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una storia originale di Andrej Koymasky


ALBERGO A ORE CAPITOLO 8
QUANDO TUTTO SEMBRA CROLLARE...

Petru percepì che Mario non era felice con il suo uomo, che aveva iniziato ad andare sempre più di rado a incontrarlo. Da una parte era contento per quei sintomi di un allontanamento fra i due, ma dall'altra non riusciva certamente a godere per l'infelicità sempre più evidente di Mario.

Questi continuava ogni sera ad animare il "club", e stava lì, sorridente, a chiacchierare, giocare a carte con gli ospiti, cantare a volte con loro quando il musicista suonava un pezzo conosciuto dai più. Ma Petru, che lo conosceva ormai molto bene, sapeva che quella mostrata da Mario era una falsa allegria.

Petru non aveva mai avuto simpatia per l'uomo che aveva fatto breccia nel cuore di Mario, ma ora lo detestava di tutto cuore: non gli perdonava di far soffrire il "suo" Mario!

Poi, un giorno, telefonarono dalla clinica di Vimercate: la signora Adele era morta. Mario logicamente ne fu addolorato, però al tempo stesso anche sollevato: la madre aveva finito di soffrire e inoltre non c'era più da pagare la costosa retta.

Ora che aveva anche finito di pagare tutti i debiti, le finanze ripresero ad andare bene. Ciò non ostante, Mario iniziò a parlare di vendere la licenza e le attrezzature dell'albergo. Poiché però gran parte delle entrate erano in nero, il prezzo che gli offrirono era molto basso. Perciò non accettò nessuna delle poche offerte ricevute.

Poi un giorno, imprevista, inattesa, arrivò la polizia: Mario fu arrestato con l'assurda imputazione di favoreggiamento della prostituzione. Probabilmente era una vendetta di qualcuno dei poliziotti che avevano allontanato e a cui non pagavano più le bustarelle.

Petru non se ne intendeva di legge, e ancor meno di quella italiana, ma gli sembrava un'imputazione assurda, ingiusta: nessuno di loro aveva mai favoreggiato la prostituzione in alcun modo. Comunque, su richiesta di nonna Felicita, Petru cercò di mandare avanti l'albergo.

Mancando Mario, le riunioni serali cominciarono a perdere di attrattiva, gli uomini iniziarono ad andare sempre meno spesso, qualcuno iniziò a bere troppo e scoppiarono anche alcune risse. Su consiglio di Arnaldo, cioè del "signor giudice", che era un po' il patron di quelle riunioni, Petru comunicò che erano sospese.

"Signor giudice... non può fare qualcosa per aiutare il povero Mario? Lei lo sa bene che lui non ha mai favoreggiato la prostituzione, no?"

"Sto già cercando di fare qualcosa, comunque Mario ha un buon avvocato e vedrai che presto sarà fuori, non ti preoccupare. Purtroppo la giustizia ha i suoi tempi... e qui da noi sono lunghi."

Gli incassi stavano rapidamente diminuendo e permettevano a mala pena di sostenere le spese. Le coppiette quasi non venivano più, per paura di una nuova retata della polizia. Il club, chiuso provvisoriamente da Petru, di fatto si era sciolto come neve al sole. I pochi clienti "normali" che andavano in quell'albergo solo per dormire non davano un introito sufficiente nemmeno per pagare gli stipendi.

Perciò, con l'assenso di nonna Felicita, Petru fece restare a casa le tre cameriere, e tutto il lavoro dell'albergo, per quanto poco, gravò interamente sulle sue spalle, quelle di Fane e di nonna Felicita.

Finalmente Mario fu assolto con formula piena, ma il periodo passato in carcere gli aveva tolto ogni voglia di continuare a lottare. Inoltre l'uomo con cui stava, era scomparso, si era dileguato invece di stargli vicino, dandogli così un'ulteriore delusione. Petru soffriva nel vedere che i begli occhi di Mario erano spenti, tristi.

Un giorno, mentre pranzavano tutti e quattro assieme, Mario annunciò che aveva intenzione di vendere a qualunque prezzo, e di cercarsi un lavoro.

"Come ti senti di fare tu, per me va bene, Mario..." disse nonna Felicita, "... io posso andare in un istituto per vecchi. Però prima devi trovare il modo di sistemare Petru e Fane, dopo tutto quello che hanno fatto per noi, glielo dobbiamo."

"Sì, nonna, hai ragione. Però io non voglio abbandonarti in un istituto per vecchi!"

