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una storia originale di Andrej Koymasky


IL BEL RAGAZZO CAPITOLO 5 - PROGETTO PER UNA BEFFA

Serafino lo guardò con espressione stupita. Sinceramente stupita, perché non s'aspettava che glielo dicesse così.

"Un poliziotto... gay?" gli chiese sgranando gli occhi e riprendendo a recitare.

"Anche noi poliziotti siamo uomini, e ora anche donne, come tutti gli altri, no? Ti sembra tanto strano? Sì, sono gay. Sì, sono poliziotto. Ma soprattutto... sono Raffaele."

"Cioè?"

"Cioè... cos'è gay? Sono tutti uguali, tutti fatti con lo stampino? E cos'è poliziotto? Trovamene due uguali e ti do un milione di euro. C'è di tutto fra di noi... non siamo una categoria. Tu chiederesti a un tranviere: sei un tranviere gay? Ti stupirebbe tanto?"

"No... no, però... Se i tuoi capi..."

"Lo sanno e... fanno finta di niente, finché faccio il mio dovere. Sono quasi sicuro che lo sanno, anche se non me ne hanno mai parlato. Mica sono l'unico, d'altronde. Una volta era diverso: mi avrebbero congedato su due piedi. I miei colleghi lo sanno, e a parte qualche battutina scema... non gliene frega."

"Ma tu... quando ti mandano a fare retate dove battono i gay... Ti ci mandano, no? Che fai?"

"Per la legge italiana, non è un reato."

"Ma le fate, le retate, no?"

"La prostituzione è un reato, lo sfruttamento, specie dei minori. Quello che fanno due adulti, di comune accordo, a casa loro, nel loro letto, non ci riguarda."

"E perché la prostituzione deve essere un reato?"

"È la legge. Se la legge cambia, non è più un reato. Ma almeno per ora, vendere il proprio corpo..."

"E allora, non vende il proprio corpo l'operaio, l'impiegato, tutti i lavoratori dipendenti?"

"È diverso. Vendere sesso..."

"Scusa, Raffaele, per te è più importante il tuo cervello o il tuo cazzo?"

"Eh? Beh, il cervello, si capisce." rispose un po' stupito da quella domanda.

"E allora, chi vende il cervello a una ditta per sette ore al giorno, non è peggio di chi vende il sesso a un'altra persona per qualche ora?"

"Ma..." iniziò a dire Raffaele, però non continuò.

Serafino sorrise dentro di sé: l'aveva messo in confusione e ne provò un sottile piacere.

"Ma vendere sesso è immorale."

"Perché? Perché lo dicono i preti?"

"La maggioranza la pensa così..."

"Dice di pensarla così e poi, se anche non va a puttane, comunque mette le corna alla moglie... o al marito. Una mandria di ipocriti, secondo me. Ipocriti benpensanti."

"Non so... non..."

"E lo sai cos'è un benpensante? È uno che è convinto di pensare ma non fa altro che mettere in ordine i suoi pregiudizi."

"Però... tu hai detto che... che non l'hai fatto manco solo per divertirti, quindi... quindi anche tu pensi che il sesso è una cosa che non si deve sprecare, prendere alla leggera, no?

Serafino fece spallucce: non poteva "difendere" troppo la sua presa di posizione senza smentire il "personaggio" che stava interpretando con l'attraente poliziotto.

Poi, assumendo un tono incerto che gli pareva appropriato, disse: "Ognuno di noi è fatto a modo suo... e decide che cosa è giusto per lui... penso." Poi, abilmente, cambiò discorso. "Vivi da solo?" gli chiese.

"Per ora sto in caserma. Però mi sto cercando un buchetto tutto per me."

"Come facevi, quando stavi con quello spogliarellista?"

"Andavo da lui."

Camminando avevano fatto un ampio giro ed erano giunti dove Serafino aveva la sua moto.

"Bella... Ma come fai a pagarti casa, e una moto così bella, se sei disoccupato?"

Serafino rifletté rapidamente: "Beh, t'ho detto che faccio qualche lavoretto in nero, no? E poi... i miei quando me ne sono andato da casa m'hanno aperto un buon deposito in banca... anche se ormai sta quasi per finire." inventò.

