani. E cosa fai, non m'interessa, voglio solo fotografarti. Non scopare."

"Ma va!" aveva esclamato Serafino.

"Sei veramente bello, io faccio foto artistiche. Nudi artistici."

"Porno?"

"No. Nudi artistici. Come questi..." gli aveva detto porgendogli un fascicolo.

Serafino l'aveva sfogliato: erano davvero foto molto belle, in bianco e nero e a colori. "Le hai fatte tutte tu?"

"Sì, certo. Allora, vieni?"

Era andato. E avevano davvero fatto solo fotografie... E lo pagava bene. Lì aveva conosciuto altri ragazzi che facevano i modelli. Quasi tutti gay come lui, qualcuno faceva anche marchette, come lui. Tutti piuttosto belli. E aveva scoperto che Leandro non si portava a letto nessuno di loro.


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