Fu così che iniziai a produrre la mia serie di fascicoli che ti ha portato a cercarmi.
Il primo numero, uscito nell'aprile del 1862, era intitolato "Cavalcando verso Ovest" e parlava appunto dei cowboys che guidavano una grande mandria e la scortavano dal Montana al Kansas, nelle nuove praterie verso ovest. La "novità", per così dire, non era tanto nelle storie di sesso "per necessità" fra gli uomini lontani da casa, da ogni villaggio o paese, ma dell'innamoramento fra due di essi.
Logicamente abbondavano le scene di sesso... descritte anche in modo molto esplicito, però, quando i due protagonisti si innamoravano, iniziavano anche le scene di tenerezza, che affiorava sotto la scorza apparentemente dura di quegli uomini.
Aspetta... ecco qui la mia copia del numero uno, che se non sbaglio non hai trovato, e che perciò non hai potuto leggere... Ecco, a pagina 26 c'è la prima volta dei due protagonisti, prima che si innamorino. Leggi...
"Jeff era un po' confuso, non riusciva a capire bene com'erano finiti lì. Cosa gli aveva detto Burt per portarlo fra quelle rocce. Poco prima erano con gli altri attorno al fuoco... i canti... i lazzi... la fiaschetta di wiskey di pessima qualità che si passavano l'un l'altro... Il caldo opprimente della notte...
"Beh, mica hai cambiato idea, no?" gli chiese Burt con un sorriso lascivo, interrompendo le confuse domande che il ragazzo si stava ponendo.
Era quasi come se Jeff si fosse svegliato da un sogno, si sentiva un po' intontito... sì, doveva essere l'alcool... ne aveva bevuto troppo. Con la testa che gli girava guardò quel corpo seminudo, forte, un po' peloso, e il cazzo grosso e duro che puntava verso di lui come una pistola carica, pronta a sparare, e si sentì in pericolo.
Burt sollevò un sopracciglio (lui non c'era mai riuscito a sollevarne uno solo, chissà come faceva?) e lo guardò con un'espressione che sembrava un po' interrogativa un po' seccata... Jeff si rese conto di avere i calzoni abbassati e cercò di tirarseli su. Che cazzo stavano facendo lì, lontano dagli altri, mezzi nudi? Perché c'era andato? Capiva fin troppo bene cosa Burt volesse da lui, ora ricordava le sue allusioni malandrine... Ma lui non l'aveva mai fatto, prima, e ora ne aveva paura.
Jeff rimase fermo, le mani sulla cintura dei calzoni e notò che Burt si stava innervosendo, mentre con una mano brandiva il suo grosso cazzo duro, proprio come un'arma.
"Se non ti va di farlo con me, al limite non m'importa, ma prima o poi dovrai darlo a qualcuno, il tuo culo: è il destino di voi più giovani, non lo sai? Nessuno ti forzerà, ma... se non ci stai ti troverai isolato e nessuno muoverà un dito per te quando avrai bisogno... Qui, uno per tutti e tutti per uno, come si dice, o non esisti più."
"Non l'ho mai fatto..." Jeff gemette quasi.
"C'è sempre una prima volta, ragazzo."
Jeff lo guardò di nuovo: Burt era alto, più muscoloso di lui, avrebbe potuto forzarlo e... Burt lo colse impreparato: allungò una mano e lo afferrò per un braccio, gli calò di nuovo i calzoni e gli carezzò il culo, palpandolo, senza esitare. Poi gli sorrise e lo trascinò con decisione, eppure con una certa gentilezza, giù sul tratto di terreno erboso fra due alte rocce.
Jeff si sentiva come ipnotizzato da quel sorrisetto furbo, dal corpo seminudo del compagno, muscoloso e ben definito, dai suoi capelli biondo-stoppa un po' ondulati, dagli occhi penetranti e pieni di lussuria. Aveva gambe poderose, braccia forti...
"Dai, adesso te lo faccio gustare fino in fondo, ragazzo..." gli disse tirandolo a sé con vigore, mettendoselo sotto e sdraiandosi su di lui...
Furono le ultime parole che Burt gli disse, prima che tutto fosse finito. Jeff sentì che l'uomo su di lui aveva la pelle stranamente fresca, da cui emanava un odore acuto ma gradevole: odore di sudore, odore di maschio in calore, odore di erbe...
