Le cose non andavano bene, in albergo. Riuscivano a tirare avanti, ma sempre con la preoccupazione di che cosa avrebbe riservato loro il domani e di arrivare alla fine del mese.
A peggiorare la situazione si erano aggiunte strane visite di alcuni poliziotti in borghese, che andavano lì con una ragazza. Petru aveva capito che erano poliziotti perché aveva riconosciuto uno di quelli che erano andati quando i due ragazzi della camera undici si erano uccisi. Inoltre, Mario a volte li chiamava usando il loro grado. Le visite di quei poliziotti rendevano Mario sempre più preoccupato e sempre più inquieto.
Petru, una volta, gli chiese perché quelle visite lo preoccupassero tanto.
"A parte che non pagano... Ma è un po' come se ci ricattassero, non capisci? O ci lasciate fare a modo nostro o ve la facciamo pagare... Mica te lo dicono chiaro e tondo, ma te lo fanno capire."
"Sì, però... finché anche quelli vengono qui per scopare, in un certo senso siamo al sicuro, perché fanno anche in modo che non riceviamo visite ufficiali della polizia, no?"
"Una protezione che non ho richiesto e che non è necessaria. E gente così, che dovrebbe far rispettare la legge ma per primi non la rispetta... io non mi fido di loro. M'aspetto che prima o poi, oltre a pretendere di non pagare, di venire qui a sbafo, magari cominciano a chiedermi anche una tangente, una bustarella. E non siamo di sicuro in grado di pagarla, a parte che comunque non sarebbe giusto."
"Ma mica facciamo niente contro la legge, qui, no? Mica gli troviamo noi le prostitute ai clienti, mica ci pagano per trovargliele. Se le trovano loro, le pagano loro direttamente, noi non ci prendiamo nemmeno la percentuale. Per noi... sono semplicemente clienti, gli affittiamo solamente una camera e quello che vanno a fare in camera... sono affari loro, non nostri."
"Sta tranquillo che se ci si mettono sono capaci di trovare il pelo nell'uovo e di farcela pagare. Abbiamo tante leggi, qui in Italia, che è quasi impossibile non violarne almeno una senza nemmeno rendercene conto. No, non mi piace averli come clienti... ma purtroppo non ci posso fare niente."
Pochi giorni dopo questa conversazione, un martedì mattina, Petru andò al nascondiglio del denaro ma si rese conto che c'era appena il sufficiente per pagare gli stipendi, le bollette, le consegne e i servizi, e fare la spesa. Perciò prese solo quanto corrispondeva al proprio mensile e andò a depositarlo in banca.
Nonostante fosse mattina e perciò non buio, lungo il tragitto fra l'albergo e il centro abitato, Petru improvvisamente fu circondato e aggredito da tre giovanotti e derubato. Quando i tre balordi si allontanarono saltando in un'auto, quasi certamente rubata, la prima cosa che Petru, mentre si rialzava tremante, pensò, fu che per fortuna quelli gli avevano potuto sottrarre solo il suo stipendio e non tutto l'incasso della settimana. Non era preoccupato tanto per aver perso il proprio denaro, né per le botte che s'era preso cercando di opporsi alla rapina, quanto per il fatto che ora non si sentiva più al sicuro.
Quando tornò in albergo e gli disse della rapina, Mario avrebbe voluto dargli almeno la metà di quanto gli era stato rubato, ma Petru non accettò.
"I soldi non ti avanzano, non puoi togliertene. Non ti preoccupare, il danno non è grosso."
"Ma così puoi mandare di meno ai tuoi e..."
"I miei hanno meno bisogno di prima dei miei risparmi, non sarà un grosso problema, per loro. E al contrario, se tu mi dai quei soldi, diventa un grosso problema per te, non riesci a far quadrare i conti. Non ti preoccupare, va bene così." gli disse, mentre Mario gli spalmava delicatamente una pomata sui lividi.
Allora Mario fece in modo che i clienti dessero a Petru più mance del solito. In pratica le chiedeva chiaro e tondo a ogni cliente, anche se per lui non era per niente facile, perché era orgoglioso e non gli piaceva chiedere, ma per quel mese lasciò da parte l'orgoglio.
Petru, nonostante sperasse in qualcosa di più, si accontentava dell'affetto che comunque Mario gli dimostrava. Amava quel ragazzo che aveva visto crescere, lo amava come un fratello, come un vero amico, anche se avrebbe voluto poterlo amare come un amante.