"Che lavoro ti piacerebbe fare?"

"E chi lo sa. Te l'ho detto che ho solo la terza media... Farei qualsiasi lavoro che mi faccia campare decentemente. E tu, com'è che hai deciso di fare il poliziotto?"

"Un lavoro come un altro. Un mio cugino che sta nella polizia m'ha detto di provare a fare domanda e m'hanno preso. Sono sette anni che faccio 'sto lavoro. Un lavoro come un altro." ripeté.

"Beh, Raffaele, s'è fatto tardi. Io vado a casa..." gli disse, domandandosi se gli avrebbe proposto di accompagnarlo.

"Sì, va bene. Grazie per la bella serata."

"Grazie a te. Sono stato bene con te."

"Allora... ci si può rivedere?" gli chiese Raffaele con una evidente luce di speranza negli occhi.

"Mah, perché no? Vuoi il numero del mio cellulare?"

"Mi farebbe piacere. E ti do il mio..."

"Basta che mi chiami una volta, che ce l'ho." gli disse e gli dettò il numero.

Raffaele lo digitò sul suo cellulare. "Beh... buona notte, Serafino. Sono contento d'averti conosciuto."

"Anche io. Fatti vivo." rispose Serafino.

Si mise il casco, lo allacciò, gli fece un segno di saluto e partì. Pensò che era strano che non ci avesse provato: era evidente che Raffaele si sentiva attratto da lui. Si era aspettato che tentasse "l'imbrocco", come dicevano loro ragazzi. Se Raffaele avesse avuto un posto, tutto sommato, ci sarebbe pure andato a letto almeno una volta, per vedere quanto valeva sul piano sessuale.

Il poliziotto ballava molto bene e Serafino aveva notato che, solitamente, chi si muove bene in pista, si muove bene anche su un letto.

Mentre saliva in casa il suo cellulare segnalò che aveva ricevuto un sms. Controllò pensando che potesse essere Raffaele. Vide che proveniva da Emiliano. Il messaggio diceva: "te lo 6 fttut il bl plztt? skp bn?"

Entrò in casa e rispose con un altro messaggino: "No ancora niente. E tu hai troieggiato col burino?" A Serafino non piaceva usare tutte quelle abbreviazioni che ti fanno penare a capire che cosa volessero dire.

Giunse subito la risposta: "altrké! un vr torll da mnt. prò prfrsk ankr te, stlln!"

Serafino si chiese sorridendo se "stlln" stesse per "stallone" o "stellina"... termini, entrambi, che Emiliano usava spesso e volentieri. Si spogliò, fece una rapida doccia per togliersi di dosso la stanchezza, si lavò i denti e stava per mettersi a letto, quando arrivò un altro sms.

Questa volta veniva da Raffaele. "Adesso hai il mio numero. Grazie ancora per la bella serata. A presto, spero."

Si chiese se rispondergli subito o no. Dopo una breve esitazione, rispose: "Grazie a te. Bella serata davvero. Fatti vivo."

Si mise a letto e si addormentò quasi immediatamente.


Nei giorni seguenti non incontrò Raffaele, ma si scambiarono qualche messaggino. Quando Serafino incontrò Alessio, Stefano e Valerio, raccontò loro di Raffaele.

"Quale, quello che inseguiva me?" chiese Valerio. "Cazzo, se lo sapevo, mi lasciavo prendere da quel bonazzo e c'avrei fatto tutto quello che voleva! Almeno ero sicuro che un'altra volta non mi avrebbe rotto le palle."

"Ma mica sono sempre gli stessi..." gli fece notare Alessio.

"E invece sì, mandano più o meno gli stessi nello stesso posto, perché così lo conoscono meglio e ci riconoscono meglio." disse Stefano.

"Secondo me, quello ha voglia di scopare con me, anche se la sta prendendo alla larga..." osservò Serafino.

"Beh... e se tu te lo porti a letto... dopo che ti sei divertito, puoi convincerlo a lasciarci in pace." suggerì Stefano.

"E come? Quello deve fare il suo lavoro, no?" obiettò Serafino.

