Gennaro Fazio, il capocomico, era sulla porta della cantina d'O Spagnuolo. Quando mi vide, allargò le braccia in segno di benvenuto e mi salutò ad alta voce.
"Minutolo Gaetano! Che piacere rivederti! Come stai, eh? Sempre più bello, pe' la disperazione delle ragazze!"
"Eh, don Gennaro mio, si tira innanzi."
"Ma che te tiri 'nnanzi, tu? Vularria tene' vint'anne io! Entra, entra, che già siamo in cinque, con te e me."
"E voi non venite?"
"Aspetto ancora un poco per vede' s'arriva qualch'altra anima. Ancora non sono suonate le tre."
Entrai. Attorno a un tavolo c'erano, già seduti, Sebastiano Capece la spalla e presentatore, Nino Giglio il cantante sentimentale e Maria De Palma la costumista.
Sebastiano mi dette un caloroso benvenuto: "E ecco il Gaetanuccio nostro! Non l'hai portato 'o mannolino?"
"E che, pe' fa' 'a serenata a Maria?" gli risposi scherzando.
Maria si mise a ridere tanto che le ballavano tutte le cimabelle di grasso: "È passata l'età pe' 'e serenate. Com'è che diceva quella cosa della colomba, Sebastiano?"
Era una vecchia gag che aveva inventato Sebastiano e che aveva avuto un certo successo. Nino s'alzò in piedi e disse: "Dai, comincia, Sebastiano, che ti fo da spalla io!"
"Se mi fai da spalla, hai da cominciare tu, allora." gli disse Sebastiano, alzandosi lui pure.
"Giusto! Allora... Sebastiano, sai cos'è la colomba?" chiese Nino.
"Eccome no! è l'uccello della pace."
"E sai cos'è la femmina?"
"Sì, è la pace dell'uccello!"
"E allora, il maschio cos'è?"
"Quello che cerca la pace per l'uccello suo."
"Ma se fusse nu scapolo?"
"Ah, quello... non lascia mai l'uccello in pace." rispose Sebastiano facendo il gesto di masturbarsi.
"E lo sai cos'è la zitella?"
"È Maria nostra," improvvisò Sebastiano, poi fece la battuta classica: "Conosce l'uccello, però non la pace!"
"Screanzato!" rise Maria, divertita, mostrandogli i pugni.
"Una donna maritata?" riprese Nino.
"Tiene di sicuro un uccello e perciò la pace."
"E l'ommo maritato?"
"Tiene pace sicura per il suo uccello."
"E la donna separata?" riprese Nino.
"È quella che ha perso sia la pace che l'uccello."
"E se invece fusse 'na vedova?"
"Poverella! gli morì l'uccello e non vive più in pace"
"E che mi dici invece del vedovo?"
"Quello ha perso la pace dell'uccello."
"Sai cos'è il vecchio?" chiese Nino mimando un vecchietto.
"Quello che tiene l'uccello in pace."
"E la vecchia?"
"Dovrebbe aver pace, però pensa solo all'uccello!"
"Ma sai cos'è il ricchione?"
"Quello che vuole in santa pace un bell'uccello... di dietro." concluse Sebastiano fra le nostre risate e quelle degli altri avventori che batterono le mani.
Nino e Sebastiano fecero un inchino e sedettero. Frattanto era entrato Alfredo Barbarulo l'attrezzista, che ci salutò tutti con un abbraccio. Dopo poco entrò anche Gennaro Fazio, rimettendo nel panciotto l'orologio da tasca.
"Le tre hanno suonato, speravo che saremmo stati di più..." disse sedendo. "Allora... in questi due anni, non sono stato con le mani in mano..."
"Ah no? E dove le tenevi, eh, mascalzoncello?" disse prontamente Sebastiano.
"N'ta fessa 'e soreta!" esclamò Gennaro ridacchiando, poi con aria solenne annunciò: "Possiamo finalmente ricostituire la Compagnia Fazio..."
"Hai trovato un teatro?" chiese Nino.
"No, ne ho trovati... decine. Il federale ci sovvenziona per farci girare tutti i paesi della Campania e portare il nostro spettacolo in giro. Quando siamo pronti, ci fa avere due corriere, una per trasportare i membri della compagnia, e l'altra per i costumi, gli strumenti e gli attrezzi di scena."
