Erano in Italia da quattro mesi. Abel s'era abituato a prenderlo nel suo culetto da Costica, e a volte se l'era lasciato mettere anche da Petru o da qualcun altro dei compagni.
Petru s'era abituato a fare sesso, ogni tanto, lì sui materassi, nonostante ci fossero tutti gli altri ragazzi. Aveva anche imparato a succhiarlo, grazie a Costica, e aveva scoperto che gli piaceva e non gli faceva schifo come aveva pensato quando l'amico, durante il viaggio, gliene aveva parlato.
A volte, nel buio della notte, si sentivano i gemiti di qualcuno che faceva sesso e che godeva; qualcuno allora rideva e faceva battute, altri dormivano tranquilli. Non c'erano coppie fisse fra di loro, chi aveva voglia ci provava con uno o l'altro dei vicini e se il compagno ci stava, sfogavano i bollori dei loro ormoni ruggenti.
Petru aveva notato che alcuni dei compagni lo facevano quasi ogni notte, altri più di rado. Quanto a lui, raramente prendeva l'iniziativa, ma quasi mai si sottraeva se uno dei ragazzi che dormivano accanto a lui ci provava. I primi tempi tendevano a mettersi a dormire tutti e tre assieme, Petru, Abel e Costica, ma ora non ci facevano più caso: si stendevano dove c'era un po' più di spazio, chiunque ci fosse vicino.
Petru aveva gradualmente imparato un po' di italiano essenziale, dal primo: "una moneta, signore...", al più elaborato: "ho fame, mi può aiutare, per favore...". Aveva trovato che l'italiano non era molto difficile e che alcune parole assomigliavano al romeno.
La gente spesso, quando lui chiedeva l'elemosina, lo ignorava; altri lo insultavano o lo guardavano di brutto; ma c'era sempre chi gli dava qualche moneta. Gradualmente era arrivato a guadagnare le trentamila al giorno e anche a superarle un po', ed era riuscito a fare già un vaglia postale ai suoi: anche se solo una volta, aveva mandato loro un vaglia di centomila lire, che corrispondevano a circa 1.900.000 lei! Si sentiva fiero e immaginava la felicità e il sollievo dei suoi a ricevere tanti soldi. Pensò che se ogni quattro mesi poteva mandare loro quella somma, sarebbe andata proprio bene.
Non tutti gli undici "piccoli" andavano a mendicare. Tre di loro lavavano i vetri alle auto. A Petru sarebbe piaciuto di più, perché gli sembrava che i soldi erano più "guadagnati" che a chiedere l'elemosina, ma Horatiu aveva deciso così e non si discutevano i suoi ordini. Una sola volta aveva visto Horatiu arrabbiato... e aveva capito che non conveniva fargli perdere la pazienza.
Un pomeriggio tardi, alla stazione centrale, aveva fermato un signore sui quarantacinque anni, ben vestito, con una valigetta di pelle in mano. "Scusi, signore, può dare qualche moneta, per favore?" gli chiese, con uno sguardo implorante, accattivante.
L'uomo lo guardò da capo a piedi, in silenzio, con espressione seria, e Petru si chiese perché quello non gli dava qualcosa, o non lo mandava al diavolo.
"Fai pompini, tu?" gli chiese dopo un po'.
Petru conosceva quella parola, aveva imparato molti termini di quel tipo dai grandi, ma era la prima volta che qualcuno gli faceva una proposta del genere.
"Quanto, e dove?" chiese semplicemente.
"Diecimila, al cesso del sottopasso."
Sapeva che diecimila lire era poco, però guadagnarle in pochi minuti era un colpo di fortuna. E al cesso... se quello diceva così, doveva sapere che si poteva fare.
"Allora?" insistette l'uomo.
"Va bene."
"Vieni..." gli disse.
Si avviò a passo svelto verso uno dei marciapiedi dei binari e percorsone un buon tratto, scese la scala che portava nel sottopasso, senza mai guardare se Petru lo seguiva. Entrò nel cesso: non c'era nessuno. Petru fu assalito da un acre odore di ammoniaca. L'uomo gli indicò la porta aperta di uno degli stalli.
