Prima di raccontare questa nuova storia, devo dire che l'ispirazione è venuta da due testi. Uno è la famosa, triste e bellissima canzone di Gino Paoli e Herbert Pagani "Albergo a ore". Un'altra fonte di ispirazione è stata, almeno in parte, il racconto che ha lo stesso titolo, scritto da Maria Vittoria Morokovski.
In Romania, dove ha inizio la nostra storia, la politica di natalità forzata perseguita dal passato regime comunista, ha portato alla nascita di troppi bambini, spesso indesiderati e a volte abbandonati. Avere tanti figli nella Romania odierna per molte famiglie non è una gioia ma un guaio che porta alla povertà. Basti pensare che oltre il sessanta per cento delle famiglie con più di due figli si trova sotto il livello minimo di sussistenza. Questo ha provocato grosse ondate di migrazione.
Il problema dei minori stranieri non accompagnati in Italia, come in altri paesi Europei, costituisce un aspetto drammatico dell'attuale fenomeno della migrazione. Si tratta per la maggior parte di ragazzi e ragazze dell'età di quindici, sedici anni, che vengono introdotti come clandestini o come turisti, in cerca di lavoro o comunque di guadagno. I genitori sono spesso consenzienti e forniscono una parte del denaro per il viaggio, perché sperano di poter contare in futuro sull'aiuto economico dei figli che hanno mandato all'estero.
Un'altra parte del costo del viaggio è fornita dal racket dell'immigrazione clandestina. Infatti il passaggio illegale dalla Romania per l'Italia costa circa 3.000 euro, una somma enorme per quella gente. Ogni minore che mendica guadagna circa 30 euro al giorno, in media, e se si prostituisce può anche giungere, sempre in media, a 70 euro al giorno: danaro utilizzato per rimborsare il costo del viaggio, anticipato dal racket, e per mandare un qualche aiuto alla famiglia rimasta in patria.
Non di rado i minori sono assegnati a un connazionale maggiorenne presso il quale alloggiano nel paese di destinazione. La mancanza del permesso di soggiorno e perciò la loro presenza illegale li costringe ad accettare lavori mal retribuiti, e vengono sfruttati in maniera ignobile. Spesso il racket gli toglie il passaporto vero e gliene dà uno con false generalità, che permette loro di restare ma non di passare la frontiera.
Questi ragazzi vengono introdotti illegalmente in Italia o in altre nazioni europee da organizzazioni criminali che li sfruttano per farli mendicare o anche prostituire. Alcuni sono invece mandati a guadagnarsi da vivere nelle strade pulendo i vetri delle auto ai semafori. Vivono in case quasi in rovina o anche in box auto senza servizi, senza riscaldamento, in ambienti sporchi e degradati, e dormono anche in tre, quattro su un materasso puzzolente posato sul pavimento.
L'alternativa, se riescono a sfuggire al racket, è comunque procurarsi da vivere con mezzi illeciti, e perciò un numero notevole di questi ragazzi finisce per fare l'esperienza della strada e poi del carcere minorile. Quando vengono trovati dalla polizia, vengono collocati in comunità o in case famiglia, dalle quali però molti fuggono quasi subito per tornare sulla strada a commettere gli stessi reati, per poter continuare a mandare soldi alla famiglia.
In Italia, per quanto riguarda i minori irregolari non accompagnati, il loro numero è stimato attualmente tra i 7.000 e gli 8.000. In realtà, il numero effettivo è certamente più alto ma non lo si conosce con certezza. Le cifre riportate sopra si riferiscono solo ai casi segnalati nel corso di un anno. I minori non accompagnati provengono per più del settantacinque per cento da Albania, Marocco e Romania; nel settantacinque per cento dei casi hanno un'età compresa fra il 15 e i 17 anni. La fascia di età più rappresentata è quella dei sedicenni soprattutto maschi.
Secondo la definizione che ne dà la legge, un "minore straniero non accompagnato" è un "minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione Europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano".