"Il federale, dici?" chiese Sebastiano facendo una smorfia. "Allora dobbiamo cancellare tutte le battute politiche..."
"Non necessariamente. Basta non colpire troppo in alto e attenuarle un poco... e cambiarne qualcuna mettendola a carico dei governi stranieri..." spiegò Gennaro.
In quella entrò Viola De Martino 1a soubrette, che fece il giro a dare un bacio con lo schiocco a tutti, chiamandoci per nome e aggiungendo "chéri!" ogni volta.
Gennaro le disse: "Ah, sono proprio felice che sei venuta pure tu ... anche se in ritardo... come al tuo solito."
"E nun me scuccià primma 'ncora d'accummenzà, eh? Guarda ca me n' vaco!" esclamò, poi mi disse: "E tu, Gaetano, che sei bello e fresco come una rosa 'e maggio! Ch'hai fatto in questo secolo che non ci si è più visti, eh?"
"Ho venduto struffoli per le vie e suonato nelle cantine e nei ristoranti." le risposi.
"Ah, struffoli! Che dolcezza! Ma intendevo sapere se ti sei fidanzato, ammogliato!"
"E chi vuoi che mi si sposi, co' le pezze al culo?" le risposi ridendo. "Ma Gennaro ci stava dicendo che intende ricostituire la Compagnia... ma questa volta sarà una compagnia ambulante, andremo a girare i paesi della regione con due corriere..." aggiunsi poi.
Gennaro mi rivolse uno sguardo riconoscente per aver riportato il discorso sulla ragione per cui eravamo lì.
"Oh, 'na compagnia ambulante!" esclamò Viola inarcando le sopraciglia.
"Ma dì un po', Viola, che la sai fare ancora 'a mossa?" le chiese Nino.
"Una vera artista di varietà, bello mio, 'a mossa non la scorda mai!" gli rispose Viola.
"Come il primo amore?" le chiese ridacchiando Sebastiano.
"Ih! Quello l'ho scordato da 'mmo!"
"Vogliamo smettere di divagare, per cortesia?" disse Gennaro e stava per riprendere a spiegarci il "progetto", quando fece la sua entrata nella cantina, o per meglio dire la sua entrée, anche la nostra sciantosa, Rosa Ponticiello, meglio conosciuta come Rose Dupont.
"Scusate il ritardo, ma il mio cuaffé, che m'aveva a sistemare i capelli, non è stato puntuale..." disse e ancheggiando andò a sedere, solenne come una regina, lanciando solo un'occhiata in tralice a Viola.
"Rosa, sono proprio felice che sei venuta pure tu ..." disse Gennaro, usando accuratamente le stesse parole che aveva usato per Viola, e la mise al corrente su quanto ci aveva detto fino ad allora, aggiunse altri particolari, quindi concluse. "Sinceramente, speravo che fossimo di più, però voi siete le colonne del nostro varietà, e ci siete, e questo è l'importante. A questo punto dobbiamo trovare quattro o cinque ballerinette di fila, il cantante di giacca, e gli altri membri dell'orchestra, direi tre o quattro... Se ognuno di noi si dà da fare, in poco tempo posso dire al federale che siamo pronti per ripartire così ci fa avere le corriere e i finanziamenti."
La nostra costumista, Maria De Palma, abbassò la voce per non farsi sentire dagli altri tavoli e disse a Gennaro: "Io avrei già un nome da proporre, un mio vicino di casa che... con l'aria che tira... credo che starebbe meglio con noi che..."
"Che, è un antifascista?" le chiese sottovoce Gennaro, guardandosi intorno un po' nervosamente.
"È un giudeo..." bisbigliò Maria, "E adesso ch'hanno fatto quelle leggi su la razza pura..."
"Ih, pure peggio... E che sa fare?" chiese Gennaro.
"È uno scrittore... Un uomo in gamba, credetemi e... simpatico... Ha trentasette anni..."
"Uno scrittore? E che ce ne facciamo?" chiese Viola.
"Come si chiama?" chiese Rosa.
"Si chiama Aronne Terracina." rispose Maria.
"Non poteva tenere un nome meno giudeo?" chiese Viola. "Che è l'ommo tuo?"
