Era il 1884... sì, esatto, quando ricevetti un'altra, provvidenziale, eredità. Quella che in seguito, e anche ora, mi permise di continuare a vivere senza troppi problemi e soprattutto di poter ancora dare una mano ai miei ragazzi. Quando ricevetti quell'eredità, tutto sommato non ne avevo ancora veramente bisogno, fra tutti ce la cavavamo abbastanza bene. Ma in seguito è stata provvidenziale.
Questa volta, chi si ricordò di me nel suo testamento, fu Caleb Cibber. Venni così a sapere che era morto l'anno precedente e che aveva lasciato a me una buona parte delle sue azioni delle ferrovie. Fu una vera sorpresa, perché da anni non avevo più sue notizie, e non avrei mai immaginato che si ricordasse ancora di me... non nel suo testamento, comunque.
Fu per fargli un tributo che, cambiandogli il nome, ne feci il personaggio di un mio nuovo racconto, "La lunga via verso il lontano ovest", in cui in parte raccontai di lui e di me... più o meno quello che ti ho già raccontato del nostro incontro, solo che quello che sarei io, continuò ad andare avanti e indietro con lui sul suo carro.
E la cara vedova Arabella Sloane, in quel racconto, divenne sua madre, che sapeva che eravamo amanti e che mi voleva bene... cioè, che voleva bene al personaggio del racconto.
Inoltre, non feci diventare Caleb un azionista delle ferrovie, ma lo lasciai continuare a fare la spola col suo carro e col suo amante.
Bene o male, nei miei racconti ci sono tutte le persone che ho incontrato, a cui ho voluto bene. C'è il professorino, Dick Amory, in "Saint Michael Boarding School", c'è il suo amante, Alfie Byrd, che difende un ragazzo accusato ingiustamente di un omicidio, che lo fa assolvere e che diventa il suo amante, in "Out of Jail". Poi c'è Chester Hearst, in "Finding a Good Job" dove diventa il padrone di un albergo, e logicamente anche Felix Feng Chou Hearst, in "From China with Passion" in cui è appunto un immigrato cinese, ma che è assunto in una lavanderia in China Town...
Logicamente a tutti loro ho cambiato il nome ed altre cose... ma sono loro. A parte quindi Samuel, ci sono tutti... Persino Hernanda e Maria Gomez, che però ho trasformato in due ragazzi messicani, che diventano amanti, in "Illegal Immigrants".
Insomma, chi conoscesse bene la mia vita, ci troverebbe dentro parecchie delle persone che ho incontrato e a cui ho voluto bene, anche se le ho... trasfigurate, come direbbe il professorino.
Già, il professorino...
Nel 1899, proprio quando stava per finire il vecchio secolo... ci lasciò... per sempre. Fu un grosso colpo, sia per me, che per Samuel... per tutti noi. Ma soprattutto per Alfie. Per la prima volta, da quando l'avevo conosciuto, vidi Alfie in lacrime. Ci mise molto tempo a rimettersi, e comunque dopo sei anni ci lasciò anche lui.
Alfie, in ogni modo, volle continuare a occuparsi dei miei racconti, come aveva già fatto con Dick, a correggere le bozze. Ogni sera, quando tornava dallo studio di avvocato che aveva con tre soci, si metteva al lavoro.
Fra l'altro, prima che Dick morisse, un'altra novità aveva migliorato la qualità della nostra vita. Era arrivata a San Francisco l'energia elettrica e le lampade a bulbo avevano sostituito, anche in casa nostra, le lampade a gas. Mi ricordo quanto, i primi tempi, mi divertivo ad azionare su e giù le levette degli interruttori... luce, buio, luce, buio... come un bambino! Il progresso avanzava anche qui da noi, e a passi da gigante.
La luce dei bulbi elettrici è meno cruda di quella delle lampade a gas, è più calda. Inoltre, con un opportuno cavo elettrico, si possono anche spostare le lampade dove fanno più comodo... per esempio sotto un mobile per trovare qualcosa che vi era rotolato sotto. O su un tavolo dove lavori, scrivi.
Frattanto, il porto di San Francisco stava diventando sempre più importante grazie alla baia, e sempre più marinai circolavano per la città. E si sa che fra i marinai il numero di quelli che amano scopare con gente del proprio sesso, o farsi scopare, logicamente, costituisce una percentuale maggiore che fra gli altri uomini.
Marinai russi, messicani, cinesi, anche americani naturalmente, e di altre nazionalità. Marinai di navi mercantili o militari che quando erano in libera uscita si riversavano in città per divertirsi. Era incredibile quante lingue si sentivano parlare a San Francisco! Anche se spesso non c'era bisogno di capire le parole per rendersi conto che avevano voglia di scopare.
