Serafino toccava davvero il cielo con un dito, e più passavano le settimane, poi i mesi, più si sentiva felice, rinato. Ora guadagnava abbastanza meno di prima, ma a sufficienza per vivere e comunque aveva scoperto di preferire di gran lunga questa vita modesta a quella che aveva condotto prima. Raffaele aveva un carattere dolce, tenero, ma anche forte e deciso. Era davvero l'uomo ideale, l'uomo che il destino gli aveva mandato per dare sapore, odore, senso alla sua vita.
A volte incontrava ancora i suoi vecchi amici: raramente Omar, più spesso Emiliano, con nessuno dei due, però, aveva mai più fatto sesso. Andava anche a trovare di tanto in tanto Leandro, Marta e Claudio e si intratteneva piacevolmente con loro, decantando le lodi del suo Raffaele e della sua nuova vita. Di rado si vedeva anche con Stefano, Valerio e Alessio.
"Ma sei felice davvero?" gli aveva chiesto una volta Emiliano.
"Non lo vedi da solo? Certo, mi piacerebbe se Raffaele potesse venire a vivere con me, o se mettessimo su casa assieme, ma lui ancora non può. Sai, gli danno il permesso solo quando si sposano oppure oltre una certa età. E comunque non può mica dire che viene a vivere con me."
"E come vai a soldi?"
"Me la cavo. Non male. Certo, posso allargarmi meno di prima, ma mi va bene così. Ho avuto fortuna a conoscere Raffaele."
"E dire che volevi fregarlo... prenderlo per il culo."
"Non lo conoscevo ancora. Per me era solo un poliziotto... Uno dei tanti stronzi poliziotti."
"Cazzo, Serafino, quasi non ti riconosco. Beh... comunque sono contento per te. L'importante è che sei felice. Mi dispiace solo che... non ho ancora trovato nessuno che fotte bene come facevi tu. Né un bel ragazzo come te."
"Troverai, troverai... Continui ad andare da Leandro, no? Prima o poi troverai qualcuno, magari anche meglio di me."
"Mah... sarà!" gli rispose l'amico facendo spallucce. "Ma fino a ora non ho trovato. Sì, qualche scopata la rimedio, ma non è più la stessa cosa."
"Mi dispiace per te; però, capisci..."
"Ma sì che ti capisco. Cavolo, ma che cambiamento hai fatto! Però... è vero... sei più luminoso e bello che mai. La cura Raffaele deve essere un ottimo ricostituente."
"Puoi dirlo forte!" gli rispose lietamente Serafino.
Sì, Serafino era veramente felice, prima di tutto per l'amore di Raffaele, poi anche per la sua nuova vita.
Aveva fatto fare le copie delle chiavi di casa sua, in modo che Raffaele potesse andarci quando voleva. Non erano veramente necessarie, ma erano come un simbolo. Quando Serafino sentiva le chiavi girare sulla toppa, immediatamente si sentiva eccitato, il suo desiderio si risvegliava come per incanto.
A volte pensava che era tutto "troppo bello"... e non sapeva quanto avesse ragione.
Infatti, un brutto giorno, accadde che uno dei ragazzi di Leandro, per qualche dissidio avuto con il fotografo, decise di vendicarsi, di fargliela pagare andando a denunciarlo per sfruttamento della prostituzione. Arrivarono i carabinieri che perquisirono la villa, sequestrarono le foto, gli schedari, il cartellone con le "dodici regole" e tutto ciò che potesse incriminarlo.
Diversamente dal solito, qualche zelante P.M. mandò avanti rapidamente la cosa, per farsi un nome, e tutti i giornali parlarono del nuovo "scandalo". E, avendo trovato il suo nome nello schedario di Leandro, anche Serafino Molina fu citato come "persona informata dei fatti" e così il suo nome comparve sui giornali.
Qualcuno dei ragazzi, messo sotto pressione dalla polizia e dagli inquisitori, aveva rivelato che parecchi di loro facevano anche marchette, e venne fuori anche il nome di Serafino. I giornali ebbero, chissà come e da chi, l'elenco degli indiziati, così vi comparve anche, fra quelli che si prostituivano, Serafino Molina. Nome e cognome per esteso, dato che non erano minorenni.
Il ragazzo, per difendere Leandro, aveva negato di prostituirsi, aveva insistito che loro andavano lì solo per le foto, cosa d'altronde vera. Aveva spiegato che il foglio con le dodici regole era solo una serie di consigli per quelli che facevano la vita, ma che non aveva nessun significato. Giurò che Leandro non aveva mai spinto nessuno a prostituirsi, non aveva mai procurato clienti ai ragazzi.