"Ma no, che vai pensando! Però, sapete, mi fa tanta pena, con l'aria che sta tirando per i giudei..." disse Maria.
"Se siamo tutti d'accordo... e facendogli cambiare nome, si capisce... uno scrittore... se non c'ha troppo la faccia da giudeo..." disse Gennaro un po' incerto.
"La faccia da giudeo, beh, un poco ce l'ha, ma mica troppo. C'ha tanto senso dell'umorismo, sapete, e potrebbe scriverci i testi e..." insistette Maria.
"Secondo me, facciamo bene a pigliarlo con noi. E in una compagnia sotto il patrocinio del federale, starebbe più al sicuro che dentro un uovo..." dissi io.
"Io dico che dobbiamo aiutarlo. Se non ci si aiuta fra cristiani..." disse Alfredo.
Sebastiano ridacchiò: "Veramente, se è giudeo, cristiano non è. Però io dico di sì."
"Gennaro, devi dirgli di sì!" disse Rosa.
"E tu, Viola?" chiese allora Gennaro.
"Ma sì, se non altro per dispetto ai fascisti. E male che va... finiremo tutti drieto a 'e cancelle. Anch'io dico di sì." dichiarò Viola facendo spallucce.
"Bene, siamo tutti d'accordo. Lo pigliamo con noi. Ma deve cambiare nome. Mica possiamo mettere sul cartellone Mosè Terracina..." disse Gennaro.
"Aronne, si chiama, no Mosè." lo corresse Maria.
"Cambia poco." disse Viola. "Si chiamerà Rosario Gatto."
"E dove l'hai pescato, 'sto nome?" le chiese Nino.
"Non hai detto, Maria, che c'ha trentasette anni? Beh, Rosario Gatto è un figlio di n.n. ch'è emigrato in Argentina cinque anni fa, che abitava al piano sotto al nostro, e che aveva trentadue anni... perciò se pure controllano, vedono che esiste, no?" spiegò Viola.
"Sei un genio, Violetta mia! Bene, Maria, digli che venga a parlare con me e... avremo pure un gatto nella compagnia!" disse Gennaro. "Ma ora dobbiamo trovare tutti gli altri, o non ne facciamo niente. Però, per tutti i nuovi che troveremo, nessuno ha da sapere che questo gatto è un giudeo. È più prudente."
"Giustissimo." sentenziò Alfredo.
Gennaro pagò da bere a tutti, parlammo d'altro e ci accordammo di ritrovarci quattro giorni dopo, sempre lì da 'O Spagnuolo, con chi saremmo riusciti a trovare. Ci raccomandò anche di trovare più gente di quella che ci occorreva, in modo che lui potesse fare una scelta.
Io avevo in mente alcuni bravi suonatori, perciò appena tornai a casa, girai per cercarli e proporgli di venire a lavorare per la Compagnia Fazio. Uno era Francesco Cammarota, un suonatore di fiati, infatti suonava il trombone, il flauto e l'ottavino. Sapevo che aveva fatto parte della banda municipale, ma che aveva perso il posto tre anni prima quando, per una brutta caduta, s'era fratturato una gamba e non poteva più marciare. Aveva ora trentanove anni, e campava facendo il compositore in una tipografia dietro a Santa Chiara. Però sapevo che non aveva smesso di suonare quand'era a casa, sia pure fra le proteste del vicinato. L'unico problema era che aveva moglie e figli...
Lo andai a trovare e gli feci la mia proposta.
"E dovrei suonare stando assettato, mi dici?" chiese, interessato.
"Sì, però, come t'ho detto, gireremo per la regione, staremo fuori spesso assai. Perciò come fai con la tua famiglia?"
Mi guardò con un sorrisetto: "E chi ti dice che proprio questo non è l'aspetto più interessante? La conosci a mia moglie, no? Io non la reggo più... Un poco mi dispiace per i piccirilli, però... L'importante è che gli mando i soldi e... E poi a me, stare lì in tipografia... Se questo Fazio mi piglia, di corsa ci vengo, pure zoppicando!"
"Non vanno bene le cose con tua moglie?" gli chiesi.
"No, non è che non vanno bene... Non vanno proprio! A ogne casa nce ave 'a sta 'na croce. Non litighiamo perché io dico sempre sì, qualunque cosa dice. E poi... quasi non me la dà più... E a me, suonare è la vita mia... Ah, Gaetano mio, dammi retta a me, non pigliar moglie, che è meglio assai."
