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una storia originale di Andrej Koymasky


IL BEL RAGAZZO CAPITOLO 3 - LA RETATA FALLITA

Ci aveva messo quasi sei mesi a convincerlo, ma alla fine era riuscito a farsi una bella scopata con Omar, il grazioso mulatto. S'erano divertiti tutti e due. Benché fosse gay, Omar non era un tipo promiscuo, e non aveva mai fatto una marchetta: era per questo inizialmente, benché fosse chiaramente attratto da Serafino, che aveva sempre respinto le sue avances. Gentilmente, ma fermamente.

Ma infine aveva capitolato. Un pomeriggio tardi s'era fatto accompagnare a casa in moto da Serafino, dopo una seduta di foto da Leandro, e l'aveva invitato a salire un attimo, per offrirgli qualcosa. Viveva in un bell'appartamento a Monte Mario, il padre era un noto medico che aveva sposato la sua bella infermiera keniota. In casa non c'era nessuno.

Omar gli aveva mostrato l'elegante appartamento, poi l'aveva portato in camera sua: una bella stanza piena di poster di begli uomini più o meno nudi e di modellini di aerei che Omar costruiva come hobby. I genitori sapevano che Omar era gay, e l'avevano accettato senza problemi.

"Belle quelle foto..." aveva detto Serafino ammirando i poster.

"Nessuno quanto te..." gli aveva risposto Omar. Poi gli era andato accanto, gli aveva cinto lievemente la vita e gli aveva detto: "Se vuoi... abbiamo un paio di ore tutte per noi."

Serafino l'aveva guardato con espressione talmente stupita che Omar era scoppiato a ridere. "Davvero?" aveva chiesto quasi sottovoce, ancora incredulo. "Non mi pigli per il culo?"

"Se ti va, posso farlo... e tu a me... Allora?"

Dopo poco erano nudi sul letto di Omar, in un groviglio di membra, in un turbine di desiderio, che si godevano l'un l'altro. Si concessero una lunga serie di preliminari e finalmente, alternandosi e smettendo prima di raggiungere l'orgasmo, si presero a vicenda, gioiosamente, in tutte le posizioni possibili e immaginabili. Finché entrambi furono incapaci di trattenersi oltre e si lasciarono andare al godimento.

"Fiuuuuu! Mi sei piaciuto un sacco." disse Omar carezzandogli il petto, mentre, stesi supini fianco a fianco, si rilassavano.

"Anche tu."

"Ma tu ci sai fare meglio di me."

"Allora, lo faremo ancora?"

"Può darsi, chi sa? Il fatto è che... onestamente..." iniziò a dire Omar, un po' esitante.

"Cosa?"

"Sto facendo il filo a un ragazzo e se lui... se ci sta... capisci?"

"Capisco. Ma è gay 'sto ragazzo?"

"Sì."

"E allora?"

"Mi sta trattando un po' come io trattavo te..."

"Ben ti sta!" rise Serafino, alzandosi su un gomito a guardarlo.

"Sì, ben mi sta. Ma spero che prima o poi ceda."

"Che fa? Quanti anni ha? Lo conosci da molto?"

"Ha ventisei anni, lo conosco da tre mesi, l'ho incontrato in discoteca. Lavora come restauratore per la sovrintendenza alle belle arti. Aiuto-restauratore, per essere esatti. Mi piace un sacco."

"Bello?"

"Non come te, ma sì, bello. Però mi piace soprattutto come carattere. E quando balla... mi fa andare in orbita."

"Quant'era che non scopavi, se con lui non hai ancora fatto niente?"

"Da quando l'ho conosciuto. Prima... avevo le mie avventure, a volte."

"Allora... avevi bisogno di... sfogarti. Per questo 'sta volta m'hai detto di sì." gli disse Serafino con un sorrisetto.

"Esatto. Ti dispiace?"