"Lì, entra." disse e lo seguì, chiudendosi la portina alle spalle.
"Prima dà soldi..." disse Petru, ricordando alcune conversazioni dei grandi, per evitare una fregatura.
L'uomo tirò fuori dalla tasca interna della giacca il portafogli, ne estrasse due banconote da cinquemila e le porse al ragazzo, che le intascò svelto.
"Tiramelo fuori e datti da fare." ordinò l'uomo.
Petru sedette sulla tazza del cesso, trafficò sui bottoni della patta dell'uomo e li aprì, sentendo che era già eccitato. Glielo tirò fuori: era grosso e aveva una vena blu sporgente per tutta la lunghezza. Si chinò e iniziò a leccarlo e succhiarlo. Non aveva il buon gusto di quello di Costica o di altri compagni, aveva un che di acre... ma non se ne fece un problema e continuò a fare il servizio per cui era stato pagato. Anche se quello era così ben vestito, pensò, non doveva essere molto pulito.
Dopo un po' che si affaccendava su quel palo di carne, si rese conto che l'uomo stava per raggiungere l'orgasmo. Si chiese se dovesse ingoiare il frutto delle sue fatiche o no... Decise che per diecimila lire... non era tenuto a farlo. Quando lo sentì fremere, guizzare, cercò di togliersi, ma l'uomo gli pose la mano libera sulla nuca e lo tirò contro il proprio pube.
Petru spinse indietro per togliersi, l'uomo tentò di impedirlo, il primo getto sgorgò, il ragazzo riuscì a farlo uscire dalla bocca e gli altri getti gli irrorarono la faccia.
"Perché cazzo ti sei tolto!" disse l'uomo a voce bassa, seccato.
"Per diecimila, no ingoio!" disse Petru determinato, alzandosi in piedi.
L'uomo non replicò e se lo ripulì con un fazzoletto. Petru sentiva il seme colargli sul volto e cercò di asciugarlo con la mano. L'uomo se lo rimise a posto, poi si girò e restò un attimo in ascolto. Aprì con cautela la porta e, visto che non c'era nessuno, uscì e si allontanò in fretta.
Petru si guardò la mano sporca di seme. Uscì e andò al lavandino, e si lavò prima le mani, poi la faccia, per togliersi di dosso tutto il seme. Prese un po' d'acqua nelle mani a coppa e si sciacquò anche la bocca, sputando nel lavandino. Anche il gusto del seme dell'uomo non gli piaceva, a differenza di quello dei compagni. Si chiese se era questione di seme italiano o romeno, oppure di età.
Uscì dal cesso, risalì la scala, uscì dal binario e riprese a mendicare. Poi si disse che non poteva dare a Horatiu due biglietti da cinquemila: nessuno dà in elemosina un cinquemila, e raramente un biglietto da mille. Allora entrò nel bar della stazione, andò alla cassa e chiese se potevano cambiargli le banconote in moneta.
"La moneta serve a me." rispose la cassiera, con mala grazia.
Petru rimise in tasca uno dei due biglietti e porgendole l'altro disse: "Uno caffè."
La donna gli fece lo scontrino e gli dette il resto. Andò a bere l'espresso, mettendoci una bustina di zucchero: cavolo, se era buono! Lo sorseggiò lentamente, tenendo ogni sorso in bocca per un po' per gustarlo bene. Poi uscì, andò in un altro bar e chiese di nuovo se gli cambiavano il secondo biglietto da cinquemila in moneta. Questa volta la cassiera glielo cambiò senza fare storie.
Contento e soddisfatto, Petru tornò a mendicare. Quando a sera attese l'auto che passava a prenderli, aveva calcolato che quella giornata aveva guadagnato ben cinquantuno mila e trecentocinquanta lire. Niente male.
Quando, tornato a casa, aveva dato i soldi a Horatiu e questi aveva contato tutto, lo guardò e gli chiese: "Come mai così tanto, oggi pomeriggio? Ti sei fatto fare una pompa?"
