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una storia originale di Andrej Koymasky


IL BEL RAGAZZO CAPITOLO 11 - IERI, DOMANI, OGGI

Dopo tre giorni Serafino, ancora in coma farmaceutico, fu trasferito in corsia, nel reparto traumatologia. Emiliano e Raffaele si alternavano al suo capezzale, e si incontravano così tre volte al giorno, ogni otto ore circa. I medici stavano dando loro speranze che il ragazzo potesse riprendersi senza gravi conseguenze.

Un pomeriggio, quando si davano il cambio, Emiliano gli chiese: "Come stai?"

"Io?" chiese un po' stupito Raffaele.

"Sì, tu."

"Non lo so."

"Lui ha il volto un po' più disteso, mi pare..."

"Sì..."

"Cosa pensi di dirgli, quando riprende conoscenza?"

"E tu?"

"Il problema non è mio, è tuo. Comunque gli direi che è stato uno stronzo a fare quello che ha fatto. Stronzo lui... stronzo tu... Sareste proprio una bella coppia. Cosa hai intenzione di dirgli?"

"Non lo so... Che mi dispiace..."

"Convenevoli, insomma."

"Eh? No. No, mi dispiace davvero. Sì, che sono uno stronzo... gli chiederei se... se mi può perdonare..."

"Per metterti la coscienza a posto? Ma per lui?"

"Che vorrei... tornare indietro."

"Sai che non si può. E poi... indietro? Indietro di quanto? Alla sera che vi siete conosciuti? A quando pensavate di essere innamorati? A quando hai scoperto la vita che aveva fatto prima di conoscerti? Indietro di quanto? E perché? Per cosa?"

"Non pensavamo di essere innamorati... Eravamo innamorati."

"Eravate? Lui... lui lo è ancora, ci metterei la mano sul fuoco. Anzi, tutt'e due. Ma tu?"

Raffaele lo guardò negli occhi. Per alcuni secondi si guardarono senza parlare. Poi mormorò: "Non so ancora se... se è solo rimorso o... o se è... se quello che sento è... amore. Ma so che vorrei non averlo portato a... a fare quello che... che ha fatto."

"Per lo meno, sei onesto."

"Come faccio a capire?"

"Te stesso? I tuoi sentimenti?"

Raffaele annuì.

Emiliano stava per dire qualcosa, quando s'aprì la porta della stanza ed entrarono Leandro, Marta e Claudio. Si salutarono. Poi Emiliano fece le presentazioni.

"Ah, lei è il poliziotto..." disse Leandro, porgendogli la mano.

"Sì..."

Si strinsero la mano brevemente.

Poi l'uomo si rivolse ad Emiliano: "Perché non m'hai avvertito? L'ha scoperto Claudio per caso, leggendo un vecchio giornale."

"Pensavo che avevi già abbastanza casini per conto tuo..." si giustificò Emiliano. "Beh, qui dentro siamo anche troppi. Io vado. Ci vediamo stanotte, Raffaele."

"Sì, grazie."

Dopo che Emiliano fu uscito, Leandro disse a Raffaele: "Le spiace venire un attimo in corridoio per mettermi al corrente?"

Uscirono e Raffaele gli raccontò tutto, a partire dalla sua telefonata furiosa a Serafino, alla lettera, a quel giorno e le condizioni fisiche del ragazzo.

"Allora non è stato un incidente..." osservò Leandro.

"No... È stata colpa mia." disse Raffaele abbassando lo sguardo.

"Colpa... colpa... Nella nostra società cerchiamo sempre chi ha colpa. A che serve? Colpevolizzare, non risolve niente. Non siamo un po' tutti colpevoli? Colpa... causa... sarebbe un discorso troppo lungo. Comunque... Ora Serafino è lì dentro... lei è qui... Che intenzioni ha?"

"Vorrei poter rimediare a quello che ho causato..."

"Encomiabile. E come?"

"Non lo so."

"Che cosa prova, ora, per il ragazzo?"

"Rimorso..."

"No, il rimorso è per un'azione, non per una persona."

"Vergogna..."

"La vergogna è nei confronti di una persona, non PER una persona... Le ho chiesto che cosa prova PER Serafino." ribatté in tono quieto il fotografo.

"Vorrei dire... amore, ma... se l'avessi veramente amato non avrei reagito come ho fatto. Se l'avessi amato, avrei cercato di capire, prima di accusarlo, prima di rifiutarlo."