Ma la città stava anche cambiando sotto un altro profilo. La corruzione, anche dei nostri politicanti, era arrivata a livelli troppo alti, perciò ci fu una reazione della popolazione e i politici che si proponevano come moralizzatori della vita pubblica, ottenevano sempre più successo.
Se questo da un parte portò a una vita sociale più "normale", a una maggiore sicurezza e legalità, l'ondata moralizzatrice ebbe come conseguenza di travolgere anche altre attività, fino ad allora ammesse o per lo meno tollerate. E così nel 1897, il glorioso club "Food and Show" venne chiuso dalle autorità. La vecchia costruzione in legno fu venduta e i nuovi proprietari la distrussero e costruirono al suo posto un albergo.
Fu una perdita, non tanto per la vendita delle copie di "Lavender Cowboy", che comunque ormai si vendevano più per posta che direttamente, quanto perché era diventato un punto di riferimento per i ragazzi di strada che cercavano di migliorare le loro condizioni di vita. Questo portò a un certo aumento delle visite dei ragazzi a casa nostra.
Fu così che comparve nella mia vita Bruce Sedley. L'aveva portato a casa nostra, perché lo aiutassimo, uno dei ragazzi di strada, che l'aveva trovato, pestato, sanguinante, in un angolo del porto in cui era andato a cercare clienti.
Bruce aveva diciassette anni, era il figlio del medico addetto alle quarantene nel porto. Il padre aveva scoperto che era un sodomita, perché, tornando a casa prima del previsto, l'aveva trovato che stava alla pecorina sotto un marinaio... Il marinaio aveva appena fatto in tempo a scappare dalla finestra, e il padre aveva pestato Bruce a sangue e l'aveva cacciato da casa.
Dopo averlo medicato alla meno peggio, mandai Felix a chiamare il nostro amico medico, che rifece il lavoro con maggiore competenza. Conosceva suo padre e ce ne parlò come di un uomo... orribile. Bruce ci mise quasi un mese per rimettersi completamente in sesto, mese durante il quale Alfie, e io in particolare, ci prendemmo cura di lui.
Il ragazzo stava studiando per diventare un insegnante, perché sentiva una forte vocazione per quel lavoro, ma ora non sarebbe stato in grado di pagarsi gli studi. Quando imparammo a conoscerlo un po' meglio, sia Alfie che io, forse anche in ricordo di Dick, decidemmo di pagargli gli studi e di tenerlo lì con noi.
Bruce un giorno mi narrò della sua prima volta... che mi ispirò il racconto: "Twin Beds"... Aspetta, te ne faccio leggere una parte. Quello che parla in prima persona non è Bruce, ma il ragazzo che gli ha fatto scoprire che gli piaceva farlo con i maschi. E Bruce l'ho chiamato John Rymer. Dunque, leggi qui...
"Mi informarono che sarebbe arrivato il mio nuovo compagno di camera. Speravo che fosse meglio di quello che s'era appena diplomato: un pallone gonfiato che parlava sempre e solo di baseball, di cui si credeva un campione senza esserlo affatto, e di ragazze... Ed era pure brutto!
Quando vidi entrare nella mia stanza il nuovo ragazzo, mi dissi che, almeno per l'aspetto, era indubbiamente molto meglio... Si chiamava John Rymer. I suoi occhi nocciola brillavano come pepite d'oro, illuminando il suo sorriso un po' da bambino, timido e allegro a un tempo. Aveva un grosso ciuffo di capelli castani mosso in morbide onde, ed ebbi l'impressione che i suoi abiti dovessero celare un corpo piuttosto ben fatto, di uno dedito allo sport.
Nonostante il suo aspetto da bravo ragazzo della porta accanto non avesse granché di seducente, non potei fare a meno di sentire che fra le mie gambe qualcosa stava prendendo consistenza. Forse, mi dissi, erano quegli occhi colore dell'oro... Capii subito che quel compagno sarebbe stato per me un grosso problema, perché, se mi era stato facile tenere nascosti certi miei desideri con il precedente compagno di camera, mi sarebbe stato assai difficile farlo con John.
Fino ad allora mi ero sfogato facendo di tanto in tanto un giro nel parco, dove sapevo che potevo trovare altre anime in pena come me, desiderose solo di sfogarsi. Ma la presenza di John nella mia cameretta, cambiò la mia vita in una specie di supplizio: sentivo che non mi sarebbero più bastati i veloci incontri serali fra i cespugli del parco. E per calmarmi, invano, non facevo che masturbarmi quasi quotidianamente.