L'espulsione dei minori, perciò anche di quelli non accompagnati, è vietata dalla legge italiana sull'immigrazione. Quando un minore non accompagnato viene trovato, deve essere immediatamente segnalato al comitato per i minori stranieri e ha diritto all'assistenza dei servizi sociali locali e alla nomina di un rappresentante legale da parte del giudice minorile. È permesso il suo rimpatrio soltanto se nel paese d'origine vi sono le condizioni per il ricongiungimento familiare.
Nell'attesa degli accertamenti disposti a questo scopo, gli viene rilasciato uno speciale permesso di soggiorno provvisorio per i minori. Ciò gli consente di lavorare o di frequentare corsi scolastici o di apprendistato. Purtroppo le condizioni per il rimpatrio sono un fatto molto raro. Al raggiungimento della maggiore età il permesso di soggiorno provvisorio perde efficacia, e il ragazzo o la ragazza rischiano perciò l'espulsione, a meno che nel frattempo abbiano trovato un lavoro regolare.
Come dicevamo, il protagonista di questa storia è un romeno, si chiama Petru Florea, è nato a Brasov, sui Carpazi meridionali, nel 1978; in Romania, oltre ai genitori, ha due fratelli più grandi, e due più piccoli. La miseria era il loro unico pane quotidiano. I cinque ragazzini dormivano tutti su un unico pagliericcio, e nei rigidi inverni solo la loro vicinanza alleviava i rigori del gelo.
Spesso i due fratelli maggiori sfogavano i loro nascenti impulsi sessuali con i più piccoli, in silenziose ammucchiate, che cessavano solo con l'orgasmo dei più grandi e con il sonno che seguiva le loro affannose unioni. A Petru piaceva quando uno dei fratelli maggiori gli si addossava da dietro, lo prendeva e gli si agitava dentro. Aveva imparato a masturbarsi mentre soddisfaceva uno dei due... Non c'era affetto in quelle unioni, erano solo uno sfogo.
Questo però non significava che non ci fosse affetto fra i cinque fratelli, ma questo si manifestava solo durante il giorno. Spesso uno di loro si privava di un boccone rubato per darlo ai più piccini. E se c'erano problemi, litigi con altri ragazzi del vicinato, i cinque Florea erano immancabilmente uno per tutti e tutti per uno.
Petru aveva quindici anni quando a casa Florea si presentarono due personaggi. Uno era Bela Scherban, un uomo di circa quaranta anni che aveva un negozio di ferramenta nel quartiere; con lui c'era Anca Schisilescu, una donna di quarantacinque anni che si diceva fosse stata una spia del regime. Non una Mata Hari, ma semplicemente una che dava informazioni alla polizia segreta... Non era amata dal vicinato, che la temeva e disprezzava, senza però darlo a vedere: sarebbe stato assai pericoloso. I due convivevano, senza essere sposati.
I cinque fratelli li videro confabulare a lungo con i genitori, che avevano un'espressione tesa, e che spesso lanciavano occhiate verso i loro figli.
"Parlano di noi..." mormorò Doru, il più grande.
"Mica hanno scoperto che... che abbiamo rubato la frutta nel negozio di Cuniviak..." chiese Costel, il quarto, in un sussurro.
Florin, il secondo, fece spallucce: "Al massimo ci bastonano... che possono fare di più?"
"E se invece ci mandano in galera?" chiese preoccupato Stelian, il più piccolo.
"Almeno mangiamo tutti i giorni." commentò Petru.
Videro che i due stringevano la mano al padre e, lanciata un'occhiata ai cinque ragazzi, lasciarono la casa.
"Che volevano?" chiese allora Doru al padre.
"Dicono che vogliono portare Florin o Petru a lavorare in Italia... e che lì si guadagna bene."
"E perché non tutti e due?" chiese Florin.
"Perché costano troppo il trasporto e le spese per i documenti e per la prima sistemazione. Noi non siamo in grado neanche di pagare per uno solo..."