"Nessuno di noi è perfetto. Gli spagnoli dicono: Ayèr, es historia; mañana, es misterio; hoy, es un regalo: por eso se llama presente!"

"Scusi?"

"Ieri, è storia; domani, è mistero; oggi, è un regalo, per questo si chiama presente... che in spagnolo significa anche dono. Oggi, è quello che conta, non ieri. Serafino voleva morire per lei... lei è disposto a vivere per lui?"

Raffaele lo guardò confuso, poi mormorò: "Sì. Oh, sì!"

"Per ogni 'oggi' che potreste vivere assieme?"

"Sì."

"Allora, non dica più 'se l'avessi veramente amato'. Cerchi piuttosto di dargli il suo amore, giorno dopo giorno, finché ci riesce. Perché, mi sbaglierò, ma lei ancora lo ama. Non è così?"

"Lei crede che... ne sarò capace?"

"E lei? Non crede che potrebbe almeno provarci? Non crede che Serafino, quale sia stato il suo passato, sia degno di essere amato? Non crede che aiutarlo a vivere una vita nuova, sia una cosa bella, giusta? Serafino non è solo uno dei più bei ragazzi che io abbia mai fotografato, ma uno dei migliori. Uno dei migliori nel cuore, nella mente, nell'anima. Oh, sì, lo so, era 'solo' una marchetta, di lusso, ma una marchetta, dopo tutto. E invece no! Non era solo una marchetta. Mi creda, io li conosco questi ragazzi, li conosco meglio dei loro stessi genitori... che spesso li hanno rifiutati. Lo accolga, non solo fra le sue braccia, ma nel suo cuore. Serafino ha cercato la morte, lei gli doni la vita."

"Ne sarò capace?"

"Lo vorrebbe essere?"

"Sì. Certo che sì!"

"E allora... ne è capace, mi creda."

"Grazie... Ma Serafino... mi vorrà ancora? Dopo quello che... dopo come l'ho trattato?"

"Domani è mistero. Lei gli doni oggi, ogni oggi che verrà, il suo presente. Non può fare altro... dato che lo ama."

Raffaele, d'impulso, gli tese la mano. Leandro la strinse fra le sue. Lacrime scesero lentamente sulle gote del poliziotto. Leandro sorrise e gli porse il proprio fazzoletto. Rientrarono nella stanza.

Marta era seduta accanto al letto e carezzava lievemente una mano di Serafino. Claudio, in piedi dietro di lei, le teneva una mano sulla spalla e guardava assorto il volto dell'amico.

Leandro disse: "Bene, ora andiamo, è meglio. Serafino è in buone mani... Qui dentro siamo in troppi."

Raffaele disse: "Se mi dà il suo numero di telefono, la terrò al corrente. Di tutto."

Leandro annuì con un sorriso, gli scrisse il numero su un pezzetto di carta e glielo porse. Poi i tre uscirono dalla stanza.

Raffaele sedette accanto al letto, prese delicatamente la mano di Serafino fra le sue e lo guardò. Un cerotto gli traversava un sopracciglio, dove gli avevano dato due punti. Il volto era disteso, quasi normale. Pareva che stesse dormendo. Raffaele pensò che era davvero un bel ragazzo, nonostante il pallore.

Il petto del ragazzo, sotto il lenzuolo, si sollevava e abbassava a ogni respiro. Non aveva più bisogno della maschera dell'ossigeno, anche se la bombola era ancora accanto al letto. Anche le trasfusioni erano cessate, e ora aveva solo i tubicini degli antibiotici e delle soluzioni nutrienti, oltre a quelli per raccogliere l'urina.

Raffaele si chinò sul volto del ragazzo, e gli sussurrò: "Ti amo, Serafino... ti amo... Torna da me, ti prego. Perdonami, e torna da me, con me. Ti giuro che voglio... voglio con tutto me stesso... voglio vivere per te. Ti amo, Serafino... ti amo... Voglio essere tuo, se mi accetterai ancora."

Arrivò un infermiere con la cena per Raffaele: aveva prenotato e pagato i pasti per i "parenti" per sé e Emiliano. In quella clinica avevano da poco istituito quel nuovo servizio, molto utile. Il cibo non era granché, ma neanche male.

"Come va oggi, suo fratello?" gli chiese l'uomo.

"Dicono che sta reagendo bene alle cure." rispose Raffaele senza specificare di non essere il fratello.

"L'altro ragazzo che viene ad assisterlo, non è un parente, vero?" chiese l'infermiere posando il vassoio sul tavolinetto.

