Ormai lavorava lì da tre mesi ed era riuscito a riconoscere le facce di tutti gli inquilini, anche se di qualcuno non ricordava ancora il nome. Ma non si preoccupava, lo schema che s'era fatto lo stava aiutando a memorizzarli.
Aveva individuato la "peste" del condominio: si trattava della vedova Ravera, che stava nella scala B, quarto piano, con la vecchia madre novantenne.
Un giorno s'era fiondata in portineria e gli aveva detto, agitatissima: "Lei deve fare qualcosa, non si può andare avanti così!"
"Scusi, signora?"
"Deve dire ai Donato che educhino un po' meglio i loro mocciosi! Non è logico che oltre mezzanotte giochino ancora a biglie per il corridoio! Io e mia madre non riusciamo a chiudere occhio!"
"Mi scusi signora, ma lei è..."
"Sono la signora Ravera. Purtroppo abito proprio sotto ai Donato!"
"Ah, capisco, signora. Ha provato a far presente il problema all'amministratore dello stabile? Sa... non tocca al portiere intervenire..."
"E allora per cosa la pago, io? Per disinteressarsi dei problemi?"
"Il condominio mi paga per fare il servizio di portineria e per pulire le scale, signora. Per gli altri problemi, è l'amministratore che..." le disse con cortesia.
"Io esigo che se ne occupi lei, invece! Solo perché non ho più un marito che... Tutti se ne approfittano!"
"Non ha provato a parlarne con i signori Donato?"
"Certo! Negano! Dicono che per le dieci i mocciosi sono a letto. Ma allora, chi gioca a biglie nel corridoio, eh? Il signor Donato con la moglie? Eh? Dica!"
"Mah... mi sembra inverosimile." disse Fausto cercando di non mettersi a ridere. "Senta, lei ne parli con l'amministratore e... io cercherò anche di vedere se posso fare qualcosa."
In quella entrò Loris Pantaleo, il ragazzetto di quindici anni che abitava al settimo pino della scala A, che salutò con uno squillante "Ciao!" a cui Fausto rispose con un gesto e un sorriso.
La vedova Ravera abbassò la voce, sporgendosi verso di lui: "Ecco, vede che screanzati! E lei gli permette di darle del tu! Non c'è più rispetto, non c'è più rispetto! Cominciano così, poi finiscono drogati, glielo dico io!"
"Mi sembra un bravo ragazzo, Loris Pantaleo." le disse Fausto.
"Sì... sì... faccia d'angelo e... Vedrà se non ho ragione io! Quel ragazzo finirà male. O si drogherà o diventerà uno spacciatore. O tutt'e due le cose. D'altra parte... è figlio di un architetto... e lo sanno tutti che gli architetti si fanno di cocaina!"
"Ah, davvero? Io non lo sapevo. Cioè... uno diventa architetto e... automaticamente si fa di cocaina, signora Ravera?" chiese Fausto con malcelata ironia.
"Non li legge i giornali, lei, giovanotto? E non la guarda la TV? La corruzione, mio caro giovanotto. La corruzione! Mele marce!"
"C'è anche tanta gente onesta... non solo mele marce."
"Lei è un ingenuo. Comunque, mi prometta che parlerà con i Donato! Si meriti lo stipendio che le do."
"Farò il possibile, signora Ravera, non dubiti." concluse Fausto.
E lo fece. Quando vide il figlio più grande dei Donato, un ragazzino di dodici anni, gli disse: "Ciao. Dimmi un po', tu con i tuoi fratellini, giocate a biglie?"
Il piccolo lo guardò un po' stupito: "A biglie? No... Perché?"
"Mah, così... Io da piccolo ci giocavo e mi piaceva molto. Allora, come giochi coi tuoi fratellini, in casa?"
"Con la Playstation. Anche se loro mica sono ancora bravi come me."
"E... a che ora vai a letto tu?"
Di nuovo il piccolo lo guardò stupito: "Alle dieci. Perché?"
"M'era sembrato di vedere la luce accesa in camera tua, verso le undici..." inventò Fausto.