Però, accadde che Raffaele, leggendo gli articoli sullo "scandalo Forleo", trovasse il nome di Serafino e lesse che la sua posizione, da persona informata dei fatti, era diventata quella di imputato per prostituzione.
Serafino aveva subito immaginato che Raffaele sarebbe venuto a sapere tutto di lui perciò, nervosamente, si stava preparando a fronteggiarlo, chiedendosi se dovesse attendere la reazione del suo amante o precederla chiamandolo e affrontando con lui la faccenda.
Comunque decise di non nascondergli più niente, che la migliore linea di condotta sarebbe stata dirgli tutta la verità: era sicuro dell'amore di Raffaele, del proprio amore per lui e si diceva che il suo uomo avrebbe apprezzato il fatto che aveva cambiato completamente vita per lui.
Ma, purtroppo, non andò affatto così.
Raffaele, la stessa sera in cui era comparso l'articolo con il suo nome sul giornale, arrivò a casa sua ed entrò come una furia. Lo accusò delle peggiori cose, gli rinfacciò tutte le sue bugie, gli gridò in faccia che gli faceva schifo... Inutilmente Serafino cercò di farlo calmare, ragionare, di fargli capire che lui lo amava veramente, che aveva cambiato vita solo per lui... Inutilmente.
"Non t'ho detto niente, prima, perché sapevo come hai trattato quel ragazzo che fa lo spogliarellista... Ma io..." tentò di spiegargli, in tono accorato.
Ma Raffaele lo interruppe: "Lui, per lo meno, non si vendeva, non si prostituiva! Tu, invece... Mi fai schifo, schifo, schifo, non lo capisci? Mi hai sempre preso per il culo!" gli disse con veemenza, con rabbia, con disprezzo.
"No... No, giuro... Io... io all'inizio... è vero... pensavo di prendermi gioco di te, lo confesso. Però... però presto tu... tu m'hai... m'hai aperto gli occhi e..." balbettò Serafino.
"Sì, e facevi la mammoletta, facevi finta d'essere candido, ingenuo e puro. M'hai fatto credere che io ero il tuo primo uomo! E invece eri solo... sei solo un sacco di merda! Una sporca puttana, uno schifoso culattone, ecco cosa sei..."
"Lo ero!" gridò Serafino per sovrastare la furia di Raffaele. "Lo ero, sì, lo ero. Ma... ma non lo sono più... no, non lo sono più, per te! Per te, capisci? Mi sono trovato un lavoro, guadagno meno di prima e non mi importa... l'ho fatto per te!"
"Ma non mi rompere il cazzo e torna a battere il marciapiede, allora, torna a guadagnare e a fare la troia come sei!" gli urlò Raffaele, paonazzo.
Poi gli gettò contro il viso le chiavi dell'appartamento, con rabbia, con forza, e gli sputò anche in faccia e uscì come una furia, sbattendosi dietro la porta con tale violenza da far tremare i vetri della stanza.
Serafino restò per un attimo immobile come una statua, incredulo. Poi si lasciò lentamente scivolare a terra, sentendosi completamente svuotato, e scoppiò in lacrime. I singhiozzi lo scuotevano con violenza, si sentiva mancare il respiro, anzi, si sentiva scoppiare il cuore.
Rimase a terra per ore, incapace di muoversi; il freddo delle piastrelle penetrava in lui; ma non tremava per questo, quanto per l'intensità del dolore che lo stava dilaniando.
Poi, a notte inoltrata, si trascinò fino al letto e vi si gettò, vestito. Non riuscì ad addormentarsi, non faceva che piangere, singhiozzare. Si sentiva finito, perso.
"Quando uno vive per anni nella merda, per quanto si lava, continua a puzzare..." si disse in un lungo gemito simile a quello di un animale ferito.
Quando spuntò l'alba, tremando ancora come una foglia, prese il telefonino e mandò a Raffaele un messaggio.
"Ti prego, torna... parliamo ancora... io ti amo..."
Passò un'ora, un'ora e mezzo, poi il telefonino mandò il segnale. Lo accese immediatamente: vide, deluso, che proveniva da Emiliano. Non lo lesse. Attese ancora... Notò che il sole ora era alto. Guardò l'orologio: era quasi mezzogiorno. Il telefonino squillò e il cuore gli balzò in gola. Rispose immediatamente, senza guardare il numero di chi chiamava, sperando che fosse...