"Beh... Se tu gli fai di nascosto qualche foto mentre scopate..." suggerì Alessio, "... anche se i suoi capi sanno di lui, come dice, come credi che reagirebbero se minacci di vendere le foto a qualche giornale?"

"No, non funzionerebbe. Va a finire che poi lo schiaffano dentro per ricatto e buttano via la chiave. Troppo rischioso." disse Stefano.

"Però... tanto per divertirmi un po'... per fargli vedere che non è tanto diverso, tanto migliore di noi..." mormorò Serafino con un sorrisetto malizioso.

"E come faresti, per le foto?"

"Beh... posso nascondere una cinepresa digitale da qualche parte."

"Ma se non hai mai voluto nessuno da te, neanche noi che siamo i tuoi amici!" obiettò Valerio.

"Potrei fare un'eccezione." disse pensieroso Serafino, continuando a sorridere divertito dall'idea.

"Se filmi le vostre scopate... ce le fai vedere?" gli chiese Alessio.

"Questo non lo so. Vedremo."

"Ma davvero, Serafino... davvero lo faresti?" gli chiese Stefano.

"Ci sto pensando."

"Ma perché? Per cosa?" insistette Stefano.

"Perché a me poliziotti e carabinieri stanno sulle palle. Per prenderlo per il culo. Per fargli abbassare la boria. Per fargli vedere che non è migliore di noi."

"Da come ce l'hai descritto, non mi pare un tipo tanto male. Cos'hai contro lui?" chiese ancora Stefano.

"Contro lui niente, ma contro quello che rappresenta, sì." affermò Serafino.

Era sempre più convinto della sua idea, della beffa che avrebbe giocato all'atletico poliziotto. Sì, doveva dargli corda... doveva fargli perdere la testa... E quando avesse avuto abbastanza materiale scottante, invitarlo con gli amici e fargli vedere, davanti a tutti, le scene che aveva girato.

Andò a comprare una piccola ma potente cinepresa digitale e si allenò a usarla, con il telecomando. Soprattutto in casa, nella camera da letto. Studiò dove e come nasconderla in modo di avere un buon angolo di ripresa. Frattanto continuava a scambiare messaggi con l'ignaro Raffaele.

E finalmente, il poliziotto gli telefonò: "Serafino, disturbo?"

"No, Raffaele, no, per niente. Anzi, sono contento che..."

"Senti, sei libero domani sera?"

"Per cosa?"

"Io sono libero e... se ti va... mi piacerebbe che ci vediamo di nuovo."

"Al disco?"

"No. Pensavo... sai dov'è la Capannina di Villa Ada?"

Serafino lo sapeva ma, per il suo "gioco", rispose: "No..."

"Prendi la Via Salaria, poi quando sei a Villa Ada, segui le indicazioni per le Catacombe di Priscilla. La Capannina è quasi di fronte, poco più in là..." spiegò Raffaele, dandogli poi anche altri riferimenti.

"Credo di aver capito. A che ora?"

"Verso le dieci e mezza, ti va bene?" gli chiese Raffaele.

"Sì, certo. A domani, allora."

Bene, pensò Serafino, si dà inizio alle danze. Doveva fargli perdere la testa, farlo magari innamorare... Era anche una specie di vendetta per come aveva trattato quello spogliarellista. Doveva farsi passare per un ragazzo "ingenuo", "pulito" come gli aveva detto quella sera in discoteca, poi sbattergli in faccia la realtà. Rise all'idea, immaginando la scena.

Quel giorno incontrò Emiliano e lo mise a parte del suo progetto.

"Chi, Raoul Bova? Beh, almeno, prima di far calare il sipario sulla commedia, goditelo. Un bel manzo come quello, vale la pena di spupazzarselo un po'." gli disse ridendo. "Ma poi, li fai vedere pure a me i filmini che fai, no?"

"Mi sa che siete in troppi a volerli vedere. Dovrò farvi pagare il biglietto, per vederli."

"Anche a me? Dopo che ti lascio divertire come ti pare e piace col mio culetto?"

"Ringraziami, piuttosto, che non mi faccio anche pagare per fotterti: a te piace e ti diverti pure più di me." controbatté Serafino in tono divertito.