La nostra stanza era piuttosto piccola. Da un lato c'erano i nostri due lettini divisi solo da un piccolo tavolo da notte. Al fondo dei letti c'erano due piccole scrivanie, e alle spalle l'armadio e la porta d'ingresso; ai lati delle scrivanie, contro il muro, i nostri scaffali per i libri. Tutto qui.
Questo significava che se uno stava seduto alla sua scrivania, vedeva entrambi i lettini. Il problema era che John faceva sport, come avevo immaginato: pareva che fosse una promessa per la corsa a ostacoli. Perciò, quando tornava dagli allenamenti, si levava gli abiti da ginnastica sudati e, restando tranquillamente, senza malizia, in mutande e canottiera, si gettava sul letto per riposare un po', prima di andare a fare la doccia.
E allora non potevo fare a meno di guardarlo. E quando, riposatosi un poco, si alzava, si levava tutto di dosso, infilava l'accappatoio e andava a lavarsi; si denudava con tale naturalezza, lasciandomi vedere tutto, che... appena era uscito me lo tiravo fuori e me lo menavo furiosamente.
Adoravo il suo corpo quasi glabro, a parte il folto cespuglio crespo attorno al cazzo e una lieve, appena visibile, lanugine sulle gambe e sugli avambracci. Avrei voluto baciargli, succhiargli, mordicchiargli i piccoli e deliziosi capezzoli rosa, puntuti, perfettamente rotondi, che dovevano essere dolci come frutti di bosco. E più giù l'ombelico perfetto, e ancora più giù... quel bel frutto già maturo, mi faceva venire l'acquolina in bocca, sia pure per il breve istante in cui era svelato alla mia ammirazione.
Il suo cazzo era uno dei più belli che avessi mai visto, perché aveva la pelle liscia come quella di un bambino e il colore più scuro del resto del corpo, ma più chiaro dei suoi capezzoli, ed era di dimensioni non inferiori al mio. E sotto s'intravedeva il bel sacchetto che conteneva palle che immaginavo ripiene di dolce crema, pronta a essere versata e gustata.
E che dire poi delle sue chiappette rosate come pesche mature? Due bei globi che veniva voglia di baciare, di leccare, di mordicchiare... Insomma, per me era diventata un'ossessione, e la brevissima visione del suo corpo nudo era l'evento più bello e atteso di tutta la giornata.
Dopo un paio di mesi di quella ripetuta, per quanto breve visione, stavo cominciando a dare i numeri, e mi ripetevo sempre più spesso che... al diavolo tutto, dovevo avere quel ragazzo, quel sogno, tentare di farlo mio. Se non gli fosse piaciuto... beh... avrebbe chiesto di essere spostato in un'altra stanza e il mio tormento sarebbe finalmente cessato. Da vero incosciente, non mi chiesi minimamente se non mi avrebbe piuttosto denunciato al decano. È vero che comunque avrei sempre potuto negare fingendomi scandalizzato e offeso da una simile accusa, ma a questo ci arrivai dopo. Certamente avrebbero creduto a me, poiché nei due anni precedenti avevo sempre parlato di ragazze coi compagni e non ci avevo mai provato con nessuno.
Così, un giorno, appena lui, come al solito, si denudò e indossò l'accappatoio e andò a farsi la doccia, presi la decisione fatale. Avrei fatto finta di nulla, quando fosse tornato e si fosse rivestito saremmo andati a far cena in mensa come ogni sera, poi, tornati in camera, quando lui si fosse messo a letto, io sarei andato a fare la doccia... per rinfrescarmi ma soprattutto per dargli il tempo di addormentarsi...
Poiché avevo notato che durante la notte a volte gli veniva duro, avrei aspettato che il fenomeno si ripetesse e... mi sarei dato da fare. Quando tornai nella stanza, come speravo, il suo respiro lieve e regolare mi disse che s'era già addormentato.
Mi denudai e sedetti sul bordo del mio letto e, lentamente, gli feci scivolare via da sopra il lenzuolo: indossava, come al solito, solamente le mutande a calzoncino, di cotone, larghe, che gli arrivavano alle ginocchia. Avevo voglia di toccarlo, di carezzarlo, ma attesi che dormisse più profondamente e soprattutto che gli venisse un'erezione. Pareva che quella notte non dovesse succedere.