"Ah, beh, allora non se ne fa niente..." disse Doru.
"Beh... no... Se noi paghiamo un quarto delle spese, loro anticiperebbero i tre quarti, che poi si riprendono dai guadagni di chi portano là... Ma anche pagare un quarto è molto, forse per uno ce la possiamo fare, per due no di sicuro..." disse il padre.
"E perché non me? Io sono più grande, più forte di loro due." disse Doru.
"Gliel'ho detto anche io, ma loro hanno detto che sono più adatti Florin o Petru, specialmente Petru." disse il padre. "E tu qui già guadagni qualcosetta, a differenza di loro due."
"E che ha Petru meglio di me?" chiese Florin squadrando il fratello.
"Ma di che lavoro si tratta?" chiese Doru, diffidente.
"Se ho capito bene, dovrebbe imparare a fare il cameriere, e pare che là in Italia preferiscono quelli dell'età di Petru o Florin... per tirarli su e insegnargli il mestiere." disse la madre.
"Ma io non so una parola di italiano." disse Petru.
"Magari te lo insegnano, là in Italia, no?" intervenne Stelian.
"A me non mi piacerebbe andare via da qui." disse Costel, accigliato.
"Perché, a te ti piacerebbe di più patire la fame qui?" gli chiese Doru, serio. "Uno in meno a mangiare qui, e che ci manda un po' di soldi, comunque, significa che stiamo tutti meglio, specialmente Petru, ma anche noi."
"Ma perché Petru e non io?" chiese di nuovo Florin.
"Mica è ancora deciso... Prima dobbiamo vedere se riusciamo a mettere insieme i soldi che occorrono." disse il padre.
"Ma tu, ti andrebbe di andare a fare il cameriere in Italia, Petru?" gli chiese Costel.
"E che ne so... Per me... Quello che decide papà va bene." rispose il ragazzo quietamente.
"Quant'è distante, l'Italia?" chiese Stelian.
"Circa 1500 chilometri." gli rispose Doru.
"E quanti sono 1500 chilomerti?" chiese il piccolo.
"Sai la strada da qui a Bartolomeu Gara? Immagina di farla duecento volte avanti e altre duecento indietro..." gli disse Doru.
"E si dice chilometri, tonto!" gli disse Florin ridacchiando e dandogli uno scappellotto.
"Duecento? Cavolo! A me basta una volta sola!" esclamò Stelian a bassa voce.
Dopo quella prima visita, passò un mese, durante il quale Anca Schisilescu si fece viva tre volte. Finalmente, fra i genitori e Doru, riuscirono, bene o male, a mettere assieme la somma richiesta. Il padre allora andò con Petru e Anca a fare il passaporto per Petru e l'autorizzazione per l'espatrio, in cui affidava il ragazzo ad Anca.
Questa, dopo avergli fatto salutare i genitori e i fratelli, portò Petru in una casa, dove, dopo averlo fatto lavare a fondo, e dopo che un uomo gli ebbe tagliato i capelli, gli diede abiti di seconda mano ma ben tenuti e belli. Poi iniziò a istruire il ragazzo.
"Allora, Petru, ascoltami molto attentamente. Dopodomani andiamo a Bucarest e ci uniamo agli altri. Dobbiamo passare due frontiere, tu devi fare e dire esattamente quello che ti dico. Io sono tua zia, la sorella di tua madre, chiaro?"
"Sì..."
"E con gli altri, sul pulmino, stiamo andando a Roma, che è la capitale dell'Italia, per un pellegrinaggio con il nostro pope, per vedere il papa, per la riunione ecumenica, chiaro?"
"Sì, ma... cos'è un pellegrinaggio? E cos'è una unione cumenica?"
Anca glielo spiegò, e gli spiegò anche che ufficialmente, tutti loro, adulti e ragazzi, erano i rappresentanti di diverse chiese ortodosse della nazione.
"Ma non andiamo là per lavoro? Non devo fare il cameriere?"
