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una storia originale di Andrej Koymasky


ALBERGO A ORE CAPITOLO 4
FACTOTUM NELL'ALBERGO

I ragazzi che vivevano nella comunità di accoglienza della Caritas, nonostante fossero stati in gran parte prostituti, non avevano mai o quasi mai fatto sesso fra di loro. Petru, come la maggioranza degli altri ragazzi lì ospitati, dopo tutti i clienti che aveva dovuto soddisfare, non aveva molta voglia di farlo, sia pure fra loro.

Questo poteva dipendere anche in parte dal fatto che erano sorvegliati, se pure in modo discreto, dal personale e dai volontari, e non c'erano comunque posti in cui appartarsi facilmente.

Le giornate passavano fra lezioni di italiano, le pulizie dei locali, aiutare in cucina a fare da mangiare poi a lavare le stoviglie e altre piccole incombenze. C'era un ricambio fra i ragazzi, perché alcuni fuggivano per riprendere la loro vita, e a qualcun altro veniva trovato un lavoro oppure veniva dato in affidamento a una famiglia. Così si liberavano posti e nuovi ragazzi erano affidati alla Caritas.

Per lavarsi, i ragazzi usavano un box doccia singolo in cui andavano a turno, e usavano un pezzo di sapone di marsiglia. La doccia per Petru fu una grande novità, e gli piaceva l'effetto dell'acqua che gli scrosciava addosso. Poiché era una doccia individuale, spesso ne approfittava per masturbarsi e sfogare in qualche modo i desideri sessuali.

Petru, da parte sua, desiderava ardentemente che gli trovassero un "vero" lavoro, perché si sentiva responsabile verso la sua famiglia a cui voleva poter riprendere a mandare un po' di denaro. Perciò continuava a chiedere a tutti i volontari informazioni per capire come avrebbe potuto fare per lavorare in Italia senza rischiare di essere espulso. Avrebbe accettato al limite anche un lavoro in nero, ma così sarebbe rimasto un clandestino, perciò preferiva, logicamente, poterlo avere con un regolare permesso di soggiorno.

Circa due mesi dopo che viveva nella comunità, Petru fu chiamato nello studio del prete che la dirigeva, don Cesare.

"Petru, forse ti abbiamo trovato un lavoro. Un lavoro regolare."

"Buono! Così io quanto diciottenne può restare qui in Italia?"

"Finché hai un lavoro regolare, sì."

"Molto buono! E che lavoro è?" chiese Petru illuminandosi.

"Factotum in un albergo a San Donato, un piccolo centro a sud di Milano."

"Che è faccotum?" chiese, aggrottando la fronte.

"Un ragazzo di fatica, uno che fa tutti i lavori più semplici, spazzare, pulire, spostare pesi, forse portare le valigie dei clienti. Non è un grande albergo, è a conduzione familiare."

"Conduzione? Cosa conduzione familiare?"

"Fino a ora ci lavora solo la famiglia, e tre cameriere, ma hanno bisogno di un buon paio di braccia in più."

"Oh, io buone braccia in più!" esclamò il ragazzo, mostrandogliele e flettendo gli scarni muscoli.

Don Cesare sorrise, ma in cuor suo si augurò che il ragazzo non facesse come altri che, prima o poi, poiché avrebbero guadagnato di più vendendo il proprio corpo, sarebbe fuggito e avrebbe ripreso a prostituirsi... o addirittura a spacciare droga. Ogni volta che ciò accadeva, questo bruciava a don Cesare come una sconfitta, ma pensava che gli sarebbe dispiaciuto anche di più per quel ragazzo, nei cui occhi poteva ancora leggere una pulizia interiore.

Così il sacerdote prese la sua vecchia Seicento, che miracolosamente ancora funzionava bene tanto che i volontari dicevano scherzosamente che quell'auto doveva avere un potente angelo custode, e portò Petru a San Donato, perché i gestori dell'albergo lo potessero incontrare e valutare.

L'albergo apparteneva a una società anonima ed era stato dato in gestione alla famiglia Vizzini, o per meglio dire ad Adele, una bella donna di quaranta anni dall'aspetto deciso e duro, che era rimasta vedova da due anni, e ai due suoceri, Carlo e Felicita Vizzini, rispettivamente di settantadue e di sessantaquattro anni. Adele aveva un figlio, Mario, di quasi quindici anni, che frequentava l'istituto alberghiero.

