Quando arrivammo a San Francisco, già avvicinandoci, Caleb mi disse subito che c'era qualcosa di strano nell'aria.
"Strano, come?" gli chiesi.
"Perché tutte quelle tende? E tutti quegli uomini? L'ultima volta non c'erano. Questo era un posto pacifico... Ogni tanto arrivava una famiglia col suo carro, si stabiliva, si prendeva un pezzo di terra o iniziava un qualche piccolo commercio... Non c'era tutto questo casino."
Passando accanto a un gruppo di un centinaio di tende di ogni genere e piazzate alla rinfusa, Caleb fermò il carro e chiese ad un uomo: "Che ci fate qui, con quelle tende?"
Quello lo guardò un po' stupito: "L'oro! Hanno trovato l'oro! Oro per tutti. Basta grattare e trovi un filone d'oro! Non sei anche tu qui per questo? Sta arrivando gente da tutto il territorio."
"E dove l'hanno trovato?" chiese Caleb.
"Prima alla segheria del capitano John Sutter, ho sentito dire... poi un po' dappertutto! Ogni giorno si trova un nuovo filone!"
Caleb fece ripartire il carro. Allora gli chiesi: "Oro? Ti fermi a cercarlo?"
"No. Non mi piace l'idea di fare la vita del cercatore d'oro o del minatore. No. Stavo pensando che aumenteranno i miei clienti e farò affari... affari d'oro. E alzerò i prezzi. E se vuoi un consiglio, non fare il cercatore: lascia che l'oro lo trovino gli altri e fattelo dare."
"E come?"
"Non vedi? Centinaia... sono centinaia di uomini... soli... lontani da casa... vorranno divertirsi."
"E gli dovrei vendere il mio culo?" gli chiesi.
"Perché no, se ti va. Ma più ancora, suonare per loro, fargli mille piccoli servizi pagati abbondantemente. Capire cosa gli manca, cosa desiderano e procurarglielo. Ricordati, non quello di cui hanno bisogno ma quello che sognano. Nessuno ci pensa mai, ma se il bisogno si paga bene, il sogno si paga meglio. Ma non ti dare a chiunque, fatti desiderare. E impara a usare meglio la pistola... te ne regalo una."
"La pistola?" gli chiesi un po' stupito.
"Certo. Devi farti rispettare. Non temere, ma rispettare. Chi è temuto, prima o poi gli fanno un'imboscata e se ne liberano. Gli fanno la pelle. Chi è rispettato, fissa la posta del gioco. Credi a me. Renditi non solo utile, ma indispensabile. Quelli, io lo so, penseranno solo a scavare e accumulare oro. Ma sentiranno la mancanza di mille cose. Gente che non ha voglia di farsi da mangiare, di lavarsi i panni, di organizzarsi, ma che comunque ne sentirà la mancanza. E come hai visto, gente senza donne..."
"E allora... dovrei mettermi a fare la cuoca e la lavandaia?" gli chiesi quasi sfidandolo.
"Perché no, ma meglio ancora trovare chi glielo fa. Organizzare. E tieni i prezzi alti. Il mediatore è sempre quello che guadagna più di tutti, se ci sa fare. Vedi, Fred, chissà quanti si preoccuperanno di vendergli utensili, tende, piatti di stagno, tabacco, liquori, armi... Ma nessuno, o pochi, di organizzargli una vera festa, con musica, attori, roba speciale da mangiare. Arriveranno le puttane o ragazzi che si vendono... ma pochi pensano a farglieli prima desiderare.
"Una puttana, si sa, è lì per venderla: si fa la fila e avanti un altro. Ma una che invece non fa la puttana, e questo vale anche per un ragazzo, ma che si fa desiderare e finalmente, dopo un po', quando il desiderio è troppo forte, te la molla o se lo fa mettere... può guadagnare il doppio, il triplo... cinque volte di più. E l'intermediario ci ritaglia la sua parte."
"E perché non lo fai tu, allora?"
"Perché io sono un nomade, nell'anima. Sono un uccello migratore. Sono un animale della prateria."
"E da dove comincio, io?"
"Dal tuo banjo. E hai detto che sai scrivere, no?"
"Sì, e allora?"