Petru stava per negare, ma pensò che era meglio di no. Annuì, senza però specificare che era lui che l'aveva fatta al cliente.
"Stai attento... se ti beccano, sono guai. Lì alla stazione, di giorno, la polizia ferroviaria gira continuamente."
"Ma non c'era nessuno..." disse sottovoce Petru, per scusarsi.
"Arrivano quando meno te l'aspetti. E se ti pescano, sono cazzi amari. Quando sarà ora, Adam ti spiegherà bene tutto. Comunque, ricordati, se dovesse capitare, di non dire assolutamente che tu stai qui. Semplicemente non rispondere. E non dire neanche da dove vieni, dov'è la tua famiglia, in Romania... Ricordati che la nostra organizzazione può farla pagare ai tuoi se ci tradisci."
"Sì che me lo ricordo."
"Comunque, è meglio se non ti fai pigliare dagli sbirri."
"Lo so..." rispose Petru, ricordando quando gli avevano spiegato che i ragazzini come lui diventavano le puttane di tutti, in galera.
Ma d'altra parte, anche se sapeva che prima o poi sarebbe stato il suo destino, non gli andava neppure di diventare la puttana di chiunque lo agganciasse per la strada e pagasse. I "grandi" a volte parlavano del loro lavoro... e aveva visto Fane come era stato pestato per non aver guadagnato abbastanza, perché aveva rifiutato certi clienti.
E Danut, e anche gli altri che pure guadagnavano bene... nessuno di loro pareva fiero del mestiere che doveva fare. Un paio di volte era riuscito a scopare con Danut... gli era piaciuto, nonostante ci fossero gli altri. Ma siccome era inverno, l'avevano fatto sotto la coperta, fregandosene delle battute dei compagni. Danut ci sapeva fare, non solo lo faceva bene ma, almeno con Petru, ci metteva anche una certa tenerezza.
Petru, a differenza di molti dei compagni, fossero piccoli o grandi, sapeva di essere gay. Ma forse proprio per questo, in un angolo della propria anima nascondeva il desiderio di poter trovare, un giorno, un compagno, uno, uno solo a cui dare il proprio corpo. Anche Fane e Danut, e anche Abel erano gay. Costica non aveva problemi a farlo con i compagni, ma non era gay. In mancanza di meglio... cioè di una ragazza, si divertiva anche con uno dei compagni.
Petru si avvicinava ai sedici anni, perciò Adam stava iniziando a istruirlo per il suo passaggio fra i grandi, cioè lo stava avviando alla prostituzione. E finalmente, compiuti i sedici anni, avvenne il suo battesimo della strada. Adam gli fece smettere di indossare i suoi vecchi abiti da "mendicante", lo fece lavare a fondo e gli fece indossare gli abiti adatti per fare marchette. Non erano niente di eccezionale: erano vecchi ma puliti e, soprattutto, attillati, per mettere in mostra la merce.
Poi, dopo la cena, la moglie di Dragos lo portò in piazza Trento, nella via dove c'erano le marchette romene, nel tratto di via in cui battevano quelle di Dragos. Nelle altre vie, invece, c'erano i ragazzi albanesi, in un'altra quelli marocchini, in un'altra ancora quelli italiani. Oltre a lui, c'erano Fane e un paio di altri ragazzi della casa di Dragos.
Quando scesero dalla macchina, Fane gli chiese: "Nervoso?"
"No. Solo un po'..."
"Ti ricordi le tariffe?"
"Certo."
"Davvero non sei nervoso?"
"Poco, te l'ho detto."
"Io la prima volta... quasi me la facevo sotto!" gli disse Fane, ridacchiando.
"Te la ricordi la tua prima volta qui?"
"Sì, anche se sono passati due anni. Ma non mi ricordo il tizio. M'ha preso in macchina, dopo che avevamo concordato il prezzo, m'ha portato in una via buia, siamo scesi dall'auto... Mi sono calato i calzoni, appoggiato alla sua auto e me l'ha messo così, in piedi. L'auto dondolava a ogni spinta che quello mi dava. Mi sembrava che non veniva mai, ma invece è durato poco. Poi mi ha riportato qui."