I Vizzini fecero fermare don Cesare e Petru a pranzo e, più che realmente esaminare il ragazzo romeno, a cui non erano richieste particolari competenze, volevano capire che tipo fosse. Nonostante fosse un po' magrolino, evidentemente ne ricavarono una impressione sufficientemente positiva, inoltre era presentato da don Cesare, di cui si fidavano, per cui decisero di assumerlo.

La signora Adele portò Petru a vedere la stanza in cui avrebbe vissuto: era una minuscola cameretta ricavata nel sottotetto; Petru, quando era nella parte in cui c'era il letto, doveva fare attenzione a stare chinato per non battere la testa, benché non fosse molto alto; però la stanzetta aveva il termosifone e un lavandino, il letto aveva le lenzuola e un bel cuscino, accanto alla porta c'era un armadio e sotto l'abbaino c'era un basso scaffale.

A Petru sembrò una stanza bellissima, anche quando vide le stanze dell'albergo che, pur molto modeste, gli sembrarono di lusso. Infatti le camere del primo e secondo piano avevano tutte anche il gabinetto e la doccia. Quelle del terzo piano avevano solo il lavandino, ma al piano vi era un gabinetto e una stanza da bagno in comune, che anche lui avrebbe usato.

Pensò di essere molto fortunato: aveva una stanza e un letto tutto per sé, inoltre non avrebbe sofferto il freddo come invece aveva patito in inverno sia in Romania che a Milano. Petru sapeva bene che gli immigrati clandestini romeni, marocchini o albanesi vivevano tutti in squallide soffitte, o stipati in puzzolenti sottoscala o in cantine umide... Ne avevano parlato fra loro ragazzi, nel periodo in cui era stato ospite nella comunità della Caritas.

Quando iniziò a lavorare in quell'albergo, Petru parlava un italiano ancora piuttosto limitato e scorretto, non sapeva come si rifacesse un letto, non aveva mai usato né visto un aspirapolvere o una lucidatrice, non aveva idea di cosa fosse una piastrina di deodorante o di antitarme. Ma poiché il suo compito consisteva nello spazzare il giardino, il garage, a volte lavare le macchine dei clienti, e lavare i vetri, se la cavava abbastanza bene.

Petru non era veramente pulito, quando lo assunsero come ragazzo di fatica. Infatti fino ad allora s'era sempre lavato sommariamente, e non molto spesso. La prima volta che usò il bagno, Mario dovette insegnargli a lavarsi bene, dovette spiegargli l'uso del bagno schiuma e dello shampoo che Petru non aveva mai visto. Trovò che avevano un buonissimo odore e che lasciavano la pelle molto più fresca e liscia di quando si lavava con una scaglia di sapone di Marsiglia.

Anche il dentifricio e lo spazzolino per lui furono una novità e Mario, senza prenderlo in giro e con pazienza, gli spiegò anche come lavarsi i denti. Fino ad allora, Petru se li era lavati semplicemente insaponandosi un dito e passandolo sui denti, poi sciacquandosi abbondantemente la bocca per eliminare il cattivo sapore. Pensò che il dentifricio alla menta era un'invenzione meravigliosa.

Quando fu assunto come ragazzo di fatica in quell'albergo, Petru era ancora un po' magro e i Vizzini gli davano pasti talmente abbondanti che all'inizio faceva persino fatica a mangiare tutto, ma si sforzava di farlo, per non offendere quelle persone che si mostravano così gentili nei suoi confronti.

In realtà, era soprattutto Mario a essere sempre gentile con lui e a Petru quel ragazzetto piaceva molto. Infatti Mario si era reso conto che se gli parlava lentamente, se gli scriveva le parole su un bigliettino, e se gliele spiegava, Petru riusciva a capire meglio quello che volevano da lui.

Mario cercava di spiegargli le cose senza farsi vedere dalla madre, che invece spesso sgridava Petru e perdeva la pazienza con lui e a volte lo minacciava anche di licenziarlo. Petru aveva molta soggezione della signora Adele. S'era accorto che gridava spesso anche con le cameriere, ma anche che altrettanto spesso piangeva, e non riusciva a capirne il motivo.

Anche il signor Carlo, il suocero della signora Adele, era gentile con Petru, e qualche volta gli regalava qualche vestito usato, per lo più roba lasciata da qualche cliente che era scappato senza pagare il conto e che faceva eventualmente adattare da sua moglie, la signora Felicita.

