Tornato in paese, persi un po' di tempo girando qua e là, in attesa del ritorno di Raffaele e dell'ora di cena. Continuavo a chiedermi perché l'avessi tradito... ma soprattutto se dovessi dirglielo o no. Da una parte, pensavo meglio non farlo, sia perché non volevo farlo stare male, sia perché temevo la sua reazione. Ma dall'altra, mi sembrava che non dirglielo fosse quasi come tradirlo due volte.
Sentii il rumore del motore di una motocicletta e riconobbi quella di Freduzzo. Infatti arrivò e quando giunse accanto a me si fermò e Raffaele ne scese. Freduzzo continuò fino al teatro, con il pacco legato alla motocicletta.
"L'hai comprato, il vestito?" gli chiesi.
"Sì, certo. Maria dovrà adattarmelo un po', ma per stasera può andare bene così. Non mi sta male."
"È bello?"
"Un po' rovinata la fodera, ma il tessuto mi piace. È carta da zucchero scuro, con un taglio un po' antico. Le spalle leggermente imbottite, così sembrano più squadrate. Stasera lo vedrai."
Dovevo dirglielo o no? Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi, ma poiché si camminava lentamente fianco a fianco, non era un problema. Almeno per il momento. Mi sentivo terribilmente agitato e mi dissi che non dovevo farglielo notare, almeno finché non avessi deciso che cosa fare.
"Tu che hai fatto, tutto il pomeriggio?"
Ahia! "Niente... una passeggiata lungo il fiume, giù verso valle."
"Ti sei preso la pioggia? Ho notato che quassù ha piovuto."
"No... ho trovato un riparo."
"Beh, meno male. D'altronde hai gli abiti asciutti... Ho fatto una domanda sciocca." disse e sentii dal tono e dall'inflessione della voce che doveva star sorridendo.
Dio mio, perché l'avevo tradito? Ero stato pazzo a farlo! Ma è inutile chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi o, come si dice a Napoli, a Santa Chiara, ropp'arrubbata, facetter 'e porte 'e fierro. Alla Basilica di Santa Chiara, dopo il furto, misero i portoni di ferro.
Arrivammo in piazza.
"Vieni al caffè, che voglio offrirtelo." mi disse.
"Non è meglio dopo cena?"
"No, c'è meno tempo, e poi io ne ho voglia adesso. Siediti a un tavolo, vado dentro a ordinarli."
Un ragazzotto stava asciugando con un grande panno sedie e tavoli bagnati dal temporale. Andai a sedermi dove aveva già asciugato. Dopo poco uscì Raffaele e venne a sedere di fronte a me.
"Fra poco li portano." disse con un sorriso.
"Bene."
"Che hai?" mi chiese, scrutandomi.
Cavolo, non riuscivo a nascondergli niente! E che gli dicevo, ora? Rimasi a guardarlo con espressione smarrita, non sapevo che fare, che dire. Sapevo che rispondergli "niente" non l'avrebbe accontentato.
"Allora?" insistette.
"Non lo so... Mi sento strano... Sarà il tempo così grigio..."
"Ah, può darsi. Dove ti sei riparato, quando s'è messo a piovere?"
"C'era una vecchia casa colonica in rovina. Lì dentro..."
"Beh, t'è andata bene."
Mi sentivo terribilmente a disagio e temevo che, se non gli avessi detto niente, non sarei riuscito a venir fuori da quello stato d'animo. Però, temendo la sua reazione, pensai che fosse meglio dirglielo dopo lo spettacolo. Sì, mi sentivo a disagio e in colpa. Forse tanto più in colpa poiché mi era anche piaciuto molto, e non solo farlo, ma farlo con Dono... cioè con un ragazzo delizioso.
Andammo a cena. Poi ci preparammo per lo spettacolo. Poco prima che iniziasse mi vennero a chiamare, dicendomi di andare alla biglietteria. M'ero quasi dimenticato di Dono. Andai e dissi alla cassiera di lasciarlo passare.
Era davvero un gran bel ragazzo. Mi ringraziò con un dolce sorriso che mi mise a disagio. Gli dissi di andarsi a sedere e che dopo non ci saremmo potuti vedere.
"Lo so... c'è il tuo uomo, no? Mi dici chi è?"
"Il cantante di giacca... quello che canta le canzoni della malavita. Beh... spero che ti diverti. Ciao."
"Grazie... di tutto." mi disse con un sorriso esitante.
Già, di tutto: scopata e spettacolo. Era dolce quel ragazzo. Ma anche Raffaele era molto dolce. A Raffaele non mancava nulla... non avevo nessun motivo per averlo tradito. Nessuna ragione, nessun bisogno.