"No. Tutt'altro. E apprezzo la sincerità. Beh... se ti pesa non poterlo fare con lui... io sono sempre disponibile. Mi sei piaciuto. Ma se lui ti dice di sì, capisco che lo fai solo con lui. Ma sei innamorato di lui o semplicemente ti attizza?"

"Sono innamorato di lui e mi attizza. Una cosa non esclude l'altra."

"Ma lui non è innamorato di te?"

"Non proprio. Per questo continua a dirmi di no. Dice che lui o lo fa con chi ama o non lo fa."

"Non proprio... significa che un po'..."

"A me pare di sì. Ha certe attenzioni che... beh... indifferente non gli sono. Credo che vuole solo sentirsi più sicuro."

"Di te o di se stesso?"

"Tutt'e due, penso. Se sono papaveri, fioriranno."

"Papaveri? Rose, si dice, non papaveri. Se sono rose fioriranno, no?"

Omar rise: "Il fatto che a me non mi piacciono le rose, preferisco i papaveri." rispose con un sorriso da monello.

"Beh... auguri. Auguri di cuore, allora."

"Anche se significa che tu e io non scopiamo più?"

"Anche."

"Tu... a te non mancano le occasioni di scopare, vero?"

"No, non mi mancano davvero. Non dico tutti i giorni, ma quasi."

"Ah, beata gioventù!" disse Omar con una buffa espressione.

"Senti chi parla! Tu hai solo un anno più di me. Come si chiama?"

"Lapo."

"Lapo? Che nome è?"

"Boh? Un nome come un altro. A me piace. È un nome antico. Nelle Rime di Dante c'è scritto:

Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
Fossimo presi per incantamento
E messi in un vasel, ch'ad ogni vento
Per mare andasse al voler nostro e mio..."

Serafino rise: "Cos'è, un triangolo? Anche ai tempi di Dante si facevano? E chi è 'sto Guido?"

Anche Omar rise e gli dette una scoppola scherzosa. Si rivestirono, chiacchierarono ancora un po', poi Serafino tornò a casa, prima che rientrassero i genitori dell'amico.

Era appena entrato in casa quando suonò il cellulare. Controllò il numero: era Stefano.

"Sera, oggi compio venti anni. Stasera, con Valerio e Alessio andiamo a festeggiare in ristorante e ci piacerebbe se ci vieni tu pure."

"Se continui a chiamarmi Sera, non ci vengo!" rispose.

"E dai, Se-ra-fi-no. Va bene così? Vieni, allora? Offro io."

"Dove e a che ora?"

"Al Cantiniere di Santadorotea, a Trastevere, di fronte alla chiesa di Santa Dorotea. Sai dov'è?"

"Cazzo, non sapevo che eri così ricco! Certo che so dov'è... A che ora?"

"Alle nove. Non è troppo caro e poi uno di camerieri è un mio cliente e mi ha fatto fare un buon prezzo."

"Scommetto che lo paghi in natura..." gli disse Serafino ridacchiando.

"No no! Lui paga me in euro per scopare, io pago lui in euro per mangiare... beh, pago il padrone, si capisce. Allora ci si vede alle nove."

"Bene."

Serafino pensò che avrebbe dovuto portargli un regalo. Era tardi, i negozi erano chiusi. Frugò fra le sue cose, chiedendosi cosa poteva portargli. Finalmente trovò qualcosa che poteva essere adatto, lo avvolse in una bella carta che aveva da parte e vi aggiunse un biglietto d'auguri.

Giunse un'altra chiamata: era l'architetto, uno dei suoi migliori clienti. Rispose e fissarono l'appuntamento per il giorno seguente. Era soddisfatto: quell'uomo, ogni volta che la moglie era assente, gli telefonava chiedendogli di andare a passare la notte da lui. Lo trovava un po' noioso, sia come carattere che a letto, ma dato che non pretendeva da lui cose strane e che pagava senza battere ciglio, non gli diceva mai di no. Oltretutto non aveva altri impegni, la notte del giorno dopo.