Però stava molto attento a non farglielo capire, perché temeva che se Mario l'avesse anche solo intuito ma senza essere ancora pronto, la loro meravigliosa intesa quotidiana sarebbe stata rovinata. Spesso Petru, nonostante continuasse di tanto in tanto a fare l'amore con Fane, si masturbava chiudendo gli occhi e fantasticando di stare con Mario.
Poi, accadde qualcosa che mise in agitazione Petru. Si rese conto che uno dei loro clienti abituali, che ogni volta arrivava con un ragazzo diverso, aveva cominciato a fare la corte a Mario. Niente di veramente esplicito, ma Petru vedeva che quel tizio era "troppo" gentile nei confronti di Mario e gli era sempre più chiaro dove quello volesse arrivare.
Quello che però veramente rese Petru ansioso, fu l'impressione che gradualmente Mario stesse cedendo a quella assidua corte: anche lui era sempre più gentile nei confronti di quel cliente. I sorrisi sempre più caldi che gli rivolgeva quando si incontravano, quando parlavano, erano altrettante stilettate al cuore di Petru.
E quando un giorno quel cliente arrivò da solo e Mario non lo registrò ma, chiesto a Petru di restare lui alla reception, salì ai piani superiori con l'uomo... Petru si sentì terribilmente geloso e triste e lacrime scesero dai suoi occhi: era incapace di fermarle.
Fane, passando per la hall, notò l'espressione dell'amico, e s'accorse che piangeva.
"Ehi, Petru... che ti succede?"
"Niente..."
"E allora, che sono quelle lacrime?" gli chiese, preoccupato.
"Niente, m'è entrato qualcosa nell'occhio e così..."
"In tutti e due gli occhi?" gli chiese Fane, incredulo.
"Sì, polvere... ho soffiato con troppa forza sul casellario delle chiavi per levare la polvere e così m'è entrata negli occhi, e..."
"Ma quanta ce n'era? E poi... l'avevo spolverata solo due giorni fa..."
"Evidentemente non l'avevi spolverata bene. Devi prendere più sul serio il tuo lavoro!" rispose bruscamente Petru.
Fane lo guardò un po' incredulo: sapeva di non meritarsi quel rimprovero. Ma poi, pensò, non erano solo gli occhi che gli lacrimavano, era l'espressione di tutto il volto di Petru che era strana, troppo strana. Altro che polvere!
"Sì, prenditela con me. Se non vuoi dirmi cosa hai, hai solo da dirmi di pensare ai cazzi miei, ma non devi accusarmi di non lavorare bene, di non guadagnarmi il mio stipendio..."
"Non ho detto che..."
"Sì che l'hai detto! L'hai appena detto. Credevo che ero un tuo amico, non un estraneo. Comunque... scusa se mi sono permesso..." gli disse in tono sostenuto, offeso e si girò per andarsene.
"Fane..." Petru gemette quasi.
Il giovane si girò: "Che c'è?"
"Scusami... hai ragione... È che... le cose non vanno bene. Con la signora Adele in clinica, i soldi vanno via più in fretta di quanti ne entrano... Scusami, non dovevo risponderti in quel modo."
Fane tornò accanto al bancone e gli sorrise: "Scuse accettate. Ma... non ti sembra di prenderla un po' troppo a cuore? Se l'albergo dovesse chiudere... io e tu ci troveremo un altro lavoro. Lo so che non è facile, però..."
"Io non voglio trovarmi un altro lavoro. Io voglio restare qui." gemette Petru.
Arrivò un cliente con una ragazza, e dovettero interrompere la conversazione. Fane si mise a spolverare la hall. Petru ritirò i soldi e dette la chiave all'uomo. Quando i due scomparvero su per la scala, Fane si accostò di nuovo al bancone.
"Petru, un lavoro ne vale un altro... D'accordo, qui non stiamo male, e se anche lo stipendio non è alto, va bene così. Però..."
Petru non rispose ma scosse il capo.
"Comunque," riprese l'amico, "per ora le cose vanno ancora avanti, no? Non ha mica parlato di licenziarci, Mario, no? E sono sicuro che prima di licenziare noi due, manderebbe via le cameriere. E prima di licenziare te, manderebbe via me."
"No, non ha parlato di licenziare nessuno, ma io vedo i conti e... le cose non vanno bene. Fra la percentuale che si deve dare a madama Becarelli e all'avvocato, e le bollette, e le tasse, e gli stipendi... quello che resta va tutto speso per pagare i dottori e le cure e la clinica. Se solo la signora Agnese guarisse... o morisse... le cose ricomincerebbero ad andare bene."