Burt lo strinse quasi con violenza e gli mordicchiò un'orecchia, mentre le sue braccia muscolose gli tenevano le spalle un po' sollevate e la sua arma di carne dura e calda sfregava nel solco caldo e umido fra le sue chiappe: era come il coyote che s'aggira attorno al pollaio per trovare un foro da cui entrare per ghermire la sua preda. Jeff si accorse che gli stava venendo un'erezione. Il cazzo di Burt, duro, caldo, pulsante, cercava di infilarsi nella calda tana...
Jeff aveva capito che sarebbe stato inutile resistergli, che comunque prima o poi sarebbe dovuto capitare, se non con lui, con un altro... e con lui e con un altro, ne era sicuro... "È il destino di voi più giovani... uno per tutti e tutti per uno" e lui sarebbe stato uno per tutti, se si lasciava fottere, ma poi tutti sarebbero stati per lui, nel pericolo.
Burt si sputò in una mano e la passò sul suo palo duro, poi sputò di nuovo e ci bagnò il foro inviolato. Ed ecco che Jeff sentì quel grosso arnese, quell'arma carica, iniziare a spingere contro il suo buco che aveva individuato, e lo sentì iniziare a divaricarlo, a espugnarlo, a conquistarlo. Chiuse gli occhi e girò il capo e sentì il muscolo del braccio di Burt contro il volto. Lo morse, non troppo forte, mentre l'uomo scendeva impietoso dentro di lui.
Lo sentì entrare, pollice dopo pollice, e provò uno spasmo di pena, ma cercò di superarla, di accettarla: era un uomo, dopo tutto! Il suo lieve morso si trasformò in un succhiotto quasi violento... Burt mugolava qualcosa... forse non erano parole... forse erano solo sensazioni che si vestivano di suoni... ma quei mugolii lo fecero eccitare.
Il respiro di Burt era forte. Jeff lo accolse tutto, mentre il suo cazzo, ora duro, premeva contro l'erba che gli sembrava ruvida ma gradevolmente fresca. Sentiva la soda virilità di Burt, del suo corpo, della sua arma che sembrava non finire mai di scendere in lui. Provò un misto di pena e di piacere e ne fu stupito. E finalmente quel duro membro virile fu tutto in lui. Allora Burt si mise a cavalcarlo come un cowboy al rodeo... e lui gli si agitò sotto come un cavallo selvatico, imbizzarrito, cercando di disarcionarlo ma temendo di riuscirci.
Jeff improvvisamente fu afferrato da un senso di selvaggio piacere, di sensazioni allo stato puro, di crescente godimento pur accompagnato da un sordo dolore. Burt glielo muoveva fuori e dentro con vigore, e le sue chiappe fremevano e il fremito gli percorse il corpo, e si focalizzò sul cazzo prigioniero sotto di lui, fra il suo ventre e l'erba. Fuori e dentro, fuori e dentro in un ritmo sempre più veloce e forte. E improvvisamente sentì che Burt si irrigidiva e tremava violentemente e con un lungo e basso e caldo mugolio lo sentì scaricarsi in lui... e anche lui irrorò l'erba con la sua bianca e tiepida rugiada.
I loro corpi, sudati e avvinghiati, restarono incollati mentre lentamente tornavano sulla terra e si calmavano. Burt gli forzò la testa indietro e lo baciò quasi con avidità, con violenza, come a sigillare la conquista appena avvenuta. Restarono così, Burt sopra e lui sotto, senza parlare, intimamente uniti e completamente distrutti per la violenza dell'orgasmo.
Poi Jeff sentì l'arma, che s'era appena scaricata nel suo bersaglio, ritrarsi, scivolare fuori. Allora Burt gli si spostò di fianco e lo fece girare. Gli carezzò il cazzo e sentì l'umido della sua crema e capì che anche lui era venuto. Ridacchiò.
"Allora t'è piaciuto, ragazzo!" disse a voce bassa. "Hai goduto pure tu."
Jeff abbracciò quel corpo maschio e forte, virile e bello, e avrebbe voluto stare così per tutta la notte. Non sapeva, non capiva perché. Non avrebbe mai pensato che potesse essere possibile sentire con tanta dolcezza che voleva appartenergli, che voleva essere di quell'uomo che l'aveva appena violato."
Ecco, questo è il passaggio in cui Jeff perde la verginità. Poi, nei giorni seguenti, il ragazzo si lascia mettere sotto anche da altri compagni, ma poi torna da Burt e per la prima volta è lui ad offrirsi a un uomo. Si accorge di essersi innamorato di lui e finalmente lo fa innamorare di sé e così fanno coppia fissa. Ma Burt è sposato, perciò quando tornano al ranch non possono continuare a vedersi se non con molti problemi e stratagemmi.