"No... quando? No, alle dieci vado a letto e spengo subito, sennò mamma s'arrabbia. E poi... come può aver visto la luce accesa, che le tapparelle sono tutte giù, di notte?"
"Oh... Allora mi sarò sbagliato di finestra." disse Fausto con un sorriso facendo spallucce.
Il ragazzino era appena uscito, quando tornò giù Loris, il ragazzo di quindici anni.
"Fausto, ti posso chiedere un favore?"
"Se posso... dimmi."
"Io vorrei ordinare una cosa per Internet... contrassegno. Siccome è una sorpresa per i miei genitori, vorrei che tu la ritirassi... ti do i soldi... ma che i miei non ne sappiano niente. Sai, è un regalo per il loro anniversario di matrimonio. Puoi farlo, per favore?"
"Beh, sì... Sì, va bene. Quand'è il loro anniversario?"
"In ottobre."
"Beh, c'è tempo allora."
"Ma sai, devo ancora fare l'ordine, poi non so se lo spediscono subito, quanto ci mettono a mandarlo e perciò... Sono poco più di cinquanta euro. Allora posso farlo, l'ordine?"
"Certo, Loris, va bene."
"Grazie. Faccio l'ordine poi ti porto i soldi giusti. E... acqua in bocca, mi raccomando, non rovinarmi la sorpresa."
"Sta tranquillo. Cosa gli compri?"
"Un... libro d'arte che non ho trovato qui in città."
"Ah, bello. Quanti anni di matrimonio fanno?"
"Venti. Grazie mille Fausto!" disse e corse via.
Fausto pensò che non aveva mai visto una sola volta che Loris non corresse. Quel ragazzo pareva avere l'argento vivo in corpo. Ed era sempre allegro. Un ragazzo gradevole, positivo, gentile. Altro che finire drogato! pensò. Anche i genitori erano simpatici, una bella famiglia. E piuttosto generosi: sia il padre che la madre gli avevano già dato buone mance in un paio di occasioni.
Più tardi, Libero Cianciulli, il medico che viveva con la vecchia madre al secondo piano della scala A, gli dette un pacchetto: "Mi scusi, signor Picozzi, verso le cinque oggi pomeriggio dovrebbe venire il signor Tonello per ritirare questo pacchetto. Ho detto che l'avrei lasciato qui da lei, in portineria. Non le spiace consegnarglielo, per cortesia?"
"No, certo, lo lasci pure qui. Devo farmi lasciare una ricevuta o qualcosa?"
"No no, è un amico. Sa, è solo per non disturbare mia madre: lei non si fida ad aprire quando è da sola."
"Certo, capisco. Come sta sua madre?"
"Mah, tutto sommato, bene. Però le devo trovare una badante, per quando io sono in clinica. Solo che mamma ha un carattere un po' difficile: le ultime due che le avevo trovato, non le andavano bene. Eppure erano tutte e due in gamba, mi creda. Sa, ha appena compiuto ottanta anni. Non voglio metterla in una casa di riposo, però... Se la cava ancora, è vero, ma io non sono tranquillo, a lasciarla da sola."
"Sì, la capisco."
"La prima era una romena, e mamma si lamentava che non la capiva... eppure parlava un italiano quasi perfetto. Mamma poi s'era messa in testa che le cambiava di posto tutte le cose... in realtà era lei che non si ricordava. La seconda era una filippina, molto gentile. Mamma diceva che era troppo minuta, senza forza, e che se lei fosse caduta, quella non avrebbe avuto la forza di sollevarla e... Inoltre era convinta che fosse una ficcanaso... Non so davvero come fare."
Fausto pensò al suo amico Renzo, che s'era appena diplomato infermiere e che non riusciva a trovare lavoro.
"Dica, dottor Cianciulli, e che ne direbbe di un badante italiano, un mio amico che si è appena diplomato infermiere e che sta cercando lavoro? Un ragazzo di ventiquattro anni... fidato."
"Beh... non so, forse... Potrebbe dirgli, se è interessato, di telefonarmi o venirmi a trovare in clinica? Come si chiama questo suo amico?"
"Renzo Meschieri. Lo chiamo subito e le do il suo numero di telefono."