"Non glielo possiamo dire alla polizia della frontiera o non ci fanno entrare. Ma una volta in Italia, c'è gente della nostra organizzazione che ti farà avere il lavoro. L'importante è arrivare in Italia. Vedrai che andrà tutto bene, ne ho già fatti, io, di questi viaggi!"
"Tutti pellegrinaggi ecumelici?"
"No, con varie scuse. Questa volta va bene questa, perché c'è giusto il raduno internazionale a Roma."
"Ma tu non resti in Italia?" chiese Petru un po' smarrito.
"No, certo. Io faccio solo le consegne per l'organizzazione. Ma ricordati, per tutto il viaggio, che sono tua zia... Il pope a Bucarest ti spiegherà poi tutte le altre cose necessarie."
"Ma... anche il pope poi torna in Romania?"
"Eh, certo. Una volta che abbiamo sistemato voi ragazzi e alcuni degli adulti che vi faranno da accompagnatori, il pope, io, il capo comitiva e l'autista torniamo indietro per organizzare un altro viaggio."
"E ci lasciate tutti a Roma, noi ragazzi?"
"No, a Milano. La nostra base è lì."
"E quanti siamo... noi ragazzi?"
"Nove maschi e due femmine. Tutti più o meno della tua età."
Petru si chiese perché dovevano entrare in Italia di nascosto... Anca non gli era simpatica, e non solo per quello che si diceva di lei nel suo quartiere. Aveva un sorriso falso, occhi duri, e se anche rispondeva alle sue domande, lo faceva come se fosse seccata.
Però non aveva mai avuto abiti così belli. Quando s'era intravisto allo specchio, pulito e ben vestito, i capelli tagliati e pettinati, aveva pensato che era un bel ragazzo. Era solo un po' troppo magro.
Poi Anca lo fece salire sulla sua nuova Dacia "500 Lastun" verde, e guidò fino a Bucarest, fermandosi solo una volta a metà strada per fare il pieno di benzina. Per tutto il viaggio Petru guardò fuori dal finestrino aperto: non s'era mai allontanato, prima, da Brasov... Anca fumava quasi una sigaretta dopo l'altra. Di tanto in tanto lanciava un insulto a bassa voce contro qualche automobilista che sorpassavano, per chissà quale motivo.
Arrivarono alla capitale all'imbrunire. Anca si fermò accanto a una chiesa, lo fece scendere, ed entrarono da una porticina della costruzione addossata alla chiesa. Scesero una scala e, fermatisi davanti ad una porta, suonò un campanello.
Una voce chiese: "Chi è?"
"Anca Schisilescu con il ragazzo di Brasov."
La porta si aprì. Entrarono in un corridoio che odorava di nafta, illuminato da poche lampade sul soffitto, protette da una rete. A metà del lungo corridoio, Anca bussò a una porta metallica che sollevò un sordo rimbombo. La porta si aprì e vi comparve un pope con la barba nera, occhi scuri e penetrati, un naso aquilino, e un sorriso bonario sul volto.
"Oh, Anca... entrate, entrate. E come si chiama questo bel giovanotto?"
"Petru Florea. Ha quindici anni appena compiuti." disse la donna sospingendolo avanti ed entrando dietro di lui.
"Bene. Mancano ancora due ragazzi e siamo al completo. Vai a sedere a quel tavolo, Petru." disse il prete.
A un lungo tavolo di metallo, con panche di legno ai due lati, da una parte sedevano sette ragazzi e una ragazza della sua età. Tutti ben vestiti, puliti e pettinati. Dall'altra sedevano tre uomini e una donna. Parlavano fra loro sottovoce. Parecchi s'erano girati a guardare Petru.
Il ragazzo andò a sedere, mettendosi dalla parte dei ragazzi. Quello accanto a cui s'era seduto, gli chiese sottovoce: "Tu da dove vieni?"
"Da Brasov."
"Io da Buzan. Mi chiamo Costica Moscaluc. E tu?"