"Mica ti ho detto di abbandonarmi, no? Mi verrai a trovare, ogni tanto... quando il lavoro te lo permetterà. Con la tua esperienza, potrai trovare un posto in un albergo, magari a Milano..."

"Dio mio... mi sento un fallito!" mormorò Mario e scoppiò a piangere.

Il suo corpo era scosso dai singhiozzi, stava seduto più curvo di un vecchio, le braccia in grembo. Petru, d'impulso, si alzò, si inginocchiò davanti a lui e lo abbracciò stretto, e si mise a piangere con lui.

"No, Mario... no... non piangere, per favore... Vedrai che ce la caveremo... abbiamo passato insieme tante difficoltà e ne siamo sempre venuti fuori." gli mormorò stringendolo a sé e quasi cullandolo.

Nonna Felicita lanciò un'occhiata a Fane e gli fece cenno di uscire. Silenziosamente, i due lasciarono la cucina.

"Mario... non piangere... Ce la caveremo, vedrai... Tu sei solo troppo stanco, adesso... Ma vedrai, vedrai che ce la caveremo... come le altre volte." gli ripeté Petru.

"Solo tu e nonna non mi avete abbandonato mai... Quante volte tu hai rinunciato alla tua paga, per darci una mano? Quanta pazienza hai avuto? Perché?"

"Perché... perché io... io ti voglio bene, Mario."

Mario lo guardò e nel dolore che velava i suoi occhi belli, fu come se si accendesse una minuscola luce, incerta, tremula, lieve, debole. Scivolò giù dalla sedia, in ginocchio davanti a Petru, che istintivamente lo abbracciò più stretto, quasi a sorreggerlo. Mario gli appoggiò il volto fra la spalla e il collo... poi Petru sentì le sue labbra posarglisi, calde e morbide, sul collo e sfregare lievemente, premere. Fu percorso da un lungo fremito e si sentì immediatamente eccitato.

"Mi vuoi bene..." alitò Mario contro il suo collo.

Petru sentì che, in quella posizione, presto Mario avrebbe sentito la sua crescente erezione che si stava rafforzando, sollevando, perciò tentò di allontanarsi un poco da lui. Non voleva che scambiasse il suo amore per puro desidero fisico.

Mario, però, lo strinse a sé con più forza di prima, quasi aggrappandosi a lui, poi chiese, con un filo di voce: "Mi vuoi bene?"

"Sì, certo..."

"Solo? Mi vuoi 'solo' bene?"

Petru non sapeva che dire: aveva capito bene che cosa intendesse chiedergli, con quella domanda, ma ora esitava. Avrebbe voluto gridargli, dirgli, sussurrargli: "No, di più: io ti amo!" ma temeva che, in quel frangente, Mario potesse dirgli di sì solo perché aveva bisogno di un sostegno, di calore umano, e non per amore.

Però poi si disse: ma se lui ora ha bisogno di me... anche se non per amore... non posso tirarmi indietro, proprio ora. Vada come vada...

Allora Petru sussurrò: "No, non solo... molto di più..."

"Di più?" lo incoraggiò Mario.

E finalmente Petru pronunciò quelle parole che da mesi, anzi da anni, gli bruciavano in cuore: "Io ti amo, Mario... io sono innamorato di te... ti ho sempre amato!" gli disse sottovoce.

"Per questo... non mi hai mai abbandonato?"

"Sì, certo, per questo."

"E io... io che... Io t'ho fatto soffrire quando... quando mi sono messo con... con quello, vero?"

"Non importa."

"Perché non m'hai detto niente? Perché non me l'hai mai fatto capire? Perché, Petru?"

"Non potevo... Ti avrei solo creato problemi..."

"Perché?"

"Perché tu non mi ami, tu non eri, non sei innamorato di me. Mi hai sempre voluto bene, da quel giorno, quasi dieci anni fa, quando don Cesare m'ha portato qui da voi... E mi sono accontentato di questo."

"E ti ho avuto qui... per tutti questi anni... Sei rimasto qui... per me... e io non mi sono accorto di niente... non ho capito niente!"

"Tu... finché quell'uomo non ha fatto breccia nel tuo cuore... tu non avevi esperienza, perciò forse non potevi pensare... capire..."

"Il mio primo uomo... mi ha tradito... mi ha abbandonato... E tu, invece, non m'hai tradito, abbandonato mai... anche se io non m'ero accorto... non avevo capito..."

"Non ci si può innamorare solo perché... perché uno decide di farlo, no? E se tu per me senti solo amicizia... per me va bene."