Ma ecco che, finalmente, qualcosa si mosse sotto la tela bianca. Il suo cazzo iniziò a rizzarsi sollevando la tela delle mutande in modo decisamente piacevole. Saliva... saliva... e facevo veramente fatica a restare fermo. Quando finalmente il palo che teneva su la tenda fu ben ritto... presi fra indice e pollice la tela e la tirai con delicatezza, facendola scorrere sulla punta del palo... finché il suo cazzo si affacciò, spuntò nell'apertura delle mutande che gli si afflosciarono attorno: era la prima volta che lo vedevo nudo ed eretto. Bello! La pelle era leggermente ritirata e si vedeva una parte del glande, roseo come il resto.
Caddi in ginocchio davanti al suo letto, mi chinai sull'oggetto del mio desiderio e ne aspirai l'odore e anche il mio cazzo iniziò a sollevarsi lentamente ma sicuramente. Mi sentivo pieno di lussuria, faticavo a ragionare e quasi anche a respirare. Sfiorai con le labbra la punta del suo cazzo, e davvero avevo l'acquolina in bocca. Lo baciai lieve e lo sentii fremere appena. Allora lo leccai con la punta della lingua, cercando di fargli scendere ancora un po' la pelle del prepuzio girandola torno torno e facendomi via via più ardito.
E finalmente schiusi le labbra e scesi con il capo, circondando il glande scivoloso e passando oltre la corona, facendolo entrare sempre più nella mia bocca. Il cuore mi batteva furiosamente in petto, man mano che scendevo con il capo e delicatamente passavo la lingua attorno a quel gustoso paletto di carne. Mi girava la testa, ero tanto eccitato che temevo di venire da un momento all'altro, le tempie mi pulsavano. E finalmente la punta del suo caldo e duro, saporoso palo, mi solleticò la gola e il mio naso sfiorò la tela delle sue mutande.
Mi fermai, respirando lieve con il naso, cercando di calmarmi un poco, poi iniziai lentamente il cammino inverso, poi di nuovo giù, e su, e giù, delicatamente per non farlo svegliare. Il suo cazzo mi palpitava lieve fra le labbra, in bocca. Mi fermai di nuovo... e lui iniziò a spingere in su e giù il bacino come per fottermi in bocca. Mi chiesi se fosse un movimento inconscio o se si fosse svegliato... Ma se era sveglio, significava che andava tutto bene, e se dormiva ancora, che potevo continuare.
Sollevai una mano e gliela posi a coppa sulle palle soppesandole lievemente e ripresi ad andare su e giù con la testa, e il suo movimento cessò. Non so se fu che ero diventato meno prudente, meno delicato, o se le sensazioni che stava provando avessero fatto scattare qualcosa nella sua mente addormentata, ma improvvisamente si svegliò ed ebbe uno scatto sottraendosi alle mie non richieste attenzioni.
Lo guardai e lessi nei suoi occhi, ora spalancati, alternarsi rapidamente sorpresa, piacere, disgusto, piacere, confusione, piacere... e fu quest'ultima sensazione quella che rimase nei suoi occhi. Si rilassò con un lieve sospiro, senza dire una parola, senza emettere un suono... e capii che mi avrebbe lasciato fare.
Poiché una vocetta dentro mi diceva che probabilmente, in seguito, mi avrebbe detto che a lui non andava di fare quelle cose, e che perciò quella sarebbe stata la mia prima e ultima occasione, decisi che gli dovevo fare un servizietto che non avrebbe dimenticato facilmente. Perciò mi dedicai al suo cazzo adoperandomi per dargli il piacere più forte, più grande, più bello possibile.
Gli passavo la lingua sul glande, stringevo un po' sollevando il capo per dargli le più forti sensazioni alla parte inferiore dell'asta resa scivolosa dalla mia saliva. Poi mi facevo scendere il glande fino in gola e la contraevo per massaggiarglielo, respirando lentamente con il naso. E mentre una mia mano continuava a impastargli lieve le palle, portai l'altra sui suoi capezzoli che presi a titillare, sfregare con arte.
Lo sentii gemere lievemente e fremere. Bene! Mossi la mano sulle sue palle estendendo solo il dito medio e mi feci strada nella piega fra le sue chiappette. Lui cominciò di nuovo a muovere su e giù il bacino fottendomi in bocca. Ogni volta che sollevava il bacino, la mia mano e il mio dito si insinuavano sempre più fra le sue chiappette, finché la punta del mio dito gli sfregò lo sfintere e John gemette di nuovo.