"Mi dia qualcosa per scrivere, le lascio il numero del mio cellulare e l'indirizzo della clinica."
Andato via il medico Fausto telefonò subito al suo amico Renzo e gli chiese se fosse interessato a quel lavoro. Renzo lo ringraziò e disse che poteva anche essere interessato.
Nel pomeriggio arrivò il signor Tonello a ritirare il pacchetto del chirurgo. Quando Fausto lo vide, per un attimo credette che fosse Gildo, il suo ex da cui s'era separato pochi mesi prima.
Ermenegildo Letta, Gildo...
L'aveva conosciuto là, al garage in cui lavorava. Era il... 1999, lui aveva ventidue anni ed erano già due anni che faceva il meccanico in quel garage con officina annessa. Prima gli aveva fatto una revisione completa della sua Fiat Coupè Turbo metallizzata. Poi Gildo era tornato chiedendogli di revisionare i freni che stridevano. Fausto era rimasto subito colpito da quel giovanotto di ventisette anni dal sorriso caldo, dagli occhi penetranti e vestito, più che con raffinatezza, con una specie di... barbara esultanza.
Indossava un jeans color avorio dal tessuto trattato come quello usato per le tute da moto, un camiciotto con collo alto, sbottonato fino a metà petto, nudo, di flanella di cachemire anche color avorio, e sopra indossava un ampio e morbido giubbotto di foca color marrone bruma... il tutto firmato Gianfranco Ferrè.
Aveva capelli neri, corti, spettinati ad arte e con un filo di gel, o "sparati" come si usava dire, e occhi luminosi, scuri e brillanti come ossidiana, un lieve sorriso... Insomma, Fausto se ne era sentito subito affascinato, conquistato. Con un caldo sorriso gli disse che avrebbe verificato e sistemato i freni, e gli promise che l'avrebbe fatto entro la mattina seguente.
Quando Gildo era tornato, gli aveva spiegato il problema, e come l'avesse risolto. "Lei frena un po' troppo spesso e con troppa forza. Dovrebbe iniziare a frenare prima e con maggiore gradualità." gli disse Fausto.
"Non darmi del lei! Mi fai sentire più vecchio di quello che sono... Posso offrirti un caffè al bar qui di fronte?"
"Mah... sono tutto sporco e così in tuta, vicino a te così elegante... Farei una ben brutta figura." disse incerto Fausto.
Gildo rise: "Semmai sarei io quello che fa brutta figura vicino a te, figo come sei!"
Quando furono seduti al bar si presentarono e Fausto ebbe presto la gradevole impressione che Gildo lo stesse corteggiando. Infatti, quando si lasciarono e Fausto tornò al lavoro, Gildo gli aveva dato appuntamento per quella sera stessa.
"Ti passo a prendere quando chiudete."
"No... devo prima passare a casa a strigliarmi bene, guarda che mani nere... devo fare un bella doccia."
"Allora ti aspetto sotto casa."
Quando Fausto, rimesso a nuovo, scese, Gildo era già lì che lo aspettava. Salì in macchina. "Allora, ti va se andiamo in quel localino che ti dicevo, su in collina?" gli chiese Gildo mentre metteva in moto e partiva.
"Sì, certo, dove vuoi tu va bene." rispose Fausto, sentendosi emozionato.
Aveva appena preso la strada che a grandi tornanti saliva in collina, al di là del fiume, quando Gildo gli mise una mano su una coscia e, senza guardarlo, gli confessò quanto si sentiva attratto da lui, e che perciò sperava che fra loro nascesse qualcosa più di un'amicizia, più grande, più serio, più... intimo.
Fausto tremava: non pensava che avrebbe osato fare un approccio così diretto, né così presto, benché in fondo se lo era aspettato, o per lo meno ci aveva sperato. Lo guardò e, a voce bassa, chiese: "Parli sul serio, Gildo? Non è che vuoi solo... fare una scopata? Sei sincero a dire quello che stai dicendo? Ci siamo appena conosciuti."