Anche se il vero motivo delle sue lacrime era molto diverso, discutere di quelle cose con l'amico, aveva distratto e leggermente calmato Petru.
Dopo un poco, Mario e l'uomo scesero le scale. Andarono al bar e Mario gli offrì qualcosa. Sedettero assieme, fianco a fianco, chiacchierando amabilmente. Petru li guardava... non riusciva a distogliere lo sguardo dai due.
Fane vide come Petru guardava i due e lesse nello sguardo dell'amico un profondo senso di tristezza, che la precedente conversazione aveva in gran parte dissipato, e allora intuì il significato delle lacrime dell'amico.
"Mario e quell'uomo... erano andati su a scopare, vero?" gli chiese sottovoce, nonostante fra loro parlassero in romeno, quindi nessuno li poteva capire.
Petru lo guardò e Fane vide un lampo di dolore negli occhi dell'amico, che annuì soltanto.
"E tu... tu ti sei... innamorato di Mario." disse Fane, ancor più sottovoce, perché si rendeva conto che stava addentrando in qualcosa di veramente intimo, di molto privato.
"No..." gemette Petru, ma Fane capì che era un sì.
"Non sapevo che... che anche Mario... che è come noi."
"Forse... forse non lo sapeva neanche lui... almeno fino a oggi o pochi giorni fa... Non lo so."
"E tu adesso... sei geloso di quell'uomo."
"No... Fra Mario e me non c'è niente."
"Che c'entra? Se tu sei innamorato di lui... quell'uomo è il tuo rivale. Ma se tu sei innamorato di Mario, perché non glielo fai capire?"
"Forse... per paura che mi dica di no."
"Ma così, non è come se ti avesse già detto di no? Mario lo sa già di te... sa tutta la tua storia, no?"
"Ma mica lo sa se io sono omosessuale o no. Sa solo che mi hanno costretto a prostituirmi con uomini. E magari è proprio per questo... proprio perché ho fatto marchette... che non gli interesso in quel senso."
"Perché, quello con cui sta adesso... cosa ha di meglio di te?" gli chiese Fane.
"Meglio di me? Che Mario è andato con lui, e non con me. Quello è un uomo ricco, elegante, istruito... mica un qualsiasi extra-comunitario come noi."
Mario e quell'uomo si alzarono e si avviarono verso la porta d'ingresso. Qui si salutarono e l'uomo uscì. Mario tornò verso il bancone e quando Petru vide il suo volto sorridente, soddisfatto sentì nuovamente come una stilettata nel cuore.
Nei giorni seguenti, Petru vide che quell'uomo tornava, ma non portava più un ragazzo con sé. Evidentemente tornava per Mario. A volte salivano su in camera, ma altre volte stavano semplicemente a chiacchierare al bar. L'unico aspetto positivo di quella situazione, che lo faceva soffrire, era che Mario sembrava aver ritrovato una certa serenità.
A volte quell'uomo arrivava con uno o due altri, che presentava a Mario, e allora chiacchieravano tutti e tre o quattro che fossero, e Mario non saliva nelle camere con quello.
E in breve, l'albergo cominciò a essere frequentato da un curioso gruppo di strani clienti, tutti di sesso maschile, che raramente si portavano un ragazzo su nelle camere, ma che invece si radunavano nel bar a fare salotto, e restavano per ore a parlare fra loro, ma soprattutto con Mario.
Era gente assai diversa, delle più varie estrazioni sociali: professionisti, attori, giudici, poliziotti, preti, ma anche sfaccendati, artisti, bottegai, operai... Il bar divenne il loro ritrovo abituale, dove amavano discutere, scambiare idee e pareri, fumare, ascoltare musica e bere o giocare a carte. Un crescente numero di uomini quasi sempre soli che si avvicendava senza sosta; alcuni tornavano per quelle riunioni informali piuttosto spesso, altri invece li si vedeva una sola volta o comunque di rado...
Un giorno, quello che tutti chiamavano "signor giudice", suggerì a Mario di far pagare una quota associativa, un po' per selezionare la clientela, un po' per far fronte alle spese. Gli suggerì anche di assumere un giovane musicista, che si sarebbe esibito in quella che era stata la sala da pranzo, e anche di aumentare, almeno raddoppiare o triplicare, i prezzi delle consumazioni, fornendo il bar con prodotti di marca, in modo di selezionare i frequentatori e allontanare quelli non graditi.