"E il secondo?"
"E chi se lo ricorda!"
Di tanto in tanto passava un'auto, lentamente, il conducente guardava e passava oltre. Fane e Petru ogni tanto scambiavano qualche battuta, facevano un po' di "salotto", ma spesso stavano a qualche passo uno dall'altro, in silenzio.
Poi si fermò una macchina vicino a Fane, che si chinò a parlare con il tizio che c'era dentro. Poi aprì la portiera, fece un cenno di saluto a Petru, salì e l'auto andò via. Petru si sentì... solo. E ora sì che si sentiva nervoso!
Passarono altre quattro, cinque auto. Poi una si fermò accanto a Petru. Il conducente abbassò il vetro del finestrino. Petru si sentì il cuore battere forte, il sangue pulsare alle tempie. S'avvicinò al finestrino, si chinò e guardò dentro. Il tizio aveva sui quaranta, quarantacinque anni. Lo distingueva abbastanza bene: indossava una polo verde scuro, aveva capelli molto corti di cui non distingueva bene il colore, comunque scuri.
"Ciao." disse Petru sorridendo, e sperando di fare un sorriso convincente.
"Ciao. Sei nuovo, tu."
"Sì."
"Capisci l'italiano?"
"Sì, abbastanza bene."
"Quanto vuoi per prenderlo in culo?"
"Solita tariffa. Però con preservativo. In camera o all'aperto?"
"In camera, a casa mia. Centomila, no?"
"Sì. Ma solo con preservativo." insisté Petru.
"Ma sì, certo. Sali, dai."
"Poi porti me nuovo qui."
"D'accordo."
Petru aprì la portiera, s'infilò nell'auto, sedette e richiuse la portiera. L'uomo innestò la marcia e partì.
"Come ti chiami?"
"Pietro." gli disse, dandogli il nome in italiano.
"Ma sei romeno, no?"
"Sì."
Il tizio guidò, in silenzio, per una mezz'ora, poi si fermò in un viale. Scesero. L'uomo aprì un portone, prese la scala di sinistra dell'androne, salirono quattro gradini, presero l'ascensore e premette il bottone dell'ultimo piano. Mentre l'ascensore saliva, il cliente gli palpò il sedere. Petru ridacchiò, imbarazzato.
Sul pianerottolo c'erano tre porte. L'uomo aprì quella su cui una targhetta d'ottone lucidata recava il cognome Vigorelli, lo sospinse dentro, accese la luce e chiuse la porta.
"Vieni." gli disse e lo guidò in una stanza abbastanza anonima, con un letto matrimoniale sfatto. "Spogliati." gli ordinò, iniziando a sua volta a togliersi da dosso gli abiti. Quando furono entrambi nudi, l'uomo gli disse: "Sul letto, a quattro zampe."
Mentre Petru eseguiva, l'altro stracciava la bustina di un preservativo e se lo infilava. Aveva lanciato al ragazzo romeno appena un'occhiata, quasi come se non gli interessasse se fosse ben fatto o no, attraente o no, e Petru pensò che il membro del cliente era duro non per lui, ma solo per l'idea di potersi presto sfogare.
Infatti l'uomo salì sul letto, gli si inginocchiò dietro, lo afferrò per la vita e gli si premette contro, dando alcune forti spinte e quando gli fu dentro iniziò a sbatterlo con colpi forti e veloci. Contrariamente a quando l'aveva fatto con i fratelli o con i compagni, Petru non era minimamente eccitato, anzi provava un forte senso di fastidio. Anche gli ansiti rumorosi con cui l'uomo accompagnava la sua monta lo infastidivano.
Durò poco: l'uomo si scaricò in lui con pochi getti sottolineati da bassi mugolii. Si sfilò dal ragazzo, scese dal letto, si tolse il preservativo e disse: "Vestiti!"