"Ehi, se non la pianti di prendermi in giro, guarda che ti chiamo Sera, o anzi Fino!"

"E io ti chiamo Emili, o anzi Ano!"

Risero tutti e due, e continuarono a stuzzicarsi amichevolmente. A modo loro, i due ragazzi erano veramente affezionati uno all'altro. Serafino considerava Alessio, Stefano e Valerio buoni amici, ma nei confronti di Emiliano provava un affetto speciale, lo considerava più che un amico ed era ricambiato.


La sera del giorno seguente, dopo aver cenato, Serafino si preparò per l'appuntamento con Raffaele. Decise di vestirsi esattamente come quando l'aveva conosciuto in discoteca. Per tempo, si recò a Villa Ada, accanto alle catacombe di Priscilla.

La Capannina era un chiosco che vendeva street food e bevande. Era "abusivo" e oggi non c'è più. C'era sempre musica di sottofondo, quattro tavoli con sedie di plastica un tempo bianca ma ora d'un grigio quasi uniforme, all'aperto, da un lato, sotto un pergolato di vite americana.

Serafino vi arrivò verso le dieci e un quarto. C'erano solo due coppiette sedute fuori; altri arrivavano, ordinavano e andavano via. Ordinò una coca-cola e sedette a un tavolo libero. Una singola lampada dal bulbo nudo illuminava fiocamente il sotto-pergola, e questo creava un'atmosfera più intima che non la forte luce che la Capannina proiettava sul davanti. Le due coppiette che già erano lì ne approfittavano per pomiciare, senza troppi problemi.

Serafino lasciò vagare i suoi pensieri a ruota libera. Era in anticipo e si chiese se Raffaele fosse o no un tipo puntuale. Ripensò a Emiliano, a Omar e si chiese come sarebbe andata con il poliziotto.

I suoi pensieri furono improvvisamente interrotti da una voce: "Documenta!" e due mani gli si posarono, forti, sulle spalle.

Sussultò e rovesciò indietro il capo: il volto sorridente di Raffaele lo guardava. Rise: "Da dove spunti? Non t'avevo visto arrivare!" gli disse distendendosi di nuovo.

Nella penombra ne distingueva bene il volto maschio, gli occhi luminosi, le labbra morbide e semiaperte piegate in un lieve sorriso in cui si intravedeva la chiostra di denti bianchissimi.

"Si sta bene, questa sera." disse Raffaele aggirandolo e andando a sedere di fronte a lui.

"Sì, si sta proprio bene." rispose Serafino guardandolo.

Questa volta Raffaele indossava jeans celeste chiaro e una polo bianca con i bordi blu.

"È tanto che mi aspetti?" chiese il giovanotto stendendo una mano e sfiorando la sua.

Serafino guardò l'orologio: "Sei un po' in anticipo... sono solo dieci minuti che sono qui."

"Pensavo di arrivare prima di te... Poi t'ho riconosciuto e ho fatto il giro largo per non farmi vedere. T'ho fatto paura?"

"Non proprio... Non ho niente da nascondere."

Si misero a chiacchierare, del tempo, poi del lavoro di Raffaele, poi della qualità della vita, poi di se stessi, di quello che pensavano, volevano, speravano, e ordinarono un gelato, che Raffaele volle assolutamente offrire, con la scusa che Serafino era disoccupato.

Il tempo scorreva via veloce, presto restarono solo loro due sotto la pergola. Serafino aspettava che Raffaele facesse un passo, una proposta, che gli facesse capire, gli esprimesse il proprio desiderio. Ma non accadeva nulla. Serafino, d'altronde, non intendeva fare il primo passo.

All'una di notte il ragazzo che lavorava nel chiosco li avvertì che stava per chiudere, però disse loro che se volevano restare ancora potevano, perché lasciava fuori le sedie che nessuno avrebbe rubato. Perciò decisero di stare lì ancora per un po'.

Quando il ragazzo spense tutte le luci, i due si trovarono quasi al buio, attenuato solo dalla luce della luna. Poi quello se ne andò, salutandoli e augurando loro la buona notte.