Mario si mosse appena e... sentì l'erezione di Petru. Ci si premette contro e il giovane romeno arrossì, ma non si sottrasse.

"Tu... mi desideri, vero?" gli chiese Mario in un sussurro.

"Sì... ma più ancora, ti amo."

"Perché non... non mi baci?" chiese Mario sollevando il volto e guardandolo negli occhi.

Avevano entrambi gli occhi lucidi di lacrime, in quelli di Mario le nuvole si stavano diradando, benché non fossero ancora sereni; quelli di Petru erano traboccanti di amore.

I loro volti, già così vicini, si avvicinarono ancora, lentamente, molto lentamente. Mario chiuse gli occhi e piegò un poco di lato il capo, le loro labbra si incontrarono, si sfiorarono lievi come petali di rosa.

Petru si diceva, si ripeteva di non illudersi: Mario aveva solo bisogno di calore umano... non altro... ma lui era pronto a darglielo, senza avere in cambio quanto da anni, da sempre anelava avere.

Le loro labbra si schiusero, Petru prese fra le sue il labbro superiore di Mario e lo strinse appena, lo succhiò lieve. Mario fremette con forza e gli si premette contro. Petru sentì che anche lui era eccitato, ne sentì chiara l'erezione attraverso i loro panni.

Mario spinse lievemente in fuori la lingua e incontrò quella del bel romeno che contemporaneamente stava andando a incontrarla. Lentamente scivolò sul pavimento, di lato, tirando giù con sé il compagno. Stesi, le loro gambe si intrecciarono. Il loro bacio si fece più caldo, profondo, intimo.

Fane e Felicita, non sentendo più le voci dei due, stavano per rientrare in cucina, ma Fane guardò dagli oblò dei battenti e li scorse, allacciati e stesi in terra.

Si girò facendo fermare Felicita: "È meglio che... che non entriamo ancora... signora." le disse un po' incerto.

La nonna fece un lieve sorriso: "Ma lì... in cucina... Non sarebbe meglio se... se vanno su in camera?" chiese con dolcezza.

Fane la guardò stupito.

La donna sorrise al suo stupore: "Non sarebbero più... comodi?" osservò con espressione tenera.

Fane tossicchiò, non sapeva cosa dire, poi sussurrò, lievemente imbarazzato: "Credo che... che non si accorgono nemmeno se... se stanno comodi o no."

"Già, dev'essere proprio come dici, Fane. Lasciamoli in pace, allora..." disse e, presolo sotto braccio, si allontanarono dalla porta della cucina e andarono a sedere su due poltrone della hall.

Per un po' restarono in silenzio, poi Felicita sussurrò: "Spero che sia la volta buona per Mario... che capisca, che si renda conto di aver sempre avuto accanto la persona giusta per lui."

Fane la guardò e chiese: "Ma lei, signora Felicita... Non sembra... sorpresa."

"Al contrario... aspettavo questo momento... almeno quanto m'ha detto Petru di aspettarlo e desiderarlo."

"Allora... lei sapeva?"

"Ne ho parlato con Petru. Gli avevo detto di avere pazienza, ché prima o poi il mio Mario si sarebbe finalmente accorto di lui. A me non importa dover andare in una casa per vecchi, ma ora ci andrò più volentieri, perché so che Mario non sarà solo."

I due ragazzi, frattanto, davvero inconsci della poca comodità e del tutto dimentichi degli altri, si stavano carezzando, baciando, e aprendo gli abiti l'un l'altro.

"Mi vuoi?" chiese in un sussurro Petru.

"Sì... voglio farti mio... e essere tuo!"

"Io sono già tuo..."

"Ma quanto mi ami?"

"Con tutto me stesso."

"E io... così cieco... Mi perdoni per non averlo capito prima?"

"Ho cercato di non fartelo capire... per non infastidirti."

"No. Volevo dire... chiederti se mi perdoni per non aver capito prima che... che anche io ti amo."

"Tu... davvero?"

"Ora lo so. Ora lo sento. Ora ne sono sicuro. Quello che provavo per te... non era solo amicizia, affetto, tenerezza... Ho sempre avuto bisogno di te. E sono stato così stolto da andarlo a cercare altrove."

"I problemi e le pene della vita, a volte, ci distraggono. E poi... tu a differenza di me, non avevi esperienza."

"Esperienza di sesso no, è vero. Ma se avessi capito prima, saresti stato tu il mio primo uomo, e non quel... quello! Come mi sono arreso alla sua corte, mi sarei dovuto arrendere a te."