Fra le pose per Leandro e i clienti, più qualche serata speciale ogni tanto come cubista, stava guadagnando bene. Anche concedendosi una vita abbastanza agiata, i suoi risparmi in banca stavano aumentando. Il vice-direttore, una donna, aveva cercato di convincerlo di investirne una parte in azioni o in fondi, ma Serafino non aveva voglia di rischiare, anche se lasciandoli sul conto non gli rendevano.

No, non era il tipo da prendere rischi Serafino. Non in un campo che non padroneggiava. Da qualche parte aveva letto, una volta, un testo che più o meno diceva: "Se la paura rende prudenti nell'azione, porta a una crescita perché è ciò che viene definito adattamento all'ambiente. Se invece inibisce completamente l'azione, è negativa. Se infine, per vincerla, stimola comportamenti a rischio non valutati, è incoscienza, corrisponde a una roulette russa, al rischio di un suicidio."

Serafino si adattava all'ambiente. Si era sempre adattato, ma in modo di rimanere sempre se stesso. Aveva un innato istinto, quasi un istinto animale, che lo spingeva a fare le scelte migliori per sopravvivere nella giungla della vita. Quella giungla in cui si era trovato immerso fino dalla nascita, dato che aveva avuto due genitori che avevano brillato per assenza, fino a scomparire e lasciarlo solo. E la prudenza, unita a una discreta intelligenza, l'aveva sempre aiutato a non correre inutili rischi.

Gli sarebbe piaciuto poter continuare a studiare, però aveva smesso, quando aveva dovuto farlo, senza troppo rammarico. S'era fatto una cultura a modo suo, la cultura del ragazzo di strada, fatta carpendo qua e là ciò che trovava di buono, di interessante, di valido e facendolo proprio, interiorizzandolo, come aveva fatto con i "dodici comandamenti" del cartello di Leandro.

Gli piaceva abbastanza leggere, ma non romanzi impegnati, e neanche fumetti. Leggeva volentieri testi particolari, saggi, purché non troppo pesanti e complicati. Imparava anche dai film, dai racconti e dalle confidenze dei compagni, dalla vita quotidiana e, in qualche modo, anche dagli sfoghi a volte logorroici dei suoi clienti, almeno di qualcuno di loro. Era un buon ascoltatore, un buon osservatore.

Prudenza, intelligenza, adattamento e saper ascoltare, osservare erano i suoi attrezzi per affrontare la vita. Uniti a un altro prezioso attrezzo, anzi altri due: la fantasia e l'allegria.

Il motivo per cui era tanto apprezzato dai suoi clienti, oltre alla sua bellezza fisica, oltre all'essere versatile a letto e saperci fare, era la sua capacità di "dare" a ognuno quello che si aspettava da lui. Quasi come un consumato attore, diventava per ogni cliente quello di cui aveva bisogno. Anche questo era adattamento.

L'architetto con cui aveva preso l'appuntamento per il giorno dopo, ad esempio, Serafino l'aveva intuito fin dalla prima volta, oltre e forse più del sesso, aveva bisogno di sentirsi ammirato per la sua creatività che, a suo dire, non era abbastanza apprezzata dai suoi committenti. Così Serafino, ogni volta, gli chiedeva a che cosa stesse lavorando, e subiva, senza darlo a vedere, le sue spiegazioni... Frattanto lo carezzava fino a farlo eccitare e farsi portare a letto.

A differenza di altri clienti, all'architetto non interessava essere ammirato per le sue "abilità amatorie", che d'altronde non aveva. Ma gradiva oltremodo gli apprezzamenti e l'ammirazione di Serafino per il progetto a cui stava lavorando. E, pur senza piaggeria, Serafino glieli dava e a volte, per rincarare la dose, gli diceva: "Se un giorno avrò abbastanza soldi, mi farò fare un progetto da te!" Ci vuole così poco a fare contenta una persona... e a "fidelizzare" un cliente.