Ma non era Raffaele, era il suo capo.
"Serafino che cazzo fai, perché non sei venuto al lavoro!" gridò la voce di Cristiano.
"Oh, signor Fusato... non mi sento... bene..."
"E potevi almeno avvertire, no, che cazzo! Che hai? Che ti senti? La febbre?"
"No... Io... io... I giornali..."
"Che cazzo c'entrano i giornali? Che me ne frega dei giornali e di quello che dicono di te! Marchetta o no, c'è il lavoro da fare... Datti una mossa!"
"Non gliela faccio, davvero..."
"O vieni immediatamente, o io..."
"Non posso. Non gliela faccio!" gridò Serafino, esasperato. "Non posso proprio!"
"E allora cercati un altro lavoro! Non ci si comporta così, che cazzo! Non ti rendi conto del danno che..."
"Ma va a fa'n culo!" gli urlò Serafino e chiuse la comunicazione.
Poi decise di mandare un altro messaggio a Raffaele: era l'unica cosa che gli interessava, ora.
"Ti prego, ti scongiuro, dammi ancora una possibilità."
Niente. Nessuna risposta. Nessuna reazione. L'orologio già segnava le quattro di pomeriggio.
Allora, tremando di nuovo da capo a piedi, digitò il numero di Raffaele. Udì il segnale di libero, tre, quattro squilli, poi il segnale si interruppe, si udì uno scatto, poi udì il segnale di occupato. Raffaele aveva riconosciuto il suo numero e aveva staccato, senza starlo a sentire.
Chiamò di nuovo, poi di nuovo, due, tre, quattro volte, sempre con lo stesso risultato.
Serafino tentò in tutti i modi di mettersi in contatto con Raffaele, ma invano. Finché decise di chiamarlo da un telefono pubblico, così non avrebbe riconosciuto il suo numero.
"Pronto!" tuonò la voce di Raffaele.
"Ascoltami. Non chiudere!" gemette Serafino.
"Che cazzo vuoi?"
"Io... io ti amo, Raffaele..."
"Hahaha!" fu la risata sarcastica, forzata, crudele del poliziotto.
"Ti amo. Ti amo..."
"Ma piantala! Scompari dalla faccia della terra, che è meglio, culattone!" gli rispose Raffaele in tono freddo, poi aggiunse: "E smettila di chiamare o finisci male!"
"Peggio di così..."
"Lasciami in pace, capito?"
"Ma io davvero ti amo, non ho che te..."
"Crepa!" fu la risposta e la comunicazione fu interrotta.
Serafino tornò a casa sentendosi completamente perso. No, non era possibile... No... Ora che aveva cominciato a vivere, a vivere veramente, ora che credeva di aver raggiunto la felicità... tutto era crollato. Aveva perso Raffaele, l'unica cosa importante, bella della sua vita. Non aveva neppure più un lavoro. Leandro ingiustamente accusato... lui in attesa di processo... tutto finito. Non aveva più nulla, più nessuno al mondo. Nessuno lo voleva. Prima suo padre... poi sua madre... e ora anche Raffaele.
"Scompari dalla faccia della terra!" gli aveva detto.
Giusto, quella era l'unica cosa che gli restava da fare.
Ma prima... Chiamò Emiliano.
"Pronto?"
"Ciao, Emi..."
"Ciao Serafino." lo salutò l'amico in tono abbattuto, quando riconobbe la sua voce.
"Ciao. Senti, io... io non reggo più questa situazione... Raffaele m'ha mollato..."
"Oh, cazzo... mi dispiace..."
"Ho pure perso il lavoro e..."
"Pure il lavoro? Ma..."
"Così ho deciso di cambiare aria, di andarmene..."
"E dove?"
"Lontano, il più lontano possibile..."
"Ma il processo... Siamo convocati..."
"Me ne frego. Mi dispiace solo per Leandro, per te e per i ragazzi. Spero che se la cavano. Senti... pensavo... Io non posso portarmi via tutte le mie cose e così... Tu sei il mio migliore amico e così... ho deciso che ti regalo tutto. Ti metto le chiavi sotto il vaso, sul pianerottolo. Vieni... magari domani... No, dopodomani... vieni a casa mia, e portati via tutto quello che vuoi..."
"Ma... sei sicuro che..."
"Sì. Sicuro."