Quando gli premetti il dito sul foro nascosto e iniziai a forzarlo, John mugolò più forte, il suo cazzo sussultò nella mia bocca e iniziò a scaricarsi con vigore. Tutto il suo corpo tremava. Getto dopo getto si scaricò dentro la mia accogliente bocca, gemendo a ogni getto. Le sue gambe si tendevano e si rilassavano a ritmo, il mio dito sul suo foro affondò ancora un poco in lui, anche se per meno di un terzo, e il suo sfintere si strinse con vigore attorno alla sua punta.
Una sua mano si posò sulla mia nuca, lieve, quasi in una carezza, e intuii che, almeno per il momento, era soddisfatto. Ma mi chiesi come avrebbe reagito una volta che tutto fosse finito e che fosse tornato in pieno possesso delle sue facoltà.
Mi sollevai lentamente, stringendo le labbra e muovendo la lingua e finalmente, quando il suo cazzo, che stava già iniziando ad ammorbidirsi, uscì dalla mia bocca, lo guardai in volto. Sorrideva beato!
Quando incontrò i miei occhi, sussurrò: "Cazzo se m'è piaciuto... altro che farlo con la mia mano... Non sapevo che... che si poteva fare questo... non ci avevo mai pensato..." parlava con il tono stupito, compiaciuto, entusiasta di un bambino che scopre un nuovo, buonissimo dolce. Poi mi chiese, arrossendo: "Ti va di farmelo di nuovo... qualche volta?"
"Tutte le volte che vuoi!" gli dissi con genuino entusiasmo, sorridendogli radioso.
Poi mi alzai, e lui guardò il mio cazzo dritto e duro. Alzò una mano e lo carezzò, quasi timidamente.
"È... bello..." mormorò.
Allora gli andai sopra, mi stesi su di lui, lo presi fra le braccia e tentai di baciarlo. Dapprima sembrò sorpreso e mi resistette, ma poi schiuse le labbra e dopo poco, probabilmente imitandomi, mi rese il bacio.
Quando staccai le mie labbra dalle sue disse, quasi stupito: "Anche questo è bello!" Poi mi chiese, di nuovo come un bambino che sta scoprendo un mondo nuovo e insospettato, un gioco bellissimo: "Che altro si può fare?"
Allora io, dopo aver ben insalivato il dito medio, scesi di nuovo con la mano fra le sue gambe, sotto le palle, e mi forzai la via fra le sue chiappette. Capì e piegò le ginocchia, puntò i piedi sollevando il bacino. Il mio dito ritrovò la giusta via e gli solleticò di nuovo il forellino. Sentii che il suo cazzo, sotto di me, stava riprendendo consistenza.
"Sì..." mormorò.
Allora mi feci spazio fra le sue gambe accoccolandomi. Bagnai di nuovo il dito e glielo spinsi dentro... lo accolse, e mentre gli scivolava dentro, il suo foro palpitava con forza. Usando molta saliva, a poco a poco riuscii a infilargli dentro anche due dita, poi tre, e notavo con piacere che era sempre eccitato, il suo cazzo nuovamente duro.
Quando lo sentii rilassato, pronto, gli misi un cuscino sotto la vita, gli presi le gambe sulle spalle e finalmente gli presentai il mio cazzo, duro e che avevo ben insalivato, sul foro. Notai che nei suoi occhi c'era un misto di timore e aspettativa. Iniziai a spingere con cautela. Non volevo fargli male, perché volevo che quella fosse solo la prima di molte volte. Quindi non premetti troppo. Sentii il suo foro palpitare, poi iniziare a schiudersi, lentamente, e iniziare ad accettare il mio cazzo scivoloso.
Di tanto in tanto mi fermavo per dargli il tempo di adattarsi alla mia intrusione. Mi sorrise. Ripresi a spingere... A poco a poco, molto gradualmente, mi accolse completamente!
"Mi sei tutto dentro?" chiese in un bisbiglio quasi stupito.
"Sì... Ti piace?"
Annuì. Allora iniziai a muovermi dentro di lui: non avevo mai preso nessuno con tanta tenerezza e attenzione, e man mano che vedevo il suo sorriso accentuarsi, prendevo coraggio e mi muovevo in lui con crescente vigore e piacere. Mi sorrise di nuovo e mi sfregò i capezzoli. I suoi occhi color dell'oro brillavano nella semioscurità della nostra stanza e mi mostravano il suo stupito piacere nello scoprire quanto fosse splendido unirsi con un altro maschio.