"Quanti credi che sanno scrivere, ammesso che sappiano almeno firmare? Pochissimi."
"E allora?" gli chiesi di nuovo.
"Vorranno mandare notizie a casa. Tu gli scrivi le lettere e ti fai pagare. Un tanto a foglio... e scrivi largo. Hai il necessario per scrivere?"
"No..."
"Procuratelo. Al paese c'è un bazar, dovresti trovarci il necessario. Hai abbastanza soldi?"
"Sì, un po'."
"Investili. Ma quando puoi, fatti pagare in beni, più che in monete."
"Cioè?"
"Mettiamo che un contadino ti deve pagare un dollaro per il tuo lavoro. Lui vende le uova, mettiamo, a dieci cents l'una. Tu te ne fai dare dieci, al posto del dollaro, le fai bollire, poi giri per le tende e le vendi per un quarto l'una e ci guadagni due dollari e mezzo, invece del dollaro che ti avrebbe dato il contadino. Ma se dai cercatori, invece dei due dollari e mezzo ti fai pagare, mettiamo, con una coperta di lana nuova, la puoi rivendere al contadino per cinque dollari. E così, invece del dollaro iniziale, ne hai cinque."
"Ho capito... astuto. Ma perché il cercatore non va dal contadino?"
"È proprio qui, il trucco: perché non ha voglia, perderebbe troppo tempo, le dovrebbe far bollire... E il contadino perderebbe troppo tempo ad andare in città a comprare una coperta, ma tu gliela porti a casa... Lo fai tu al posto loro e ci guadagni. Ehi, bada, uova e coperte sono solo un esempio. Piatti, coltelli, fiaschette, tela... Tè, caffè, zucchero, liquori... Devi vedere cosa ha ognuno da darti al posto dei soldi e pensare a chi puoi offrirlo in seguito. E anche quando tu suoni, magari uno ti dà un paio di cents, ma invece ti darebbe volentieri un uovo, una bella mela... che valgono di più."
"Sì, credo di aver capito."
"E svaluta quanto vuoi avere, e valuta quanto vuoi cedere. L'uovo che ti danno sarà sempre troppo piccolo, la mela che cedi sarà sempre molto gustosa... E le transazioni, fatte con un bel sorriso e l'aria di essere un ingenuo... ognuno deve pensare di guadagnarci con te, e invece sei tu che alla fine ci guadagni. Contenti loro, contento tu. Che vuoi di più dalla vita?" mi disse con un sorriso Caleb.
"Ma i prezzi, come si fissano?"
"In base a quanta offerta e quanta richiesta c'è. Se troppi vendono uova, nessuno le compra. Ma se pochi vendono uova, uno solo vale molto! Se a pochi piacciono le uova, fai fatica a venderle. Se molti adorano le uova, le smerci facilmente."
Insomma, Caleb mi dette tutto un bagaglio di consigli che in seguito si rivelarono assai utili. Lui si fermava a casa di una vedova di cinquantotto anni, perciò già vecchia per quei tempi e in quella zona, di nome Arabella Sloane. Mi portò con sé, proponendomi di condividere ancora per qualche giorno il letto con lui.
Quando arrivammo alla casa di Arabella, una bella costruzione in legno a due piani, in Ohio Street 5, Caleb lasciò il carro nel piccolo cortile posteriore. La vedova uscì fuori e lo accolse festosamente: indubbiamente Caleb era uno che si faceva ben volere. Lui subito le porse un pacchetto.
"Un regalino per te, Arabella!"
"Oh, Caleb, che caro sei, tu mi vizi sempre. La tua solita camera è pronta, sapevo che saresti arrivato da un giorno all'altro."
"Ho visto che qui in città c'è molto fermento."
"Sì, la corsa all'oro! Una massa di disperati s'è riversata qui sperando di fare fortuna. Pensa che il governatore militare, il colonnello Mason, dice che da duemila che eravamo, in pochi mesi ci sono diecimila nuovi arrivati! Un vero bordello, te l'assicuro! Una città senza pace, è diventata. A sera è diventato pericoloso uscire, specialmente verso la campagna, e specialmente per una donna. Ma chi è questo bel fringuello, la tua ultima conquista?" chiese poi, allegramente.