Lo spettacolo ebbe il solito successo, filò tutto liscio, senza problemi, a parte che io mi sentivo sempre più teso con l'avvicinarsi dell'ora della verità. Avendo deciso che dovevo dirglielo, cercavo di immaginare quale potesse essere il modo migliore... e non sapevo decidermi.
Quando infine, data la buonanotte a tutti, salimmo in camera, ero sempre più teso e sempre più confuso.
"E anche oggi è fatta! Che ne dici del vestito che ho comprato?"
"Raffaele..." mormorai, deciso a prendere il toro per le corna.
Si girò a guardarmi, sfilandosi la giacca.
"Raffaele... ti devo parlare..." dissi, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
"Sì?" chiese lui e sentii una nota di preoccupazione in quella pur brevissima sillaba.
"Siediti sul letto... sul tuo." dissi, sedendo sul mio, sempre senza guardarlo in viso.
Guardavo le sue gambe, le sue scarpe. "Io... oggi pomeriggio... Io... lo so che... che ho sbagliato, che non... non dovevo... però..." e tacqui. Non cela facevo a parlare, a dirglielo, eppure dovevo.
"Si?" disse quasi sottovoce.
Sentivo i suoi occhi su di me. Mi misi a tremare. Poi dissi, tutto d'un fiato, sentendomi avvampare: "Ho scopato con un altro!"
Silenzio. Non so quanto durò. Un silenzio terribile, pesante, più pesante, più terribile di un urlo. Un silenzio che mi schiacciava sul letto, che mi pesava addosso come un macigno. Un silenzio che era già una condanna.
"Ah!" disse infine.
Di nuovo silenzio. Sentivo il cuore rullare e battere più forte che il tamburo per 'a mossa. E venne il colpo di grancassa finale!
"Ma bravo! E così me lo dici?"
"Raffaele..." gemetti.
"Schifoso, così me lo dici? E io che... io che... io che c'avrei messo la mano sul fuoco, per te. Che fesso, eh?"
"Raffaele... mi dispiace..."
"Hahaha, gli dispiace! Magari adesso mi dici che non l'hai fatto apposta!" disse con sarcasmo. "Che non te ne sei accorto! Eh già, 'o gatto sse n'è juto e i surcilli abballano!"
"No... È che..."
"È che, che? Pecché m'aie tradùto? Che t'ho fatto io?"
"Niente..."
"U saie ca su geluso, no? Lo sai! E che ti credi, che io non ne trovavo, occasioni, se solo volevo? M'hai deluso, Gaetano. M'hai ferito e deluso. M'hai spezzato il cuore, non lo capisci?"
"Perdonami..."
"E perché? Non lo capisci che ormai non mi posso fidare più di te? Ma sì, sì ti perdono... ma non ti voglio vedere più!"
"Raffaele..." gemetti, sentendomi morire.
"O esci tu da questa stanza o esco io." mi disse, in tono freddo, gelido.
Mi alzai, sentendomi come un condannato a morte. Uscii dalla camera, sperando che mi richiamasse... Chiusi la porta, m'appoggiai al muro del corridoio e scivolai giù, a sedere sul pavimento, le ginocchia contro il petto, le braccia attorno e vi appoggiai la testa. Scoppiai a piangere, silenziosamente. Avrei voluto morire.
Non sentii che qualcuno stava arrivando, finché mi sentii scuotere una spalla. Guardai in su, sperando che fosse Raffaele... No, era Freduzzo.
"Che hai, Gaetano? Che fai qui?" mi chiese. Vide che avevo il volto rigato di lacrime. "Hai... litigato con Raffaele?"
"È... è finita!" mormorai.
"Ma che è successo? Perché? Non lo sai che 'ammore verace è quanno s'appicceca e se fa' pace? Avete litigato? Passerà, dai!" disse, sedendo sul pavimento accanto a me.
"No... è finita... L'ho tradito e... e non mi vuole più."
"L'hai tradito? Con una femmina?"
"No, con un ragazzo... uno di qui."
"E lui... l'ha scoperto?"
"No... gliel'ho detto io... Non mi vuole più!"
"E tu... Ma sei stato poco fesso a dirglielo, se lui non t'aveva scoperto? Eh?"
"Non potevo non dirglielo... sarebbe stato come tradirlo due volte."
"E che fai, qui, adesso?"
"No mi vuole più, neanche in camera. Mi odia."
"E che, mica puoi passare la notte qui, no? Aspetta, gli vado a parlare..."
"No..." gemetti. "Non mi vuole più... più... più..."