"Forse è colpa mia che... che non ti ho fatto la corte. Ma pensavo che tu... non provassi nulla per un altro uomo e perciò... non ho osato."

"Io ne sono diventato cosciente cinque, sei anni fa. E sapevo di te, perciò... Ma pensavo che dopo le brutte esperienze che avevi avuto... non sarebbe stato giusto chiedere a te di... Se avessi immaginato che tu mi ami... che tu potevi, volevi rispondere al mio desiderio..."

"Ma allora... anche tu mi desideravi?"

"Sì. Sei bello, gentile, buono... non ti manca nulla. Ma dirti che mi piacevi... mi sembrava di mancarti di rispetto. Quasi di obbligarti, capisci? Perciò non ho capito che oltre al mio desiderio, potevo offrirti anche il mio amore. Non ho capito di... amarti."

Petru si sentì come ubriaco, ebbro... gli girava la testa. Non s'era mai sentito così felice.

Mario riprese: "Ma non devi pensare che ora... che ora te lo dico solo perché... perché ho bisogno di qualcuno. Non ho bisogno di qualcuno, io... Ho bisogno di te."

"E io di te. Oh, Mario, quanto ti amo!"

Mario lo baciò di nuovo, poi si staccò da lui, si alzò a sedere sul pavimento, si alzò in piedi facendolo tirare su, lo abbracciò di nuovo e lo baciò ancora.

"Sarà meglio che ci rimettiamo in ordine, prima che tornino..." sussurrò facendogli un tenero sorriso.

Petru annuì.

Si staccarono, si riabbottonarono le camicie, i calzoni.

Poi Petru gli disse: "Nonna Felicita sarà contenta..."

"Dici? Comunque sia..."

"Ne ho parlato con lei, parecchie volte. Anzi, la prima volta ne ha parlato lei con me."

"Dunque... lei aveva capito prima di me. E dici che è contenta? Che ci approva?"

"Sicuramente."

"Allora, andiamo a cercarla, a dirglielo!" esclamò Mario, felice.

Petru lo guardò lietamente negli occhi e vide che, per la prima volta dopo anni, ora erano totalmente sereni, anzi, luminosi.

"Dio, quanto sei bello!" mormorò Mario, commosso. Poi chiese: "Petru... te la sentiresti se ci provassimo ancora una volta a rilanciare questo albergo?"

"Con te, qualsiasi cosa. Tutto quello che decidi, io resterò al tuo fianco."

"Ottimo. Andiamo."

Uscirono dalla cucina tenendosi per mano. Felicita, appena li vide, sorridenti, radiosi, si aprì in un tenero sorriso.

"Nonna..." esordì Mario.

"Oh, finalmente!" sospirò lieta la vecchia. "Sedete qui, con noi."

"Tu... gia sapevi tutto... anche prima di me. Perché non m'hai mai detto niente?"

"Non eri ancora pronto. Avevi bisogno di un estraneo, di uno sconosciuto, per imparare a conoscerti. Ora posso andare serena nella casa per vecchi."

"No no, io... noi non ti ci lasciamo andare. Abbiamo ancora bisogno di te." disse Mario, poi guardò Fane: "E anche di te, se sei ancora disposto a fare qualche sacrificio. Petru e io abbiamo deciso di provare a rilanciare l'albergo."

"Credi che gliela farete?" gli chiese la nonna.

"Gliela faremo. Tutti assieme. Però, non sarà più un albergo ad ore. Troveremo il modo di rilanciarlo. Gli cambieremo nome..."

"Ma come faremo con madama Becarelli e l'avvocato?" chiese Petru.

"Non essendo più un albergo ad ore, hanno poco da pretendere. E poi... il giudice s'è sempre dimostrato un vero amico... ci darà una mano a liberarci eventualmente di quei due. Se non gli dobbiamo più versare il venti per cento, le cose andranno molto meglio." disse Mario in tono deciso.

"Abbiamo pochi clienti, però..." fece notare Felicita.

"Troveremo il modo di averne di più. E con i primi guadagni, i primi risparmi, rinnoveremo le stanze e gli altri locali."

Petru era lieto di sentire con quanta rinnovata energia il suo Mario... ora poteva veramente chiamarlo "suo"... stava affrontando la vita.