"Petru Florea."
"Sei contento di andare in Italia?"
"Non lo so..."
"Io sì. Mi hanno detto che lì sono ricchi, si mangia bene, si guadagna bene. Sai già che lavoro farai?"
"Mi hanno detto il cameriere."
"Ah. A me hanno detto che farò il commesso in un negozio di vestiti. Ma prima devo imparare l'italiano e altre cose. Cameriere... in un ristorante, in un albergo o in un bar?"
"Non lo so, non me l'hanno detto. Ma non importa. Basta avere un lavoro e guadagnare."
"Lei si chiama Georgeta." disse indicando l'unica ragazzina che era con loro. "A lei hanno detto che farà la cameriera in una casa privata. Nella casa di un riccone."
"Ah."
"Però il pope ci ha detto che dobbiamo fare finta di essere pellegrini... almeno finché arriviamo a destinazione."
"Sì, lo so. Ogni volta inventano una scusa diversa. Sennò non ci fanno entrare in Italia." disse Petru, fiero di mostrargli che anche lui sapeva qualcosa.
"Dice il pope che partiremo dopodomani. Domenica. C'è molto traffico la domenica, perciò controllano più in fretta, alle frontiere, ed è più facile passare senza problemi."
"Ah."
Si sentì suonare un campanello. Dopo poco entrò un'altra donna, questa volta con una ragazzina.
"Ancora un ragazzo e ci siamo tutti." disse Petru, sempre sottovoce, al suo vicino.
"Sì, e ancora cinque adulti. Poi partiamo in pullman. Ci danno i bagagli, sai? Domani. Dobbiamo aprirli e controllarli, per saper dire cose c'è dentro, se ce lo chiedono alla frontiera."
"Ah. Ce li regalano?"
"Credo proprio di sì, mica possiamo andare solo coi vestiti che abbiamo addosso, no? Dobbiamo dire che ci fermiamo a Roma per una settimana, perciò dobbiamo avere i ricambi, il sapone, l'asciugamano, no? E anche i libretti delle preghiere."
"Ci fanno pregare?"
"E cantare, durante il viaggio... Canti di chiesa, si capisce." gli disse Costica con aria saputella.
Dopo un po' arrivò un ragazzo che mise davanti a ognuno piatti di alluminio, posate e un bicchiere, poi un altro portò brocche d'acqua e pane. Infine arrivò un uomo corpulento, con un grembiule unto e una grande pentola di alluminio martellato, e che riempì i piatti di tutti con due mestolate di zuppa di verdure.
Il pope intonò una preghiera, e finalmente si misero tutti a mangiare la cena. Petru trovò che la zuppa era più buona e ricca di quella che preparava la madre e mangiò di buon appetito. Man mano che mangiava, cominciava a sentirsi allegro: la sua nuova vita iniziava bene.
Poi, terminata la cena, mentre i due ragazzi di prima ritiravano tutto, il pope iniziò a dare ai presenti le istruzioni per il viaggio. Prima di tutto presentò il capo-comitiva, un uomo sui cinquanta anni, con baffi spioventi e capelli ricci rosso-rame, e una pancetta che debordava dalla cintura dei calzoni.
Più tardi, il pope portò gli uomini e i ragazzi in una stanza con letti a castello e materassi senza lenzuola, mentre Anca portava le donne e le ragazzine in un'altra stanza.
"I ragazzi dormono sui letti di sopra e gli uomini su quelli di sotto." ordinò il prete. "E quando si spengono le luci, silenzio. Il cesso e i lavandini sono dietro quella porta. La luce del cesso resterà accesa tutta la notte. Chi sporca, pulisca. Vi lavate domattina, non perdete tempo adesso."
Iniziarono tutti a togliersi gli abiti, restando solo in canottiera e mutande, e si infilarono ciascuno su un letto. Petru, dopo essere andato al cesso, si arrampicò sopra a quello di un ragazzo sui venti anni, notando che aveva le mutande ben gonfie e pensò che o ce l'aveva mezzo duro o ce l'aveva più grosso di quello di suo fratello Doru.