"E dai, gli passerà... Gli vado a parlare." disse e si alzò, dopo avermi dato una pacca di incoraggiamento su una spalla.
Bussò... Entrò... Rimase dentro a lungo. Non sentivo le loro voci. Quando finalmente tornò fuori, lo guardai. Aveva un'espressione accigliata, triste e scuoteva la testa.
"Più capa tosta de nu ciuccio è! Dice ca 'o cane ca s'è scuttato d'acqua caura, ave paura pure 'e l'acqua fredda. Ma tu mica puoi restare qui. Aspetta, vado a vedere se c'è ancora una camera vuota, per stanotte."
Tornò e mi portò in una cameretta libera: "Passa la notte qui e domani... Domani è un altro giorno e la notte porta consiglio. Mi dispiace, Gaetano... ma vedrai... le cose s'aggiusteranno."
"No... no... è finita. Non dovevo farlo... Non dovevo tradirlo."
"Ma l'hai fatto. E se davvero non ti vuole più... come si dice... a chiàgnere 'nu muorto so' làcreme pèrze. Bello come sei... te ne trovi un altro!"
Quando Freduzzo uscì, mi buttai sul letto e mi rimisi a piangere... M'addormentai così, vestito.
La mattina dovevamo provare, ma io non me la sentivo. Gaspare, il maestro De Angelis, venne a dirmi che non potevo mancare io, l'orchestra aveva bisogno della chitarra e del mandolino!
"Non me la sento, maestro." gemetti.
"Adesso ti lavi la faccia, scendi a fare colazione e..."
"No... no..."
"Gaetano! La vita continua. E non è detto che a Raffaele... non gli passi, no?"
"Lo sapete anche voi?"
"Eh. Freduzzo ce l'ha detto, quando non t'abbiamo visto scendere. Su, adesso non fare il bambino. Lavati la faccia, vieni giù e fai colazione, poi andiamo insieme in teatro a fare le prove."
"Ma io..."
"Ma tu niente! Che ommo sei?"
"Nun so ommo, so ricchione!" gli dissi in un gemito.
"Ommo sei, le palle le tieni, no? E comunque, ommo, femmina o ricchione, lo spettacolo prima di tutto! Non puoi rovinarci a tutti così!"
Sapevo che aveva ragione. Mi alzai dal letto, mi lavai la faccia come un gatto, alla meno peggio, me l'asciugai e lo seguii di sotto. Mi fece dare la colazione. Poi mi prese per un braccio e mi portò nel teatro. Ebbi l'impressione che tutti mi guardassero, ma nessuno pareva prendermi in giro... sapevano e capivano. Salvatore mi porse il mio mandolino e mi sussurrò: "Dai, su, Gaetano."
Bene o male, suonai... Quando Raffaele provò "E ppentite" di Bovio e Albano, io non lo guardai: mi vergognavo troppo. E sapevo, sentivo che neppure lui guardava me. S'era spezzato l'incantesimo, non voleva più saperne di me. Non l'avrei mai più avuto... non sarei mai più stato suo.
Quando andammo a tavola, Raffaele sedette lontano da me, in un posto vuoto fra Rosa e Alfredo. Freduzzo mi fece sedere vicino a sé, dall'altra parte di sua moglie Ida.
E Rosa, disse: "Raffaele, capisco che non te l'aspettavi... che c'hai tutte le ragioni, ma è la prima volta, no?"
"Una di troppo!" rispose secco Raffaele.
"Oh signore benedetto! Ma è un ragazzo. Tutti possiamo sbagliare, no?"
"Un ragazzo? Ha ventotto anni!"
"E per tre anni, mica l'ha mai fatto no?" insisté Rosa.
Io mi sentivo sprofondare.
"E che ne so, io, se non l'ha mai fatto, prima?"
Maria intervenne: "Se l'aveva fatto, come te l'ha detto questa volta, te l'aveva detto prima. Perciò, non l'aveva mai fatto, mi pare evidente. Una sola volta, la prima volta e l'ultima, ci giuro... non vedi quanto ci sta male?"
"Una di troppo!" ripeté Raffaele. "E una seconda non ci sarà no. È finita."
"Eh!" disse Alfredo. "Si vede che tu non lo volevi veramente bene come dicevi. Per te era solo un divertimento, è evidente!"
"Non è vero!" gridò quasi, Raffaele. "Lo amavo con tutto il cuore!"
"Non lo conosci il detto: vuo' bbene all'ommo tujo cu' 'i difiette suje? Se lo volevi bene, per quanto puoi soffrire, lo perdoneresti." insistette Alfredo.