Non fui stupito quando John iniziò a tremare e quasi improvvisamente, emettendo un lungo mugolio, venne di nuovo, contraendo tutti i muscoli, anche il suo sfintere che si serrò attorno al mio palo di carne incandescente e finalmente anche io mi svuotai, spingendomi profondamente dentro di lui. Non avevo mai goduto tanto, a fottere un ragazzo, e quel ragazzo era mio!"
Ecco, questa è la prima volta di John-Bruce. In realtà lui fu molto più riservato, quando me la raccontò, più sobrio ma io ho cercato di immaginare la scena e ci ho ricamato sopra.
E mentre Bruce, dopo aver scoperto quanto gli piaceva farlo con altre persone del suo sesso, cercò di farlo con altri, nella mia storia li faccio innamorare. Però ci ho messo che il padre lo scopre a letto con un vicino di casa e li pesta e li caccia da casa, avverte il padre dell'altro che pure non ne vuole più sapere del figlio. I due ragazzi scappano dalla città, trovano un vecchio che li accoglie. Eccetera eccetera. Non sto a raccontarti tutta la storia.
Comunque, Bruce si rimise, lo facemmo studiare e veramente conobbe un ragazzo a scuola, un compagno di classe, anche se non avevano la stanza assieme, e si innamorarono. Bruce ce lo portò a conoscere e così spesso si chiudevano su al primo piano nella sua stanza per fare l'amore. Quando entrambi presero il diploma, trovarono lavoro, in due diverse scuole. Comunque continuarono a vedersi qui in casa per diversi anni. Finché trovarono tutti e due un posto come insegnanti in un collegio di Los Angeles, che dà loro anche vitto ed alloggio. So che sono ancora assieme, e un paio di volte l'anno vengono a trovarmi.
Ma... arriviamo al 1903 e... e quello fu l'anno orribile della mia vita, e mi sembrò che la mia vita fosse finita.
Il mio Samuel, che aveva sessantasette anni, si ammalò della malattia che allora chiamavano "sangue bianco" e che ora è chiamata leucemia. Iniziò con le gengive che gli sanguinavano, poi anche il naso... e lo stomaco, e il retto... e poi febbre, crescente debolezza, nessuna resistenza alle più banali infezioni... E il medico riconobbe la sua malattia e gli dette alcune erbe per attenuare i sintomi, perché non c'era una cura... né c'è ancora... e si spense lentamente... nel giro di pochi mesi.
Per me fu un vero dramma... nonostante la vicinanza degli amici, mi pareva che la mia vita fosse diventata inutile, vuota, senza senso. Logicamente sospendemmo la pubblicazione del "Lavender Cowboy", il cui ultimo numero era uscito nel febbraio del 1903.
Giù in cantina c'è ancora tutto, esattamente come l'aveva lasciato Samuel, con i primi cliché del numero di marzo già composti... Non so perché, ma non ho mai voluto toccare nulla... Quasi come se mi aspettassi che il mio Samuel potesse ricomparire un giorno e rimettersi a lavorare dal punto in cui aveva dovuto smettere.
Vedi, mio caro giornalista, il brutto di vivere troppo a lungo è che quella puttana della signora morte, non potendo ancora prendere te, ti toglie tutti quelli a cui vuoi bene. È proprio una gran carogna.
Così...
Nell'arco di quasi quarantuno anni, io e Samuel, Dick e Alfie, che morì due anni dopo di Samuel, avevamo stampato esattamente quattrocentodue numeri del "Lavender Cowboy", di cui però quarantotto erano ristampe. Sono tutte qui, vedi? Comprese le ristampe.
Non ho smesso soltanto perché Samuel non poteva più comporre i cliché dei testi: uno dei suoi aiutanti avrebbe potuto prendere il suo posto. Il fatto era che la mia fervida fantasia si esaurì, la mia ispirazione morì con lui, e comunque non mi importava più nulla di nulla. Riuscii a trovare lavoro per i ragazzi che aiutavano Samuel presso altre tipografie: conoscevano a sufficienza il mestiere, ormai, anche gli ultimi arrivati.
E il nostro grande e antico letto, ora mi pareva così vuoto... così vuoto... quasi fosse diventato il simbolo della mia vita. Quando due anni dopo morì anche Alfie, non avevo più lacrime da versare. Accompagnai anche lui al cimitero. Poi morì anche Chester Hearst... la casa era sempre più vuota. Restava solo Felix, che era ormai un uomo maturo. Anche Felix ormai è morto, ma solo quattro anni fa. Perciò, dopo la morte del suo Chester, rimase altri trenta anni qui con me...