Il signor Carlo, nonostante fosse vecchio e avesse un aspetto assai modesto, doveva essere una persona di una certa cultura, o comunque doveva sapere molte cose, perché il nipote, quando studiava e faceva i compiti, andava di frequente da lui con un libro o con un quaderno aperto a chiedergli spiegazioni, e capitava raramente che il vecchio non fosse in grado rispondere.

Inoltre il signor Carlo spesso faceva in modo di far avere a Petru qualche mancia. Quando un cliente ringraziava per un servizio fatto da Petru, infatti, il vecchio immancabilmente diceva, a differenza della signora Adele: "Dovete ringraziare Petru, non me, il nostro bravo fattorino romeno."

La signora Felicita, la nonna di Mario e suocera della signora Adele, era una donna taciturna e dall'espressione triste, sempre indaffarata. Lavorava soprattutto in cucina, preparava per il marito la lista per fare la spesa, rammendava, lavava e stirava i panni della famiglia e anche i grembiuli celesti e le crestine bianche delle tre cameriere dei piani.

Petru aveva scoperto che il marito della signora Adele era morto un paio di anni prima, cadendo dal tetto dell'albergo su cui era salito per sostituire alcune tegole rotte. Aveva messo un piede in fallo, era scivolato ed era piombato giù, battendo la testa ed era morto sul colpo, proprio di fronte alla signora Felicita, sua madre.

Mario quel giorno era a scuola, era stato mandato a prendere dopo che il padre era già stato portato all'ospedale e ricomposto. Logicamente era rimasto molto scosso dalla morte del padre e, come reazione, s'era messo a studiare molto più di prima e aveva voluto frequentare l'alberghiero per prendere al più presto il posto del padre.

I responsabili della società anonima che possedeva l'albergo, avevano deciso di affidare la gestione alla vedova, per aiutare la famiglia dopo la disgrazia che l'aveva colpita.

La signora Adele normalmente stava alla reception e serviva al bar, teneva i conti, prendeva tutte le decisioni più importanti. Il signor Carlo, quando non doveva andare a fare la spesa, stava quasi sempre seduto al bar, dove anche Mario stava a studiare, ed era lui che controllava quello che portavano i fornitori, o che dava e ritirava la biancheria da lavare al giovanotto della lavanderia che andava a prenderla e riportarla con un furgoncino.

I clienti erano a volte famiglie intere, per lo più persone che erano andate al nord in cerca di lavoro, oppure studenti, o comunque gente che non aveva i soldi per pagarsi l'affitto di un appartamento. L'albergo era sempre abbastanza pieno, ma gli ospiti erano in maggioranza gente con pochi soldi che non sempre poteva pagare, o non alle scadenze dovute, ma i Vizzini non avevano cuore di mandarli via. A volte, quando i debiti erano troppo alti, qualcuno dei clienti tagliava la corda, scompariva, lasciando i bagagli in camera.

Petru, gradualmente, si rese conto che la signora Adele piangeva spesso perché non entravano abbastanza soldi per pagare l'affitto e la società che era proprietaria dell'albergo aveva iniziato a minacciare di mandarli via e di affidare la gestione ad altri.

"Da quando è morto il mio povero marito, le cose non vanno più come prima... dovete avere un po' di pazienza..." Petru l'aveva sentita dire una volta all'incaricato della società che era andato a ritirare l'affitto mensile.

"Eh sì, signora Vizzini, l'amministratore delegato comprende, ma ormai sono passati due anni dalla disgrazia e la solfa è sempre la stessa! Abbiamo accettato di intestare a lei la gestione dell'albergo, proprio per pietà, per non mettervi in mezzo a una strada, però, anche lei capirà... Due vecchi e un ragazzino, che aiuto le possono dare!"

"Per questo ho preso il ragazzo tutto fare. E ci sono anche le tre cameriere... D'altronde, se mettete un altro gestore che deve pagare tre persone al posto mio e dei miei suoceri... se la caverebbe anche peggio di noi, perché dovrebbe dare tre stipendi pieni e versare i contributi... Non vi conviene davvero."

L'incaricato, un po' perché sapeva che la signora Adele non aveva torto, un po' forse anche per pietà, le diceva che avrebbe fatto il possibile per farli restare e se ne andava scuotendo la testa. Fino alla volta seguente in cui si presentava per riscuotere.