Io, sinceramente, arrossii un po', mentre Caleb faceva le presentazioni. "Si chiama Fred Bunyan, ha quattordici anni, e vuole fare fortuna qui a San Francisco. È un bravo ragazzo. Logicamente dorme su con me, e durante la giornata cercherà di cominciare a mettere le basi per fare fortuna."
"Sì, bene. Certo che... ogni volta te ne scegli uno più giovane! Non dovrebbe essere al contrario? Gli anni aumentano anche per te, no? Ah, a proposito, sai quel soldatino che t'eri portato qui l'anno scorso? Quel ragazzone di venti anni... Come si chiamava..."
"Albert?"
"Sì, lui. L'ho visto circa tre mesi fa. Non fa più il soldato, ora fa il cameriere a casa del banchiere Hall... cioè si occupa del letto del figlio Roland..." disse ridacchiando.
"Ma va? Non sapevo che anche l'elegante mister Roland Hall fosse uno dei nostri."
"Neanche io lo sapevo... E credo neanche la moglie. Ma sai, ora che va di moda che nella borghesia moglie e marito abbiano camere separate. Quando mister Roland non deve compiere il suo dovere con la moglie... lo compie con Albert per tenersi in allenamento. Com'è che si dice? Gli utensili bisogna tenerli ben lubrificati, se si vuole che funzionino bene!" ridacchiò la donna mentre salivamo la scala interna.
Io ero stupito che parlassero così apertamente di quelle cose!
"E a te, Arabella, come vanno gli affari?"
"Bene. Ho due ingegneri minerari che si sono stabiliti qui da me da un paio di mesi. Pagano bene. Sai, ho aumentato le tariffe, dato che le richieste sono aumentate. Ma a te faccio il solito prezzo. Poi ho un predicatore luterano, e un medico che vuole aprire qui il suo ambulatorio."
"Il pieno, insomma." disse Caleb entrando nella stanza e sospingendomici dentro.
Era una stanza non molto vasta, dominata da un grande letto matrimoniale, un armadio, un piccolo tavolo, due sedie, e il mobiletto con brocca, catino e asciugamano. Neanche i miei genitori avevano un letto così grande e così bello. Ci andai vicino e lo saggiai con la mano: era soffice!
"Vedo che il ragazzino ha un po' fretta... Vi lascio soli. Divertitevi" disse Arabella, con un sorrisetto.
Caleb rise, io arrossii, la vedova uscì chiudendosi la porta dietro.
"Ma lei sa tutto di te?" chiesi, ancora un po' stupito.
"E come no! Dalla prima volta che sono venuto qui da lei. O per meglio dire che mi ci aveva portato un giovanotto che mi aveva agganciato. Allora facevo ancora i viaggi con mio padre e si dormiva nel carro. Qui comandavano ancora i messicani, ma c'erano già parecchi coloni americani. Lei aveva sposato un vecchio messicano, che aveva questa casa, ma che le è morto un paio di anni dopo. E allora Arabella ha cominciato ad affittare le stanze."
"A ore?" gli chiesi.
"No. Il giovanotto che mi aveva portato qui viveva proprio in questa stanza. Era il figlio di un russo e di un'indiana, e faceva il contabile a Fort Ross a Sonoma, a circa cinquanta miglia a nord da qui. Quando i russi se ne sono andati, sei anni fa, lui è rimasto, sempre come contabile, ma è venuto a lavorare qui al porto."
"Come fanno l'amore i russi?" chiesi incuriosito.
Rise: "Come gli indiani, i californios, i negri, gli americani e tutti gli altri. C'è chi lo fa bene e chi non lo sa fare, chi in fretta e chi prendendosi il suo tempo. Ma tutti allo stesso modo, più o meno, credimi."
"E a te piace come lo faccio io?"
"Certo, o non ti facevo fermare ancora con me, qui. Si sente che ti piace, sei un naturale. Se dai la tua roba ad Arabella, te la lava e te la rammenda."
"Sì, ma cosa mi metto, frattanto?"
"Niente! Ci facciamo scaldare l'acqua per la vasca da bagno, poi torniamo qui e facciamo l'amore, no?"