Gildo continuò a guidare in silenzio per parecchio tempo. Poi, a un certo punto lasciò la strada asfaltata e s'inoltrò per una strada sterrata. Arrivato a una curva, parcheggiò su una specie di belvedere che dava sulla città che splendeva sotto di loro con le sue luci che parevano disegnarne la mappa. Uscì dall'auto, girò dall'altra parte e aprì la portiera, facendolo uscire. Lo prese per mano, lo guidò fino al cofano sospingendovelo contro, lo guardò con un sorriso, fece un lieve sospiro, gli si addossò e lo baciò.
Poi, staccate le labbra, disse: "Qui non possiamo fare nulla... però, io vorrei provarci, con te. Vorrei davvero che fra me e te ci fosse più di una semplice scopata. Appena t'ho visto, ho sentito... che con te potrei stare molto bene."
Fausto era emozionato: gli pareva quasi impossibile che un ragazzo così bello, elegante, volesse davvero avere con lui più di una semplice avventura, che pure avrebbe accettato volentieri.
"Se qui non possiamo... perché non mi porti da un'altra parte, invece che in quel localino che dicevi?" gli disse infine. "Non ho voglia di aspettare... ho voglia ora... dimmi di sì, dai. Portami da qualche parte... a casa mia, a casa tua... dove possiamo stare... soli."
Gildo sorrise e annuì. Lo abbracciò di nuovo, questa volta più stretto e gli fece sentire il caldo turgore, quel calore che prima non aveva avvertito, sfregandogli lieve la patta contro la patta, e lo baciò di nuovo. Fausto si sentiva felice. Poi Gildo, con voce bassa, calda, eccitata, gli chiese: "Andiamo da te, allora?"
Tornò con gran fretta giù in città, e anche se gli diceva di guidare con maggiore prudenza, Fausto era felice per quella fretta. Gildo parcheggiò sotto casa di Fausto. Uscirono, Fausto lo prese per mano e lo portò su fino al suo appartamentino, alla camera da letto. Si spogliarono quasi di corsa e salirono assieme sul lettino, completamente nudi, e si abbracciarono, si carezzarono, si baciarono, si toccarono pieni di desiderio.
Poi Gildo gli disse: "Se vuoi... se vuoi possiamo anche fare subito l'amore, ma... per questa prima volta io ho voglia più che altro di baciarti, accarezzarti dappertutto, scoprirti... godere della tua bella nudità. Ti dispiace? Che ne dici?"
Fausto sorrise: data l'irruenza del compagno, aveva immaginato che sarebbe andato subito al sodo e... "Come preferisci, Gildo, come vuoi tu ma... Cavolo, anche se mi sento un... Io ho l'impressione che mi sto già innamorando di te... Se non vuoi provarci sul serio... dimmelo subito e almeno... ci si diverte e ci si dimentica."
"Certo che sono serio. Per questo non voglio bruciare subito tutto. Credi che non ho voglia di te? Lo senti no? Però... però tu mi sembri un ragazzo speciale e, dato che ti ho trovato, non ti voglio perdere. Per questo, se non ti chiedo troppo, questa volta vorrei solo che ci abbracciamo e baciamo e che cominciamo a conoscerci anche col corpo."
Fausto fece un silenzioso sospiro di piacere a quelle parole, e lo baciò, con tenerezza e desiderio, e lo carezzò per tutto il corpo: petto, fianchi, braccia, spalle, capezzoli, ventre, cosce... E frattanto lo baciava e gli lecchettava il collo, le orecchie, il naso, i capezzoli, l'ombelico... Gildo reciprocava con calore ogni cosa. Solo non si toccarono i genitali né con le mani né con le labbra, quasi per mutuo accordo. Sapevano che, se l'avessero fatto, non si sarebbero fermati.
Dopo parecchi minuti, gradualmente si calmarono. Stesi fianco a fianco, le gambe intrecciate, semiabbracciati, si sorrisero. Iniziarono a parlottare tranquillamente, facendosi domande, rispondendosi, godendo quella quieta e calda, tenera intimità.