A sera andò all'appuntamento con i suoi amici. Arrivò puntuale, come al suo solito. Appena vide Stefano, gli porse il suo regalo e gli fece gli auguri. Entrarono nel locale dove il cameriere, uno dei clienti di Stefano, aveva riservato loro un tavolo abbastanza appartato.

Quando furono sistemati e il cameriere non era a portata d'udito, Alessio si chinò verso Stefano e gli sussurrò: "Ammazzete, oh! Bruttino il tuo cameriere. Ci credo che si paga una marchetta. Ma almeno scopa bene?"

Stefano rispose, sempre sottovoce: "Fa delle pompe veramente favolose, e poi se lo fa mettere alla pecorina."

Valerio ridacchiò: "Beh, se si fa fottere alla pecorina, almeno non lo devi guardare in faccia."

"Non ce lo porta, il menu?" chiese Serafino.

"No, ho fissato io il menù, niente scelta. O mangiare questa minestra o saltare dalla finestra." rispose Stefano. "Poche storie, raga, a caval donato non si guarda in bocca, no?"

"Chi la fa l'aspetti, chi rompe paga e i cocci sono suoi." sentenziò Valerio.

"Che cazzo c'entra?" chiese Alessio.

"Niente. Ma se Stefano parla per proverbi, io gli rispondo per le rime, no?"

Stefano chiese a Serafino: "Il regalo lo devo aprire adesso o a casa?"

"No no, lo apri a casa; almeno non sei obbligato a dirmi: graaazie, che beeeello!" rispose Serafino con un sorriso.

Mangiarono bene, chiacchierando e facendo battute, in allegria.

Durante la cena Stefano chiese a Serafino: "Hai parlato con Leandro per le foto? Dici sempre che gli parli ma non lo fai mai."

"Sì, gli ho parlato..."

"Ah. E allora, mi vuole vedere o no? Me lo fa un provino?"

"In questo periodo non ha bisogno di ragazzi nuovi, siamo già in troppi..." rispose Serafino.

In realtà non era così, ma non se la sentiva di dire all'amico che non era adatto per posare per quelle foto. Conosceva bene i gusti estetici di Leandro e sapeva che, anche se Stefano non era brutto, anzi, era piuttosto caruccio, non gli sarebbe interessato. Sperava che prima o poi l'amico smettesse di chiederglielo. Aveva anche avvertito Emiliano, che a volte incontrava Stefano, di non sbugiardarlo. Emiliano s'era detto d'accordo con lui: a Leandro non interessavano i tipi come Stefano.

Terminata la cena, uscirono e Serafino chiese: "Che fate, adesso, raga? Dove andate?"

"A fare marchette." rispose in tono ovvio Stefano.

"Tu pure? Non fai vacanza, oggi che è il tuo compleanno?"

"Eh no, devo guadagnarmi i soldi che ho speso per pagarvi la cena, no?" gli rispose Stefano con un sorrisetto.

"Vieni anche tu, dai, così chiacchieriamo ancora un po'." gli disse Valerio.

Serafino non aveva niente da fare, perciò accettò e accompagnò gli amici fino al parco. Sedettero tutti e quattro su una panchina. Dopo poco passò un uomo che lanciò una lunga, eloquente occhiata ai quattro ragazzi e passò oltre. Alessio si alzò e lo seguì. Lo raggiunse, scambiarono qualche parola poi si avviarono assieme a passo veloce verso il viale.

"Fuori uno." commentò allegramente Valerio.

Si raccontavano barzellette, chiacchieravano di sport, specialmente di Valentino Rossi, di cui Valerio era infatuato.

"Con lui ci andrei pure gratis!" dichiarò infatti.

"Ahi, sei su una brutta china, se cominci già a dire che vai gratis con qualcuno..." lo prese in giro Stefano. Poi aggiunse: "Avete notato, raga, che noi quattro abbiamo tutti un anno di differenza, da Ale che ne ha ventidue a Vale che ne ha diciannove?"