Così passò quella prima giornata a San Francisco. Dal giorno seguente, cominciai a girare per impratichirmi della città e degli accampamenti dei cercatori nei dintorni. Guadagnai un po' di monete suonando. Presi mentalmente nota di tutte le cose che mi parevano potermi offrire qualche opportunità. Come aveva detto Arabella, in città e nei dintorni regnava un'enorme confusione. E ancora non sapevo che cosa sarebbe diventata anche solo l'anno dopo, man mano che la notizia che s'era trovato l'oro avrebbe raggiunto la costa Est e sarebbero partite le carovane di cercatori.
Quando Caleb ripartì per l'est, io già iniziavo a orientarmi e ad avere i miei guadagni. Arabella, dopo che il mio amico, che ormai lo consideravo tale, se n'era andato, mi disse che doveva affittare la stanza, ma che se volevo, mi poteva mettere un pagliericcio in dispensa e mi poteva far dormire lì, gratis. La ringraziai molto e accettai.
La corsa all'oro era esplosa, e tutti cercavano di arrivare, possibilmente prima degli altri. Ma il viaggio per mare, dovendo circumnavigare l'Argentina, era di 15.000 miglia e durava fino a cinque mesi. Comunque nell'anno dopo il mio arrivo fecero quel lungo giro più di 500 navi! Se tagliavano a piedi per l'istmo di Panama l'intero viaggio prendeva solo tre mesi, ma molti morivano di colera o di malaria nelle foreste panamensi. Non era ancora stato tagliato il canale. Via terra, dal Missouri, dall'Arkansas o dallo Iowa ci volevano circa quattro mesi per percorrere le 2200 miglia, un carro macinava circa due miglia per ora, quasi come andare a piedi, con i grossi rischi del deserto e della disidratazione, della neve, di morire di sete o di fame. La ferrovia era lontana da venire, ci mise circa tredici, quattordici anni a essere completata.
Solo i più determinati , gli incoscienti e gli avventurieri, si accingevano a un tale viaggio, e questa era la ragione per cui erano quasi solo uomini, pochissime donne e pochissimi bambini. Nonostante tutto ciò, più di 30.000 persone migrarono nel 1849, 45.000 nel 1850, e 50.000 nel 1851! Tra il '49 e il '50, più di 60.000 sbarcarono al porto di San Francisco. Il censimento del 1850, ho letto, registrava che il 92 per cento della popolazione della California era composto da maschi, e il 73 per cento aveva un'età fra i venti ed i quaranta anni.
E i prezzi lievitarono alle stelle: un cercatore poteva arrivare a guadagnare otto dollari al giorno e se era molto esperto e se fortunato poteva guadagnarne anche venticinque, mentre un minatore negli stati dell'est ne guadagnava solo uno. Ma una pagnotta, che nell'est costava 4 cents, qui ne costava 75. Un uovo era venduto fra uno e tre dollari, una mela fra uno e cinque dollari, il caffè a cinque dollari la libbra, cioè 400 grammi circa, un coltello che nell'est si pagava mezzo dollaro, qui costava anche 30 dollari, e per un paio di stivali si dovevano pagare fino a 100 dollari!
La legge era del tutto assente, le malattie prosperavano, molti non riuscivano ad arricchirsi e diventavano degli sbandati delusi. Un minatore su nove moriva, per malattia, incidenti di lavoro, malnutrizione e anche suicidio... E gradualmente anche per trovare l'oro, esaurito quello più facilmente raggiungibile, fu necessario avere impianti industriali per deviare corsi d'acqua o sbancare intere colline.
Poiché la California, quando chiese di diventare uno Stato dell'Unione, dichiarò di voler essere un "free state", cioè senza schiavitù, iniziarono ad arrivare anche schiavi fuggiti dagli stati del sud-est. E logicamente arrivarono anche messicani. Si formarono tendopoli e baraccopoli con nomi che erano tutto un programma, come Gouge Eye, Hangtown, Rough and Ready, e Whiskeytown. Posti da evitare... ma dove io feci affari d'oro. Posti in cui nessuno aveva una madre, un padre, uno zio, un parente che li sorvegliasse, né predicatori, insegnanti, poliziotti o vicini a controllarti. A nessuno gliene fregava cosa facevano gli altri, da dove venissero, come si chiamavano, che storia avevano alle spalle. Perciò c'era piena libertà e anonimato e se uno si sente anonimo, può agire e vivere come meglio gli pare.