Mario telefonò al giudice, che non solo assicurò loro che li avrebbe aiutati a liberarsi dalla madama e dall'avvocato, ma sottopose loro diverse idee per rilanciare l'albergo: farne un centro di accoglienza per congressisti, contattare le agenzie di viaggio e di turismo.

"San Donato è ben collegata con Milano, e l'albergo è facilmente raggiungibile. Io sto per andare in pensione e se volete, come hobby, vi farò da PR. Vedrete che in breve l'albergo sarà ancora una volta pieno e dovrete assumere di nuovo parecchio personale." disse il giudice con genuino entusiasmo.

"Lei è sempre stato così gentile con me, giudice, senza aver mai preteso niente in cambio... Perché?"

L'uomo sorrise: "Perché in te... ho visto mio figlio, che è morto quando aveva ventuno anni. Gli assomigli, sia come aspetto che come carattere. E allora... non avendo potuto fare niente per lui..."

"Non sapevo che fosse sposato, che avesse avuto un figlio..." disse Mario.

"Lui e mia moglie... un incidente d'auto... Se ne sono andati quasi venti anni fa. Per molto tempo mi sono chiuso in me stesso e li ho pianti... Finché ho capito che per quante lacrime potevo versare sulla loro morte e sul mio dolore, non li avrei riportati in vita. Poi, per caso, ho conosciuto te, Mario, quando un amico mi parò del... salotto che si faceva qui."


Nel giro di pochi mesi, gradualmente, l'albergo rifiorì. Ora avevano tutte le stanze quasi sempre piene, in certi periodi bisognava anche prenotare con un certo anticipo.

Fecero prendere la patente a Fane e acquistarono un pulmino per andare a prendere i clienti all'aeroporto o alla stazione centrale. Riaprirono anche il ristorante, e assunsero un cuoco, un aiuto cuoco, oltre ad un fattorino, tre cameriere, un receptionist.

Poiché gli affari andavano bene, il giudice consigliò loro di formare una società in nome collettivo, i cui membri furono Mario, Petru, Felicita, Fane e lo stesso Arnaldo, poi convinsero il proprietario dell'albergo a venderlo. Il giudice fece ottenere loro un mutuo a un tasso di favore. Acquistarono anche un pezzo di terra accanto all'albergo in modo di ampliare la sala da pranzo e il giardino.

Per il ventottesimo compleanno di Petru, fecero una bella festa. In quella occasione, Arnaldo e nonna Felicita comunicarono loro che intendevano sposarsi; allora anche Fane annunciò che s'era messo con il fattorino tunisino. I due ragazzi ne furono lieti e augurarono loro ogni felicità.

Quando a sera Petru e Mario si ritirarono nella loro stanza, appena furono sul loro bel letto matrimoniale, si abbracciarono e si baciarono, stanchi ma felici.

"Che bello che sia nonna che Fane si sistemino, vero?" gli disse Mario con un lieto sorriso.

"Beh, certo. D'altronde... gli abbiamo dato noi due il buon esempio, no?" gli sussurrò Petru.

"Lo sai che ogni giorno che passa, ti amo di più?" gli sussurrò Mario, carezzandolo.

"Sì, lo so, lo sento. Ma io no..."

Mario ridacchiò: "Lo so... di più non potresti!"

"Di più no... ma meglio, sì. Che dici, riusciremo a prenderci qualche giorno di ferie?"

"Penso di sì... Dove vuoi andare?"

"Voglio portarti a Brasov, dove sono nato, nei Carpazi meridionali, e farti conoscere la mia famiglia."

"E come mi presenti, come tuo socio di affari?"

"No, come il mio amante!"

"Ma come credi che la prenderanno?"

"Costel e Stelian lo sanno già, gliel'ho scritto, e l'hanno presa bene. Doru e Florin... dopo quello che c'è stato fra noi quand'eravamo ragazzini, non credo proprio che possono dire niente. Quanto a papà e mamma... vedremo. Spero che capiranno. Però voglio che lo sappiano anche loro."

"Come vuoi tu, amore. Sarò molto contento di conoscerli. Ma ora... che ne diresti se pensassimo un po' a noi due? È tutto il giorno che aspetto questo momento..."

Petru lo baciò e, muovendosi ad arte sotto di lui, gli si offrì. Mario gli si immerse lentamente dentro e quando gli fu ben premuto contro, iniziò a prenderlo con piacere e vigore, con colpi calibrati. Petru lo guardava con occhi brillanti di gioia, gli carezzava la schiena e gli sfregava lieve i capezzoli.