Petru non capiva tutto quanto si dicevano i due, ma gli era chiaro che l'uomo, o per meglio dire la società per cui lavorava, voleva più soldi e che la signora Adele non sempre glieli poteva dare. E allora, la padrona gli faceva pietà e gli sembrava meno antipatica, e capiva perché gridasse sempre e piangesse spesso.

Aveva anche intuito che sia la paga che i contributi che versavano per lui erano meno di quanto gli sarebbero spettato in base alle ore di lavoro, tuttavia non avrebbe mai denunciato i Vizzini al sindacato, sia per paura di non trovare un altro lavoro, sia perché ancora non ne capiva abbastanza di pensioni e diritti, e anche perché, infine, avrebbe lavorato per loro anche se non lo avessero messo per nulla in regola.

Dopo tutto, stava bene lì con i Vizzini, anche se doveva lavorare sodo dalla mattina alla sera. La paga era bassa, ma in fondo non aveva spese, e se anche, in base alla legge, dopo aver compiuto i diciotto anni, doveva avere sempre pronto un biglietto aereo aperto per la Romania pagato dal datore di lavoro, in realtà aveva dovuto pagarlo lui. Gli avevano detto che avrebbe dovuto essere a carico del datore di lavoro, ma gli avevano anche detto che quelli che lo pagavano davvero erano molto pochi.

Era stato il signor Carlo che un giorno lo aveva preso in disparte e gli aveva spiegato tutto questo, e Petru aveva capito e aveva accettato. Come aveva sentito dire, c'era un proverbio, in Italia, che diceva che non si sputa nel piatto che ti dà da mangiare, e lui non ci avrebbe sicuramente sputato, mai. I Vizzini erano per lui un surrogato di famiglia e si stava affezionando sempre più a loro.

Un problema sorse un giorno mentre erano a tavola, quando Petru, avendo messo da parte un po' di soldi dato che praticamente non aveva spese, chiese se l'aiutavano ad andare all'ufficio postale per mandarli alla propria famiglia in Romania...

"Ma come!" gridò la signora Adele guardandolo con espressione irata, "Allora sei un bugiardo!"

"Bugiardo io? No no! Perché dice così signora Adele a Petru? Io no bugiardo." affermò il ragazzo, stupito.

"Tu avevi detto a don Cesare che eri un orfano, che non avevi nessuno, che eri scappato via dall'orfanotrofio perché non ti davano da mangiare e per questo sei venuto in Italia! E adesso spunta che invece hai una famiglia in Romania!"

"No... io... io signora padrona Adele... Io..." balbettò Petru.

"Tu cosa, eh? Stai cercando di inventare un'altra bugia, adesso? O hai la faccia tosta di dare del bugiardo a don Cesare?" gridò Adele. "E magari, oltre che bugiardo, sei pure un ladro..."

Petru capì lo sbaglio che aveva fatto, ma ormai... e allora cercò di spiegare il motivo della bugia che aveva detto quando la polizia l'aveva preso, ma la signora Adele urlava, lo insultava e non lo lasciava parlare, finché la signora Felicita, solitamente così taciturna, intervenne.

"Adesso smettila, Adele! Lascia parlare il ragazzo! Chi di noi non ha detto bugie, per sopravvivere, eh? Zitta e lascia parlare Petru!" disse con determinazione.

Lo disse con tale energia, cosa del tutto insolita, che la signora Adele ammutolì.

Mario allora disse, con gentilezza: "Dicci tutta la verità, Petru, per favore."

Allora Petru raccontò loro tutto, la sua vita in Romania, la miseria in cui vivevano, l'arrivo dei due che avevano promesso un viaggio in Italia dove gli avrebbero procurato un ottimo lavoro, come era entrato con altri, come turista-pellegrino in Italia, ma invece che a Roma erano stati portati a Milano, come lui fosse stato costretto prima a mendicare poi a prostituirsi... come avesse detto tutto questo alla polizia, ma spiegò che aveva mentito dicendo che era orfano, per non essere rimandato in Romania, perché lui doveva lavorare, per mandare i soldi ai suoi... Non poteva assolutamente tornare a casa e non aiutare la sua famiglia.