E come m'aveva detto Caleb, divenni un "organizzatore". Cominciai a chiedere alle donne che incontravo quanto volevano per cuocere un pasto: credendo di chiedere molto, dissero che due dollari andavano bene. M'ero comprato un carretto e portavo i pasti nelle tendopoli e li rivendevo per cinque o dieci dollari. Per lavare i panni, mi chiedevano trenta cents al pezzo, e io raccoglievo in sacchi col loro nome i panni sporchi dei cercatori, li portavo a lavare e rammendare, poi li riportavo facendomi pagare un dollaro o uno e mezzo al pezzo.
Il colpo più bello, lo feci quando seppi che un giovane minatore voleva sposarsi. Avrebbe voluto una bella cerimonia, ma non era uno dei più ricchi... Gli dissi di affidarsi a me. Gli trovai la chiesa, il pastore, gli abiti in affitto, e persino un rinfresco e dissi che avrei suonato musica per la festa... e vendetti i biglietti per assistere e partecipare al matrimonio, per vedere una donna da vicino, a cinque dollari solo per guardare e dieci anche per mangiare. Vendetti più di ottocento biglietti... incassai più di cinquemila dollari, perciò ne regalai cento alla coppia di sposini e gli pagai una camera al Shades Hotel per una notte, a soli venti dollari. Pagate tutte le spese, mi restavano ben tremila e cinquecento dollari!
Per organizzare bene la festa del matrimonio, radunai una ventina di ragazzetti di strada, senza famiglia, tutti fra i quindici e i diciotto anni di età, tutti senza lavoro, perché controllassero che ogni cosa filasse liscia, e soprattutto che nessuno senza biglietto entrasse, eccetera.
Qualcuno dei minatori venne a chiedermi quanto gli sarebbe costato scoparsi uno di quei ragazzi. Sinceramente non ci avevo pensato. Io a volte ero andato, per un buon prezzo, nella tenda di qualcuno dei minatori più giovani, ma non avevo mai pensato a organizzare anche quel servizio. Risposi a tutti che nessuno di quei ragazzi era in vendita... ma poi, finita la festa, radunai tutti quei ragazzi, detti loro i dieci dollari a testa che avevo promesso e chiesi a chi di loro sarebbe andata di farsi fottere nel culetto dai minatori. Qualcuno rifiutò, qualcuno disse che dipendeva da chi, e altri che per loro andava bene.
E così, misi su il primo bordello maschile di San Francisco che chiamai "Food and Show". Per soli mille dollari, pochi giorni dopo il secondo grande incendio e prima del terzo grande incendio, comprai una stalla per cavalli assai vasta; per altri cinquecento dollari comprai belle assi piallate e con i quattordici ragazzi che avevano accettato, trasformammo tutti i box dei cavalli in camerette con tanto di porta contenenti ognuna un pagliericcio su una pedana.
Poi costruimmo quattro rozzi tavoli con panche. Nel fondo istallai una cucina, comprando due belle stufe di ghisa a settanta dollari l'una, pentolame, eccetera. Poi piatti di stagno e posate. Comprai cibo e liquori, ingaggiai una californios per cucinare. Poi costruimmo anche un piccolo palcoscenico con assi e teloni da carri di seconda mano che costavano una miseria... e inaugurai il tutto dopo averlo reclamizzato per gli accampamenti.
Non devi pensare che i minatori venivano, mangiavano, scopavano e se ne andavano. Organizzai i ragazzi per fare canti, musica, scenette, balli. Da noi si mangiava e si assisteva allo spettacolo. Su una parete c'era la lista con i nomi dei ragazzi e vicino a ogni nome una fila di chiodi. Se uno voleva un ragazzo che vedeva nello spettacolo o che serviva ai tavoli, andava da uno dei ragazzi che a turno scriveva il nome del tizio su una targhetta di legno e dietro quanto era disposto a pagare per scopare con quel ragazzo e lo appendeva a un chiodo corrispondente al nome del ragazzo.