"I quattro moschettieri." disse sorridendo Serafino.

"No, i quattro culattieri!" lo rimbeccò ridendo Valerio.

Serafino si alzò in piedi.

"Che, già te ne vai?" gli chiese Stefano.

"No, vado solo a dare acqua al canarino..." rispose Serafino e si allontanò andando fra i cespugli per vuotarsi.

Stava rimettendosi a posto quando sentì Valerio gridare: "La madama... telate!"

Serafino si accoccolò fra i cespugli e guardò: vide Stefano correre da una parte e Valerio nella direzione opposta, poi vide anche i due poliziotti che li rincorrevano. Si chiese che fare. Se usciva fuori potevano vederlo, forse gli conveniva restare lì, nascosto, e andarsene quando la via fosse stata libera.

Stava per decidersi a uscire, quando vide tornare indietro i due poliziotti, che si fermarono a due passi dal punto in cui era nascosto. Sentì che uno dei due ansimava.

Questi chiese all'altro, appena gli fu vicino: "Te ne sei lasciato scappare un altro, Raffaele, eh?"

"E tu no? E poi, cavolo, quello correva come una lepre."

"Io ho qualche chilo di troppo, ma tu sei il campione regionale dei cento metri: se volevi lo pigliavi e come! Come se non sapessi perché te lo sei lasciato scappare..."

"E dai, Guido..."

"E dai un cavolo. Quando sei in servizio devi scordarti che sei frocio e fare il tuo dovere. A letto fai cosa cazzo vuoi con chi cazzo vuoi. Ma quando sei in servizio... Guarda caso, tu non acchiappi mai nessuna di quelle marchette... Cos'è, ti pagano per non prenderli? O in cambio si lasciano fottere da te?"

"Sai che sei un bello stronzo! Cavolo, Guido, ti diverti a offendermi? Io il mio dovere lo faccio e come! Ma una volta che li abbiamo acchiappati, che facciamo? Se non li cogliamo sul fatto o se non hanno droga addosso, li dobbiamo lasciare andare, no? E allora perché cavolo..." ribatté un po' alterato.

"Lo sai gli ordini come sono, no? Lo sai, no? Il nostro compito è almeno scoraggiarli in modo che..." gli disse il collega più anziano, iniziando a fargli una lunga ramanzina.

Serafino aveva ascoltato tutto: un poliziotto gay... interessante. Doveva avere sui venticinque anni, aveva un bel viso dai tratti fini, un corpo atletico, ben fatto e indubbiamente l'uniforme gli donava. L'altro doveva avere cinque o dieci anni di più, era bene in carne, anche se non veramente grasso, e aveva un aspetto molto comune, banale. Non fosse stato in uniforme, sarebbe potuto passare per un qualsiasi impiegatuccio o operaio.

I due si allontanarono continuando a discutere a bassa voce ma animatamente. Quando i dintorni furono deserti, Serafino uscì dal suo nascondiglio e si avviò verso il punto in cui aveva parcheggiato la sua moto. Si guardava attorno, sperando di non essere visto dai poliziotti. Non gli avrebbero potuto fare niente, al massimo potevano controllare i suoi documenti, però non era mai stato fermato dalle forze dell'ordine e preferiva che non capitasse. Sapeva bene che, benché la legge non lo consentisse, in realtà la polizia schedava tutti gli omosessuali, specialmente le marchette.

Si infilò il casco, lo allacciò, inforcò la moto e mise in moto. Stava per partire quando vide arrivare, dalla direzione opposta, un'auto della polizia che procedeva lentamente. Vinse l'istinto di scappare, segnalò che si spostava a sinistra e, tranquillamente, partì.

Mentre incrociava l'auto della polizia, notò che a bordo c'era la coppia di poco prima e che il più giovane era alla guida e che i due stavano ancora discutendo. Si allontanò e vide nello specchietto retrovisore che l'auto continuava la sua marcia. Emise un lieve sospiro di sollievo e continuò a guidare verso casa, senza accelerare.