La mano di Raffaele allora si avvicinò a quelle di Serafino, che erano poggiate sul ripiano del tavolo, le raggiunse e le prese in una stretta forte e calda, quasi a trasmettergli il suo desiderio di una maggiore intimità che a voce non sapeva, o voleva, o riusciva a esprimere.

Quasi come in una scena al rallentatore, si chinarono entrambi sul piccolo tavolo avvicinando i volti. Entrambe le mani di Raffaele salirono lievi lungo le braccia di Serafino, poi al suo viso che accarezzò lievemente. Emise un basso sospiro tremulo e attirò con delicatezza il volto al suo.

Gli depose un lieve bacio, quasi scherzoso, sulla punta del naso, poi gli si accostò di più e gli sfiorò le palpebre con le labbra, e infine scese a sfiorare le sue, in un bacio delicato, tenero, sfregando lievemente, finché Serafino le schiuse. Allora Raffaele vi passò sopra con la punta della lingua, che Serafino catturò fra le labbra e succhiò delicatamente, assaporando il gusto lieve e fresco della saliva del giovanotto.

Poi le loro lingue si fecero più ardite; si incontravano, si ritraevano, giocherellavano una con l'altra, esploravano, scendevano più a fondo mentre l'altro suggeva. Frattanto le loro mani spaziavano calde e lievi sul collo, le spalle e i fianchi dell'altro. Istintivamente, Serafino chiuse gli occhi: gli piaceva quel contatto così tenero, discreto, quasi timido.

Nessuno dei due era ancora sceso con le mani oltre la vita dell'altro, e anche se Serafino ne provava la tentazione, anche se desiderava saggiarlo fra le gambe per sentirne lo stato, la consistenza, si regolava su quanto Raffaele faceva.

In un certo senso, per Serafino quella situazione era completamente nuova. Né con gli amici, né tanto meno con i clienti, aveva mai avuto quel tipo di contatto così lieve, così tenero eppure così eccitante. Pensò che era incredibilmente piacevole.

Dopo un poco, Raffaele si ritrasse e le loro labbra si staccarono. Si guardarono e Serafino fu colpito per la luminosità degli occhi dell'altro. Raffaele sorrise.

"Sono giorni che desidero baciarti..." sussurrò. "Grazie. È stato molto bello... almeno... per me."

"Nessuno mai mi ha baciato così." ammise Serafino.

Quello che voleva dire, in realtà, era che quando faceva sesso con quelli dei suoi clienti a cui piaceva baciare, i loro baci erano sempre quasi un assalto, un'aggressione, mai così teneri e dolci. Raffaele però interpretò male quella frase.

"Beh, sei ancora giovane e... hai poca esperienza."

"Sì." confermò Serafino, rendendosi però conto dell'equivoco.

"Ti va di fare due passi per il parco?" gli propose Raffaele.

Serafino ne fu lievemente sorpreso: si era aspettato che l'altro tornasse alla carica mirando a qualcosa di più... spinto di più concreto. Dove stavano, tutto sommato, era il posto adatto per fare qualcosa, anche per scopare, eventualmente.

Comunque il ragazzo annuì. Raffaele gli prese la mano e si alzò. Camminarono così, la mano nella mano, lentamente, in silenzio. Refoli di un venticello lieve si sollevavano di tanto in tanto, facendo stormire le fronde. Da qualche parte giunse un lungo miagolio a cui rispose un altro: parevano quasi il pianto di un neonato. Gatti in fregola, pensò divertito Serafino.

La luna era quasi piena e pareva sorridere su in alto, nel cielo vagamente luminescente per il riflesso delle luci della città. Sempre in silenzio, seguirono il viottolo sinuoso, che saliva dolcemente in direzione di Monte Antenne. Di tanto in tanto Raffaele stringeva lievemente la mano e Serafino rispondeva alla stretta.

Giunti dove il vialetto tornava indietro con una curva ad U, Raffaele lo guidò nel prato, si inoltrarono, poi sedettero sull'erba, uno di fronte all'altro, tenendosi ancora per mano. Raffaele gli sorrise, gli cinse la vita con un braccio e lo tirò gentilmente a sé. Serafino gli mise le gambe a cavallo delle sue, attorno alla vita. Ripresero a baciarsi teneramente, dolcemente, come prima.