Più tardi, si rivestirono. Si dettero un appuntamento per la sera seguente. Sulla porta, Gildo gli palpò il sedere e gli disse: "A domani, Fausto. Dio, quanto mi piaci! Sono contento di aver deciso di venire proprio nella tua officina per l'auto."
Prima di aprire la porta di casa per lasciarlo andare, Fausto ve lo sospinse contro e lo baciò di nuovo, con calore. Poi gli augurò la buona notte e lo guardò scendere la scala... quasi con rammarico.
La sera dopo, Fausto s'era appena lavato e rivestito, quando sentì suonare il campanello. Andò ad aprire, emozionatissimo. "Entra." gli disse con un luminoso sorriso.
Gildo entrò, chiuse la porta dietro di sé con un piede, lo abbracciò stringendolo a sé, lo baciò intimamente e gli sussurrò: "Non vedevo l'ora, sai? Non ho fatto che pensare a te, tutto il giorno."
Tenendosi per mano, andarono nel soggiorno e sedettero fianco a fianco sul divano. Fausto era contento, eccitato, fremente. Questa volta voleva farci l'amore: anche lui non aveva pensato ad altro per tutto il giorno. Non si era mai sentito eccitato con altri come lo era ora con Gildo, che gli sembrava bellissimo.
"Se aspetti un momento... ho preparato qualcosa da sgranocchiare e da bere, in cucina..." gli disse Fausto.
"Vengo di là?"
"No, aspettami qui. Solo un momento."
Gildo, mentre lo aspettava, s'era guardato attorno. Poi notò, nel porta-giornali accanto al divano una rivista. La prese: era un giornale gay, con foto assai esplicite. Lo sfogliò ammirando le belle immagini, che erano a mezza via fra l'arte e la pornografia: niente male. Senza pensarci, si carezzò la patta gonfia, continuando ad ammirarle.
Fausto tornò con un vassoio su cui aveva posto una coppetta di noccioline, una di pistacchi, poi semi di zucca salati, acini d'uva in una coppa d'acqua, due bottiglie di birra Adelscot. Si misero a sgranocchiare e a bere, chiacchierando. Ma entrambi ardevano sempre più per il desiderio.
Finalmente Gildo si alzò, lo prese per mano e lo guidò nella camera. Quando furono accanto al letto, vide che sul comodino c'era una confezione di preservativi e un flaconcino di lubrificante. Indicandoli, gli sorrise e chiese: "Deciso?"
Fausto annuì. Si denudarono, ma questa volta l'un l'altro, lentamente, in un delizioso supplizio. Quando furono finalmente nudi, Gildo si stese sul letto e Fausto gli andò sopra, e gli carezzò le guance, poi gli depose due baci sulle palpebre. Gildo lo abbracciò con vigore, con calore e cercò le sue labbra. Si unirono in un bacio profondo, pieno di calore e di desiderio.
Fausto si spostò un poco, prese una bustina di preservativi, l'aprì e glielo infilò sul membro ritto e durissimo. Poi gli si mise sopra a cavalcioni del bacino, e si abbassò, dirigendo il membro sulla meta, e ci si impalò lentamente. Quando lo sentì tutto dentro, si chinò su di lui e lo baciò in bocca. Gildo iniziò a muovere il bacino dal basso in alto con movimenti leggeri, per sistemarglisi meglio dentro.
Fausto si sollevò un poco e lo guardò in volto: Gildo aveva un sorriso lieto come quello di un bambino quando va al luna park. Mentre iniziava a muoversi dentro di lui con forti colpi da sotto in su, Fausto si chinò di nuovo, curvando la schiena, finché riuscì a baciargli i capezzoli, su cui giocherellava con la lingua, suggendoli e mordicchiandoli.
Gildo a ogni spinta emetteva un basso e caldo gemito di piacere. Fausto si rizzò di nuovo e prese a molleggiare su e giù con crescente vigore, mentre continuava a stuzzicargli i capezzoli con i polpastrelli. Gildo gli sorrise e gli carezzò il ventre, le cosce, i genitali turgidi. Fausto vide che gli si era arrossato il volto e capì che l'eccitazione stava salendo rapidamente.