Finché Burt decide di lasciare la moglie e di andare via con Jeff, che ama, a ovest, a centinaia di miglia di distanza e trovano lavoro assieme in un altro ranch. E la storia si conclude quando nella loro stanza, che condividono nel nuovo ranch dove si sono fatti passare per padre e figlio, Jeff, dopo aver fatto l'amore, si addormenta abbracciato al corpo maschio e dolce di Burt, baciandogli lieve il petto e sorridendo lieto pensando al futuro che lo aspetta a fianco del suo forte uomo.
Il primo numero, quando lo portammo al club e lo proponemmo ai soci, andò via più in fretta di quanto avessimo pensato. Poche copie la prima sera, di più la seconda, perché il passa-parola aveva funzionato... Ne vendemmo ottanta copie circa.
Frattanto avevamo lavorato al secondo numero, intitolato "Giù nella miniera" che è la storia di due minatori, come dice il titolo. Ecco, qui sono tutti gli altri numeri, in ordine.
Ogni nuovo numero era atteso con anticipazione dai nostri soci... Il numero dieci lo stampammo in trecento copie. E cominciammo a ricevere lettere in cui ci chiedevano di spedirlo qua e là, con dentro i soldi anche per la spedizione... e richieste per i numeri arretrati, che costavano il doppio.
Così dovemmo prendere un altro ragazzo per aiutare in tipografia, in modo che Samuel potesse occuparsi solo della composizione e i due ragazzi della stampa e della fascicolazione, poi della vendita e delle spedizioni.
Dick aveva comprato una mappa degli Stati Uniti e con degli spilli vi segnava dove spedivamo i nostri fascicoli. Aumentammo i prezzi, visto che le prenotazioni erano molte, ma le copie erano sempre più richieste.
La guerra di secessione, l'assassinio del presidente Lincoln ci emozionarono ma non influirono minimamente sulla nostra produzione. Che anzi aumentò, specialmente da quando il treno arrivò fino a San Francisco, e arrivò anche il telegrafo, sì che ormai vendevamo più copie per posta che direttamente. Aumentammo la tiratura a cinquecento copie solo nove anni dopo l'inizio e superammo le mille nel giro di venti anni. E nella nostra tipografia lavoravano ora, oltre a Samuel, altri quattro ragazzi. Ed i prezzi aumentavano... senza nessuna flessione nelle vendite.
Doveva essere circa il 1875 quando spedimmo la prima copia a New York!
Nel 1872 Dick portò a casa quello che sarebbe stato il suo amante fino alla sua morte. Si chiamava Alfie Byrd, aveva quarantasei anni, cioè tre più di Dick, e faceva l'avvocato. Era un tipo un po' massiccio, forte, aveva occhialetti cerchiati di metallo, era riservato, tranquillo... beh, non lo era quando scopava con Dick: a volte li sentivo, passando davanti alla porta della loro stanza, se dovevo andare al cesso di notte e... pareva che là dentro facessero il rodeo!
Una sola volta mi capitò di vedere Alfie completamente nudo: aveva fra le gambe un stanga che mi chiesi come Dick potesse prenderla senza problemi!
Comunque anche Alfie si mise a correggere con Dick i miei scritti e le bozze. La nostra produzione, pur aumentando il numero delle copie e i prezzi, non ci dava ancora un vero guadagno, ma ce ne fregavamo tutti. Ci piaceva farlo, e guadagnavamo di che vivere in altri modi.
Alfie sbrigava anche la corrispondenza e a volte ci faceva leggere alcune lettere...
"Gentile signor Bunyan, la ringrazio immensamente per le sue opere, che rallegrano le mie serate solitarie. Le assicuro che le trovo eccitanti e che ogni tanto, anzi direi spesso, leggendo certe scene me lo devo tirare fuori e menarmelo finché mi sbrodo tutto..."
"Ehi, Fred! Non so chi sei, ma ti devo proprio mandare un grosso grazie. Le tue storie, oltre a essere eccitanti, sono anche molto gradevoli per le belle descrizioni dei sentimenti dei personaggi, e in tanti di loro trovo descritti i miei amici e conoscenti... Hai una fantasia inesauribile."