"Cosa glielo fa pensare?" chiese Raffaele senza rispondere alla domanda.

"Mah... così... Buon appetito." disse l'uomo facendo spallucce, e uscì col suo carrello.

Quando tornò Emiliano per dargli il cambio, Raffaele gli disse dell'osservazione dell'infermiere che portava i pasti.

"Non gli hai risposto che non sono cazzi suoi?" gli chiese il ragazzo, lievemente battagliero.

"Forse avrei dovuto... O forse gli dovevo dire che Serafino era il mio ragazzo..."

Emiliano fece un sorrisetto.

"Posso farti una domanda?" chiese Raffaele.

"Provaci."

"Tu... per venire qui... lavori di meno."

"Faccio meno marchette? Cos'è, ti fa brutto chiamare le cose col loro nome? Sì, ne faccio di meno, ma non m'importa."

"Gli vuoi bene..."

"Difficile non volergli bene."

"Quel Leandro è una persona in gamba."

"Anche se i giornali gli spalano merda addosso."

"Nei giornali non se ne parla quasi più. Ha un buon avvocato, per il processo?"

"Sì, un ottimo avvocato, e se la caverà come le altre volte. Ce la caveremo tutti, vedrai, perché il suo avvocato difenderà anche noi ragazzi. Comunque le accuse a carico di Leandro sono praticamente false."

"E voi ragazzi?"

"Devono provare che battiamo il marciapiede. Nessuno di noi è stato colto sul fatto, perciò... Comunque la cosa non mi preoccupa. Vedrai che per Leandro ci sarà l'assoluzione perché il fatto non sussiste, e per noi ragazzi per mancanza di prove. Non sono certo i nostri clienti che verranno a testimoniare contro di noi."

"Non... non ti piacerebbe smettere di... di fare... marchette?"

"Tutti, prima o poi, dobbiamo smettere."

"Ma non ti piacerebbe?"

"Cos'è, mi vuoi redimere?" gli chiese il ragazzo con lieve ironia.

"No... è solo per... per capire."

"È un lavoro come un altro... se sei in grado di sceglierti i clienti, se non sei obbligato, se non sei sfruttato come capita a certi ragazzetti che le mafie straniere comprano, portano qui e vendono. Dovreste occuparvi di quelli, voi sbirri, invece che di noi."

"Noi... dobbiamo eseguire gli ordini..."

"Già. Dov'è che ho sentito questa frase? Ah, già... a Norimberga."

"Mi stai dando del nazista?"

"Te lo sei dato da solo, con la tua risposta. Anche se... anche se tu, m'ha raccontato Serafino, hai lasciato scappare Valerio, mi pare. Brutto lavoro, il tuo. Sì, d'accordo, qualcuno le deve fare. Sì, d'accordo, la colpa è delle leggi... e tutte quelle cazzate... che pure hanno un senso."

"La vita non è facile..."

Emiliano lo guardò, come per studiarlo, poi disse: "Forse sei meno stronzo di quello che pensavo... Non più di me, degli altri, per lo meno. La vita non è facile, dici... Le cose facili non hanno valore. La vita, sì. Posso farti io, una domanda, adesso?"

"Provaci..." gli rispose Raffaele, imitando inconsciamente il suo tono di poco prima.

Emiliano sorrise: "Sei riuscito a capire un po' meglio... a decidere cosa dirai a Serafino, quando riprende conoscenza?"

Raffale annuì, serio.

"E?"

"Gli chiederò se... se si fida ancora di me e se mi crede se... se gli dico... che lo amo."

"E se ti dicesse di no?"

Raffaele emise un basso sospiro, poi disse a mezza voce: "Piglio, impacchetto e porto a casa."

Emiliano sorrise: "No, nessun pacchetto da portare a casa. Sai che risposta ti darà?"

"No..."

"Nessuna... solo due lucciconi e un sorriso come un sole d'estate. E ricomincerà ad amare la vita. E te. Ci voleva che s'ammazzasse per... per farti capire?"

"Sono uno stronzo, no?" gli rispose Raffaele con un sorriso soffuso di mestizia.

"Beh... non proprio... Serafino era una marchetta... tu eri uno stronzo... L'importante è che siete cambiati, tutti e due. Prima che fosse troppo tardi. D'altronde, avevate un buon motivo per cambiare." gli disse Emiliano, e gli dette un pugno scherzoso sul petto.