Si stese, incrociando le braccia sotto la testa. Il materasso, anche se aveva un vago sentore di muffa e di polvere, era più morbido del suo pagliericcio, e soprattutto era solamente per lui e gli sembrava larghissimo! Spalancò le gambe per occuparlo tutto, provando un lieve piacere a quel semplice gesto.
Qua e là si sentiva qualcuno bisbigliare. Girò la testa e vide che, sul letto superiore parallelo al suo, si stava sistemando Costica, che gli sorrise e gli fece l'occhietto. Rispose con un sorriso. Dopo pochi minuti si spense la luce. Solo da sotto la porta del cesso filtrava ancora un tenue chiarore. I sussurri cessarono d'incanto. Petru si addormentò senza neanche rendersene conto.
Si svegliò sentendosi scuotere. Era Costica.
"Dai dobbiamo lavarci e poi andare a fare colazione. Svelto. Non hai sentito la sveglia?"
"Ah... no..."
Costica lo guardò fra le gambe e ridacchiò: "Anche a te la mattina viene duro!"
"Sì..." disse Petru, tranquillo. Poi gli chiese: "Tu hai fratelli?"
"Due e una sorella."
"Più grandi?"
"Un fratello. Ha diciassette anni."
"E... ti faceva... le cose... di notte?" gli chiese Petru sottovoce, alzandosi a sedere e carezzandosi l'erezione, che stava tornando rapidamente a riposo.
Costica ridacchiò e annuì: "Sì... anche a te?" bisbigliò.
"Io ne ho due più grandi di me." disse il ragazzo. "Ti piaceva?"
"Le prime volte mica tanto. Ma poi... un po' mi sono abituato."
Scesero dal letto e andarono a lavarsi. "Tutte le notti?" gli chiese Petru.
"Quasi... e a te?"
"O uno o l'altro..."
"E a te, ti piaceva?"
"Abbastanza. E mi piaceva metterlo a mio fratello Costel, quello di tredici anni. Al piccolo non glielo mettevamo ancora."
"Neanche io al piccolo, ha solo sei anni. Però... mi piacerebbe provarci, una volta."
"È bello... meglio che menarselo."
"Ci credo. Mi piacerebbe provarci con te."
"Mica possiamo, qui."
"Lo so."
Andarono a rivestirsi, poi a fare colazione. Poco più tardi arrivarono gli ultimi membri della comitiva. Furono portati in una stanza in cui c'erano sacche e valigie e ne fu assegnata una ciascuno. Tornarono nella grande stanza con i tavoli di metallo, e ciascuno vuotò il proprio bagaglio, poi rimise tutto dentro, esaminandone accuratamente il contenuto.
La giornata passò, con Anca e il pope che davano loro istruzioni poi verificavano che ognuno le avesse capite e imparate bene. Il capo-comitiva frattanto stava verificando i documenti e alcune carte, poi anche i documenti di tutti i membri della comitiva.
Passarono l'ultima notte lì, nel seminterrato, poi la mattina seguente, dopo essersi lavati e aver fatto colazione, caricarono i bagagli nell'autobus e presero posto. Tutti i ragazzi sedettero in fondo, e Costica sedette accanto a Petru, che gli sorrise.
L'autobus partì. Il pope iniziò subito a insegnare o a far ripassare i canti di chiesa: faceva parte della messinscena. Petru ne conosceva alcuni, altri li imparò per l'occasione.
Per pranzo e per cena, passò Anca a distribuire panini, frutta e bottiglie d'acqua. Passarono, senza problemi, la prima frontiera. A notte, le luci del pullman furono spente perché potessero dormire.
Petru sentì la mano di Costica carezzarlo fra le gambe, lievemente. Ci posò sopra la mano e premette un poco, per dirgli silenziosamente che gli piaceva. Costica gli prese la mano e la guidò fra le sue gambe. Petru si guardò attorno e capì che era abbastanza buio perché nessuno vedesse le loro manovre.