Infatti dopo poco gemette: "Fausto... vengo... ecco... ecco... aaahhhh..." e spinse in su con vigore, vibrando e fremendo e si scaricò nel caldo canale di Fausto con una serie di forti guizzi, chiudendo gli occhi e stringendo le labbra, quasi come se volesse impedirsi di gridare. Poi si afflosciò di colpo, riaprì gli occhi e lo guardò: "Fortissimo..." mormorò ansante. "È stato troppo forte!"
Fausto gli carezzò una guancia e, lentamente, si sfilò dal ritto palo che stava lentamente iniziando ad ammorbidirsi. Gli tolse il preservativo e lo gettò nel cestino che c'era accanto al comodino. Gildo si sfilò da sotto a lui, mettendosi su a sedere, la schiena poggiata alla testiera del letto, si sistemò il cuscino dritto dietro la schiena, vi poggiò il capo.
Poi disse: "Vieni qui, avvicinati, che te lo succhio un po', prima che me lo metti tu."
Fausto, in ginocchio, gli si accostò, il membro dritto che puntava verso il suo volto. Gildo lo prese fra le mani, lo carezzò, poi iniziò a baciarlo, a lecchettarlo. Ne fece scendere la pelle del prepuzio scoprendone il glande, che pure baciò e leccò, poi lo prese fra le labbra che fece scorrere avanti e indietro ma solo fra la punta e la corona. Fausto chiuse gli occhi per godersi quelle esperte attenzioni e le forti sensazioni. Sentiva brividi di piacere percorrerlo fino al cuoio capelluto!
Gildo, quando sentì che Fausto era tutto un fremito, smise, prese un preservativo dal comodino e glielo infilò, aiutandosi con le labbra. Poi lo fece allontanare un po' da sé, si stese nuovamente, si portò le gambe contro il petto e gli si offrì con un sorriso gioioso.
"Dai, Fausto... mettimelo tutto... fammi godere anche così." gli disse in tono allettante.
Fausto gli fece sollevare le gambe, e le divaricò facendogliele poggiare sulle spalle, ed entrò in lui. Con movimenti lenti e lunghi, iniziò a muoverglisi dentro, mentre gli titillava i capezzoli, Il membro di Gildo lentamente riprese consistenza, man mano che l'amico si muoveva in lui, e presto, nuovamente ritto e duro, puntò contro il ventre di Fausto.
Si guardavano, si sorridevano lietamente. Fausto manovrò in modo di sfregargli la prostata, spingendo da sotto in su, e vide il sorriso di Gildo accentuarsi e le sue gote arrossarsi di nuovo.
"Oh che bello, Fausto! Tu sì che ci sai fare." mormorò con voce eccitata e lievemente roca.
Gradualmente Fausto accelerò il suo ritmo finché si lanciò in una cavalcata selvaggia, sentendo sopraggiungere il massimo del godimento. Sentì che Gildo aveva un secondo orgasmo, e gli spruzzava contro il ventre, e il suo foro palpitava con forza. Questo scatenò anche l'orgasmo di Fausto, che con un lungo e basso gemito si scaricò in lui, tremando per l'intensità del piacere.
Senza toglierglisi da dentro, raccolse dal proprio ventre, con un dito, un po' del suo seme e lo portò alla bocca. "Buono..." mormorò. Gildo lo carezzò. Lentamente si separarono. Si dettero un bacio, poi andarono a fare una doccia. Ancora nudi, si stesero sul lettino, semiabbracciati e, fra baci e lievi carezze, si addormentarono.
La mattina dopo, quando Gildo si svegliò, Fausto era seduto e lo stava ammirando. "Dio, che bello che sei!" gli mormorò.
"Anche tu. Devi andare al lavoro, adesso, vero?"
"Sì, purtroppo."
"Senti... sei libero nel week-end?"
"Sì, perché?"
"I miei non ci saranno, tornano solo domenica notte. Se vieni da me sabato sera, abbiamo ventiquattro ore tutte per noi e... possiamo farlo sul lettone dei miei. Che ne dici?"
"Sicuro!" esclamò Fausto, lietamente.