Sì, pensava, era valsa la pena di averlo aspettato tanto a lungo, di aver avuto pazienza come l'aveva spinto a fare nonna Felicita. Nonno Carlo gli aveva detto, anni prima, che non si può dire sempre e mai, eppure Petru sapeva che il loro amore sarebbe durato per sempre, che non si sarebbero lasciati mai!

Sentiva che Mario si stava avvicinando, gradualmente ma inarrestabilmente al sommo del piacere, e gli si mosse sotto per donargliene anche di più. Lo vide diventare letteralmente radioso, lo sentì accelerare a poco a poco il suo gradevole va e vieni nel suo caldo canale, sentì che tutti i muscoli del corpo guizzavano e infine lo sentì scaricarsi in lui.

Lo carezzò, attendendo che si rilassasse un poco, e si baciarono teneramente.

Mario, tenendolo stretto a sé, si mise sulla schiena, tirandolo sopra di lui. Poi gli si offrì, pieno di desiderio di accogliere e sentire in sé il suo amato. Petru si preparò, gli prese le gambe facendogli poggiare le caviglie sulle spalle, e finalmente lo penetrò.

"Oh, quant'è bello!" mormorò Mario.

"Sì, è davvero bello. Ti amo con ogni centimetro del mio corpo, amore, lo sai?"

"Lo so e... lo sento. Specialmente tutti i centimetri che mi stai spingendo dentro..." sorrise Mario, scherzando teneramente.

"La vita è così bella... specialmente quando siamo uniti così."

"Splendida davvero. Comprese tutte le difficoltà che abbiamo dovuto superare."

"Forse è proprio grazie a quelle che ora stiamo assieme. Non credi?"

"Senza te... non le avrei mai superate."

"Ma neanche io senza te. A differenza di te... io ho fatto l'amore con tanti... troppi uomini e ragazzi, eppure... tu sei il mio primo, vero ragazzo."

"Sì... è colpa dell'amore, non credi?"

"Una bella colpa! Ti amo davvero... davvero tanto..." sussurrò Petru iniziando a muoversi avanti e indietro dentro il suo amato, in lenti, lunghi, vigorosi movimenti.

Petru, mentre, prendendo Mario, si donava a lui, pensò che nessun ragazzo e probabilmente nessuna ragazza, se avesse conosciuto la bellezza del sesso come espressione d'amore, avrebbe mai accettato di fare sesso solo per divertimento e meno ancora per denaro.

Lo sapeva bene lui che aveva iniziato per divertimento con i fratelli, poi l'aveva dovuto fare per mestiere, poi di nuovo per divertimento con Fane. A volte era stato anche piacevole, a volte decisamente spiacevole... Ma anche quando era stato lui a desiderarlo, non era niente, paragonato a quanto stava vivendo ora con il suo Mario.

Capì, in quel momento, quanto aveva cercato di dirgli nonna Felicita quando ne avevano parlato. E si disse che molto probabilmente la nonna aveva conosciuto, aveva incontrato, come sua prima esperienza, il vero amore. Per questo aveva accettato con tanta serenità la loro relazione e probabilmente per questo aveva ora accettato la corte di Arnaldo, il giudice.

Poi pensò anche a Fane, il dolce Fane, che molto probabilmente stava facendo l'amore con Zubeir, il giovane e bel tunisino... e si augurò che potessero sperimentare la stessa felicità che stava provando lui.

Giù nel giardino, fianco a fianco sotto i vaghi raggi della luna, Arnaldo e Felicita erano seduti, la mano nella mano. Solo due delle finestre dell'albergo erano ancora illuminate: quella di Mario e Petru e quella di Fane e Zubeir.

"È bello che i nostri ragazzi si vogliano bene..." disse Arnaldo.

"E che ora se lo stanno dimostrando..." sussurrò con un sorriso dolce Felicita.

"Sì, proprio così..."

"E tu? Quando me lo dimostrerai?" chiese civettuola.

"Appena saremo sposati, Felicita."

"Oh, come sei all'antica!" lo prese bonariamente in giro lei.

"È un difetto?" le chiese Arnaldo.

"No... Però... a starti così vicina... mi fai di nuovo sentire una ragazzina... anche se il mio corpo è vecchio e non è più quello di un tempo."

"Anche io mi sento un ragazzino, quando sto vicino a te."

Felicita allungò una mano e lo carezzò lieve fra le gambe, fece un risolino e disse: "È proprio vero! Dobbiamo sposarci presto, allora, visto che non lo vuoi fare prima."


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15oScaffale

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