Petru obbedì. Guardò l'uomo che, mentre si rivestiva, pareva evitare il suo sguardo e temette che quello volesse fare il furbo e non pagarlo. Adam gli aveva detto che doveva farsi dare i soldi prima, ma tutto era avvenuto così in fretta che Petru se n'era dimenticato.
Però l'uomo tirò fuori il portafogli, contò cinque biglietti da ventimila lire e li porse al ragazzo, senza parlare. Petru li intascò tirando un silenzioso sospiro di sollievo.
"Andiamo." disse l'uomo. Uscirono dalla casa. L'uomo lo riportò in piazza Trento dove lo lasciò.
Lui, scendendo dall'auto, aveva detto "Ciao" all'uomo, che non aveva neppure risposto e se n'era andato in fretta.
Petru tornò nella via dove erano loro ragazzi romeni. Non c'era più nessuno di quelli di Dragos. Pensò che tutto sommato aveva guadagnato quei soldi in fretta, perciò poteva anche trovare un altro o altri due clienti, però non si sentiva contento: aveva iniziato il suo nuovo lavoro in modo decisamente squallido.
D'altronde, non è che, a giudicare dai racconti dei grandi, di cui ormai faceva parte, potesse aspettarsi qualcosa di molto diverso. In seguito trovò clienti migliori e pochi, per fortuna, peggiori di quel suo primo cliente... o secondo contando anche quello di quando mendicava.
Faceva il suo nuovo mestiere da quasi cinque mesi. Il suo italiano stava lentamente migliorando, ma più per quanto riguarda il ricco e variegato vocabolario sessuale che in altri campi, anche perché fra loro ragazzi parlavano logicamente in romeno. Aveva già mandato soldi a casa quattro volte. Non aveva notizie dei suoi, se non vaghe rassicurazioni da Dragos che stavano bene e erano contenti di lui.
Una sera, era già passata la mezzanotte e Petru aveva solo avuto un cliente che l'aveva succhiato in auto, perciò aveva guadagnato ancora troppo poco, quando poco più su nella via in cui batteva, sentì scoppiare una rissa. Stava per andare a vedere, ma uno dei compagni lo fermò.
"Non t'immischiare, Petru... non c'è nessuno dei nostri lassù. Lascia che se la vedano loro."
Petru pensò che forse aveva ragione il compagno e tornò al suo angolo, i suoi sensi però in allarme, protesi verso l'origine delle urla, cercando di distinguere le silhouettes dei ragazzi che stavano litigando. Gradualmente le grida e i sommovimenti cessarono e la quiete tornò nella loro via.
Ma a un tratto sentì il fischio d'allarme con cui i ragazzi si avvertivano quando qualcuno vedeva arrivare un'auto della polizia: accadeva molto di rado, ma a volte capitava.
Petru vide i lampeggianti blu provenire da piazza Trento. Si allontanò girando l'angolo ma un'altra auto proveniva da quella parte. Tornò indietro, sentendosi il cuore in gola. Altre auto della polizia, da cui sciamavano fuori i poliziotti. Grida, ordini, confusione, poliziotti che inseguivano i ragazzi... Si guardò intorno cercando una via di fuga... e si rese conto che non ce n'erano. Allora si addossò al muro di una casa, quasi sperasse di poterne essere assorbito, nascosto.
Inutilmente. Anche Petru fu preso. Non oppose resistenza. Fu afferrato per un braccio e portato verso piazza Trento, dove c'erano i cellulari e fu fatto entrare in uno di essi. C'erano già dentro ragazzi marocchini, romeni, albanesi, anche uno italiano.
Questi disse a voce bassa ma chiara e con un sorrisetto: "Non ci possono fare niente, la prostituzione non è reato, qui da noi."
Un marocchino disse: "Tu no, ma io clandestino."
Un romeno, non del suo gruppo, ridacchiò nervosamente: "Pochi giorni e noi ancora qui. Io espelluto tre volte e ancora qui."