Una volta che una fila era piena, si vedeva chi aveva offerto di più e se il ragazzo era d'accordo, quello mi pagava e il ragazzo se lo portava nella sua stanzetta per scopare. Se non era d'accordo, si vedeva il secondo nome che aveva offerto di più e così via. Avevamo sempre il pieno, nonostante non tutti riuscissero ad accaparrarsi un ragazzo. Ma la volta dopo tornavano sperando di aver più fortuna, con più voglia e disposti a pagare di più.
Quando a notte fonda l'ultimo cliente se n'era andato, si chiudeva e io davo a ogni ragazzo un quarto di quanto avevo riscosso. Il resto serviva per pagare le mie spese e per il mio guadagno. Anche io, logicamente, facevo la mia parte come gli altri ragazzi. Ma non la californios. Poi andavamo tutti a riposare, ciascuno nella nostra cameretta. I ragazzi andavano e venivano, qualcuno restava per qualche mese ma quando aveva messo via un po' di soldi, di solito cercava di mettersi in proprio in qualche modo, trovandosi un lavoro regolare.
Fu in quel periodo, otto mesi dopo il settimo grande incendio, che incontrai il mio Samuel Haynes, un bel ragazzetto negro scappato via da una piantagione del sud-est e sconfinato in Messico. Aveva due anni meno di me. Aveva traversato il Messico da est a ovest, vivacchiando miseramente e vendendosi, finché era arrivato in California ed era salito fino a San Francisco.
Lo vidi un giorno che s'aggirava per il mercato, gli occhi spalancati come un uccellino impaurito, tanto magro che gli potevo contare le costole sul petto nudo, sporco come se fosse uscito da un nido di topi! Eppure si fermò ad ascoltarmi suonare, a bocca aperta.
Già, non ti ho detto che, nonostante il mio "Food and Show", mi piaceva di tanto in tanto mettermi a suonare per la via, specialmente al mercato. Poiché suonavo bene, canzoni tristi e nostalgiche che parlavano della casa lontana, dell'amore abbandonato e di cose del genere, riuscivo a mettere assieme un buon numero di monete.
Dunque, dicevo, mi guardava incantato. Nonostante il suo aspetto, la sua magrezza e la sporcizia, pensai che era un angelo. Negro, ma un angelo. Un angelo negro, insomma. Lo guardai e gli sorrisi. Rispose con un sorriso timido.
"Ti piace la mia musica?" gli chiesi.
"Sì, e mi piaci anche tu... Però non ho neanche una moneta da darti." sussurrò.
"Quant'è che non mangi?"
"Da ieri... una mela."
Raccolsi il berretto, mi misi le monete in tasca, il berretto in testa, il banjo a tracolla e gli dissi: "Vieni con me."
"Mi dai una moneta, se mi lascio fottere da te?" mi chiese.
"Vieni con me. Per prima cosa devi lavarti e mangiare e metterti un po' in sesto."
"Non posso pagare da mangiare... Ma se ti va di fottermi..."
"No, non mi va di fotterti. Vieni, t'ho detto."
Esitò.
"Non ti fidi di me?" gli chiesi.
"Anche se sei un bianco... sì. Hai occhi buoni, tu. Sì, di te mi fido."
Risi: "E fai bene."
Lo portai al "Food and Show". I ragazzi stavano facendo le pulizie. Chiesi loro di mettere acqua sulle stufe per un bagno, presi qualche resto del cibo del giorno precedente, lo feci sedere a tavola e gli riempii il piatto.
"Mangia. Non ti costa niente."
"Davvero? Tutto questo? Posso mangiare tutto?" mi chiese sgranando gli occhi. "Tutto per me?"
"Sì, certo. Però mangia molto lentamente."
"Uno nuovo? Un negro?" mi chiese uno dei ragazzi.
"Cos'è, non ti va? Se non ti va hai solo da andartene." gli risposi secco.
"No... no... chiedevo... Magari a qualcuno dei minatori gli piace pure un po' di carne nera."
"Per ora non è dei nostri. Vedi piuttosto se riesci a mettergli insieme qualcosa per vestirsi in modo decente."