Si rivestirono, fecero rapidamente colazione, si dettero ancora un bacio, un abbraccio e uscirono di casa.
Così iniziò la loro relazione. Gildo non aveva voluto trasferirsi a casa sua, non avrebbe saputo come giustificarlo con i genitori, però si fermava abbastanza spesso a dormire a casa di Fausto.
A volte, nei week-end, quando i genitori erano in casa, andavano a fare qualche breve gita e Gildo prenotava sempre una camera matrimoniale in un alberghetto. Di solito nessuno dei receptionist faceva obiezioni né stupide battute, al massimo li guardava come per dire: "Lo so cosa andate a fare su in camera, adesso, voi due..." Ma loro non se ne curavano.
Stavano bene assieme, e non solo a letto, benché certamente a entrambi piacesse molto fare l'amore insieme. Fausto non avrebbe detto che la loro relazione potesse finire...
Ora che era finita, gli dispiaceva che Gildo non si fosse fatto più vivo. Si chiese se non dovesse telefonargli di nuovo, benché le due volte precedenti Gildo gli aveva detto che l'avrebbe richiamato e non l'aveva fatto.
Vedere quel Tonello, gli aveva riportato alla memoria Gildo: non tanto fisicamente, benché un poco gli somigliasse, quanto per il modo di vestire con eleganza casuale, quasi da indossatore, e per il modo di muoversi.
Il signor Dondi della scala B entrò, gli fece un cenno di saluto poi gli chiese se poteva, pagandogli il disturbo, andare a dare acqua ai vasi del balcone quando loro fossero andati in ferie. Fausto disse che l'avrebbe fatto volentieri: in agosto non avrebbe preso le ferie. Allora l'uomo salì in casa e tornò con un duplicato delle chiavi e lo ringraziò.
La prima volta che aveva parlato con lui, Fausto aveva avuto l'impressione che fosse una persona con la puzza sotto il naso, antipatico, ma ora sembrava più "normale". Ogni volta che entrava e usciva, se lo vedeva nella guardiola, gli faceva un cenno di saluto a cui sempre rispondeva con un abbozzo di sorriso.
Fausto aveva notato che c'era un ragazzo che andava spesso a trovare Loris Pantaleo. Doveva avere sui diciassette anni, aveva detto di chiamarsi Gustavo Segni. Una volta Fausto gli aveva chiesto se fossero compagni di scuola.
"No, abbiamo fatto gli scout assieme, fino all'anno scorso. Così siamo diventati amici."
"Non fate più gli scout?"
"No... roba da ragazzini." aveva risposto Gustavo e Fausto aveva sorriso, pensando che di fatto erano ancora ragazzini, nonostante si dessero arie da grandi.
Quel ragazzo arrivava a trovare Loris due o tre volte alla settimana, di primo pomeriggio, si tratteneva un paio di orette con l'amico poi andava via. Ogni volta salutava Fausto con un sorriso. Aveva un'aria simpatica, un po' timida. Loris pareva più disinvolto dell'amico, benché avesse due anni di meno.
Quando Gustavo arrivava, lui lo riconosceva e gli apriva la porta prima che suonasse, poi suonava su in casa Pantaleo e avvertiva Loris al citofono che l'amico stava salendo.
Ai primi di agosto arrivò il pacchetto contrassegno che Loris attendeva. Fausto lo nascose e attese di vedere il ragazzo da solo, in modo di consegnarglielo senza che i genitori vedessero.
Però aveva notato una cosa: il pacchetto proveniva dalla provincia di Perugia e, come mittente, recava la dicitura "Castro Market". Si chiese se quel "Castro" avesse qualcosa a che fare con il famoso Castro di San Francisco, il quartiere gay. Ma poi si disse che se era un regalo per l'anniversario di matrimonio dei genitori... forse era solo una coincidenza.
Benché, pensò, quella poteva essere solo una scusa e in realtà... e magari il suo amico Gustavo era più di un amico... Ma poi si disse che non doveva malignare, solo perché lui era gay, e non ci pensò più. D'altronde né Loris né Gustavo avevano nulla, nel loro atteggiamento, che gli potesse far pensare che fossero gay.