Così, gradualmente, pur continuando a funzionare come albergo a ore, si formò nella zona bar e sala da pranzo, le cui pareti scorrevoli erano state tolte in modo di unirli in un unico ambiente, una specie di circolo assai esclusivo, senza un nome e senza una licenza, dove solo una clientela scelta veniva ammessa e poteva permettersi di frequentare.
Mario si trovò così a gestire un qualcosa che non sapeva neanche lui come definire, ma in cui la sua presenza sembrava essere essenziale, sia perché li conosceva tutti, sia per la sua buona grazia e avvenenza.
Alcuni di quegli uomini avrebbero fatto carte false per portarselo a letto, questo era evidente a Petru, anche se nessuno aveva il coraggio di fare nulla più che velate allusioni che però Mario sapeva abilmente eludere. E, con dispiacere di Petru, Mario continuava ad appartarsi, di tanto in tanto, con quell'uomo.
Ora i soldi entravano in cassa con abbondanza, e il ricavato dell'affitto delle stanze era diventato la parte minore del totale delle entrare.
Mario aveva così potuto restituire a madama Becarelli tutto il prestito avuto per l'operazione della madre e, dato che la signora Adele non si era più ripresa dall'intervento e non migliorava, aveva potuto farla trasferire in una comoda e buona clinica per malati cronici sulla collina di Vimercate. Ormai la signora Adele non era più utile né a se stessa né agli altri, anzi era solo un peso.
Però Petru vedeva che Mario non era veramente sereno, sembrava quasi che la sua giovinezza stesse prematuramente sfiorendo. Nonostante fosse il centro di quell'informale club, il giovane pareva di fatto sempre più solo e stanco.
Il fatto era che Mario, Petru se ne rendeva conto sempre più chiaramente, era sfruttato dagli ospiti del club che lo costringevano a fare da animatore, cosa che però gli permetteva di pagare la clinica della madre. Era sfruttato da poliziotti e finanzieri che chiudevano un occhio sul fatto che non aveva le necessarie licenze, usando gratis le stanze o sollecitando a volte regalie... cioè bustarelle. Era sfruttato dalla madre che non gli lasciava un attimo di respiro, che l'avrebbe voluto vedere ogni giorno e lo sommergeva, quando la andava a trovare, con lamentele su tutto e tutti.
Petru si rendeva conto di essere, assieme alla nonna Felicita, l'unico reale sostegno di Mario, l'unico amico vero... e continuava ad amarlo in silenzio.
Un giorno, mentre Petru era nella stanzetta dietro alla reception che tirava giù i conti del mese, attraverso il falso specchio da cui poteva vedere il bancone, vide entrare due brutti ceffi.
"Il signor Mario Vizzini, vero?" chiese uno dei due.
"Sì..."
"Niente male, questo albergo... Abbiamo sentito dire che da un po' di tempo in qua... rende molto bene."
"Scusate ma... desiderate?" chiese Mario, teso.
"È solo?" chiese l'uomo, invece di rispondere.
"Sì..." mentì Mario.
Petru avvertì qualcosa di molto strano, di... pericoloso, perciò si alzò e silenziosamente s'accostò al falso specchio per osservare meglio quanto stava accadendo.
"Sarebbe un peccato se... se qui ci fosse un incendio... Non crede? Noi potremmo farle un'assicurazione contro qualsiasi... incidente, in cambio di una buona percentuale dei suoi incassi."
Petru percepì molto chiaramente la tensione di Mario, pur vedendolo solo di spalle, e si chiese se dovesse uscire per dargli manforte, affiancarlo oppure no.
"Siamo già assicurati con le Generali, non ho bisogno di altro." rispose seccamente Mario.
"Oh, sì che ne hai bisogno, invece..." disse l'uomo con un ghigno, passando al tu.
Mario tremava, ma non per la paura, per la rabbia. Con occhi fiammeggianti, rispose: "Le uniche cose che ho da perdere, sono la mia famiglia e questo albergo, cioè il mio lavoro. E se solo vi azzardate a toccare l'una o l'altro, io vi giuro... vi giuro che ve la farò pagare e..." disse estraendo la pistola dal cassetto e brandendola, "non ci penserò due volte ad ammazzarvi, a costo di beccarmi l'ergastolo, se vi vedo anche solo passare nei paraggi. Sono stato chiaro? Adesso fuori di qui... e di corsa!"