Ma chi mi fece uscire dal mio stato di morto vivente, fu proprio Felix. Non fece niente di speciale: nel suo tempo libero, girava per le strade di San Francisco, scovava i ragazzi di strada più malandati, più derelitti... e me li portava a casa, chiedendomi se per favore gli davo una mano per rimetterli in sesto.
Veder rifiorire quei poveri ragazzetti, pian piano mi ridiede il gusto per la vita, mi guarì dalla mia malinconia. Felix "the chink", com'era chiamato, ma in bocca dei ragazzi di strada quel termine offensivo con cui sono chiamati i cinesi diventava affettuoso, divenne presto l'angelo dei ragazzi di strada e io, per la proprietà transitiva, divenni l'arcangelo... Lui era "Felix the chink" e io "Fred the boss"...
No, non c'è mai stato niente di sessuale fra Felix e me. Non è perché due sono sodomiti che devono scopare per forza assieme, no? Oh, a volte, in quegli anni, la mia appendice sessuale si svegliava, e allora la dovevo calmare con un buon esercizio di danza... Sai che si dice far ballare la scimmia, no? Così, per un po' di anni la feci ballare, finché anche la mia scimmia andò in pensione, stanca di esibirsi solo per me.
Continuavano ad arrivare, anche se sempre più di rado, lettere in cui mi chiedevano qualche fascicolo di "Lavender Cowboy". Così, se chiedevano un numero di cui c'erano ancora copie, lo spedivo, lasciando solo la mia serie completa e quella che era appartenuta a Dick ed Alfie, oltre a quella di Chester, che era rimasta a Felix. Le uniche tre serie complete che ancora ci sono in questa casa.
E poi, basta. Così anche il nostro "Lavender Cowboy" alla fine è morto.
In seguito, grazie alla rendita delle azioni che mi aveva lascito Caleb in eredità, mi accontentai di tenere aperta questa casa, per dare una mano ai ragazzi di strada. No, anche grazie all'aiuto di vecchi ragazzi di strada che si erano sistemati e che a volte si ricordano di questa casa, e tornano per darmi un consiglio, una consulenza, per aiutare un certo ragazzo più meritevole di altri, per rendere in qualche modo quello che hanno ricevuto.
Questa casa è così diventata un vero porto di mare. Ragazzi che vanno e vengono, specialmente quando hanno bisogno di qualcosa, che sia un piatto di cibo, o semplicemente lavarsi nel mio bagno, o quando sono malati e abbisognano di cure.
Due o tre volte è venuta anche la polizia... ma ormai mi conoscono e mi lasciano in pace, tanto più che due dei miei vecchi ragazzi di strada ora sono poliziotti. Le autorità ci hanno messo un po' a capire che non sono né un criminale, né un pericoloso pervertito, ma che, dando una mano a quei poveri ragazzi, tolgo loro qualche problema.
Che altro vuoi che ti dica? C'è ben poco nella mia vita di particolarmente interessante per te, ormai.
Nel 1905, Felix portò a casa un ragazzo di venti anni, Will Howe, che era stato accoltellato al porto. Si è strappato la camicia, l'ha fasciato meglio che poteva, se l'è caricato a spalle e l'ha portato fin qui. Poi, mentre io lo vegliavo, è andato a chiamare il dottorino... sì uno dei primi nostri ragazzi... che è venuto subito e l'ha curato. Pareva che non riuscisse a salvarlo... e invece ha fatto miracoli e l'ha strappato a quella baldracca della morte.
Will era stato adescato da due marinai, che però non volevano affatto scopare con lui, ma solo derubarlo e quando s'è opposto, l'hanno accoltellato. Quando Will ha ripreso conoscenza, la nave di quei marinai non era più in porto. Comunque io ho voluto che sporgesse denuncia.
Quando Will s'è completamente ristabilito, per ringraziarci ha voluto restare qui a fare le pulizie, i lavori di casa, per dare una mano a Felix, per aiutarci a badare ai ragazzi che venivano e andavano, e che spesso lui già conosceva.
E così... si affezionò a Felix, e Felix a lui, anche perché pare che Will lo sapesse scopare proprio come piaceva a Felix... No, non sul tavolo di cucina come quella volta con Chester, comunque, ma in camera loro, nel loro letto.
E dopo che anche Felix ci ha lasciati, Will è rimasto qui con me e vive ancora qui. So che a volte si porta qualche ragazzo a letto, quando i ragazzi ci stanno. D'altronde, che vuoi, Will non ha ancora sessanta anni, quindi è ancora un uomo valido e con i suoi sani desideri.