Quando le loro bocche si staccarono, Serafino disse: "Qui ci possono vedere tutti..."

"Non c'è nessuno."

"Potrebbero venire i tuoi colleghi e..."

"Da qui li vedremmo in tempo. E poi, qui non si batte, è troppo scoperto. Quindi non viene nessuno qui, a quest'ora."

Si baciarono di nuovo, carezzandosi la nuca, la schiena. Serafino lo sentì fremere. Scivolò più avanti, allargando un po' le gambe, finché sentì l'erezione del poliziotto contro la sua. Bene, pensò, si sta cuocendo a puntino.

Ma Raffaele si staccò da lui e scivolò lievemente indietro, interrompendo quel contatto così intimo. Guardò l'orologio: "Abbiamo oltrepassato le due... forse è meglio che... che andiamo."

"Non hai problemi a tornare così tardi in caserma?"

"Non è veramente una caserma. Ognuno di noi ha la chiave, e quando non è in servizio, torna all'ora che vuole."

Serafino voleva quasi chiedergli se poteva passare la notte fuori, sperando che Raffaele gli chiedesse di andare da lui, ma, fedele al copione che s'era imposto, non disse nulla.

"Domani sono di servizio abbastanza presto, perciò è meglio se vado a dormire. Anche se resterei qui con te ancora. Fino all'alba. Sto troppo bene, con te. Purtroppo non posso."

"Anche io sto molto bene con te."

"Sì..." sussurrò Raffaele.

Si alzò e gli tese la mano, aiutandolo ad alzarsi. Sempre tenendosi per mano, scesero verso la Salaria. Quando, da lontano, videro altra gente, Raffaele gli lasciò la mano.

"Dove hai la moto?" gli chiese.

"Là..." indicò Serafino. "Vuoi che ti porti da qualche parte?"

"No, grazie. Io ho l'auto dall'altra parte... ci lasciamo qui, perciò."

"Che auto hai?"

"Una Nuova Cinquecento. Ma non una Cinquecento nuova, l'ho comprata di seconda mano da un collega. L'aveva tenuta bene e l'ho pagata poco."

"Mi telefoni?"

"Certo, volentieri. A presto, allora."

"A presto."

"Ciao."

"Ciao."

Serafino sentì che Raffaele non aveva voglia di andare e sorrise dentro di sé.

"Buona notte e sogni d'oro." gli sussurrò Raffaele.

"Anche a te."

Finalmente si separarono. Quando Serafino arrivò alla moto, si girò indietro a guardare. La strada era deserta. Passò una Cinquecento, ma al volante c'era una donna di mezza età. Inforcò la moto e tornò a casa.

Ripensava ai baci che s'erano scambiati... Avrebbe giurato che Raffaele sarebbe andato oltre, ed era un po' stupito di essersi sbagliato. "Beh, prima o poi ci cascherà." si disse a mezza voce.

Comunque, doveva ammetterlo, baciava molto bene. Sapeva farti venire la voglia di farlo ancora, e ancora, e più intimamente. Non erano quei baci assatanati, ardenti, sì, ma quasi violenti, che certi suoi clienti gli davano. C'era un'incredibile tenerezza nei baci di Raffaele, e comunque erano assai piacevoli. E la sua bocca aveva un buon sapore... un sapore... genuino.

Avrebbe fatto una bella scopata anche là sul prato, nonostante il pericolo, se Raffaele non si fosse ritratto. Aveva saputo farlo eccitare più e meglio di tanti suoi clienti. Spense la luce e si mise a letto. Stava per addormentarsi, quando sentì il segnale dell'arrivo di un messaggino. Scese dal letto, lo estrasse dalla tasca dei calzoni e lo accese. Come s'aspettava, era di Raffaele.

"Mi stai pensando?" c'era scritto.

"Sì." rispose immediatamente.

Appoggiò il cellulare sul comodino e si rimise a letto. Aspettò per qualche minuto che arrivasse un altro messaggino e si addormentò nell'attesa, pensando che Raffaele gli stava cadendo fra le braccia come una pera cotta.


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