"Si' veramente n'ommo e merda, Raffaele!" gli disse Rosa. "Gaetano è quanto di meglio potessi trovare. Perché lo vuoi perdere così? Non capisci che sei 'na capa 'e cazzo?"
"Sì. 'A bona mercanzia trova prièsto a ghjì pe' 'n'àutra via. E lui... lui se n'è già andato per un'altra via!" ribatté Raffaele.
"Ma se è tornato da te! Se t'ha chiesto perdono! E guardalo com'è ridotto, poverello! Eh maronna d'o Carmine, siete tutti uguali, voi uomini: fate schifo! 'O pazzo a casa torna, no? La scappatella prima o poi si conclude con un ritorno a casa, come si dice."
"Ma trova la porta di casa chiusa a doppia mandata." insisté Raffaele.
"E perdi la buona mercanzia. T'auguro di trovarti qualcuno che ti fa cornuto e contento, la prossima volta!" gli disse Viola dall'altra parte del tavolo, con sarcasmo. "Te lo meriti proprio!"
Io mi sentivo sempre più uno straccio. Dentro di me continuavo a ripetermi come un orribile ritornello: "Nun ce sta niente 'a fa! Nun ce sta niente 'a fa! Nun ce sta niente 'a fa!"
Come dio volle, il pranzo finì. Andai da Gennaro.
"Gennaro, perdonatemi ma... io è meglio che... Trovatevi un altro mandolino, per favore, e appena lo trovate... io me ne vado."
"Sarebbe una grossa perdita, ma ti capisco, ragazzo mio. Adesso però cerca di fare del tuo meglio e... E poi, non è detto che magari... che magari non gli passa."
"No che non gli passa. L'ho ferito troppo profondamente." gli dissi in tono disperato.
"Ogni ferita... o va in cancrena o guarisce, Gaetano. Cerca di fare del tuo meglio."
Quando ci preparammo per lo spettacolo del pomeriggio, Raffaele si rivolse al maestro De Angelis: "Non intendo cantare 'E ppentite. Canterò Povero guappo." gli disse.
"Ma non puoi cambiare così, all'ultimo minuto!" reagì Gaspare De Angelis, col suo accento piemontese.
"Sì che posso. La conoscete bene tutti, no?" tagliò corto Raffaele.
E così, quando fu annunciato il "cantante di giacca", Sebastiano il presentatore annunciò che si sarebbe esibito in "Povero guappo" di Bovio e Albano:
"Páccare amare e rasulate 'nfaccia:
chist'è ll'ammore 'e vasci'â Sanitá.
Tu nun si' 'o tipo ca mme cade 'mbraccia
si nun te faccio
chello ca maje t'aggio vuluto fa...
E pure ca te faccio a tanto 'o piezzo,
tengo 'o certificato ca so' pazzo...
Fronn' 'e viola,
mm'aggio fatto affilá pure 'o rasulo
e nun te dico cchiù meza parola...
Sciore 'e granato,
i' tanno sto' buonissimo in salute,
quanno sto duje o tre anne carcerato!
Uommene guappe 'e stu quartiere mio,
ve voglio tuttuquante contr'a me;
'o guappo, 'mmiez'ê guappe, so' sul'io,
so' carne 'e guaje:
'mmiez'ê malevivente songo 'o rre.
Stanotte porto 'e suone 'mpunt'a ll'una...
sbattite 'e mmane pure quanno stòno...
Fronn' 'e murtella,
i' voglio dá tremila feste 'e ballo
si 'a 'nnammurata mia more zetèlla...
Fronn' 'e limone,
io 'a giudico na meza culumbrina
ca pe' me sulo more 'e passione...
Vuje ca facite ll'opere 'e triato,
quanno 'e screvite 'e dramme 'ncuollo a me?
Mettítece nu guappo sfurtunato,
miezo 'mpazzuto...
ca chiagne zitto e nun se fa vedé!...
Facitece trasí sempe pe' dinto,
na mamma vecchia vecchia e cummuventa!...
Giglio sfrunnato,
'o juorno ca mme veco cchiù abbeluto,
mme piglio seje pastiglie 'e sublimato...
Sciore appassuto,
more, cu me, na vecchia scunzulata:
pe' tutt'e duje nce abbasta unu tavuto!"
Lo cantò con tale impeto, con tale disperazione nella voce... piangendo lacrime vere, che non solo piangevo io, ma pure tutta la platea, tutti gli spettatori. Quando la canzone finì, ci fu un momento di silenzio incredibile, rotto da qualcuno che tirava su col naso, poi la platea esplose in un applauso incredibile da far venir giù il soffitto del teatro.