A quel punto Petru comparve sulla porta e disse: "Io comunque ho filmato e registrato tutto! Fuori da qui! Via!"
I due se ne andarono senza aprire bocca e anche piuttosto in fretta.
"Peccato che non hai potuto farlo davvero..." gli disse Mario, ancora teso.
"Ma loro non lo sanno. E comunque li ho guardati bene e se serve sono pronto a descriverli e a testimoniare che ti hanno minacciato. Speriamo che non si fanno più vivi."
"Grazie per essere venuto fuori..."
"Non ti potevo mica lasciare solo, no? Però, non faresti bene a denunciarli?"
"Non lo so. Non li ho mai visti prima, dovrei fare una denuncia contro ignoti. Vediamo se ci provano di nuovo..."
O quei due erano solo un paio di balordi che non si aspettavano una reazione così determinata, o forse anche grazie all'interessamento delle conoscenze che Mario aveva fatto grazie alle riunioni del club, non solo riuscì a non pagare la tangente alla malavita, ma in seguito arrivò anche a liberarsi dal pagarle a poliziotti e finanzieri. Petru era quasi sicuro che il "signor giudice", che restava uno dei clienti più affezionati delle serate lì al bar dell'albergo, doveva aver mosso le giuste pedine.
Petru mandava avanti l'albergo durante il giorno, anche se le coppiette stavano diventando sempre più rare, mentre Mario andava su fino a Vimercate per assistere la madre. Poi, la sera e fino a notte, fino alle ore piccole, Mario animava il salotto, assistito da Fane che serviva al bar, intrattenendo quella strana congrega di ricchi single che non cercavano, se non molto raramente, sesso, ma soltanto compagnia e contatto umano.
Una mattina, mentre Fane dormiva e Mario era appena partito per andare a trovare la madre, nonna Felicita uscì dalla cucina asciugandosi le mani sul grembiule bianco e andò al bancone della reception, dove Petru stava leggendo un giallo.
"Ci sono clienti, su?" chiese la donna.
"Solo quattro coppie."
"Già, non molte... Lasciami sedere un po' dietro al bancone con te, così possiamo parlare..." disse aggirandolo, prendendo la sedia libera e sistemandocisi. "Dimmi, riesci ad avere ancora pazienza, tu, Petru?" gli chiese quasi sottovoce.
Il giovane chiuse il giallo e lo mise via: intuì vagamente a che cosa si riferisse la vecchia e sentiva che quella non sarebbe stata una conversazione breve.
"Sì... Sì, ci riesco."
"E non ti pesa troppo..."
"No..."
"... non ti pesa troppo sapere che Mario... ha aperto gli occhi ma... non s'è accorto di te?"
Petru la guardò un po' meravigliato: "Come fa, nonna Felicita, a vedere tutto anche stando quasi sempre in cucina?"
"Le cameriere... vedono quello che io non posso vedere. Ti puoi immaginare se non sono venute subito a riferirmi ogni cosa... con abbondanza di particolari."
"Ah..."
"Comunque... secondo me... non durerà molto, con quell'uomo, e quando finirà... Mario avrà bisogno che tu gli sia vicino, per fargli superare la delusione."
"Certo che gli sarò vicino, ma... come fa a dire che finirà? Come può esserne sicura?"
"Non conosco quell'uomo, ma conosco molto bene mio nipote. Se tutto andasse bene, se avesse trovato il vero amore... me ne sarei accorta, anche se lui non mi dice niente. Tu invece... so che tu sapresti dargli il vero amore. So che con te potrà essere felice."
"Quanto vorrei che avesse ragione, nonna Felicita!"
"Capisco che per te questo periodo... sapere che sta con... con quell'uomo... è una cosa tutt'altro che facile. Ma tu hai alcuni vantaggi, su quel tale."
"Alcuni vantaggi, io? E quali sarebbero?"
"Tu sei sempre qui, tu conosci Mario meglio di lui... ma soprattutto tu lo ami." disse la vecchia, enfatizzando quei "tu",
"Ma se Mario non dovesse mai amarmi? Mai amarmi più di quello che si può amare un amico, un fratello?"
"Tu puoi smettere di amarlo?"
"No. No che non posso."
"E allora... se dovesse davvero capitare quello che temi... continuerai ad amarlo e a soffrire, mio povero Petru."