Quando ebbe finito di mangiare, l'acqua era bella calda. Lo portai dove avevamo la bacinella per lavarci, lo feci spogliare nudo, mi misi in mutande, ce lo feci salire dentro in piedi e con l'acqua calda, un pezzo di sapone e un panno ruvido, iniziai a lavarlo. Mi lasciava fare, mite come un capretto. Dovetti passargli il panno insaponato sul corpo tre volte, prima che la schiuma del sapone restasse bianca. Lo sciacquai ben bene, soprattutto i capelli crespi, poi gli detti un panno morbido per asciugarsi. E finalmente gli detti i vestiti che s'erano trovati, compreso un paio di morbidi mocassini: chi non ha mai portato scarpe, non sopporta quelle rigide.
Poi lo riportai a sedere al tavolo e gli chiesi: "Come ti senti?"
"Un altro..." rispose timidamente.
"Adesso devo occuparmi di altre cose. Aspettami qui, poi mi racconti la tua storia."
"Va bene."
Quando tornai, aveva la testa appoggiata alle braccia sul piano del tavolo e, nonostante il chiasso che facevamo, s'era addormentato. Mi fece tenerezza. Lo svegliai gentilmente, lo portai nel mio box e gli dissi di stendersi e riposare.
"Non mi fotti?" mi chiese un po' stupito.
"Ne riparleremo, eh? Come ti chiami?"
"Samuel."
"Samuel e poi?"
"Il mio padrone era masta Haynes."
"Bene, Samuel Haynes. Io sono Fred Bunyan. Riposati, ora, dormi finché vuoi." gli dissi e lo lasciai nella mia stanzetta.
Subito gli altri mi si fecero attorno a chiedermi chi fosse, come e dove l'avessi trovato, quanti anni avesse, se si univa a noi...
"Si chiama Samuel Haynes, non so niente di più. Prima devo parlare con lui, dopo che s'è fatto una bella dormita."
"Non ho mai visto nessuno così magro." disse uno dei ragazzi.
"Ha un bel cazzo!" disse un altro.
"Doveva avere una bella fame arretrata."
"Anche il culetto, un po' meno magro, non sarebbe male."
"Io me lo farei, anche magro così... Non l'ho mai fatto con un negro."
"Tu chi non ti faresti?"
"Una femmina, no di sicuro!"
Li lasciai scambiarsi le loro battute per un po', poi chiesi silenzio e decisi con loro i turni per la sera: chi avrebbe fatto lo spettacolo e cosa, chi avrebbe servito a tavola e così via.
Arrivò Hernanda, la californios, e si mise a cucinare. Le chiesi se aveva abbastanza provviste. Mi disse di sì, poi mi chiese se ero disposto ad assumere una sua cugina.
"E che le faccio fare?" le chiesi.
"Può lavare i vostri panni e rammendarli e sa anche tagliare e cucire bene... e può aiutarmi in cucina, che davvero c'è tanto lavoro e... Se la paghi come me, va bene e..." mi disse guardandomi supplicante.
"Quanti anni ha?"
"Ventiquattro. Ma è sordomuta e ieri le hanno seppellito i genitori e così ora..."
"Ma sì, va bene. Dille di venire, domani." le dissi.
"Dio ti benedica, Fred Bunyan. Maria ti sarà grata. Tu sei un uomo buono."
"Non sono un uomo, ho solo diciotto anni! Beh... quasi diciannove." le dissi.
Improvvisamente entrarono nel locale quattro Vigilanti, cioè membri della milizia creata un anno prima, il Vigilance Commitee, per cercare di mettere un po' di ordine in città, perché stavano fiorendo fumerie di oppio, case da gioco illegale, e gang di criminali vessavano abitanti e minatori.
Il capo mi chiese se avevo la licenza per avere un locale pubblico, se vendevo liquori, se si giocava d'azzardo.
Gli risposi che quello non era un locale pubblico, ma un club privato per minatori, che non vendevo liquori e che non permettevo nessun tipo di gioco, men che meno d'azzardo.
Fecero una perquisizione e non trovarono né liquori, né dadi, né carte da gioco. Mi chiesero perché c'erano quelle stanzette. Dissi loro che noi si abitava lì: erano le nostre stanze private. In ognuna, infatti, feci loro notare, sollevando il tavolato del pagliericcio, c'erano gli effetti personali di ognuno di noi.
Per fortuna non mi chiesero di verificare che fosse un club privato. Dopo un tempo che mi parve interminabile, finalmente se ne andarono, anche se mi parve che quello che li comandava fosse poco convinto. Dovevano ancora imparare le astuzie del mestiere, per fortuna. Durante tutto questo tempo, Samuel aveva continuato a dormire come un sasso!