Un altro ragazzo fu fatto salire nel cellulare, la porta fu chiusa e il poliziotto batté sulla porta, gridando: "Vai!" e l'automezzo si avviò.
Era la prima volta che Petru cadeva nelle mani della polizia, e tremava, spaventato. "Ci portano in galera?" chiese all'altro romeno.
"Galera? Hai droga con te?"
"No..."
"Hai precedenti penali?"
"No..."
"Allora sta tranquillo, niente galera. Tu non sei ancora maggiorenne, no? Perciò non ti espellono. Ti mandano in una comunità o in una casa famiglia. Stai buono per qualche giorno, poi tagli la corda. Chi è il tuo capo? O sei uno libero?"
Petru stava per rispondergli che era Dragos, ma si ricordò che non doveva assolutamente parlarne. Le "istruzioni" di Adam gli tornarono in mente tutte, improvvise, con chiarezza. Perciò fece spallucce e non disse niente.
"Con me puoi parlare... Io sono qui con due miei fratelli, a casa di uno zio. Io non ho capi, perciò quello che guadagno è tutto per me, per la mia famiglia. Io ho già venti anni, perciò a me mi fanno il foglio di via. Scompaio e ricomincio, da un'altra parte."
"Sono tutti marchette, i tuoi fratelli?"
L'altro rise: "No, loro hanno un lavoro regolare e permesso di soggiorno. Io non ho ancora trovato un lavoro e così... E poi guadagno più di loro, perciò..."
Petru era stupito per come tutti lì dentro sembrassero tranquilli, a parte due marocchini che avevano espressioni spaventate.
"Davvero non ci chiudono in galera?" chiese al suo compagno romeno, che pareva esperto.
"Ma no! Solo se hai droga addosso, o se hai rubato..."
Petru si chiese perché Dragos, Adam, Horatiu avessero sempre tanto insistito che se la polizia li prendeva, sarebbero finiti in galera e avrebbero dovuto fare le puttane gratis per dieci, venti uomini ogni giorno... E, nonostante fosse ancora molto teso, lo capì: per non farli scappare! Per controllarli, per tenerli.
Dopo tutto, si disse Petru, con quello che loro ragazzi guadagnavano mendicando o vendendosi, quei tre guadagnavano molto bene... Loro ragazzi erano veramente le galline dalle uova d'oro. Erano veri e propri schiavi... Si sentì furioso.
Se era vero che la polizia lo avrebbe mandato in una comunità o in una casa famiglia... che non lo chiudevano in galera né lo rimandavano in Romania... dove, dopo gli sforzi e i sacrifici che aveva fatto la sua famiglia si sarebbe sentito un fallito... quella retata poteva essere la sua fortuna.
Il cellulare si fermò in un cortile e furono fatti scendere, portati in una stanza che aveva solo sedie di metallo contro le pareti e una scrivania con un poliziotto seduto, che li guardava, senza dire o fare niente. Petru andò a sedere accanto all'altro romeno: voleva altre informazioni. Sottovoce, gli pose diverse domande... e gradualmente gli si formò in testa un piano. Non si sentiva ancora sicuro al cento per cento, ma era un po' meno preoccupato.
A uno a uno i ragazzi erano portati via e nessuno di loro tornava in quella stanza. Petru si chiese se era un buon segno o no. Il poliziotto era giovane, aveva una faccia normale, un'espressione tranquilla e lievemente annoiata. I suoi occhi continuavano a posarsi a turno su ognuno dei ragazzi, come se li studiasse... o se volesse ricordare le loro fisionomie... chissà?
Entrò un altro poliziotto e indicò Petru: "Vieni." gli disse.
Il ragazzo si alzò e il cuore riprese a battergli con forza. Lo seguì, traversarono un corridoio e entrarono in un'altra stanza. Qui era seduto un altro poliziotto, un graduato, e quello che l'aveva chiamato andò a sedere a un'altra scrivania su cui era una macchina da scrivere.
"Siediti. Capisci l'italiano?" gli chiese il graduato.
"Sì, un poco." rispose Petru tremando lievemente.