"Salve, Bunyan. Sono belle le sue storie di amore fra uomini, fra ragazzi, fra uomini e ragazzi e mi piacerebbe trovare anche io un giorno un amante come quelli che descrive. Io purtroppo sono sposato e posso solo avere avventure veloci di notte nel parco della mia città, dove si trova il sesso a pagamento... Buon sesso, anche se non come quello che descrive lei."
"Pregiatissimo signore, mi chiamo Sean e sono un uomo di trentadue anni. Ho la fortuna di vivere col mio compagno Steve, di quattro anni più giovane di me. La sera, quando ci mettiamo a letto, uno di noi due legge ad alta voce le sue storie mentre l'altro gli dà il piacere proprio nel modo che lei così espertamente descrive... Abbiamo imparato nuovi piacevoli modi di farlo, grazie ai suoi scritti."
"Ehi, uomo! Leggo le tue storie almeno tre o quattro volte, e ogni volta mi eccito così tanto che devo uscire a cercarmi un compagno, portamelo a casa e fottere con lui come un coniglio in calore! Continua a scrivere queste belle storie eccitanti!"
Sì, le ho ancora tutte, quelle lettere... Nella mia cassaforte, con le cose più preziose, assieme ai gioielli di Arabella che non ho mai voluto vendere.
Quando a sera, data la buonanotte a tutti, Samuel e io ci si ritirava nella nostra camera, solitamente stanchi ma soddisfatti e comunque non abbastanza stanchi per non fare l'amore, ci si infilava nel letto e ci si abbracciava, ci si baciava, si parlava della giornata trascorsa, ci si carezzava, si programmava la giornata seguente, ci si baciava ancora... E si cominciava a fare l'amore.
Ormai sia Samuel che io eravamo uomini maturi, eppure quando si faceva l'amore ci sentivamo ancora i due ragazzi che avevano scoperto di amarsi, e che se lo dimostravano in quel piccolo e povero box del club... La bella camera da letto, il morbido e grande giaciglio che ci accoglieva, la viva illuminazione a gas, non aggiungevano proprio nulla alla bellezza del nostro amore.
Un giorno arrivò alla nostra casa un elegante signore che si presentò come mister Titus Channing.
"È in casa il tuo padrone?" chiese a Samuel che era andato ad aprire.
Samuel, oltre ad essere un negro, aveva indosso il grembiule con cui si proteggeva quando stampava.
"Il mio padrone, signore?" gli chiese un po' stupito.
"Sì, cerco mister Fred Bunyan..."
"Ah, capisco... Si accomodi, glielo vado a chiamare." disse Samuel divertito, ma senza darglielo a vedere.
Mi venne a chiamare e mi raccontò dell'equivoco. Allora decisi di "sconvolgere" quel tizio, chiunque fosse. Mi tolsi rapidamente la giacca e la cravatta, indossai un grembiule da cucina, e, seguito da Samuel, andai dove il tizio mi aspettava.
"Buon giorno, signore." gli dissi con aria umile, "Il padrone mi ha detto che mi cercava... Sono io Fred Bunyan..."
"Il padrone?" mi chiese l'uomo corrugando la fronte.
"Sì, mister Samuel Haynes... lavoro per lui..."
Avresti dovuto vedere la faccia di quel tizio! Da scompisciarsi dal ridere. Ma sia Samuel che io restammo serissimi.
"Ma non è lei l'autore dei fascicoli della serie del Lavender Cowboy?" mi chiese confuso. "C'è il suo nome, in quarta di copertina..."
"Sì, signore. Il padrone mi paga per scriverli, oltre che per tenergli in ordine la casa..." dissi in tono umile.
"Ah. Ma... allora... con chi devo parlare di... affari?" chiese, guardando alternativamente me e Samuel.
"Con il padrone, signore." gli risposi.
Per farla breve, il tizio era il proprietario di una libreria di Chicago e avrebbe voluto comprare un certo numero di copie dei nostri fascicoli da vendere, sotto-banco, ai sodomiti della sua città. Samuel si comportò da vero "padrone", con molta classe... gli disse che avrebbe preso in considerazione la sua richiesta, ne avrebbe discusso con il suo contabile e il suo avvocato e gli avrebbe dato una risposta il giorno seguente.
Quando il tizio se ne andò, scoppiammo a ridere e a pranzo raccontammo a Dick e Alfie la visita e la proposta del signor Titus Channing. Avrebbe voluto cinquanta copie di ogni numero... Decidemmo di accettare, pagamento anticipato di ogni numero, al prezzo di copertina: lui se voleva avrebbe messo un sovrapprezzo...