"E chi ci pensa?" gli dissi ridendo. "Ma tua moglie mi pareva tanto gentile... Magari se la sapevi prendere dal verso giusto..."
"Sì! Con gli altri è gentile! E che vuoi... Le ho provate tutte con mia moglie. Ma è inutile: pure se ce metti 'o rum... 'nu strunz nun addeventa babbà!"
Andai poi a vedere l'altro musico che avevo in mente, Salvatore Dello Iacovo che suonava il contrabbasso, un uomo giovane, aveva ventinove anni. Così brutto, però, che non aveva trovato moglie, e era un peccato; perché era sì brutto fuori, ma bello dentro e spiritoso. Brutto 'e faccia e bello 'e core, come si diceva. Sapevo che aveva suonato nell'orchestra del teatro dell'opera, il San Carlo, ma poiché non aveva voluto prendere la tessera del partito fascista, era stato licenziato pochi mesi prima.
"Ohi, Salvatore, come ti va la vita?" lo salutai quando lo trovai.
"La vita è snella, e la pancia è vuota!" mi rispose il giovanotto sorridendo.
Gli dissi il motivo per cui ero andato a cercarlo.
"Ma io so solo suonare musica operistica..." mi disse quando ebbi finito di spiegargli tutto.
"Musica è musica, e tu conosci le note, a differenza di me. Con lo spartito davanti, sono sicuro che non avresti nessun problema. Allora, vieni a vedere Gennaro Fazio? Secondo me ti prenderà nella sua compagnia."
"Quando il piatto è vuoto, non si rifiuta di fare una visita alla cucina! Certo che ci vengo. Ma... mi piglierà, a me che non ho voluto la tessera del partito?"
"Io dico di sì... Anche se chi ci patrocina è il federale, noi mica siamo dipendenti dello stato. Pochi di noi ce l'hanno, d'altra parte, la tessera. Io per primo non ce l'ho. E poi a don Gennaro, credi a me, non gliene può fregare di meno: a lui interessa solo che la sua Compagnia di Varietà possa risorgere."
Così, li portai tutti e due a incontrare Gennaro, che dopo aver parlato con loro, li prese immediatamente.
Frattanto Rosa aveva portato un altro suonatore, Rodolfo Guarino, un mago con le tamorre, cioè i tamburi, le nacchere, il cembalo e, logicamente, il tamburello. Rodolfo aveva venticinque anni e, credo, era il "bello" di Rosa. Aveva anche trovato una ragazza, un'orfana di diciannove anni, Ida Santella, che non era una vera ballerina, ma era assai ben fatta e che con un po' di lezioni, poteva diventare una delle nostre ballerine.
Nino aveva trovato due altre ragazze, sua cugina Agata Gargiulo, di diciotto anni, e Gilda Ciaramella, di venti, tutte e due formosette e assai graziose. Agata sapeva già ballare, anche se soprattutto la tarantella.
L'ultimo suonatore l'aveva portato Viola. Si chiamava Antonello Brancaccio, aveva quarantadue anni e suonava il sassofono soprano da vero virtuoso. Era vedovo e i suoi due figli lavoravano al porto, perciò non avevano più bisogno di lui.
Alfredo, il nostro attrezzista, aveva portato due altre ballerine, Marisa di Benedetto, di ventiquattro anni, e Lella Episcopo, di ventidue. Marisa e Lella erano cugine, e avevano già ballato per la Compagnia Marzulo. S'erano licenziate perché non volevano cedere alle voglie del capocomico...
Gennaro aveva infine trovato gli ultimi due membri della compagnia: Raffaele Sorrentino, il cantante di giacca, e Gaspare De Angelis, un pianista e compositore che avrebbe fatto da maestro alla nostra orchestra.
Raffaele aveva ventotto anni, aveva una faccia non bella ma simpatica, e occhi che avevano il colore del mare profondo, fra il verde e il blu. Aveva una bella presenza, che per un cantante di giacca è essenziale. Aveva pure uno sguardo un po' triste ma fiero, che gli dava un certo fascino.