Io avevo capito che era meglio mettersi le spalle al sicuro. Così andai immediatamente da un avvocato, pagandolo bene, perché mi mettesse giù uno "Statuto del club Food and Show", spiegandogli chiaro e tondo il mio problema. Poi andai in una tipografia a farmi stampare le "tessere dei soci". Era la prima volta che mettevo piede in una tipografia e ne restai incantato.
Poi, quando la tipografia mi consegnò le tessere, a partire da quella stessa sera, facemmo pagare a ogni minatore che arrivava due dollari per prendere la tessera annuale del neonato club, e ne registrammo su un quaderno i nomi e i dati... probabilmente in gran parte falsi, ma chi se ne fregava. Quando l'avvocato mi dette lo statuto, vergato in bella grafia, lo feci incorniciare e lo appesi alla parete.
Frattanto mi ero fatto raccontare da Samuel la sua storia. Più lo conoscevo, più mi piaceva. Finché non si mise in carne, lo feci restare in cucina ad aiutare Hernanda e Maria. Ma già la prima notte che passò con noi, quando gli dissi che gli avrei rimediato un pagliericcio per dormire da qualche parte, dato che tutte le stanzette erano occupate, mi chiese, con quei suoi grandi occhioni, se non lo lasciavo dormire con me. Gli dissi di sì.
"Io, se tu ne hai voglia... mi puoi fottere..." mi disse quando, chiuso il locale a notte fonda, lo portai nella mia stanzetta.
"Sei troppo magro, con quelle ossa sporgenti, mi farei male!" gli dissi scherzando.
"Ma... se ti piace... te lo posso succhiare. Ci so fare, sai? Il fratello del padrone se lo faceva sempre succhiare da me, prima di mettermelo nel culo."
"Ma a te piace farlo?"
"Mica potevo dire di no... E poi... anche in Messico, per mangiare... mi lasciavo fottere e accontentavo gli uomini."
"L'hai mai fatto con una donna?"
"No, mai."
"Solo con uomini, eh? Ma solo perché ti hanno obbligato a farlo, no?"
Eravamo stesi sul mio pagliericcio, fianco a fianco, la candela sulla panca spandeva un tenue chiarore.
"Le prime volte che lo facevo... con un altro schiavo... mi piaceva. Aveva la mia stessa età, tutti e due tredici anni, credo. Poi il fratello del padrone ci ha trovati che lo facevamo... e allora... Veniva tutte le notti nella capanna dove ci aveva fatto trasferire solo noi due e quando arrivava ci voleva nudi sul pagliericcio e dovevamo darci da fare per farlo godere e... ce l'aveva molto grosso e le prime volte... ci aveva fatto molto male. Voleva che io fottessi il mio amico oppure lui me... e allora prima se lo faceva succhiare da uno o l'altro di noi... poi ci fotteva a noi... E mentre ci fotteva ci faceva molto male... e anche ci pizzicava forte i capezzoli e... ci torceva le palle e... alla fine ci pisciava addosso e rideva."
Mi sentii male a immaginare la cosa e gli carezzai una guancia. Lui prese la mia mano e la baciò, poi disse: "Tu sei buono e gentile e puoi fare di me tutto quello che ti piace."
Notai che non aveva detto "con me", ma "di me" e mi si strinse il cuore.
"Samuel, qui nessuno mai ti farà qualcosa che non vuoi, che non ti piace. Ma, dimmi, e quel tuo amico?"
"Era scappato con me, due anni fa, però lui l'hanno preso, a me non m'avevano visto e lui non m'ha tradito e... e l'hanno impiccato subito, lì, a un albero. E io non ho potuto fare niente... niente per lui e... quando ha smesso di agitarsi... sono scappato via... e..." mormorò e scoppiò a piangere silenziosamente.
Lo abbracciai, lo strinsi a me, e non m'importava se le sue ossa erano troppo spigolose. Volevo solo che sfogasse il suo dolore e che si sentisse al sicuro e che... e che potesse, se non dimenticare, per lo meno non soffrire troppo per quegli orribili ricordi.