Quando tornò, alla presenza di Samuel, fu Alfie a discutere l'accordo, che il signor Titus Channing accettò e ci versò il primo anticipo per tre numeri, cioè per centocinquanta copie. Così aumentammo la tiratura di quelle cinquanta copie.
San Francisco stava nuovamente crescendo, dopo il calo subito per l'esaurimento delle miniere d'oro. I primi tram a cavo e a cavalli apparvero, su Nob Hill, e nelle vie Clay e Jones... Comunque in città regnava una certa corruzione, la legge era ancora scarsamente applicata, nonostante fosse stato aperto il secondo corpo di vigilantes.
Non è che questi non cercassero di fare il loro dovere, e qualche criminale era anche stato impiccato; ma per le cose meno gravi bastava passare qualche somma sotto banco per non avere noie.
I ragazzi del club avevano finito di ripagarmi il valore del locale. Ma ora, per non avere noie, dovevano appunto pagare qualche tangente alle persone giuste ai livelli giusti.
Noi, non vendendo al pubblico i nostri fascicoli, non avemmo noie, a parte un tentativo di perquisizione, sventato da Alfie, che conosceva la legge molto meglio dei poveri vigilantes, e che perciò, citando articoli, a mio parere anche un po' inventati o quanto meno forzati nel loro significato, li mise alla porta. Senza bisogno di dare bustarelle a nessuno.
Fu in quegli anni che rividi Caleb Cibber, con il suo amante, come ti ho già detto, per l'ultima volta, in occasione della fusione della San Francisco Railroad con la Central Pacific Railroad, formando così la nuova compagnia che si chiamò Southern Pacific.
Caleb mi raccontò della sua relazione col suo compagno e la trovai un po' strana: io non avrei mai potuto avere una simile relazione con il mio Samuel. Mi spiego: Caleb mi disse che loro due facevano sempre l'amore in tre, prendendo con loro un ragazzo, uno dei giovani ferrovieri, un servo, un soldato, un ragazzo che trovavano a fare il lustrascarpe per la via...
Lo prendevano in casa con loro per due, tre, quattro mesi, se lo godevano assieme, mettendoselo in mezzo... e fottendolo dalle due estremità... insomma, facevano l'amore per interposta persona, per così dire, perché avevano cessato di farlo fra loro due... Poi, quando erano stufi di quel ragazzo, gli trovavano un qualche lavoro, lo pagavano con una specie di buona uscita e se ne cercavano un altro... Erano soci negli affari e nelle scopate, insomma. Però restavano assieme.
È proprio vero che tante sono le persone e tanti i gusti.
La costruzione delle ferrovie, che collegarono San Francisco al resto dei territori, portò una nuova ondata di immigrazione: i cinesi. Devi sapere che erano sfruttati al massimo, quasi come lo erano stati gli schiavi negli stati del sud. Letteralmente carne da macello. Non so quanti ne sono morti, per la costruzione della ferrovia.
Fu così che un giorno Chester Hearst, il nostro factotum domestico, si portò a casa un cinese, un ragazzo di circa diciotto anni, di nome Feng Chou. Era magro quasi più di quanto lo era Samuel quando lo avevo incontrato la prima volta.
Li sorpresi in cucina, dove io non andavo quasi mai: il ragazzo era coricato sul tavolo, i calzoni attorno alle caviglie, le gambe in alto, il sedere sul bordo, e Chester gli stava dando dentro con lunghi e calmi va e vieni... Non si accorsero che ero sulla porta... evidentemente i cardini erano ben oliati, così restai per un po' a guardarli.
Non è che io sia mai stato un guardone, onestamente, però era una bella scena. Solo, mi chiesi, perché non se l'era portato in camera sua... Che idea di fottersi il ragazzo lì in cucina! Il corpo di Chester copriva un po' quello del ragazzo, perciò non mi resi conto subito che era un cinesino.
Mi ritirai in silenzio, sorridendo. Poco dopo Chester venne a cercarmi, assieme al ragazzo, e così mi resi conto che era un cinese e molto più giovane di lui. Mi chiese se gli permettevo di tenerlo in casa con sé. Mi disse che era stato cacciato perché era troppo debole per lavorare, e che l'aveva trovato che si vendeva per sopravvivere. Quando era nella ferrovia, aveva lavorato come aiuto del cuoco... perciò intendeva rimetterlo in sesto e affidargli la cucina.
"E te lo vuoi fottere?" gli chiesi, fingendo di non aver visto la scena di poco prima.