Raffaele scappò dietro le quinte e si chiuse nel suo camerino, sordo alle incessanti richieste di bis.
Gennaro capì che non poteva far seguire il numero che aveva previsto, così chiese a Nino di cantare un'altra canzone sentimentale, per fare da tramite al numero seguente.
Nino si consultò con il maestro De Angelis e decise di cantare Canzone Appassiunata di Ermete Giovanni Gaeta, che forse voi conoscete meglio come E.A. Mario.
Io non so come riuscii a suonare fino alla fine dello spettacolo. Il mestiere mi venne in soccorso, anche se mi sentivo proprio come un morto vivente.
Quando andai a riporre i miei strumenti dietro le quinte, Maria mi cinse le spalle e mi strinse maternamente a sé.
"Gaetano... ho pregato tanto per te, per voi... e vedrai che a Madonnuzza mia m'ascolterà. Raffaele ha pianto tutto il tempo, dopo la sua esibizione... e piangere fa bene."
"No, Maria... è finita..." le dissi con un filo di voce.
"La speranza è l'ultima a morire.'E luce fanno juorno 'a sera. C'è sempre una speranza. Sient'a mme che canoscio 'a vvita."
Non me la sentivo di andare a cena, perché temevo che ricominciassero a discutere con Raffaele, a cercare di convincerlo a perdonarmi, e non avrei sopportato di sentirgli ripetere i suoi "no!"
Così salii nella cameretta che Freduzzo m'aveva trovato, mi gettai sul letto, prono, la testa sulle braccia acciambellate. Non avevo neppure più lacrime da versare.
Qualcuno entrò e la voce di Nino mi chiamò: "Gaetano..."
Senza guardarlo, chiesi: "Che vuoi?"
Lo sentii sedere sul bordo del mio letto. "Tu sai che fra me e voi due ci sono stati... problemi."
"Che m'importa, ormai!?"
"Però ora... credimi... mi dispiace assai per questa cosa: capisco quanto forte è il vostro amore, e di fronte all'amore verace, nessuno può restare insensibile."
"Era forte... Io l'ho tradito... Io l'ho ferito... E ora vorrei morire!"
"Sì, è vero, è come dici tu. Però... che senso ha che tutti e due vogliate morire... quando potreste e dovreste invece vivere... uno per l'altro? Se non vi amaste, non ne soffrireste così tanto, tutti e due."
"Ma che posso fare, ormai? Lui non ne vuole più sapere di me."
"Non ne sarei tanto sicuro... non hai sentito... non hai visto quanto era sconvolto, quando ha cantato Povero guappo? Vedrai che... tutto s'aggiusterà. E che dopo andrà anche meglio di prima."
"Se Marisa ti tradisse, tu la perdoneresti?"
"Non l'avrei mai perdonata... prima. Ma ora, se lei fosse al posto tuo e io al posto di Raffaele... io credo di aver capito che la dovrei perdonare. E vedrai che pure Raffaele lo capirà. Tutti noi, nella Compagnia, non facciamo che sperarlo e, ognuno a modo nostro, non facciamo che pregare perché sia così."
"Ma io l'ho tradito!"
"Anche a Nostro Signore, sia Giuda che San Pietro l'avevano tradito. Giuda non sperava di meritare il perdono e s'è impiccato, ma Pietro s'è pentito e è stato perdonato."
"E io sono stato un Giuda!"
"Ma se Giuda si pentiva, come ti sei pentito tu, Nostro Signore lo perdonava, come ha perdonato a Pietro. Anche se Raffaele non è Nostro Signore. Ma non è cattivo, deve solo capire. E tutti noi l'aiuteremo a capire. Un vero artista, e Raffaele ne è uno, non può avere un cuore cattivo."
"Vorrei tanto morire..."
"No... no. Tu devi vivere, Gaetano, senti a me. E se per caso... dico per caso... se Raffaele non ti saprà perdonare, ebbene, lui non è degno di te. Lui non è degno di dirsi un uomo."
"Dice che m'ha perdonato, ma che non mi vuole più vedere."
"Se dice così, mente a se stesso! Il perdono... è un dono."
"Si chiamava Dono..." gemetti io, "però non dovevo accettare quel dono... e ora, non sono più degno di accettare un dono da Raffaele."
"Nessuno è degno di ricevere un dono. Pochi sono abbastanza uomini per essere degni di farlo. E io... io credo che... anche se c'è stata ruggine fra lui e me... credo che Raffaele sia abbastanza uomo per farti il dono che tu hai bisogno per ricominciare a vivere." mi disse.
Poi, in silenzio, uscì dalla stanza.