I Vizzini l'avevano ascoltato in silenzio, poi nonno Carlo aveva chiesto alla nuora, con dolcezza: "Adele, e tu vorresti condannarlo per questa bugia? Perché il ragazzo vuole aiutare la sua famiglia? Vorresti condannarlo a vendersi ancora o a dover tornare in Romania a fare la fame? Come dice Felicita, chi di noi non direbbe... o ha detto bugie, per poter sopravvivere?"

"Chi mi dice che questa volta ha detto la verità?" chiese la padrona, ma in tono sommesso, incerto.

"E credi che ci avrebbe confessato anche il mestiere che l'hanno costretto a fare, solo per prenderci in giro? Non credi che sia giustificabile la bugia che ha detto alla polizia per non essere espulso?" le chiese nonno Carlo, con un sorriso.

"E poi, mamma, " intervenne Mario, "se vuole il nostro aiuto per mandare i soldi alla famiglia tramite la posta, vuol dire che si fida di noi, perché così non solo sappiamo che ha una famiglia, ma anche a che indirizzo vive, no? E se lui si fida di noi, perché noi non ci dobbiamo fidare di lui?"

"Beh... sì..." ammise la signora Adele, ammansita, anche se un po' contrariata di dover ammettere di essere nel torto e soprattutto di essere stata messa in minoranza dalla sua famiglia, "Sì, non è una vera bugia... Sì, va bene..." Poi aggiunse, determinata e lievemente minacciosa: "Ma d'ora in poi, Petru, se scopro un'altra bugia..."

"No, signora padrona Adele, mai più bugia, da Petru. Giuro! Mai più bugia..."

Nonno Carlo disse allora: "Domani mattina, Petru, ti accompagnerò io all'ufficio postale per fare il vaglia internazionale a favore del tuo papà, per aiutare la tua mamma e i tuoi fratellini. D'accordo?"

"Grazie, signore Carlo. Grazie, signora Adele. Grazie signora Felicita. Grazie signore Mario..."

Mario sorrise: "Almeno a me... non puoi dire solo Mario, senza dire signore? Dopo tutto ho tre anni meno di te."

Così, la mattina del giorno seguente, nonno Carlo andò all'ufficio postale con Petru che poté inviare nuovamente i soldi alla propria famiglia.

A Petru piaceva molto Mario: gli ricordava, un po' per il suo aspetto fisico e molto per il suo carattere gentile, il suo vecchio compagno Abel Bessai. Si chiese che fine avessero fatto Abel, e Costica, e Fane, e Danut... Ma specialmente Abel. Si chiese anche che fine avessero fatto Dragos e i suoi compari... Sperava che grazie a quello che aveva detto alla polizia, li avessero messi in galera o rimandati in Romania.


Un giorno, mentre stava spazzando via le foglie morte dal giardino, Mario, che gli stava dando una mano, gli fece una domanda.

"Petru... era molto brutto dover... fare quelle cose che ti avevano obbligato a fare?"

"Vendere mio corpo a uomi per sesso?" chiese il ragazzo, smettendo di spazzare e guardandolo, sereno.

"Sì... se ti va di parlarne."

"Bello no, specialemente con certi uomi. Certi trattava suo cane più gentilemente che io. Ma certi invece era come se... come se io poteva dare a loro cosa che mancava... mica dico solo corpo... Difficile spiegare io conosce poche parole per dire tutto... Certi compra panino, mangia boccone poi stanchi butta via perché mica veramente fame. Certi mangia tutto anche bricciolle che cade, perché piace molto e veramente bissogno mangiare. Però sempre, tutti, compra panino... cioè io come oggeto, non come persona, tu capisce, Mario?"

"Allora era veramente brutto."

"Con certi brutto, con certi non bello e non brutto, ma proprio bello, mai. E poi, per dare soldi a organizzazione e per avere soldi che mandare a mia famiglia, mica possibile dire no a cliente, capisci? Tu non più libero, non più padrone di tuo corpo. Chi paga usa, come vuole. Cioè, anche qui io mica può dire no a lavoro. Logico. Però diverso, perché cosa diversa è vendere cosa che fabbrichi o compri o sai fare o... ma diverso vendere cosa per te molto importante. Anche ora io qui vende mio lavoro, no? Ma io crede che sesso è cosa diversa, anche se no so spiegare bene perché diverso."

"Credo anche io che è molto diverso. Soprattutto, forse, perché non avevi scelta. Qui, se non ti piace il lavoro, puoi cercarne un altro che faresti più volentieri."