"Forse dovrei avere il coraggio di dirgli quello che sento per lui."
"Adesso che sta con quell'uomo... forse non è ancora pronto ad apprezzarti quanto meriti. Mario evidentemente pensa di aver trovato in lui quello di cui aveva bisogno."
"Allora dovevo provarci io, prima che ci provava quello."
"Forse sì... forse no. Chissà che cosa quel tale è riuscito a far scattare in lui? Chissà se tu saresti stato capace di farlo nel modo giusto? Comunque sia, è andata così."
"Perché, nonna Felicita, deve essere tutto così complicato?"
"Perché bisogna essere pronti in due. La fortuna è che tu continui a essere pronto per lui; devi solo aspettare... e sperare che lui si accorga di essere pronto per te. Secondo me... prima o poi se ne accorgerà. O, per lo meno, lo spero di tutto cuore, sia per il mio Mario che per te."
"Io non ho mai conosciuto nessuna delle mie nonne... mi sarebbe piaciuto se erano come lei."
"A me piace che hai smesso di chiamarmi signora e hai cominciato a chiamarmi nonna."
"Non le ho neanche chiesto il permesso... m'è venuto naturale chiamarla così, come la chiama Mario."
Felicita sorrise: "Le cose che avvengono spontaneamente, sono le migliori. Beh, io devo tornare in cucina. Ho da stirare le vostre uniformi, così vi potete cambiare. Sai che Mario ci tiene che siate sempre impeccabili. Non è perché questo è diventato un albergo a ore che si deve curare di meno l'aspetto."
"A lei, nonna Felicita, non è mai andata molto giù che la signora Adele ha deciso di accettare la proposta di madama Becarelli, vero?"
"Mah... che ti devo dire... io sono una donna all'antica."
"Mica tanto, se ha accettato che io sono innamorato di Mario e se spera che ci mettiamo insieme." disse sorridendo Petru.
"La differenza è tutta lì. Se qui venissero solo le coppiette che si amano ma non hanno un posto... a me non mi farebbe nessun problema. Davvero. È che mi dispiace che tante di quelle ragazze... e ragazzi, lo fanno per soldi, e perché sono costretti. Proprio tu, Petru, dovresti capire cosa voglio dire."
"Qualcuna delle ragazze lo fa per soldi ma nessuno le costringe... hanno genitori che i soldi proprio non gli mancano... Solo che ne vogliono di più... E poi... dicono che si divertono." le fece presente Petru.
"Comunque non lo fanno certo per amore, questo non cambia!"
"Ma è sbagliato divertirsi?" le chiese il ragazzo.
"Divertirsi, no che non è sbagliato, ma... Sarò vecchia, ma vendere il sesso... non lo so... ma mi fa brutto. Farsi usare da un uomo qualsiasi solo per... Specialmente quelle che non sono obbligate... Se io avessi una figlia che fa così, credo che ne morrei di crepacuore."
"Magari, per qualcuna di quelle ragazze di buona famiglia... i soldi sono solo una scusa..."
"Una scusa? In che senso?"
"Una ragazza che le piace andare a letto con tutti, le danno della puttana, no? E allora... dice che fa la puttana solo perché ha bisogno di soldi... e così può andare a letto con chi le pare... Quelle che non sono obbligate, voglio dire."
"Non l'avevo mai vista così, Petru. Può darsi pure che hai ragione. Ci devo pensare su... Ma adesso devo proprio andare a lavorare."
Petru si chiese come mai la signora Felicita, che era sempre stata un tipo molto taciturno, con lui invece amasse parlare. Poteva capire che non avesse un rapporto molto bello con la signora Adele... si sa che fra suocera e nuora non sempre il rapporto è bello. Però sapeva che voleva molto bene a Mario, eppure pareva che parlasse più volentieri, e più a lungo, con lui che con il nipote.
Comunque Petru era contento che la vecchia avesse capito tutto a proposito del suo amore per Mario e che lo approvasse, anzi, che sperasse che si potessero mettere assieme. E poterne parlare con lei, era comunque una cosa bella, perché chi ama, quasi sempre, ha bisogno di parlare con qualcuno del proprio amore, specialmente poi quando non è corrisposto.
Quasi nessuno può continuare a tenere tutto chiuso nel cuore, altrimenti rischia di scoppiargli.
Anche Fane sapeva del suo amore per Mario, eppure per qualche strano motivo, Petru non riusciva a parlarne con profondità, veramente a cuore aperto con l'amico.