"Non possiamo vederci, prima che te ne vai?"
"Non credo proprio di avere tempo. No, non posso, Emiliano. Ci salutiamo ora."
"Serafino, sei sicuro di quello che fai? Passerà anche questa, si scorderanno tutti di noi e..."
"No, io devo andare via. Lontano. Salutami tu tutti gli amici... E se riesci a vedere Leandro... digli... non lo so... digli... che mi dispiace per lui, che spero che se la cavi."
"Sera, aspetta... io ti voglio vedere... prima che te ne vai, ti voglio vedere. Per favore..."
"Non so se..." rispose, incurante che l'avesse chiamato Sera, nonostante sapesse bene che odiava essere chiamato così.
"Per favore, Sera, io VOGLIO vederti, hai capito? Vengo subito da te e così..."
"No, adesso no. Senti... facciamo per domani sera, dopo cena... se vuoi venire qui da me..."
"OK. Alle dieci, va bene?"
"Sì, perfetto."
"Dai, su con la vita, Serafino... Vedrai che ne veniamo fuori. Cazzo, non t'ho mai sentito così giù!"
"Beh, dopo tutto quello che... tutta la merda che m'è piovuta addosso... Che vuoi, che mi metta a cantare?"
"No, ma... Domani sera vengo da te, eh? A domani."
"Ciao, Emi. Ti voglio bene."
Chiuse il telefonino e lo appoggiò sul tavolo. Poi cercò due fogli di carta bianca, due buste. Prese una biro e sedette al tavolo del soggiorno.
Sulla prima scrisse "Per Emiliano Onofri".
"Carissimo amico mio,
mi dispiace molto avertela data buca, ma non me la sentivo proprio di aspettarti, di incontrarti. Non avercela con me, cerca di capirmi, di perdonarmi.
Come t'ho detto, prenditi tutto quello che vuoi. Se vai dal padrone di casa e gli dici che vuoi subentrare, magari ti lascia stare qui, se no, portati via tutto quello che ti interessa.
Fattela bene, amico mio. Ma stai all'occhio: la vita è uno schifo, certe volte. Non te la prendere: quando leggi questa io starò bene o per lo meno avrò finito di star male.
Vorrei dirti tante cose, sai, ma non ci riesco proprio, perdonami. A modo mio t'ho voluto bene. Anche a Leandro, a Marta, a tutti i nostri amici. Ma specialmente a te.
Qui accanto trovi una lettera per Raffaele: ti prego di fargliela avere. Gliela spedirei, ma preferisco che gliela dai tu, in mano. Ti prego di farlo, non ti chiedo altro.
Ti abbraccio, come il fratello che non ho mai avuto
Serafino"
Poi scrisse sull'altra busta "Per Raffaele Ballarini"
"Mio amato Raffaele,
pensala come vuoi, ma io ti amo, ti amo davvero, ti amo con tutto me stesso. Perciò, se tu non vuoi più il mio amore, se tu non vuoi darmi più il tuo, non so che altro fare.
L'ultima cosa che posso fare, l'unica che mi resta da fare, è seguire il tuo consiglio: sparire dalla faccia della terra.
Mi dispiace di non essere quello che volevi, di non esserlo potuto diventare, anche se ce l'ho messa tutta. Volevo regalarti la mia vita, una vita finalmente pulita, ma se non la accetti, tanto vale, non serve più a niente, più a nessuno.
Sappi solo che il mio ultimo pensiero sarà per te, perché sei stato l'unica cosa veramente bella della mia vita. Almeno per questi pochi mesi.
Io ti amo. Ti amo e ti amerò fino all'ultimo momento della mia vita, fino al mio ultimo respiro. Dopo, non lo so cosa c'è, quindi non lo so se potrò ancora amarti.
Io ti amo più della mia stessa vita, Raffaele. Sì, più della mia vita e forse, quando leggerai queste righe, capirai che non dico palle, capirai che sono sincero.
La vita è come il gioco dell'oca: a volte capiti su una casella che ti fa andare indietro, altre su una che ti fa saltare in avanti. A volte sei punito ingiustamente, a volte sei premiato senza che te lo meriti. A volte perdi, proprio quando pensavi che stavi vincendo.
Ecco, io ho perso. Ecco, il gioco dell'oca è finito, si ritirano le pedine, si piega il cartone col percorso e si mette nella scatola, ed è tutto finito. Un bel gioco dura poco, dicono. È proprio così.