Mentre saliva in casa, ripensò al poliziotto gay... era un bel fusto e aveva un'espressione gentile, anche se decisamente virile grazie alla mascella un po' squadrata. Non aveva nessun poliziotto fra i suoi clienti. Magari non guadagnavano abbastanza per pagarsi una marchetta, e men che meno una di lusso come era lui.

Un poliziotto gay... beh, non c'era niente di strano, dopo tutto sono uomini come gli altri. E quello era pure molto ben fatto... Campione regionale dei cento metri... Chissà se era un campione pure a letto? si chiese con un sorrisetto. Tutto sommato gli sarebbe piaciuto farci un giro... su un letto, si capisce.

Quel poliziotto... com'è che si chiamava... Raffaele, aveva accennato a inseguire Valerio. Ma, a dire del collega, l'aveva lasciato scappare di proposito. Che cazzo di lavoro, per un gay, dover rompere le palle agli altri gay! Pensò che assomigliava vagamente a Raoul Bova.

Guardò l'orologio: erano già quasi le due. Non aveva voglia di farsi la doccia, l'avrebbe fatta la mattina dopo. Si spogliò nudo senza accendere la luce, approfittando del lieve lucore che entrava dalla finestra, e si infilò sotto le lenzuola.

Aveva passato una bella giornata. Gli occhi aperti nella semioscurità, a guardare le vaghe ombre sul soffitto, ripensò alla piacevole scopata fatta con Omar, poi all'allegra cena con gli amici. Si girò su un fianco e guardò verso il riquadro della finestra. Ripensò al suo cliente architetto che doveva incontrare la sera dopo, o per meglio dire di quello stesso giorno.

Sposato, con tre figli di cui la maggiore della sua età e il minore di dodici anni. Il che significava che, dopo essersi sforzato di compiere il suo dovere coniugale, da circa dodici anni non scopava più con la moglie. Gli aveva detto che lei s'era fatta un amante, ma non aveva nessuna intenzione di divorziare o separarsi da lui, dato che le dava una vita più che agiata.

"Tua moglie sa di te?" gli aveva chiesto una volta.

"No, credo che lei pensi che ho un'altra donna. Non ne abbiamo mai parlato, comunque. Fra noi non c'è più comunicazione, a parte le banalità del convivere cosiddetto civile."

"Ma allora, perché resti con lei?"

"Per un'immagine sociale. Ha ancora molto peso avere una regolare famiglia, specialmente nel mio ambiente."

"E come puoi essere sicuro che lei ha un altro uomo?"

"Perché ho fatto io in modo che si incontrassero, che si mettessero assieme... per poter essere più libero di farmi la mia vita. È un mio amico, so che spesso scopano."

"E tu... scopi con altri, oltre che con me?"

"No, mi va bene farlo con te. Mi basta. Non voglio legami. Un amante fisso mi creerebbe solo problemi. Cercarmi avventure mi esporrebbe troppo. Perciò va bene con te. Tanto più che quando ho voglia, propongo semplicemente a mia moglie di portare i ragazzi nella nostra villa sul lago di Bracciano. Lei capisce che ho bisogno di aver casa libera per 'la' mia amante. Abbiamo raggiunto un tacito equilibrio."

Serafino si chiese quante coppie cosiddette "normali", quelle che la chiesa e il papa si affannavano tanto a difendere, celassero situazioni analoghe a quella. Non poche, pensò.

L'architetto, infatti, non era il suo unico cliente "regolarmente" sposato. Sposato in chiesa, s'intende. A lui, il matrimonio fra gay davvero non interessava, ma lo irritavano certe difese d'ufficio della famiglia e la dichiarazione che i pacs sarebbero stati una minaccia a questa tanto decantata famiglia.