Finalmente i medici sospesero i sedativi a Serafino, perciò, ora, avrebbe potuto "risvegliarsi" in qualsiasi momento. Sia Raffaele che Emiliano erano eccitati. Nessuno dei due avrebbe più voluto fare i turni, entrambi avrebbero voluto essere accanto a lui quando avesse ripreso conoscenza.

Chi affrontò l'argomento, fu Emiliano: "Senti, ci piacerebbe a tutti e due essere qui quando Serafino riapre gli occhi, no? E allora pensavo... Che ne dici se ci restiamo e facciamo a turno a riposarci, qui, sulla sedia?"

"Non so mica se ci lasciano stare in due... Ché, oltretutto, nessuno di noi due è suo parente. No, credo che è meglio continuare come abbiamo sempre fatto e... appena si sveglia... chi è qui manda un messaggino all'altro."

"Mmhh... però... se si sveglia quando ci sono qui io... devo dirgli o no che anche tu..."

"Non lo so. Dipende... Se ti chiede di me, se ti parla di me... forse sì. Se no... mi vedrà quando arrivo. Cosa ne pensi?"

"D'accordo, facciamo così."

Passò un'altra giornata. Raffaele era andato a dare il cambio ad Emiliano.

Appena entrato chiese: "Ancora niente?"

Emiliano scosse il capo e si alzò per cedergli la sedia. Raffaele sedette e, come faceva spesso, prese la mano di Serafino fra le sue. Guardava il volto del bel ragazzo, quando notò un lieve tremolio delle sue palpebre. Istintivamente, gli strinse un po' la mano. Emiliano gli poggiò una mano su una spalla e strinse, e Raffaele capì che anche lui aveva notato quel piccolo segno.

Per un po' rimasero immobili, in silenzio, continuando a spiare il minimo cambiamento sul volto di Serafino. Di nuovo le sue palpebre parvero tremolare, come se volesse aprirle e non vi riuscisse. Poi lentamente le sollevò, sembrò mettere a fuoco la vista, mosse gli occhi e li girò pian piano, prima verso la finestra, poi dalla parte opposta, verso la porta... e i suoi occhi si fermarono su quelli del poliziotto.

"Raffaele?" esalò, in un bisbiglio appena percettibile, pieno di stupore.

"Ti amo..." gli disse il giovanotto con voce rotta dall'emozione.

Gli occhi di Serafino si inumidirono, due grosse lacrime s'accumularono agli angoli, poi scesero lentamente sul volto. Le labbra tremolarono, si schiusero e un sorriso fiorì sul suo volto pallido e fine.

"Ti amo, Serafino..." ripeté Raffaele sentendosi terribilmente emozionato, quasi faticando a emettere la voce.

Il ragazzo chiuse gli occhi. Emiliano strinse con forza la spalla di Raffaele. Questi carezzò lieve la mano di Serafino. Poi il ragazzo riaprì gli occhi, che ora erano luminosi quanto il suo sorriso.

"Ti amo..." ripeté Raffaele, profondamente commosso.

Serafino sollevò gli occhi risalendo lungo il corpo di Emiliano che era in piedi alle spalle di Raffaele. Incontrò i suoi occhi e il suo sorriso si accentuò.

"Emiliano?"

"Sì?"

"Mi ama... Raffaele mi ama..." bisbigliò.

"L'ho sentito... L'ho sentito anche io. Sì, Serafino, Raffaele ti ama. Ti ama davvero."

"Allora... posso... vivere..."

"Devi! Devi vivere, amore." gli disse Raffaele. "Devi vivere per me... e io vivrò per te..."

"Sì..."

Serafino richiuse gli occhi, ma il sorriso rimase sul suo volto e le lacrime continuavano a scendere lentamente sul suo viso.

"Adesso, posso andare e lasciarvi soli. Vengo a darti il cambio fra otto ore, come al solito..." sussurrò Emiliano chinandosi all'orecchia di Raffaele.

"Grazie... C'eravamo tutti e due... sono contento..."

"Anche io. Ciao, Serafino. Io torno più tardi... Avverto io l'infermiera che ti sei svegliato."

Il ragazzo aprì gli occhi lo guardò e annuì. Emiliano gli sorrise e, silenziosamente, lasciò la stanza.

"Ti amo, Serafino... perdonami..."

Il ragazzo gli sorrise e annuì.

Poco dopo entrò la capo-sala. Guardò Serafino, controllò le fleboclisi, gli chiese qualcosa, poi annunciò che avrebbe subito avvertito i medici e uscì.