Io ti amo, Raffaele, anche se non vuoi più il mio amore. Ma ho perso nel gioco, nel gioco della vita, forse perché presumevo di essere un giocatore in gamba.
Ti amo, non me lo puoi impedire.
Serafino"
Piegò accuratamente in quattro le due lettere, le infilò nelle rispettive buste, le appoggiò al telefonino, una contro l'altra, come si fa quando si inizia a costruire un castello di carte.
Andò a letto. Anche se non aveva mangiato niente per tutto il giorno, non sentiva i morsi della fame. Si spogliò e si stese sul letto. Cercò di carpire al cuscino l'odore di Raffaele, ma anche quello era svanito. Si sentiva esausto. Piombò quasi immediatamente in un sonno profondo, senza sogni.
La luce del nuovo giorno lo svegliò. Aprì gli occhi e si guardò attorno e la sua stanza gli sembrò estranea. Quel letto in cui solo a Raffaele aveva permesso di salire, gli sembrò più triste di un cimitero abbandonato. Scese dal letto sentendosi a pezzi. I suoi ventidue anni gli pesavano più che cento anni a un vecchio. Andò a fare una lunga doccia. Si asciugò, si rasò accuratamente la barba, si lavò i denti, si pettinò con cura.
Poi, nudo, tornò in camera. Aprì uno dopo l'altro tutti i cassetti e gli sportelli dell'armadio, e scelse la biancheria intima più sexy e nuova, gli abiti più belli, più alla moda che aveva. Quando fu soddisfatto della scelta, dell'armonia dei colori, si vestì.
Controllò il proprio aspetto allo specchio e pensò che era perfetto. Sì, senza falsa modestia, doveva ammetterlo: era davvero un bel ragazzo. Un gran bel ragazzo. Si accorse che, vestendosi, si era spettinato un po'. Allora, tornò in bagno a pettinarsi di nuovo, con cura, poi si spruzzò un velo di profumo lievemente muschiato. Non troppo, non troppo poco.
Uscì dall'appartamento, nascose una copia delle chiavi di casa sotto il vaso accanto alla porta, per Emiliano. Scese sulla via. La guardò in su ed in giù, per l'ultima volta. Meccanicamente, si infilò il casco, come era abituato a fare, e lo allacciò.
Salì sulla sua bella Gilera luccicante, sul suo bel cavallo d'acciaio e partì dolcemente, segnalando che si spostava a sinistra. Guidò tranquillo, osservando, più di quanto fosse solito fare, tutte le regole del codice stradale. La giornata era radiosa, il sole era dolce, l'aria abbastanza pulita e gradevole.
Imboccò il grande raccordo anulare, rispettando i limiti di velocità. Attese che passassero le auto a cui doveva la precedenza e si immise nel traffico, tenendo bene la destra.
Quando vide che si stava avvicinando al ponte di Settebagni, segnalò che si spostava a sinistra. Controllò che da dietro non provenisse nessuno, accelerò a manetta, sterzò a destra, fece impennare la moto e volò su, alto verso il cielo, scavalcando il guard-rail, la spalletta e le protezioni del ponte.
Si librò nell'aria... si sentiva leggero come una libellula... solo il ronzio del motore della sua bella motocicletta, ora al minimo, accompagnò il volo, quasi sottolineandolo come il calmo ronzio di un calabrone... Volò... volò... il panorama gli sembrò splendido, così carezzato dalla calda luce del sole. Capì quale ebbrezza doveva aver provato Icaro quando il padre gli aveva fatto indossare le ali ed era salito verso il sole.
Il cielo era d'un azzurro accecante, quale mai aveva visto prima di allora splendere su Roma, la città eterna. Respirò a pieni polmoni, mentre la parabola iniziava la sua discesa, e il bel proiettile che era la sua moto, la sua Gilera luccicante che cavalcava come un prode cavaliere errante, il suo cavallo meccanico puntò il muso verso terra.
Fra poco avrebbe trovato il santo Graal, fra poco avrebbe raggiunto la Terra Promessa, fra poco... fra poco... ancora un poco...
Gridò con tutto il fiato che aveva in gola: "Raffaeleeee, ti amoooooo!"
Gli occhi gli si riempirono di lucciconi, vide la terra, la Madre Terra, accogliente, corrergli incontro. Spalancò le braccia come per abbracciarla e, nell'istante in cui la Madre Terra lo accoglieva... almeno lei non lo rifiutava... tutto divenne nero e silenzio e Serafino trovò finalmente la pace.