"Oh, ma io piace lavoro qui e fa molto volentieri. Ragazzi che vendeva corpo come me, solo uno o due piaceva fare quello lavoro. Però io crede che sesso bello se uno dona e no se vende e se uno riceve dono e no se compra."

"Per amicizia o per amore?"

"Forse anche per divertire, sì, però libero di tutti e due che fa sesso. Se tu gioca pallone, può fare per divertire o per piacere o per lavoro, ma se tu deve gioca che tu non libero ma fa sempre solo come altro ordina, allora anche calcio cosa brutta, no? Se tu stanco di gioca pallone e tu dice adesso basta e allora quando tu gioca è bello. Ma se tu deve fare gioco pallone anche quando tu non vuole, allora tu odia gioco pallone, giusto?"

"Sì, proprio così."

"Io crede che no sesso brutto, ma bello solo se tu desidera fare e altro desidera fare con te. Giusto?"

"Sì, giusto."

Petru pensò che lui avrebbe fatto volentieri sesso con Mario, però il ragazzo, pur essendo sempre molto gentile con lui, non pareva interessato a farlo, perciò non osava farglielo capire.

Le settimane, i mesi passavano e la vita scorreva abbastanza tranquillamente per Petru. Sopportava gli sbalzi di umore e le sgridate della signora Adele, gradiva le piccole attenzioni che nonno Carlo aveva per lui, accettava con semplicità e gratitudine l'atteggiamento amichevole di Mario. Per lui restava sempre un po' un mistero la personalità di nonna Felicita, sempre taciturna, sempre indaffarata, che pareva vivere in un mondo a parte.

Certo, si diceva Petru, doveva essere stata una cosa terribile vedersi morire il figlio davanti, cadere come un sasso e non muoversi più. Era come se l'anima della signora Felicita fosse morta assieme al corpo di suo figlio, il signor Sandro. Sfracellato lì, davanti all'albergo, dove qualcuno della famiglia aveva piantato un cespuglio di rosse rose di macchia che solo la signora Felicita poteva potare, accudire.

Quasi come se la vecchia avesse trasferito su quel cespuglio di rose, del colore del sangue del figlio, le cure che ormai non gli poteva più dare.

Aveva visto una foto del signor Sandro: era in cucina, su uno scaffale, e spesso aveva una rosa davanti e sempre un lumino acceso. Era stato un bell'uomo e Mario assomigliava molto al padre. Ma nessuno dei Vizzini parlava mai, o quasi mai, del signor Sandro, per lo meno con lui.

Quando Petru era diventato maggiorenne, il signor Carlo e don Cesare l'avevano accompagnato in questura per fargli cambiare i documenti e fargli avere il permesso di soggiorno permanente.

"Ora, giovanotto, la tua vita è nelle tue mani." gli aveva detto don Cesare, "Non hai più bisogno di un tutore. Il signor Vizzini mi ha detto che sei un bravo ragazzo e che sono contenti di te. Ti auguro di avere un bel futuro, ragazzo mio."

"Io devo ringraziare primo don Cesare, poi tutta famiglia Vizzini che ha preso me, ragazzo nella pattumiera, e pulito e fatto diventare vero ragazzo. Io sempre avrò tanta riconoscimenta per tutti voi e specialemente per tutti signori Vizzini."

"Mai e per sempre non esistono... Almeno su questa terra." gli disse con un lieve sorriso nonno Carlo.

"Io chiede scusa, signore Carlo, ma io non è d'accordo." disse Petru con un sorriso schivo. "Ma se uno non crede che esistono, forse gli impede di esistere. Impedisce, no impede. Vero?"

Il vecchio annuì con unsorriso. Don Cesare li salutò, Carlo fece salire in auto Petru e tornarono a San Donato.

Lungo la strada, Carlo gli disse: "Sono molto contento che Mario abbia un compagno, un ragazzo della sua età, in casa. Tu sei un buon ragazzo, serio e lavoratore. Ho notato che Mario è un po' più sereno da quando ci sei tu."

"Mario è molto gentile con me, come signore Carlo. Io sto molto bene con voi e io pensa che io è molto fortunato. Io mai lascerò voi, anche se signore Carlo crede che mai e sempre non esiste." gli disse Petru con un sorriso.