"Cognome e nome?"
"Florea Petru."
"Nazionalità?"
"Romeno."
"Data e luogo di nascita?"
"Duodici febraio 1978, Bucuresti." rispose dando la data giusta ma mentendo sulla città.
"I tuoi vivono a Bucarest?"
"No, io nessuno, loro morti, io orfano." mentì di nuovo.
L'interrogatorio proseguì mentre l'altro poliziotto batteva tutto a macchina. Ma non mentì riguardo a Anca Schisilescu, a Dragos Matei, Horatiu Roder e Adam Vasile: voleva fargliela pagare per aver mentito e averlo ridotto in schiavitù, lui e gli altri ragazzi.
Finito l'interrogatorio, fu condotto in un'altra stanza. Qui c'era una donna in borghese, che prese in mano la copia dell'interrogatorio, gli fece un sorriso e gli fece cenno di sedere.
"Bene, Petru Florea, io mi chiamo Gabriella Scotti e sono l'assistente sociale... Dunque..."
Petru pensò che quella donna aveva una faccia gradevole, un'espressione amichevole e si chiese se era tutta scena o no. Certo, dava un'impressione molto diversa da quella che aveva avuto da Anca Schisilescu.
La donna gli spiegò molte cose. Gli disse che, secondo la definizione che ne dà la legge italiana, lui era un "minore straniero non accompagnato" cioè un "minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione Europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano."
A volte Petru le chiedeva di spiegargli alcune parole, e lei pazientemente lo faceva. Poi Gabriella gli spiegò che l'espulsione dei minori, specialmente di quelli non accompagnati, è vietata dalla legge italiana sull'immigrazione. Quando un minore non accompagnato viene trovato, deve essere segnalato al comitato per i minori stranieri e ha diritto all'assistenza dei servizi sociali locali e alla nomina di un rappresentante legale da parte del giudice minorile.
La donna gli disse anche che sarebbe stato permesso il suo rimpatrio soltanto se nel paese d'origine vi fossero state le condizioni per il ricongiungimento familiare, e che perciò, essendo lui un orfano fuggito da un orfanotrofio, non era il suo caso. Petru fece un silenzioso sospiro di sollievo.
Poi Gabriella gli disse che, nell'attesa degli accertamenti necessari per legge, sarebbe stato affidato a una comunità, gli sarebbe stato rilasciato uno speciale permesso di soggiorno provvisorio per i minorenni. Questo gli avrebbe consentito di lavorare o di frequentare corsi scolastici o di apprendistato.
Quando fosse diventato maggiorenne, quel permesso di soggiorno provvisorio avrebbe perso la sua efficacia, e lui avrebbe rischiato perciò l'espulsione, se nel frattempo non avesse trovato un lavoro regolare. La comunità comunque, se era interessato, l'avrebbe aiutato a trovarlo.
Così Petru fu affidato alla Caritas ambrosiana e inserito in una comunità di ragazzi stranieri minorenni che si prostituivano. Qui fu intervistato da uno psicologo che gli chiese, fra l'altro, se trovando un lavoro regolare avrebbe smesso di prostituirsi.
"Certo che io smette, io smette subito se ho mangiare e letto e lavoro pulito!" rispose Petru.
In quella comunità c'erano dodici ragazzi, compreso lui. Dormivano in una stanza con sette letti a castello, con anche le lenzuola! E i materassi non puzzavano. Mangiavano in un refettorio pulito, luminoso, con tanto di piatti e posate. E in attesa dei risultati delle indagini, oltre agli incontri con lo psicologo, venivano due volontari per insegnare loro l'italiano.
Restò lì per due mesi: nel frattempo tre ragazzi erano fuggiti e ne erano stati portati cinque nuovi. Petru non aveva nessuna intenzione di fuggire. Il prete che dirigeva quel centro, che si chiamava don Cesare, era un uomo deciso, ma buono, gentile. Lì stava bene e soprattutto gli avevano promesso che gli avrebbero cercato un lavoro regolare.