Gaspare parlava con un buffo accento: era infatti nato a Cuneo, un centro del Piemonte. Aveva trentasei anni, e fino ad allora aveva vissuto dando lezioni di pianoforte. Era arrivato a Napoli subito dopo la Grande Guerra, e s'era sposato qui da noi con una napoletana. Ma tre anni dopo il matrimonio la moglie, dando alla luce il loro primo figlio, era morta e dopo pochi giorni gli era morto pure il figlio. Lui non era voluto tornare al nord, perché aveva i due nel cimitero di via Campitelli a Portici e non li voleva abbandonare.
Conobbi infine anche Rosario Gatto, cioè Aronne Terracina il giudeo. Era un bell'uomo, ma soprattutto aveva una cultura vastissima e un senso dell'umorismo formidabile: giocava con le parole meglio che un giocoliere con le palle! Faceva battute con un'aria così seria che solo quello ti faceva morire dal ridere.
Insomma, la Compagnia era al completo e, secondo me, anche migliore di quella che era stata sciolta due anni prima, e ci buttammo a capofitto a montare il nostro spettacolo.
Viola si prese in carico Agata, Gilda, Ida, Marisa e Lalla per farne delle vere ballerine di fila. Provavano i loro numeri nella rimessa di un amico di Viola. Il maestro De Angelis si mise di buzzo buono per amalgamare la nuova orchestra: si provava dai frati francescani, che gli lasciavano usare il loro pianoforte. Era un vero maestro, ci sapeva fare e ci dirigeva con competenza e buona grazia.
A volte il maestro provava anche con i cantanti, accompagnandoli al piano. Il problema era provare con le ballerine, perché portarle dai frati non era possibile. Così io, Francesco e Rodolfo ogni tanto si andava, col maestro, nella rimessa per far provare le ragazze.
Come era prevedibile, notai la solita rivalità fra Viola, la soubrette, e Rosa la sciantosa e, di nuovo, come Nino Giglio faceva il filo a tutte e due, stando bene attento a non farlo quando entrambe erano presenti, ma facendo il galante con l'una o con l'altra quando era con una sola. Se ne accorse anche Rosario Gatto, che un giorno, con aria assolutamente innocente, si mise a canticchiare: "Tra le rose e le viole, un bel giglio ci sta bene; noi vogliamo tanto bene al Gran Fazio, con onore!"
Maria, la costumista, aveva recuperato i vecchi costumi di scena, riparandoli, rinfrescandoli, adattandoli alle nuove ballerine e creandone di nuovi. Era anche riuscita a trovare dal rigattiere un bel completo per il nostro cantante di giacca, Raffaele, e glielo aveva adattato.
E infine Alfredo, l'attrezzista, stava procurando gli attrezzi di scena man mano che Gennaro e Rosario stendevano i nuovi copioni.
Anche fra Nino e Raffaele, il cantante sentimentale e quello di giacca, nacque una certa rivalità, ma poiché Raffaele non gli dava corda, non diventò mai un vero problema.
Gennaro, da bravo capocomico, seguiva tutti, coordinava, organizzava, vegliava, consigliava, spronava. E ci faceva fretta: "Ragazzi, prima siamo pronti e prima il federale ci dà i soldi! Prima ci dà i soldi e le corriere, prima cominciamo a lavorare e a guadagnare. E a mangiare come dio comanda" ci ripeteva, instancabile.
Le ballerine stavano cominciando a muoversi tutte assieme nel modo giusto, sotto la guida attenta e severa di Viola.
"E muovi quel culo, Ida! Più su, più su la gamba, Agata. Guarda come si fa! La sottana deve sollevarsi in modo da far intravedere le mutande, se vuoi che gli spettatori tornino! E poi deve abbassarsi subito, per fargli aumentare la voglia. Visto? Riprovaci... Gilda, e sorridi: devi sembrare contenta pure se ti fosse appena morto l'ommo tuo! Devi sorridere a ogni maschio che sta a guardare lo spettacolo, come se gli promettessi un assaggio della fessa tua! Più s'arrapano e più diventano spettatori fedeli!"
"A Marisa non la sgridate mai, però!" protestò Agata mettendo il broncio.
"Perché Marisa sa come si fa in scena. Prendi esempio da lei, invece di fare la smorfiosa! E pure da Lella... Domani Maria ci fa provare i costumi nuovi, con le giuste imbottiture, specialmente per te, Gilda, che pari un'aringa... Devi mangiare di più, figlia mia."