Nel 1908, due dei miei ragazzi d'un tempo, hanno aperto il primo "drag bar" qui a San Francisco. E nel 1920, un altro dei miei ragazzi ha partecipato a dare inizio alle trasmissioni della stazione radio che era stata aperta al 175 di Steuart Street, dalla Radio Telephone Shop...
Nel 1923, poi, un certo Harold Hersey scrisse la poesia intitolata "Lavender Cowboy"... il suo nome non c'è nella mia lista di clienti, ma... chissà? Fu messa in musica e nel 1930 fu eseguita al Western Oklahoma Cyclone. Ma in seguito ne fu bandita la trasmissione alla radio, perché era un po' troppo esplicita... parlava infatti di un cowboy sodomita... La conosci? Te la canto:
"He was only a lavender cowboy,
The hairs on his chest were two,
But he wished to follow the heroes
And fight like the he-men do.
But he was inwardly troubled
By a dream that gave him no rest,
That he'd go with his heroes in action
With only two hairs on his chest.
First he tried many a hair tonic.
'Twas rubbed in on him each night.
But still when he looked in the mirror
Those two hairs were ever in sight.
But with a spirit undaunted
He wandered out to fight,
Just like an old-time knight errant
To win combat for the right.
He battled for Red Nellie's honor
And cleaned out a holdup's nest
He died with his six guns a-smoking
With only two hairs on his chest."
Che altro? Credo che, se tornassi indietro, potrei aggiungere tanti altri particolari, però penso che possa andare bene così.
Ah, beh... nel 1934 Will mi fece una grossa sorpresa: riuscì, di nascosto di me, a rintracciare un gran numero dei ragazzi che negli anni avevamo aiutato e mi organizzò un favoloso party per i miei cento anni! Anche i giornali ne parlarono, sai?
Beh, certo che cento anni sono una bella cifra, però, io per primo, non credevo proprio di arrivare ai centodieci e, se non me ne vado prima, ai fatidici centoundici fra pochi mesi.
E così, mio caro Jule Taft, eccoti la mia storia. E sai che ti dico? Mi sei simpatico... fare tanti chilometri solo per scovare cosa restava del "Lavender Cowboy".
Come t'ho detto, una serie completa di tutte le copie è questa. L'altra l'ha ereditata il mio buon Will da Felix che l'aveva avuta da Chester... Però resta quella che era di Dick-Ass Amory, il professorino, e di Alfie Byrd, il suo uomo... Ebbene, ho deciso che quella, se ti interessa, te la posso regalare. Tienila da conto, perché dopo che me ne sarò andato, e poi anche Will, probabilmente tutto il contenuto di questa casa andrà disperso...
Devo decidere a chi lasciarla in eredità: tutto sommato non mi va che la prenda la città o lo stato... Loro, troppo occupati dall'alta politica, non hanno fatto mai niente per i miei ragazzi di strada.
NOTA DI Jule Taft
Sono venuto a sapere che Fred Bunyan ha potuto festeggiare in settembre del 1945, come desiderava, i centoundici anni, e che è serenamene spirato esattamente una settimana dopo.
Quella puttana della morte, come la chiamava lui, alla fine era riuscita a portarselo a letto, per sempre. Al suo funerale c'erano quasi tremila persone... "stranamente" tutte di sesso maschile...
Ha lasciato la casa e le azioni della ferrovia in eredità a Will Howe, come dopo tutto m'aspettavo, chiedendogli di continuare a occuparsi dei ragazzi di strada.
Purtroppo non sono potuto andare al suo funerale, perché ne ho avuto notizia solo dopo che era avvenuto. Ma quando abbiamo festeggiato la vittoria contro i nazisti e i fascisti, sono tornato a San Francisco, e ho deposto sulla sua tomba centoundici rose rosse.
TRADUZIONE DELLA CANZONE
"Era solo un lavender cowboy,
ed i peli sul suo petto erano due,
Ma desiderava seguire gli eroi
E battersi come i veri uomini fanno.
Ma dentro di sé era turbato
Da un sogno che non gli dava riposo,
Che dovesse andare in azione con gli eroi
Con due soli peli sul suo petto.
Dapprima provò diversi corroboranti per capelli.
Glieli sfregavano (facevan penetrare) su/dentro di lui ogni notte.
Ma quando si guardava nello specchio, ancora
Quei due peli erano gli unici in vista.
Ma con spirito indomito
Girovagò per lottare,
Proprio come i cavalieri erranti di un tempo
Per vincere il combattimento per il diritto.
Si batté per l'onore di Red Frocio
E ripulì un nido di rapinatori
E morì con il suo sei-colpi fumante
Con solo due peli sul petto."