Raffaele gli carezzò una guancia: "Guarisci in fretta e bene, amore."

Serafino annuì: "Anche io ti amo..."

"Lo so."

Entrarono i medici e fecero uscire Raffaele. La visita durò quasi un'ora, ma non si preoccupò. Sentiva dentro di sé un grato calore, e, come non era stato capace di pregare prima per la salvezza di Serafino, ora, invece, gli sorse spontanea una preghiera: "Ti ringrazio, Signore. Proteggici sempre. Amen."

Quando i medici uscirono, gli dettero finalmente notizie confortanti. Gli spiegarono i tempi, massimi e minimi, previsti per la guarigione, le cure e gli esami necessari, e gli dissero che, grazie alla giovane età e alla forte fibra del paziente, era probabile, anche se non ancora certo, che non avrebbe avuto conseguenze.

Notevolmente sollevato, Raffaele telefonò subito a Leandro, come gli aveva promesso, per metterlo al corrente delle buone notizie. Poi rientrò nella stanza. Serafino aveva gli occhi chiusi, un'espressione serena sul volto. Lo chiamò sottovoce ma non rispose. Capì che si doveva essere riaddormentato e non lo disturbò. Le pesanti nubi che avevano offuscato il suo cuore da quando aveva saputo del tentato suicidio di Serafino, si stavano finalmente diradando.

Per la prima volta da quando passava le sue ore lì dentro, si alzò, si accostò alla finestra e guardò fuori. Sotto, c'era il parcheggio per il personale dell'ospedale, con qualche albero qua e là; di fronte alcune case costruite al tempo del fascismo; più su, un cielo azzurro sbiadito, con qualche nuvola sfilacciata. Niente di bello, niente di eccezionale, eppure Raffaele godette per quella vista.

"Raffaele?" chiamò una voce sottile.

Si girò e gli sorrise: "Sì?"

"Sei ancora qui?"

"Certo!"

"Quando sei di servizio?"

"Ho chiesto una settimana di ferie. Domani devo riprendere servizio."

"Vieni qui?"

Raffaele girò attorno al letto e sedette accanto a lui.

"Non ti importa per... per quello che... facevo?"

"No. M'importa solo che tu ora guarisca... e che ci vogliamo bene."

"Non mi dai un bacio?"

Raffaele sorrise, si chinò su di lui e le loro labbra si sfiorarono. Con la punta della lingua passò lieve sulle labbra di Serafino, che le schiuse per accoglierla, per suggerla lieve. Il bacio si fece più caldo, più intimo, più dolce.

Quando si staccarono, Serafino disse: "Ti vorrei abbracciare, ma... finché non mi tolgono il gesso, e gli aghi... non potrò..."

"Aspetterò..."

"Aspetteremo..."

"Sì, aspetteremo."

"M'è andata bene..." sussurrò Serafino.

"Cosa?"

"Che non... che non ci sono riuscito..."

"Se ero meno... meno stronzo, come dice Emiliano... ora non eri qui... ridotto così... per colpa mia."

"T'ha detto che sei stronzo, Emiliano?"

"Anche di peggio... tutto quello che mi meritavo, m'ha detto. Ti vuole bene, Emiliano. È stato sempre qui, come me, ci si dava il cambio, lui e io..."

"Se trovasse anche lui un bravo ragazzo..."

"Qualcuno meno stronzo di me..."

"Anche come te, mica andrebbe male." Serafino gli sussurrò con un dolce sorriso.

"Ti prometto che sarò meno stronzo, in futuro. Ti prometto che..."

"Anche io... All'inizio... anche io facevo lo stronzo con te."

"Davvero?"

"Avevo registrato tutto, la prima volta che avevamo fatto l'amore... per ridere di te con gli amici..."

"E... avete riso?"

"No. Ho cancellato tutto, non l'ha visto nessuno."

"Ma adesso, non parlare, non stancarti, amore."

"Mi tieni di nuovo la mano?"

"Sì, e tu cerca di riposare. Devi rimetterti in fretta."

"Certo." sussurrò Serafino e, chiusi gli occhi, gradualmente scivolò nel sonno.

Anche Raffaele chiuse gli occhi e, per il rilassamento che sopravviene dopo una forte tensione, anche lui lentamente si addormentò.

Quando Emiliano tornò per il suo turno, li trovò così, la mano nella mano, addormentati. Sorrise. Prese il cellulare di Serafino, che aveva sempre con sé, e scattò alcune fotografie. Pensò che l'amico sarebbe stato contento di averle.


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