"Sì, Fred, l'ho già fatto due o tre volte... e mi piace molto farlo con lui. Così..."
"Ma piace anche a lui?" gli chiesi, perché non mi è mai andata giù che si approfittasse di uno di quei poveri ragazzi.
"Sì, anche a lui piace. Cioè, non solo farlo con me, ma farlo... Solo che non ha casa, dorme all'aperto, e non guadagna abbastanza per fare una vita decente. Tu mi hai aiutato quando ero quasi nelle sue condizioni e ora io vorrei aiutare lui."
Prima di autorizzarlo a prendere in casa il ragazzo cinese, volli parlare con lui a quattr'occhi, quindi dissi a Chester di lasciare il ragazzo solo con me e di andare ad aspettarmi in cucina.
"Ti chiami Feng Chou, giusto?" chiesi al ragazzo.
"Sì, signore."
"E dice Chester che hai diciotto anni? In realtà ne dimostri di meno."
"Credo di averne diciotto, signore." rispose nel suo inglese approssimativo.
"Non hai famiglia?"
"No, signore. Sono arrivato qui a lavorare nella ferrovia quattro anni fa, con mio padre, ma è morto due anni fa, precipitato dal ponte della ferrovia dove stava lavorando e così..."
"Ti piace Chester?"
"Sì, signore, è gentile e... e... e mi piace se..."
"Farlo con lui?"
"Farmi fare da lui, signore." ammise abbassando gli occhi.
"Ma tu, lo facevi solo per... per mangiare e non sei obbligato a farlo ancora. Tu qui da noi puoi anche mangiare... e avere un posto per dormire... e una paga, senza bisogno di andare nel letto di Chester... o di fartelo mettere sul tavolo della cucina." gli dissi, incapace di trattenermi.
Feng arrossì, perché capì che li avevo visti. "Lei non vuole, signore? A me piacerebbe... se a lei non le dispiace... a me piacerebbe poterlo fare con il signor Chester... Mi aveva detto che lei non ha problemi se due maschi... fanno certe cose fra loro."
"Ma tu, quando l'hai fatto la prima volta? E l'hai fatto perché ti hanno costretto o perché ti piace?"
"No, signore. Io... a me piace farlo e... c'era un ragazzo cinese un po' più grande di me là alla ferrovia che mi aveva detto che io gli piacevo molto e così... così io sono andato a farlo con lui e... ogni notte, nella sua tenda, al buio... e mi piaceva molto quello che mi faceva... Lo sapevano tutti cosa andavo a fare da lui, ma nessuno diceva niente, perché lui era molto forte... E anche mio padre non era contento... ma io ero molto contento e... e così sono diventato il suo ragazzo."
"E perché non sei rimasto con lui?"
"Anche lui è... anche lui è morto... poco dopo mio padre... Un carico di traversine gli è caduto addosso e... e così..." mi disse a bassa voce e mi accorsi che era sull'orlo delle lacrime.
"E come mai hai abbandonato il lavoro alla ferrovia, Feng?" gli chiesi, intenerito.
"Non avevo più nessuno e... e si doveva lavorare sedici ore al giorno e... e gli altri uomini cominciavano a venire a fottermi tutti, ora che nessuno mi difendeva più e... Anche se lì non mi mancava da mangiare io... io non volevo che tutti venivano da me la notte a mettermi sotto e a farmi quelle cose... e..."
"Ma così, hai dovuto comunque venderti per la strada..." gli dissi, cercando di capire.
"Ma non dovevo accontentare otto, dieci, dodici uomini ogni notte, uno dopo l'altro, signore, che facevano la coda per fottermi e via uno, arrivava l'altro che quasi non avevo neanche il tempo di dormire, ma la mattina dopo dovevo lo stesso essere pronto per il lavoro e..."
"Ma Chester davvero ti piace?"
"Mister Chester è buono e è anche forte e è anche gentile e... e non vuole solo... non pensa solo a godere lui e..." mi disse un po' vergognoso, poi aggiunse in tono deciso: "E io sarei molto felice di essere il suo ragazzo."
Chiamai Chester e glielo affidai, gli ordinai di fargli fare un bel bagno, di procurargli abiti decenti, di tagliargli quello stupido codino e di tenerlo con sé.
Erano tutti e due molto contenti e mi ringraziarono... Una volta ripulito e vestito decentemente, e potendo mangiare bene, si trasformò, e mentre la prima volta, sinceramente, m'era sembrato bruttino, ora pareva decisamente caruccio. Feng fu ribattezzato Felix, a causa della crescente felicità che dimostrava per la sua nuova vita. E oltre ad essere evidentemente molto attaccato a Chester, si dimostrò anche un bravo cuoco.