Non che non ci fossero famiglie, mogli e mariti, che stavano veramente bene assieme, che si amavano. Ma sapeva anche di coppie gay che stavano veramente bene assieme e che si amavano. E non vedeva come, non riconoscere loro certi diritti civili, potesse "salvare" le cosiddette famiglie regolari.

Certamente, la sua non era stata una famiglia regolare, nonostante fossero eterosessuali sia il padre che la madre... almeno per quanto ne sapeva. L'idea che il padre, un po' come l'architetto, potesse vedere... scopare di nascosto da tutti con un ragazzo, lo fece sorridere.

Per esempio, Leandro e Marta. Non avevano nessuna intenzione di sposarsi, sicuramente non scopavano assieme, eppure erano, in un certo senso, una bella coppia. E Leandro una volta gli aveva detto che lui avrebbe volentieri usufruito dei pacs per dare qualche diritto a Marta. E i due erano stati ed erano una vera "famiglia" per tanti di loro ragazzi.

Due persone, in un certo senso, strane, Leandro e Marta... ma sicuramente molto meno strane di suo padre e sua madre. Serafino non aveva niente contro i suoi genitori: lui non giudicava mai nessuno e tanto meno suo padre e sua madre; non sapeva perché si fossero comportati così, sia fra di loro che con lui... quindi non poteva giudicarli. Però, in un certo senso, per lui erano più "padre" e "madre" Leandro e Marta. E non solo per lui.

Si addormentò e sognò... Sogno Marta vestita da sposa, con il velo bianco, e Leandro in doppio petto blu scuro. Tutto attorno c'erano loro ragazzi, nudi come mamma li aveva fatti, e uno di loro scattava foto a Leandro e Marta, chiedendo loro di dire "cheese" e di guardare l'uccellino. Poi vide Emiliano e Omar, logicamente nudi anche loro, che lo prendevano uno per un braccio e uno per l'altro e lo tiravano, chiedendogli sottovoce, insistentemente di andare a scopare.

Lui era indeciso, si lasciava strattonare, quando si sentì un grido: "La madama, telate!" e tutti scappavano a gambe levate in tutte le direzioni, Leandro con le sue macchine fotografiche, Marta col treppiede sotto il braccio e le sottane di pizzo sollevate per correre meglio. Spuntavano poliziotti da ogni dove, e ognuno inseguiva uno dei ragazzi.

Lui, Serafino, improvvisamente lasciato libero dai due amici, era caduto a terra, sul prato. Stava tentando di rialzarsi in piedi per fuggire, quando vide fermarsi davanti a sé un paio di scarpe nere, lucide, con su calzoni carta-da-zucchero con le bande viola. Guardava su su per il corpo del poliziotto, e vedeva che era Raffaele, che gli puntava contro la pistola.

Serafino riuscì ad alzarsi in piedi e a scappare a gambe levate, veloce come il vento. Ma quel Raffaele fece uno scatto e, prima che avesse percorso i cento metri, lo aveva afferrato per un braccio con una presa salda, forte.

"Vieni..." gli aveva detto con voce bassa e calda, mettendo via la pistola e l'aveva condotto con sé, fra i cespugli.

Lì, c'era un grande letto a baldacchino, con tende di bianco velo, come quello dell'abito da sposa di Marta, che ondeggiavano al vento. Il poliziotto ve l'aveva sospinto sopra e Serafino vedeva che anche lui ora era nudo... Pareva proprio il gemello di Raoul Bova... Gli sorrideva con espressione lasciva...

"Se ti lasci fottere da me, quando faccio le retate, ti lascio sempre scappare." gli diceva.

Una voce fuori campo, esclamava: "Allora avevo ragione io! Frocio d'un poliziotto!"

Raffaele - Raoul Bova sorrideva e gli diceva: "E dai, Guido, non rompere. Va a fa'n culo e lasciami divertire in pace con questo bel pischello, dai!"

Purtroppo, Serafino non si ricordava il resto del sogno...


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