"Devi solo avere pazienza con Adele. Anche se ha un atteggiamento un po' scorbutico, è buona, e ha le spalle larghe: è lei che manda avanti l'albergo, dopo la morte del mio Sandro. Prima... era più... dolce. Per tutti noi è stata una grossa perdita, è difficile dire per chi è stata più grossa."

"Sì, io capito. Primi giorni io aveva paura di signora Adele, però adesso io capito e non difficile avere pazienza e aspettare che passa. Io adesso sa che anche se dice che signora Adele minaccia di licenziare me, non pensa davvero questa cosa."

Carlo gli carezzò lievemente e brevemente una mano, poi la rimise subito sulla leva del cambio: "Sei un buon ragazzo, Petru."

"Io vuole essere buon ragazzo e fare meglio che sa fare e dire così mio grazie a tutti voi."

Il vecchio annuì, mentre parcheggiava accanto all'albergo. Prima di scendere, gli disse: "Anche noi dobbiamo dire grazie a te, per tutto il lavoro che fai, senza lamentarti mai. Meriteresti di essere pagato più di quanto possiamo fare."

"A me va bene così, signore Carlo. Non dovete preoccupare per me. Ho casa, mangio molto bene, ho come famiglia qui e posso mandare soldi a mia famiglia in Romania. Perciò tutto bene."


Sì, la vita trascorreva tranquillamente per Petru, si sentiva sereno e l'unico suo cruccio era il fatto che provava una crescente attrazione nei confronti di Mario, che stava maturando, diventando più uomo, nonostante non avesse ancora sedici anni.

Sedici anni... l'età in cui Dragos e gli altri l'avrebbero costretto a battere il marciapiedi... A questa idea, Petru si sentì rabbrividire: non avrebbe mai permesso che potesse accadere una cosa del genere a Mario! Mai! Altroché se esistevano mai e sempre!

Mario aveva la stessa età di suo fratello Costel... si chiese come stessero i suoi, Stelian che ormai aveva tredici anni, Doru e Florin... Chissà se Doru s'era fatto la ragazza? Magari anche sposato... Avrebbe voluto poter tornare anche solo per pochi giorni a Brasov per rivederli, ma non poteva permettersi di "sprecare" i soldi così.

Aveva provato a scrivere una lettera a casa, ma non aveva ricevuto nessuna risposta. Si chiese se l'avevano ricevuta... o se fosse andata persa la loro risposta... Avessero avuto il telefono, poteva almeno sentirne la voce. Ma davvero non credeva che potessero permettersi di mettere il telefono, nonostante i soldi che periodicamente riusciva a mandare loro.

Una volta, sempre assieme al signor Carlo, era andato all'ufficio postale per sapere se i vaglia che mandava erano stati riscossi. Dopo una ricerca che aveva richiesto diverse settimane, l'impiegata aveva detto di sì, che risultavano tutti pagati. Questo aveva tranquillizzato Petru. L'importante era che la sua famiglia ricevesse il suo aiuto. Se non scrivevano, ci sarà stato qualche motivo.

Ma finalmente, un giorno, arrivò una cartolina illustrata dalla Romania, da Brasov e per Petru fu una bellissima sorpresa che lo riempì di felicità: c'era scritto solamente "Ti pensiamo. Grazie e tanti auguri", ma c'erano le firme di tutta la sua famiglia. Con una puntina da disegno la attaccò allo sportello del suo armadio.

"Sei contento di avere ricevuto finalmente posta dalla tua famiglia?" gli aveva chiesto Mario.

"Sì, certo, molto contento. Ora mi manca solo una cosa per essere moltissimo contento..."

"E cosa?" gli aveva chiesto Mario.

"Un desiderio segreto. Non ti lo posso dire a te e a nessuno, perché i desideri segreti se uno dice, non diventano mai veri." gli rispose Petru, pensando che non poteva dirgli che avrebbe desiderato poter fare l'amore con lui.

Ora che era veramente sereno, il desiderio sessuale s'era risvegliato in Petru e il fatto di masturbarsi, quando era sotto la doccia, non pareva attenuarlo granché, se non per poche ore.

Un paio di volte gli era capitato, durante la notte, di sognare di essere con Mario: una volta erano nudi nel giardino e facevano l'amore sul piccolo prato all'inglese, sotto il sole; l'altra volta invece aveva sognato che erano in una bella stanza e che si spogliavano l'un l'altro... purtroppo s'era svegliato prima che si mettessero a fare l'amore.


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