Alfie, però, ci informò che aveva sentito dire che stava per essere approvato il cosiddetto "Chinese Exclusion Act" che a suo dire si sarebbe dovuto occupare solamente a limitare l'arrivo di nuovi immigrati dalla Cina, ma che poteva mettere in pericolo la permanenza di Felix negli Stati Uniti.
Perciò Chester andò in tribunale e presentò la domanda per adottare Felix, in modo di fargli avere la cittadinanza americana. Distribuendo opportune bustarelle e con l'assistenza di Alfie, Felix Feng Chou-Hearst divenne così cittadino americano, giusto quattro mesi prima che fosse approvato, a Washington, il "Chinese Exclusion Act".
Il razzismo contro i cinesi era molto forte, persino peggiore che nei confronti dei negri. I lavoratori e i minatori "nativi" cioè americani, benché spesso di origine russa o irlandese, li odiavano, perché i cinesi lavoravano molto e per salari assai bassi. Se non sbaglio, solo quest'anno è stata abolita questa legge, non certo per uno spirito umanitario, ma solo perché siamo in guerra con il Giappone e la Cina è nostra alleata.
E adesso ho sentito dire che hanno messo i cittadini americani di discendenza giapponese nei campi di concentramento... Sinceramente, per quanto cerchino di spiegarmele, io queste cose proprio non le capisco. Mi dicono che è una forma di "prudenza preventiva"... il che significa che dovremmo mettere in galera la gente perché forse un domani potrebbe rubare.
Tu guarda i ragazzi di strada: fra loro c'è gente onestissima e altra disonesta, proprio come i nostri rappresentanti al parlamento... né più né meno. C'è gente dal cuore grande come l'oceano e altra col cuore simile a un fiume in secca, sia fra i ragazzi di strada che fra i nostri pastori e preti delle varie chiese.
E lo stesso discorso vale per noi sodomiti: non siamo affatto diversi dai nostri fratelli cosiddetti "normali", né in bene né in male. Nessuno dovrebbe essere giudicato per la sua razza, per la sua religione, per le sue abitudini sessuali, ma solo per il bene o il male che fa.
Va be', torniamo a noi: tu non sei venuto fin qui per sentire le mie considerazioni da vecchio che ancora non ha intenzione di andare a riposarsi in una tomba.
Proprio il fatto di aver accolto Felix fra noi, mi fece pensare a quanti ragazzi di strada mangiavano poco e male, non avevano occasione di potersi lavare e perciò, poiché erano sporchi e puzzavano, trovavano sempre meno clienti e sempre più poveri, che li pagavano poco. Un'inevitabile discesa... Allora magari rubavano, rapinavano un cliente e finivano o ammazzati o in galera.
Così, fu in quel periodo che iniziammo, tutti noi che si viveva lì assieme, a portarci a casa ora uno ora l'altro dei ragazzi più poveri e malridotti che trovavamo in strada, o al porto, che facevamo lavare su nella stanza da bagno al primo piano, che rivestivamo, a cui davamo da mangiare, e per i quali a volte chiamavamo un dottore nostro amico perché li rimettesse in sesto. Tutto questo, logicamente, non in cambio delle loro prestazioni sessuali, anche perché comunque eravamo tutti più o meno accoppiati, e voleva essere solamente un modo per aiutarli, non per approfittarne.
Così capitò, in seguito, che fosse uno dei ragazzi che avevamo aiutato a venire a bussare alla nostra porta, accompagnato da un altro di quei poveri ragazzi, perché potesse lavarsi, rivestirsi, mangiare e se necessario essere curato. Dovemmo andare dai rigattieri della città per comprare abiti di seconda mano, perché non ne avevamo più da dare a quei poveri ragazzi.
Qualcuno di quelli a cui piaceva fare sesso con gli uomini, lo indirizzavamo al club, quando uno dei ragazzi andava via. I tre ragazzi che gestivano il club, ormai adulti anche loro, a volte riuscivano a trovare un lavoro per quei ragazzi, a sistemarli. E Alfie e Dick iniziarono a pagare ad alcuni di loro, che parevano più intelligenti e volenterosi, le rette per farli studiare. Credo che per loro fosse un po' come diventare padri, avere dei surrogati dei figli che non potevano avere. Ma non sono sicuro, perché non ne abbiamo mai parlato esplicitamente.