"Eh, c'avesse 'a mangià, sì che mangeria!" rispose la ragazza facendo spallucce.
Raffaele, il nuovo cantante di giacca, rivelò di avere talento. Interpretava le canzoni con vera arte, esprimeva il desiderio di libertà dei carcerati, l'atteggiamento spavaldo del guappo, che la musica, aderente al testo ora con slancio impetuoso, ora con sottolineature passionali, esaltava. La giacca attillata e il fazzoletto al collo lo facevano sembrare un vero "figlio del popolo" come aveva da essere. Quando interpretava le canzoni della malavita, il suo volto, ancorché non bello, sembrava trasformarsi.
Rosario Gatto, un giorno se ne arrivò con una scenetta che suscitò fra noi ilarità.
Un politico molto basso sta facendo un comizio quando dalla folla si ode un grido: "A nano!"
Il politico adirato si guarda un po' in giro ma continua il suo comizio.
Poco dopo, ancora la voce: "A nano!"
L'oratore sempre più arrabbiato guarda verso il pubblico ma non riesce a vedere chi è stato e continua il suo discorso.
Nuovamente si sente la solita voce gridargli: "A nano!"
A questo punto il politico inferocito interrompe il comizio e grida: "Mi rivolgo a quella persona che mi sta offendendo, ricordandogli che io ho un figlio alto un metro e ottanta!"
"A nano cornuto!"
Anche Gennaro rise, ma propose di cambiarla specificando che era un politico francese...
Un'altra macchietta scritta da Rosario, fu una parodia dell'Amleto, con una allusione alle tessere del partito fascista, tutta giocata su doppi sensi, in cui compariva in scena con un'anguria in mano, un telaio da tessitore sullo sfondo, e recitava:
"Tessere o non tessere, questo è il problema. Cos'è più nobile, soffrire la fame o spaccare questo cocomero e combattere fino a farlo sparire? Morire, dormire... niente più. E con il sonno porre fine alle mille afflizioni che chi non segue l'onda si trova a fronteggiare? Ecco il difficile. Forse sognare... sognare, certo e far sì che si possa uscire dalla stretta di questa vita e non prolungare la durata della sventura. Perché sopportare il peso dei torti dell'oppressore, le offese dei superbi, l'arroganza dei potenti... quando si potrebbe trovare la pace usando la semplice lama di un coltello?"
A questo punto estraeva un coltellaccio da cucina, come per uccidersi, e invece spaccava l'anguria e la mangiava. Poi esclamava:
"No, non voglio tessere, e il bianco, rosso e verde di quest'anguria nostrana, veramente italiana, dolce frutto del sudore dell'onesto contadino, m'ispira come salvarmi e... vivere, libero da trame e orditi."
Poi entrava in scena la spalla, vestito tutto di nero, che spazzava via i resti dell'anguria. E Amleto diceva, rivolto al pubblico:
"E guardatelo, tutto vestito in nero... calzoni neri... camicia nera... che spazza via i resti della tricolore anguria che la fame ha così inopportunamente spezzata! Uocchie e maluocchie e furticielle all'uocchie: schiatta la 'mmidia e crepano 'e maluocchie. Tiè, tiè, tiè!"
Anche questa sollevò fra noi molte discussioni, ma alla fine Gennaro la accettò, dicendo: "Se il federale non dice niente quando gli presenteremo lo spettacolo, la teniamo così come è!"
"Ma 'sto federale, che uomo è?" chiese Maria, la costumista.
"È cordiale, colto... siamo stati compagni di liceo... amici... sa che io sono un... a-fascista, per così dire, ma non gliene importa. Lui è d'origine contadina, i suoi non avevano soldi e se ha potuto studiare è grazie ai miei, perciò mi è grato. Mi fido di lui..." disse Gennaro.
"Anche se è fascista dalla testa ai piedi?" gli chiese Rosario, il giudeo.
"Anche, perché è un uomo onesto." rispose Gennaro.
"Allora durerà poco come federale..." commentò Maria.
"Dillo sottovoce!" le disse Nino.
"Posso anche non dirlo per niente, ma resta così!" ribatté Maria in tono deciso.