Gli piaceva essere toccato lì, in quel modo. Coi fratelli non lo avevano mai fatto. Uno dei grandi gli si metteva dietro, gli calava le mutande, gli ci metteva un po' di saliva e lo infilzava. Come aveva fatto alcune volte lui con Costel quando Doru lo metteva a Florin. Ma il più delle volte uno dei due prendeva lui e l'altro prendeva Costel.
Si chinò verso l'orecchia di Costica e gli sussurrò: "Mi piacerebbe mettertelo."
"Anche a me metterlo a te, ma qui non possiamo. Se lo facevano succhiare, i tuoi fratelli?"
"Succhiare? No!" disse in un bisbiglio Petru.
"Mio fratello sì... mi piaceva."
"Ma non sa... di piscio?"
"No..."
Una voce intimò il silenzio con un perentorio "Ssst!". I due ragazzi tacquero immediatamente, continuando però ad accarezzarsi e palparsi l'un l'altro le erezioni, attraverso i panni. Petru cercò di immaginarsi come poteva essere succhiarlo, o farselo succhiare.
La mano di Costica si muoveva sempre meno e si faceva pesante. Petru capì che si stava addormentando. Allora tolse la sua mano, spostò quella del compagno, chiuse gli occhi e, cullato dall'ondeggiare del pullman e dal ronzio del motore diesel, anche lui si addormentò.
Quando si svegliò, erano fermi. Guardò fuori: era mattina presto. Poco dopo il capo-comitiva batté le mani per svegliare tutti e attirare l'attenzione. Disse che erano in coda per passare la frontiera con l'Italia. Ricordò loro le cose essenziali.
Poi il pope fece loro intonare uno dei canti di chiesa. Il pullman riprese ad avanzare, lentamente. Poi si fermò di nuovo, le porte si aprirono e salirono i poliziotti e i doganieri italiani a controllare passaporti e bagagli. Fecero in fretta, non fecero domande, solo il capo-comitiva e Anca, che sapevano l'italiano, parlarono con i poliziotti. Uno dei doganieri indicò la sacca di Costica e gli fece cenno di aprirla. Vi frugò dentro, poi fece un cenno di assenso e passò oltre.
Finalmente poliziotti e doganieri scesero e il pullman riprese la strada. Passarono oltre le sbarre aperte, e dopo alcuni metri, il pope disse: "Ecco, ora siamo in Italia! Suvvia, cantiamo di nuovo un bell'inno!"
Dopo poco il pullman imboccò l'autostrada e viaggiò veloce verso ovest, mentre il sole alle loro spalle continuava ad alzarsi dall'orizzonte. Anca passò di nuovo a distribuire un pezzo di pane e un frutto a tutti, per la colazione.
Petru stava con il naso incollato al finestrino per vedere come era fatta l'Italia... Costica gli stava addosso, per guardare anche lui fuori.
"Bella, l'Italia, eh?" gli disse.
"Non mi pare tanto diversa dalla Romania." rispose Petru.
"I campi sono più curati."
"Io abitavo in città."
"Noi, invece, in campagna. Dici che a Milano staremo ancora insieme?"
"Può darsi. Mi piacerebbe."
"Anche a me."
Erano passate da poco le undici e mezzo, quando Petru vide il cartello dell'uscita per Milano.
"Milano!" annunciò a Costica, elettrizzato.
"Sì, ho visto... Siamo arrivati."
"Non vedo l'ora di scendere!"
"Dici che è difficile l'italiano?" gli chiese Petru.
"Hanno detto che ci mandano a scuola, no?"
"Beh, a me mica piaceva..."
"Neanche a me, ma ci andavo poco. Di solito dovevo lavorare i campi."
"E io..." iniziò a dire Petru, ma il pullman si fermò accanto a un parco e il capo-comitiva intimò a tutti di restare seduti.