Per me e Samuel, come per Chester e Felix, era semplicemente il fatto che non dimenticavamo che anche noi eravamo stati ragazzi di strada e che, se ne eravamo usciti, era solamente perché avevamo incontrato qualcuno che ci aveva dato una mano.
Fu poco dopo l'arrivo di Felix che per la prima volta i fascicoli che stampavamo iniziarono a darci un piccolo margine di guadagno. Io continuavo a inventare nuove storie, e pareva che la mia vena non si stesse esaurendo. Scrissi storie anche riguardo ai marinai, alla vita in prigione, agli immigranti, ai collegi dell'alta borghesia (ispirato dalle esperienze di Alfie)... oltre logicamente ai cowboy, agli indiani, ai minatori, ai contadini, agli immigrati, ai ragazzi di strada, ai soldati... Tutte storie contemporanee, comunque, perché non conoscevo a sufficienza la storia.
Nei primi venti anni di attività, avevo scritto circa duecento storie, più o meno una al mese come avevo preventivato. Negli anni seguenti ristampammo i primi numeri, uno ogni tanto: uno nel mese di giugno e uno nel mese di novembre, cioè il numero estivo e quello di Natale. Come t'ho detto, Samuel dovette comporli di nuovo, a causa dei pochi caratteri tipografici che avevamo. Ma le richieste erano molte, perciò ci decidemmo a ristamparli.
Una cosa che mi sono dimenticato di dirti, ma che ha un rapporto, sia pure marginale con la serie dei "Lavender Cowboy", è che, in tutti questi anni e per parecchi a venire, non avevo mai smesso di suonare il mio banjo in pubblico. Almeno tre o quattro volte alla settimana, con il bello o il brutto tempo, indossavo abiti modesti, prendevo il mio banjo e andavo a suonare per le vie di San Francisco, il berretto a terra davanti a me, dove i passanti gettavano le loro monete.
Questo mi permetteva di studiare la gente, di osservarla, di valutarla, e mi dava l'ispirazione per descrivere i personaggi delle mie storie. Mi permetteva di restare in contatto con la strada, e anche con i miei ragazzi di strada.
Una volta mi si fermò davanti un ragazzetto che avrà avuto al massimo sedici anni, vestito poveramente, ma pulito e non troppo mal ridotto. Rimase lì a guardarmi e ascoltarmi a lungo. Ogni tanto i nostri sguardi si incontravano e io gli facevo un sorriso e lui rispondeva con un sorriso.
Poi mi venne vicino, lasciò cadere tre monete da un cent nel cappello e mi disse: "Non ho altro, mi dispiace."
A me dispiaceva che si privasse dei suo tre cents, dato che evidentemente ne aveva più bisogno lui di me, ma al tempo stesso fui commosso dal suo gesto. E capii che se li avessi rifiutati, gli avrei dato un dispiacere.
Allora gli dissi: "Valgono di più i tuoi tre cents che il mezzo dollaro che poco fa mi ha dato quel signore!"
"Come ti chiami?" mi chiese.
"Mi chiamo Fred Bunyan. E tu?"
"Isaac Leigh. Hai famiglia, tu?"
"Sì. E tu?"
"Sì. Sono il maggiore di sette fratelli, tutti maschi. Papà guida il tram a cavalli."
"E tu, cosa fai?"
"Io... di giorno lavoro nel negozio di granaglie di mister Kneller, e la sera vado da un maestro a imparare a suonare il violino."
"Ah, sì? Vuoi diventare un musicista?"
"Voglio suonare l'opera lirica."
"Ma non abbiamo un teatro dell'opera, qui a San Francisco!"
"Prima o poi dovranno costruirlo, no? E allora io voglio essere pronto e bravo, per diventare il primo violino."
Il ragazzino aveva ragione. Nel 1881, un italiano, Gaetano Merola fondò la San Francisco Opera e Isaac Leigh divenne il primo violino dell'orchestra: vidi il suo nome sulle locandine.
Lui è il personaggio principale del mio racconto "Amavo la musica e il musicista", se mi ricordo bene... aspetta... sì, il numero 161... Logicamente non so, non ho la più pallida idea se Isaac Leigh fosse o no un sodomita, ma non importa: quel ragazzetto m'aveva ispirato. Nel racconto l'ho chiamato Leo Isaacs... e ne ho fatto il figlio di un commerciante di tessuti e... insomma ho un po' confuso le acque, logicamente.